Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: shaka666    27/03/2013    0 recensioni
Storia tratta da una campagna a dungeon and dragon di mia invenzione.
Storia e ambientazione: Giuseppe balzano
Scritta da: Yuri fantozzi & Giuseppe balzano
"Cominciamo col dire che sono un uomo di un metro e dieci. A questo punto tanto basta alla maggior parte delle persone per allontanarsi disinteressate. Sapete, quelle in fondo, che non arrivano a vedere. Se vi chiedete cosa ci fa dunque la folla di persone in prima linea che impedisce la vista non chiedetelo a loro: le trovereste impegnate nel lancio dell'ultimo mese di raccolto o nella competizione, a quanto sembra largamente conosciuta, del 'tiro al nano'. Sembra che le folle siano più euforiche tanto più l'obiettivo è piccolo e risulta difficile da colpire. Ho visto nascere grandi amicizie tra i fiumi d'alcol che scorrevano nelle locande dopo che due grandi tiratori avevano centrato il nano ripetutamente alla testa. Be', sì. Ho una gran testa. In tutti i sensi s'intende. Quindi il mio parere, anche se vi potrà sembrare un parere di parte, è che non si trattava di tutta questa gran difficoltà. ."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il mio nome è Ivan lo Stretto Indispensabile, figlio di Simien Ludico dei Ludici del villaggio di Lud, nel regno di Argentum. E questi, sono i racconti del Bardo. I Miei racconti.

Bene. Dopo questa pretenziosa introduzione tipica dei cicli epici posso dirvi qualcosa in più sul Bardo. Ovvero il protagonista. Ovvero me.

Bene, cominciamo col dire che sono un uomo di un metro e dieci. A questo punto tanto basta alla più parte delle persone per allontanarsi disinteressate. Sapete, quelle in fondo, che non arrivano a vedere. Se vi chiedete cosa ci fa dunque la folla di persone in prima linea che impedisce la vista non chiedetelo a loro: le trovereste impegnate nel lancio dell'ultimo mese di raccolto o nella competizione, a quanto sembra largamente conosciuta, del 'tiro al nano'. Sembra che le folle siano più euforiche tanto più l'obiettivo è piccolo e risulta difficile da colpire. Ho visto nascere grandi amicizie tra i fiumi d'alcol che scorrevano nelle locande dopo che due grandi tiratori avevano centrato il nano ripetutamente alla testa. Be', sì. Ho una gran testa. In tutti i sensi s'intende. Quindi il mio parere, anche se vi potrà sembrare un parere di parte, è che non si trattava di tutta questa gran difficoltà.

D'accordo, basta calunniarmi. Bisogna essere morigerati anche nella modestia, altrimenti si rischia di convincere il proprio pubblico che si ha ragione, che stanno perdendo tempo e in men che non si dica proveranno odio nei confronti del Bardo che ha fatto perdere loro del tempo prezioso, che li ha fatti sentire in imbarazzo per Lui e che per questo li ha fatti sentire stupidi. Sapete che vi dico? Hanno ragione! Persino io lancerei un sasso o due ad un uomo che s'appella Bardo ma si costuma mendicante!

Ma perché interrompere il filo conduttore. Come dicevo ho una gran testa. Questo mio ben pensare mi ha cavato d'impaccio, e ben spesso molto più che d'impaccio, ben più di una volta! Anzi, sono quasi convinto che date le mie doti fisiche, il risultato delle mie avventure sia del tutto imputabile alla mia intelligenza. Ma ve ne accorgerete... Parlando piuttosto delle mie doti fisiche: molte delle donzelle inebriate dai fumi delle locande non finivano quasi mai tra le lenzuola con gli aitanti tiratori, piuttosto preferivano il 'nano'. Ahah!, so che non ci credete. Vi state domandando il motivo e subito dopo lo domanderete a me. Bene. Potrei dirvi che la causa potevano essere i fumi dell'alcol stessi, oppure un'inspiegabile epidemia di istinto materno, il quale le spingeva a coccolarmi, detergermi, tirarmi su il morale e... il resto. Anche in gruppo sapete? Ma se devo pronunciarmi sinceramente direi che un nano ha Due vantaggi indiscutibili: l'altezza. Oh no, vi sbagliate! Non si tratta di un vantaggio solo. Perché vedete, se uno dei due l'avete ben immaginato non siete abbastanza accorti da pensare che generalmente un nano, quando si sdraia, resta più o meno della stessa altezza. Oh su! Non fate quelle facce, così è troppo facile! Siete creta nelle mie mani...

