Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
Ricorda la storia  |       
Autore: MartaJonas    26/03/2013    3 recensioni
Era sera, l’uomo era ben nascosto tra gli arbusti, davanti al piccolo stabilimento in cui avrebbero fatto irruzione da un momento all’altro, non appena il comandante avrebbe dato a lui, e ai suoi compagni, il segnale.
Era immobile, tra le foglie di quelle piante, ben confuso con l'ambiente grazie ai suoi vestiti mimetici, su cui si riusciva a distinguere bene, però, il suo nome in nero su una targhetta. La scritta “Jonas” che appariva sul lato sinistro del petto del giovane uomo, era affiancata dal distintivo dei Marines.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Danger. 


July 15th, 2012 – 10.13pm
 
Era sera, l’uomo era ben nascosto tra gli arbusti, davanti al piccolo stabilimento in cui avrebbero fatto irruzione da un momento all’altro, non appena il comandante avrebbe dato a lui, e ai suoi compagni, il segnale.
Era immobile, tra le foglie di quelle piante, ben confuso con l'ambiente grazie ai suoi vestiti mimetici, su cui si riusciva a distinguere bene, però, il suo nome in nero su una targhetta. La scritta “Jonas” che appariva sul lato sinistro del petto del giovane uomo, era affiancata dal distintivo dei Marines.
Il militare respirava piano e ritmicamente, così lievemente che se gli si fosse messa una candela proprio davanti alla sua bocca, la fiamma non sarebbe nemmeno oscillata.
Non appena vide accendersi una luce all’interno del complesso, portò il mitra più vicino al corpo affinché sopportasse meglio il contraccolpo nell’evenienza in cui avrebbe dovuto sparare. Così le sue vene pulsanti di sangue delle sue mani si mostrarono, proprio vicino al grilletto. I suoi occhi color ambra, sotto quelle sue folte e nere sopracciglia, si muovevano furtivi e attenti. Non osava aprire bocca, mentre si chiese perché si fosse dimenticato un’altra volta di farsi la barba, ormai incolta, quella mattina, proprio per cercare di smorzare quella tensione che aveva ogni volta prima di un’incursione. Quella volta, poi, sarebbero dovuti stare ancora più attenti: dovevano salvare e mettere al sicuro una donna, una reporter per la precisione,che era stata presa in ostaggio, per poi chiedere indietro un riscatto dal paese di appartenenza della civile, cioè gli stessi Stati Uniti d’America. Sarebbe bastato un passo falso per far saltare tutta l’operazione.
Era piena estate lì in Iraq, e quindi faceva anche parecchio caldo. La fronte del marines era imperlata da piccole gocce di sudore, che erano impossibili da asciugare in quel momento, perché non poteva muoversi neanche di un centimetro. I capelli corvini sulla sua fronte si erano un po’ attaccati a questa, doveva ricordare di tagliarli, almeno un po’. Non li aveva tagliati tutti completamente,  come si usava fare una volta entrati in un corpo militare, li aveva lasciati un po’ più lunghi sulla testa e li aveva rasati ai lati. Era sempre stato affezionato ai suoi capelli, fin da quando era piccolo, e non era riuscito a farne a meno completamente. Così si distingueva da tutti gli altri, così non sarebbe sembrato uguale a tutti gli altri, anche se il suo comandante non faceva che rimproverarlo per questo. Tuttavia, li avrebbe dovuti ritagliare, almeno un po’.