So che non volete credermi. Già, proprio così, non volete. E so quanto v'infastidisce il mio sorriso, ma non ve ne andrete. Ormai siete miei. Da quanto tempo credete che incanti le folle! Non potete sfuggirmi! A proposito di questo. Per ora non saprete la mia attuale età, serve a tenervi sulla corda nei momenti di massima tensione...

In ogni caso non preoccupatevi, ho smesso da tempo d'inserire avventure di letto nei miei racconti. Solo bardi alle prime armi ne hanno bisogno e se sapete eccitare gli uomini può rivelarsi molto avvilente, si finisce con loro che raccontano la tua storia e poi si scambiano le loro.

E detto questo succede che solitamente un'altra porzione di folla si allontana. Ah! La gente! Kemel ce ne scampi e liberi.

Direi che è ora di cominciare...


 

La mia storia comincia, come gran parte delle storie, con un viaggio. Ma con una sottile quanto fondamentale differenza, il viaggio in questione era un Ritorno.

Certo, certo. Questo faceva di me un uomo con una partenza, ma non è lì che comincia la mia storia. Non vi è alcun bisogno di andare a scavare nei ricordi del mio apprendistato. E come vi dicevo ero di ritorno... a Casa.

Il villaggio di Lud è un piccolo agglomerato di tronchi, canniccio e gente intrecciata che raramente supera le trecento anime. E' circondato da una fitta foresta su tre lati e, a due giorni di cammino, sul quarto lato, si estende per un altro giorno di cammino una palude nebbiosa che sbarra il sentiero per la capitale del regno. Resta comunque l'unico passaggio. Già, come avrete capito la mia gente non campa di turismo.

Alle propaggini di questa palude troviamo Me, il Bardo. Tre giorni di cammino lo separano dalla famiglia che non rivede da otto lunghi anni ed essendo Bardo e nano è dotato di un'ingombrante prudenza. Si trova a cavallo del fido quanto mai vile Vago, un pony dal manto non ben definito ed entrambi attenderanno ad una degna distanza dalla palude che un'altra alba si appresti a sorgere portando seco la carovana settimanale diretta a Lud.

Mezzo dì era trascorso da tempo e poche ore mancavano al tramonto in quel giorno di fine primavera. Io di primavere ne avevo vedute ventidue. Purtroppo un'altra mia ben nota e deprecabile qualità fisica non mi permette di essere più preciso: tendo a dimenticare le cose. Cose come le date, i compleanni, nomi e orari dei pasti... nulla d'inconveniente per un Bardo del mio livello. Io non ho bisogno di rimembrare. Io so.

Come sapevo che le mie scorte di cibo non permettevano il ritardo di un giorno. Non ricordavo quante ne avessi e quindi le ho contate, così lo sapevo.

Mi apprestavo dunque ad una rapida cacciagione ma la Sfortuna era ormai già mia compagna di viaggio. Poiché sfortunatamente la preda che avevo scelto era un coniglio. Quel coniglio... ebbi l'onore e la disdetta d'imbattermi in Long John Silver! Un coniglio così furbo e veloce da meritarsi un nome nel villaggio di Lud, altri nomi nei villaggi vicini e anche il posto in qualche canzone da osteria. Voi penserete di no, ma io credo che sia ancora vivo da qualche parte pronto a farsi beffe del prossimo incauto avventore.

E così quella notte dovetti fare affidamento sulle mie scorte. Ma se avessi saputo quello che mi attendeva avrei evitato di mangiare quella notte, come le successive.

L'aria di casa spinge l'uomo cauto, come anche il mezz'uomo, a certe imprudenze. Quali ad esempio decidere d'esercitarsi con la propria cornamusa in vista di una palude lugubre e nebbiosa. Lo ammetto, ero leggermente intimorito. Non spaventato, perché effettivamente non avevo riflettuto precisamente sui pericoli che potevano approssimarsi, ma intimorito. Doveva essere l'atmosfera oppure la mia, al tempo ancora latente, Veggenza. Fatto sta che decisi di suonare per tenermi compagnia e di lì a poco notai le prime avvisaglie della mia infausta scelta.

Un piccolo focherello alitava vicino a me e Vago. Abbastanza piccolo da non essere notato, abbastanza piccolo da non riscaldare se non la legna e abbastanza piccolo da non permettere di vedere altro se non il fuoco stesso. Un Focherello inutile, ma anch'egli di compagnia.

Pochi minuti dovevano essere passati dal momento in cui avevo riposto lo Strumento nella sacca. Il suono pareva ancora riverberare tra le valli e l'atmosfera si faceva sempre più opprimente. Fu a quel punto che smisi di cercare di chiudere gli occhi e diedi retta ai miei timori cominciando a scorrere lo sguardo sulle nebbie della palude. E di tra le nebbie, attutito o amplificato, notai un lucore, una biancastra luce morta della durata di un lampo ma che, come il lampo, restava negli occhi a lungo, impressa. Eppure fu talmente flebile da farmi dubitare di averla veduta davvero. Più tardi ne ebbi la conferma.

Come prima cosa spensi subito il fuoco spargendo legna e braci. Calò un'oscurità perfetta e con essa si avvicendarono nuovi suoni che la gaiezza della luce nasconde. Suoni di grilli, di lucertole scattanti, richiami lugubri di civetta e passi. No, non passi. Crepitii. Passi crepitanti. Come calpestare il grano maturo, ma suoni più secchi, meno prolungati. Si avvicinavano, da tutte le parti tutto intorno a me. Evocai quindi un po' di luce e la chiamai a mia immagine, sei volte me. Speravo di distrarre la 'loro' attenzione, ma non vi riuscii. E quegli occhi, perle di ghiaccio, occhi cechi nell'oscurità dei 'loro' volti fissavano solo me.

Fui salvato dalla mia Veggenza. La quale con una voce di comando spazzò via le presenze e mi riportò nel mio mondo, all'alba di un nuovo giorno. No messeri, non si trattava del nostro mondo ma di un mondo d'incubo, reale e tangibile quanto le vostre carni. So che il mondo era quello dell'Incubo perché la Veggenza mi ordinò di svegliarmi. Si trattava di un avvertimento. Alla luce dell'alba notai come l'incubo poteva essere insidioso, finanche mortale. Dal nulla giungevano in cerchio, intorno a me, orme nell'erba, orme bruciate di passi non umani, orme e artigli. Ecco dunque cosa crepitava: occhi freddi e orme roventi.

Il buon giorno si vede dal mattino e il sole cancella i brutti sogni. Infatti poco dopo essermi preparato al nuovo giorno ed aver ottemperato a tutte le mie necessità vidi arrivare la carovana. Dal punto rialzato su cui mi trovavo potevo scorgerla ben distante. E' per questo che mi stupii di vederla così vicina in così poco tempo, come mi stupì il fatto di vedere sobbalzare e sbandare il povero carretto trascinato da un cavallo scosso e imbizzarrito. Montai in fretta in groppa a Vago e tentai di precederlo a tutta corsa per il sentiero così da potermi avvicinare, capire cosa succedeva e magari tentare di calmare il cavallo. Tentai ho detto, non sono un domatore di cavalli. Dunque, il cavallo mi ignorò, il carretto prese un'altra buca e si staccò, il cavallo continuò la sua corsa spericolata preda del terrore, il carro rimbalzò ancora poche volte vicino al sentiero ed io lo raggiunsi.

C'era qualcosa che avevo notato da subito. Una bruciatura. Un'orma. Stavolta impressa sul legno del carro. Un'orma simile ad una mano con lunghi artigli che sembrava voler afferrare il bordo e montar su. Diversa era la mano che sporgeva dall'interno. Non artigliava nulla, pendeva come morta e più morta di così non poteva sembrare dato che per essere lo scheletro di una mano gli restava da perdere solo la pelle. Solo che questa ormai era un tutt'uno con le ossa. Insomma, era mummificata. Su ciò che la doveva tenere in bilico in quel modo era adagiato un telo. Voi direte per buona grazia! Ed anch'io lo dissi dentro di me. Subito prima di sollevarlo.