Gli era sembrato impossibile, però, pensare a qualunque altra cosa che non fosse stato quell’assalto nei giorni precedenti, tutta la squadra si era concentrata solo e soltanto su quello, tanto dal perdere di vista qualunque altra cosa.
Gli occhi del ragazzo e dei suoi compagni, ormai suoi amici, furono catturati dalla luce intermittente di quella pila elettrica che puntava il suo chiarore su uno degli alberi vicini: era il segnale. Questo significava che l’altra parte della squadra aveva fatto il suo lavoro, e quindi la via era libera, almeno fuori dall’edificio. Cominciarono a muoversi, furtivamente e nello stesso tempo velocemente, verso lo stabilimento. Arrivarono fuori dalla porta sul retro e Mike si appoggio proprio affianco ad essa, e guardando i suoi compagni, mimò con le labbra un “tre, due, uno” e poi sfondò la porta. Gli otto marines si separarono, a due a due, in modo che ognuno dovesse guardare le spalle al compagno.
-Danger – sussurrò Mason all’orecchio del suo compagno, Jonas, appellandolo con il suo soprannome. Ormai tutti lì avevano un soprannome.
-Sì? – rispose altrettanto piano.
-C’è troppo silenzio. – sentenziò, ricevendo indietro un semplice “lo so” dall’amico, che poggiò la schiena alla parete affianco alla porta della stanza più vicina e fece segno al primo di sfondarla con un solo cenno della testa.
Come entrarono ricevettero dei colpi di pistola un uomo che teneva ferma la giornalista, con una delle due mani, mentre con l’altra tentava di difendersi. Nessuno dei proiettili sparati li aveva colpiti fortunatamente e i due marines si ritirarono subito al di fuori della stanza incolumi. Danger fece un respiro profondo, trattenne il respiro, puntò il mitra alla spalla dell’uomo, e più sicuro che mai, con la possibilità di sbagliare mira e colpire la ragazza, sparò. L’uomo cadde a terra un attimo dopo dolorante e ferito con l’impossibilità di muovere il braccio, ma non morto; mentre la ragazza, con il viso ancora coperto da un sacchetto di stoffa nero, piangeva disperata e spaventatissima, dopo aver gridato al momento dello sparo.
Il moro, che aveva appena scagliato quella pallottola, tirò un sospiro di sollievo correndo verso la donna.
-Vai a chiamare gli altri, io mi occupo di lei. Stai attento, però. – disse questo all’ amico Mason che annuì uscendo dalla porta.
Prese da terra la pistola usata dal rapitore per evitare che potesse rinvenire e fare qualcosa di male, e se la mise alla cintura.
-Ti prego, non farmi niente … ti prego … ti prego … - disse la donna spaventata,
-Stai tranquilla Abbey, sono arrivati i buoni, è tutto finito – affermò piano, con voce ferma il ragazzo mentre si inginocchiava davanti a lei, le toglieva il sacco nero dalla testa, lo buttava a terra e con un coltello le tagliava le corde con cui le avevano legato i polsi.
Si ritrovò davanti a una giovane donna dagli occhi grandi e verdissimi, e dai capelli castani; era distrutta ma era semplicemente stupenda, così tanto che il ragazzo per un attimo smise di respirare.
-È tutto finito sul serio? – chiese ancora, non riuscendo a crederci mentre guardava fisso negli occhi quel ragazzo sconosciuto di cui non sapeva neanche il nome, ma le aveva salvato la vita. 
-È tutto finito.- le sorrise il moro e si accorse che non sorrideva così da tempo ormai.
La ragazza abbracciò il giovane piangendo, e questo sorpreso ricambiò l’abbraccio stringendo la ragazza a sé.
 