Dovete capire, quella carovana rappresentava il mio salvacondotto per attraversare le paludi, risaputamente infestate di banditi, senza che mi dovessi guardare costantemente le spalle. Anche una compagnia silenziosa riesce a salvaguardare la propria salute mentale in quelle situazioni, inoltre io non sono una compagnia silenziosa, quasi mai. Ecco il motivo per cui mi apprestai a sollevare il telo, scoprire il braccio che teneva in equilibrio la mano e il corpo a cui una volta il braccio era stato sicuramente attaccato. Io dovevo sapere. Un po' perché altrimenti non potrei vantarmi di sapere e un po' perché, be', sapete, morto un carovaniere se ne fa un altro. E magari passava di lì a poco. E magari avrei potuto raccontare a lui com'era morto il carovaniere precedente. Avremmo passato una bella giornata e viaggiato senza pensieri... E quindi stavo morendo di paura. Il corpo era integralmente ed indiscutibilmente una mummia. Il pensiero che qualche burlone potesse aver dissotterrato una mummia, averla messa sul carro e spaventato a morte un cavallo per farlo correre per almeno un'ora di cammino tentò più volte di sfiorare la mia mente. Purtroppo non c'era nessun burlone accanto a me a dissertare di amenità e quel pensiero venne scacciato da una ragione spronata a frustate da un puro terrore. Qualcosa, un qualcosa con cui avevo trascorso qualche momento intorno ad un fuoco da campo, aveva ridotto quel povero uomo in quello stato con un solo gesto.

Magari anche due, ma non è questo il punto.

Cercai di capire dai vestiti e da ciò che portava con sé chi fosse, se lo conoscessi. Purtroppo non aveva segni di riconoscimento, non ai miei occhi per lo meno. Lo lasciai dunque sulla strada. Non avevo con me nulla per scavare una buca. Avevo poco cibo. Avevo poco tempo. Il mattino avanzava. E qualcun altro, magari io stesso e qualche altro ludico, avrebbe poi potuto seppellirlo e, se Kemel voleva, riconoscerlo.

Guardai il cielo. In quel momento mi tornò in mente l'aquila che avevo visto la sera prima sorvolare la palude. Al tempo non avrei saputo dirvi perché. E con quel pensiero montai Vago e lo spronai verso le paludi nebbiose. Tanto più veloce quanto ci era permesso.

Ironia della sorte superai la palude senza incidenti se non per una leggera pioggerellina più simile a della semplice umidità condensata. Il mio scopo era cavalcare fino a trovare un casotto di caccia in cui passare la notte. Purtroppo nessuno cacciava nelle prossimità delle paludi. Mi spinsi quindi oltre le paludi fino alle propaggini della foresta. Lì, ormai a notte inoltrata, notai un casotto di caccia ampio abbastanza per me e Vago. Si trovava fuori dal limitare della foresta, un limitare definito dall'opera degli uomini. Era costruito con assi di legno vecchie più di me e non aveva finestre. La porta doveva dare sulla foresta. Quindi lo aggirai e voltato l'angolo mi trovai di fronte lo spazio vuoto dell'interno. Il casotto mancava di tutta la sua parete frontale. Dei mozziconi d'asse partivano dai tronchi d'angolo piantati in terra e dopo un palmo terminavano in schegge e marciume. La parete che una volta aveva costituito l'ingresso era stata strappata via, in direzione della foresta. La cosa mi provocò una certa premura ma il marciume del legno mi faceva desistere dal preoccuparmi: qualsiasi cosa era successa, doveva essere passato del tempo.

Vago non sembrava tranquillo, ma non lo ero neppure io e la cosa non fece suonare in me nessun ulteriore campanello d'allarme. Così guidai il pony all'interno, uscii per svuotarmi la vescica e quella sera riuscii anche a sbocconcellare qualcosa dopo un giorno di digiuno. Poi mi lasciai cadere disteso vicino a Vago, libero dai lacci. Pensai che qualsiasi cosa avrebbe potuto spaventarlo sarebbe venuta dall'esterno e non c'era ragione che scappasse in direzione del pericolo. O se volete è più una scusa meditata successivamente per la mia disattenzione. In ogni caso dopo un intero giorno di cavalcata crollai subito a dormire. Mi risvegliai a notte fonda nauseato dall'odore di putrefazione e dal suono di passi. Aprii lentamente un occhio. Le due lune ancora sorgenti regalavano un'oscurità totale ai miei persecutori. I passi cessarono e qualche minuto passò prima che decidessi di muovermi. Posai una mano sul manto di Vago per tentare di calmarlo e saggiarne il nervosismo. Era umido di sudore. E tremava. Una civetta mandò il suo richiamo e Vago terrorizzato si lanciò al galoppo lontano da me, in quel pozzo di abissale oscurità. Mi sentii perso ed incredibilmente stupido. Tentai anche di chiamarlo, inutilmente. Poi, spaventato e sconsolato, chiusi gli occhi nel tentativo di abbandonarmi al sonno e quello stranamente non si fece aspettare.

Il sole penetrò all'interno del casotto e mi colpì in viso. Dovevano essere le sette del mattino circa. La prima cosa che feci fu di prendere sella e briglie e andare in cerca di Vago. Se si era addentrato nella foresta non avrei faticato a seguire le tracce di un pony al galoppo. Non faticai in ogni caso, la terra morbida portava il segno dei suoi ferri e mi bastò alzare lo sguardo per vederlo poche centinaia di metri più in là intento a brucare l'erba. Buttai un sospiro di sollievo. Lo ricondussi alla briglia verso il casotto per rifocillarmi e caricarmi dello zaino. Ma, dannazione, persi nuovamente l'appetito scoprendo che i passi e l'odore di putrefazione erano responsabilità di due fonti distinte. In particolare l'ultima delle due si trovava distesa ai miei piedi sotto forma di mummia. Non volendo entrare a far parte delle ultime tendenze del circondario evitai di prestargli l'eccessiva attenzione che avevo dedicato alla sua compagna e la superai per raggiungere il mio giaciglio. Così, appena prima di entrare, alzai lo sguardo e lo vidi. Era fermo in mezzo al sentiero, voltato nella mia direzione, quindi leggermente di traverso al sentiero. E mancava di una parte, quella che lo faceva stare così immobile. Non so per quale motivo ma un carro senza un cavallo in mezzo a una strada dà sempre un'idea sconsolata di desolazione. Andai da lui dopo aver legato Vago a uno dei pali del casotto.

Questa volta il carro non portava un carico macabro, ma probabilmente il motivo era che il carico macabro aveva tentato di scappare e si trovava in terra a pochi passi da Vago. Povero Vago, ripensandoci fu un po' una cattiveria. In compenso il carico comportava di un sacco pieno di cibo, un sacchetto più piccolo e un foglio leggermente arrotolato contenuto in una scarsella aperta e senza cinghia. Il cibo sarebbe bastato a chiunque per una decina di giorni, a me anche un ventina viste le mie condizioni e la sensazione che la vista del cibo mi provocava. Quindi evitai di saltare di gioia. Non saltai di gioia nemmeno alla vista delle monete d'oro contenute nel sacchetto, non sono quel tipo di persona, ma stimolarono la mia curiosità. Infine presi la lettera, la quale proprio come dovuto al rango di lettera recava un sigillo di ceralacca. Era aperta, ma avvicinando i lembi si riconosceva un monogramma: una B. Il contenuto era sufficientemente più illuminante. La lettera era di Brend. Brend era il fabbro di Lud, impossibile per me scordarmi di lui. Era il tipo d'uomo grande e grosso persino per un uomo normale. E il tipo d'uomo ricoperto di troppe cicatrici persino per le cicatrici stesse che di sicuro soffrivano il sovraffollamento. Era anche il tipo d'uomo che mandava a letto i bambini dispettosi che invece non volevano andarci. In realtà era un gran simpaticone, ma questo potevi scoprirlo solo da grande, quando a letto ci andavi senza tante storie e tua madre non ricorreva a trucchetti tanto bassi. La lettera era da Brend per Adelbert. Adelbert era il mio vicino di casa e su di lui non vi annoierò con particolari d'infanzia perché lo ritroveremo tra poco. Ora devo cercare di ricordare il contenuto della lettera. Dunque:

Mio caro Adelbert mi dispiace...

Ho deciso di partire per Cristallia...

Ti lascio queste monete d'oro...

Non venire a cercarmi...