*
 
July 16th, 2012  – 2.08am
 
C’era silenzio quella sera, più silenzio del solito. Era di guardia quella notte, ma anche se non lo fosse stato non sarebbe stato capace di chiudere occhio. Pensare a quella ragazza e a quello che gli avrebbero potuto fare se non fossero arrivati in tempo lo spaventava e non poco. Non le avevano fatto nulla per fortuna, né violentata o peggio torturata, erano arrivati prima che le potesse succederle qualcosa di davvero irrimediabile. Era spaventata, ma era forte, altrimenti non sarebbe neanche stata lì. Era riuscito a vedere, però, che in quello sguardo verde acqua non c’era altro che innocenza.
Si appoggiò all’albero accanto dall’accampamento in cui si erano stabiliti per qualche giorno, e un momento dopo sentì una mano che gli toccava la spalla destra. Si girò e vide Abbey davanti ai suoi occhi che tentava un sorriso.
-Ciao – sorrise la ragazza.
-Ciao … non dovresti essere qui, sai? – disse il ragazzo alla reporter.
-Lo so, ma mi sono ricordata che non ti ho ringraziato per prima. – disse la ragazza guardando a terra imbarazzata – quindi, grazie per tutto.
-Non è stato solo merito mio, io non ho fatto nulla, è stato un lungo lavoro di squadra. – rispose il ragazzo, mentre si disse che sarebbe sembrato troppo strano se si fosse accorta che stava fissando i suoi occhi da quando era arrivata.
-Lo so, ma mi hai consolata, mi hai liberata tu, e niente, ti volevo ringraziare per questo – disse la giovane massacrandosi il labbro inferiore per l’agitazione.
-Beh, di nulla, solo dovere. – rispose sorridendogli
-Poi … - cominciò Abbey – volevo chiederti il tuo nome. Nel senso, tu sai il mio, e mi sembrava giusto sapere il nome di chi mi ha salvata. Sai com’è, se qualcuno me lo chiedesse, almeno saprei come rispondere. - disse la ragazza castana distruggendosi una pellicina del dito pollice, e il moro si disse che aveva una gran parlantina e che era parecchio emozionata anche se non ne capiva il motivo.
-Perdonami, sono stato un maleducato, avrei dovuto presentarmi. Piacere, Joseph Jonas, puoi chiamarmi Joe. Oppure Danger, è il mio soprannome. – così dicendo le tese una mano che la ragazza non tardò ad afferrare.
-Abbey Scott, hai un bel nome, Joe. – disse la ragazza sorridendogli – e perché ti chiamano Danger?
-Vuoi sapere la versione che racconto a tutti per farmi il figo o la vera versione? – chiese il moro trattenendo una risata che invece provocò in Abbey.
-Entrambe! – rispose divertita.
-La versione che racconto è quella che ho una buona mira e quindi sono un Danger per tutti gli altri, che tra l’altro è anche vero. Ma la vera versione è che da piccolo ero un disastro, cadevo sempre, ero un Danger per me e per gli altri; i miei compagni sono venuti a sapere che i miei fratelli mi chiamavano così, mi hanno preso un giro per qualche mese buono e mi è rimasto il soprannome. – disse Joseph ancora imbarazzato per la seconda parte
-Ma dai, cosa facevi di così pericoloso per arrivare a tutto questo? – chiese la ragazza.
-Pensa che mi sono infilato la testa in un tamburello una volta, questo ti può far capire tutto il resto! – disse il moro facendo scoppiare a ridere la ragazza, e lui si unì a quella risata fin troppo bella da sentire.
-Ho un’altra domanda, prima di andare a dormire. – disse la ragazza guardando il giovane prima negli occhi per poi spostare lo sguardo a terra.
-Dimmi pure! – rispose il moro.
-Mi dai il tuo numero di cellulare, Joe? – chiese, forse sfacciatamente, la ragazza a quell’uomo di cui era rimasta irrimediabilmente colpita. Forse erano quegli occhi, forse quel sorriso, forse quel suo modo di ridere portandosi una mano al petto, oppure quello strano suono della sua risata, non lo sapeva per certo, ma sapeva che stava accadendo qualcosa, e non voleva lasciarlo andare.
-Solo se tu mi dai il tuo. – sorrise il moro, facendo sorridere anche la ragazza. 









Buonasera a tutti!
Bene, come al solito non faccio altro che rompervi le scatole con quello che scrivo. In ogni modo, premtto che questa doveva essere una OS, ma è diventata una mini-FF in 3 capitoli. Quindi, non abbiate paura, finirà presto questa volta ahahahahah
L'idea è venuta da una gift, anche se era da un po' che l'avevo in mente. 
Ho linkato due canzoni, una per ognuna delle due parti in cui è diviso il testo. 
E, per chi mi segue anche in "Help me and let me help you" tranquilli, non la sto abbandonando, anzi, plubbicherò un nuovo capitolo anche lì molto presto! :)
Vi prego di perdonarmi per l'orrible banner, ma è quel che sono riuscita a fare in 10 minuti ahahah
In realtà sono parecchio nervosa e indecisa nel pubblicare questa storia, non so molto giudicarla.
Mi farebbe davvero piacere ricevere dei pareri positivi o neativi che siano!
A presto, un bacione, 
Marta :) 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers / Vai alla pagina dell'autore: MartaJonas