Be' lo devo ammettere, ricordo davvero poco. Credo che Brend si sentirebbe offeso ed io devo tentare di essere giusto, quindi dirò che la lettera riusciva commovente, con toni allarmanti e premurosi. In ogni caso non aveva senso. La lettera era da Brend, in partenza per Cristallia, per Adelbert, che si trovava a Lud. Il carro era voltato verso nord, verso Cristallia. E la lettera era sul carro. Non andava da Adelbert. Non aveva senso. A meno che Adelbert non avesse disobbedito alle raccomandazioni di Brend per tentare di raggiungerlo a Cristallia. Certo, non era da lui. Ma si trattava di una soluzione abbastanza semplice. L'avrei accettata volentieri pur di non doverlo fare. Eppure una parte auto punitiva di me mi spinse ad andare a fondo. E così, con lo sguardo torvo e lo stomaco chiuso tornai indietro per perseguire il mio nuovo passatempo di ficcanaso in affari di mummie.

Dopo una prima occhiata si capiva che il corpo era proprio quel carico macabro appartenente al carro: intorno alla tunica portava una cinta su cui si notava lo strappo della scarsella. Purtroppo questo non bastava per capire chi fosse. Di sicuro non era Brend, il corpo era troppo piccolo e, nonostante fosse una mummia, non aveva la pelle così rovinata, inoltre i pochi capelli rimasti erano castani e non rossi. Rimaneva solo da convalidare la mia supposizione. Sapevo come fare, ma non volevo farlo. Adelbert era monco di un dito al piede sinistro a causa di un brutto incidente con un aratro. Quella ferita mi provocò non pochi incubi quand'ero ancora un ragazzino. Riuscì a salvare il piede ma prese inevitabilmente a zoppicare. Dunque sapevo di dover sfilare lo stivale alla mummia. Avete presente la repulsione che si può provare nello sfilare lo stivale ad un vecchio che magari non ha i piedi buoni, che si è permesso giusto due sole paia di stivali nella vita e che non fa che sgobbare e sudare da mattina a sera? Ora provate a immaginare di fare lo stesso su un corpo che puzza di putrefazione. Corpo che è stato esposto almeno al vento e alla pioggia. Ma non i piedi, al sicuro, putrescenti, negli stivali di cuoio. D'accordo, d'accordo, vi ho fatto soffrire abbastanza. In fondo anche per me è passato del tempo. Quindi passiamo avanti. Lo sfilai e la cicatrice si trovava lì. Non dirò altro. Altrimenti saremmo tutti costretti a fare una pausa. Personalmente ne feci una lunga. Soprattutto per quello che mi apprestavo a fare. Presi Vago, il quale pur volendo fare il recalcitrante perché opportunamente offeso, si fece condurre via volentieri. Lo portai al carro e misi fine a quell'atmosfera da relitto che aleggiava intorno a questo legando le corregge e riportandolo così in servizio. Quindi tornai indietro. Con Vago e il carro. Dalla mummia. Non si tratta di un mio feticcio messeri. Adelbert era mio vicino di casa ed era sposato con Esbeth, una cugina di mia madre. Sì, a Lud, come quasi ovunque d'altronde, sono tutti cugini, ma tutti voi dovreste sapere i rapporti di scambio che si instaurano con i vicini. Non potevo tornare al villaggio con la notizia e senza il corpo. Non potevo. Non fu così difficile come immaginavo, disgustoso sì, ma non difficile. Le mummie hanno l'inessenziale vantaggio di essere leggere e rigide. Fu come caricare una fascina di rami secchi. Vago non la pensava allo stesso modo e continuava a lanciarmi occhiatacce piene di sussiego. Quel pony era espressivo quanto un bastardino.

Salii in groppa al bastardino ovviamente, non sul carro, Vago scalpicciò un po' ma si calmò quasi subito. Poi scesi nuovamente, tornai dal carico, presi il sacco di provviste e lo divisi nelle bisacce della sella. Questo se lo fece andare meno bene ma non poteva evitarlo. Non so, c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel tenere un sacco pieno di cibo vicino ad un cadavere mummificato. In quel momento notai che dietro il sacco si trovava un coltello, una delle opere di Brend. No, nulla d'eccelso, non dovete pensare che solo perché ne riconoscessi l'opera si trattasse di un fabbro d'eccezione. Sul manico di corno era inciso l'occhio di Kemel ma alla fine quel coltello era in viaggio su un carro di Lud, tanto sarebbe bastato a chiunque. Era comunque migliore del mio che ormai era ridotto ad un troncone di metallo, ma ero affezionato al mio troncone e in ogni caso quel coltello andava restituito. A quel punto mancavano ormai due ore a mezzo dì e osservando la posizione del sole vidi volare a grande altezza un'altra aquila. Nulla di strano, erano solite nidificare sulle montagne vicine. Notai solamente che andava nella stessa direzione presa da quella del giorno prima, forse era pure la stessa. E così, costringendomi a concentrare i miei pensieri sulle aquile, c'incamminammo. Io, Vago e la mummia Adelbert.

La giornata trascorse relativamente tranquilla. Gli unici tumulti erano dentro di me. Oppure anche tutto intorno a me, dove non potevo scorgerli. Ma se avessi dovuto scommettere sulla cosa più inquietante nei paraggi avrei scommesso sul nano con la mummia nel carretto. E così, tranquillizzato dal mio nuovo sembiante di mostro mi rilassai e, pipa alla bocca, cominciai a canticchiare. Al tramonto giunsi sulle colline, un paesaggio di rocce e anfratti in cui crescevano rovi e arbusti. Trovai una macchia ideale, in cui nascondere il carro, riparata dal vento del nord. Liberai Vago dalle corregge e la sella, lo legai con una corda lunga e sistemai tutto in un angolo. Non ebbi bisogno di cercare della legna, sterpi e rami secchi si trovavano ovunque. Così con la poca luce che rimaneva presi a malincuore la mia coperta dallo zaino e vi avvolsi dentro Adelbert. Andare in giro in quel modo canticchiando con quel particolare carico in vista mi aveva fatto riflettere sul mio ingresso a Lud. Non potevo portarlo in giro così, inoltre avvolto nella coperta avrebbe certamente puzzato di meno. Dovetti legarlo come un salame poiché la coperta non era abbastanza per mantenerlo avvolto da sé. Quindi legai l'involto ad un asse del carro di modo che scossoni e buche non lo facessero cadere. Certo non avevo pensato all'evenienza che si sarebbe presentata quella notte. Accesi il fuoco e mangiai. Stavo finendo l'acqua e dalla palude non avevo trovato altri corsi a cui attingere, ma l'indomani sarei giunto a Lud, poco male. Ormai Adelbert era divenuto un compagno di viaggio come Vago, avevo fatto presto ad abituarmi a parlare con lui. Credo che gli avvicendamenti di quegli ultimi tre giorni e il fatto che in un modo o nell'altro non avessi veduto altre genti nel raggio di chilometri avessero contribuito ad estraniarmi. Mi sentivo fuori dal mondo. Cominciavo quasi a temere di non trovare nessuno neanche a Lud.

Era notte fonda quando venni nuovamente svegliato, stava diventando un'abitudine. Forse per il caratteristico colore chiaro delle rocce quella notte le due falci di luna permettevano di individuare due sagome più scure dell'oscurità notturna. In ogni caso quel ringhio era inconfondibile. Si trattava di due lupi intenti a trafugare Adelbert dal carro, senza tuttavia riuscirci. Vago nitriva spaventato, proprio come un piatto prelibato che tenti di vendersi a chi sta dedicando attenzioni ad altre merci, quello stupido. Strano che puntassero ad una mummia. Allungai una mano verso il piccolo arco che mi portavo dietro da quando partii. Mio padre mi aveva insegnato a prendermene cura, ad esempio incordandolo solo quando pensavo di doverne aver bisogno, ma io non vi prestai mai molta attenzione per cui, l'arco, ormai sformato, aveva perso molta della sua elasticità e forza. Presi una freccia, incoccai e puntai verso una delle due sagome scure. L'uggiolio mi comunicò che avevo fatto centro e non fu l'unico avvertimento. L'altra sagoma si era immediatamente fermata, mentre l'altra era riversa in terra, e pareva decisamente osservarmi, come anche, decisamente, si sarebbe detta in avvicinamento. Il carro si trovava a poco più di 5 metri e la sagoma con due lucciole al posto degli occhi era già a tiro della mia gola. Preso dal panico tentai una cosa immensamente stupida, un trucchetto che usano i musici in osteria per acquietare i vocii e richiamare l'attenzione. Semplicemente si emette una nota stridula con il proprio strumento, uno di quei suoni capace di farti prendere a pugni in faccia anche la persona che ami. Sembra un azzardo richiamare l'attenzione così dato l'immenso e incontrastabile odio che ci si guadagna all'istante, ma quando si suona in una locanda piena di ubriachi è l'unico sistema per far notare la propria presenza e ricavare qualche mancia: gli uomini sbronzi non sono in grado di portare rancore a lungo. Con la cornamusa emettere quel suono è piuttosto facile, basta schiacciare la sacca con tutte le proprie forze. E questo fu quello che feci. Afferrai il sacco di tela cerata che conteneva la mia adorata cornamusa e strinsi con la forza della paura. Potete solo immaginare il cupo e totale silenzio interrotto improvvisamente da quel frastuono e posso dirvi che lo immaginate male. Ma ci riuscirete meglio sapendo che il lupo stramazzò al suolo. Non potevo crederci! Certo nemmeno io me lo aspettavo. Ebbi comunque la prontezza necessaria per estrarre Troncone, il mio coltello, e piantarglielo nella gola. E stessa caritatevole morte donai all'altra bestia ancora uggiolante. Mi voltai verso Vago, ora tranquillo. Certo lui era abituato al frastuono della capitale ma quel suono improvviso aveva spaventato anche me. Dopo essermi assicurato che lui e Adelbert stessero bene trascinai i corpi dei lupi il più lontano possibile, quanto mi era permesso senza che perdessi la strada, così da non venire disturbati da altri animali. E anche per quella notte le avventure finirono.

Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, giunsi a Lud. Ma prima di condurvi a casa devo dirvi qualcosa in più sul mio conto. Come potrete capire, Lud è un villaggio che vive della coltura dei campi e dell'allevamento degli animali e come sono sicuro il vostro intelletto continui a permettervi d'intuire, un uomo della mia statura viene considerato inutile per la maggior parte dei lavori. E un uomo considerato inutile non viene richiesto per lavorare. E un uomo che non lavora viene quindi considerato uno scansafatiche. Ecco chi sono, uno scansafatiche involontario. All'età di 14 anni dovevo già stare a spezzarmi la schiena nei campi per farmi le ossa, ma ovviamente non se ne parlava di tirare o spingere l'aratro. O maneggiare un forcone. O qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Un giorno ebbi un'idea brillante. Il lavoro consiste nello spezzarsi la schiena, in un modo o nell'altro. Magari avrei potuto risparmiare loro questa tortura mungendo le vacche. Seduto davanti a delle mammelle da mungere sto indicibilmente comodo. Credevo fosse quello a non andar bene loro. Dovevo!, spezzarmi la schiena. Invece il problema è che si tratta di un lavoro da donne. Ci avete mai riflettuto? Un uomo può fare qualsiasi lavoro, alle donne ne competono alcuni e non altri, ma se ci sono le donne a farli, quegli alcuni, ad un uomo non deve sfiorare nemmeno l'idea di potercisi imbattere. E finché ci sarà una donna presente a poterlo fare, l'uomo eviterà di farlo anche a costo di non avere nulla da mangiare sulla tavola. Un bardo conosce molte cose, cose incredibili, ma personalmente non sono mai riuscito ad entrare in possesso della chiave di comprensione di certe regole sociali. In ogni caso non c'era niente da fare per me. Ero al centro dell'antipatia del villaggio e, anche se spaventato dal mondo esterno, partii per sgravare la mia famiglia di quel peso. Mio padre era fortemente contrario. Ritengo fosse il fatto che si sentisse responsabile. Vedete, Lud non è famosa per fabbri come Brend o conciatori come Adelbert, ma di sicuro la fama delle opere di mio padre è rinomata in tutta Argentum. Mio padre Simien è il discendente di una lunga tradizione di mastri liutai e il suo lavoro rappresentava uno dei pochissimi motivi di visita da parte dei forestieri. Accadeva che qualche cliente piuttosto esigente venisse a richiedere uno strumento su ordinazione e più raramente restava per seguire qualche fase della lavorazione. Il resto delle sue opere partivano con la carovana. Ma il suo mestiere in un modo o nell'altro non ci rese mai benestanti e a noi stava bene così. Da qui nasceva un po' di risentimento per il fatto che, piuttosto che continuare la tradizione ed imparare l'arte, avevo deciso di riuscire ad essere accettato dalla comunità fino a, non riuscendoci, decidere di partire. La parte di responsabilità gli veniva dalla sua abitudine di raccontarci, a me e mia sorella, delle vecchie storie di antichi dei e mitici eroi, seduti intorno al fuoco, la sera. E quella divenne col tempo la mia più grande vocazione. Cosa che per la vostra fortuna mi ha condotto qui da voi.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: shaka666