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Autore: ChandersonLover    28/03/2013    1 recensioni
Ship: Grant Gustin - Nuovo Personaggio
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
"Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.
Lui.
La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.
Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici. Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…
E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.
Lui sta piangendo per me.
Grant Gustin.
Grant sta piangendo per me. "
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Grant Gustin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                   Capitolo 7
 
 
 
 
“Che diavolo di posto è questo?”
 
Il mio urlo partì in italiano, e riuscii a sentire Grant ridacchiare, non avendo forse capito una parola, o avendo capito forse tutto.
 
Dopo un’ora di tragitto, un’ora particolarmente estenuante, per il costante silenzio e i suoi ghigni alla mia impazienza, fermò l’auto in un vicolo cieco, uno di quelli bui da film horror, raggiungendo il mio sportello, dandomi il suo braccio sorreggendomi, visto che sarei potuta cadere, essendo quasi privi di luce.
 
Se fossi stata in un altro contesto, sarei credo svenuta. Stavo camminando a braccetto con Grant Gustin, ma, oramai, mi ero decisa a vivere quello stupido sogno, aspettando di risvegliarmi prima o poi, maledicendo la mia fantasia.
 
Dopo aver aperto, con delle chiavi, un piccolo portone, in fondo alla strada, dove c’era la sua macchina parcheggiata, mi guidò all’interno, sorreggendomi, camminando come se conoscesse quel posto alla perfezione.
 
Mi guardai intorno, aspettando che aprisse una seconda porta e mi conducesse all’interno.
 
Dopo aver urlato il mio stupore, rimasi esterrefatta da ciò che stavo guardando.
 
Era un piccolo appartamento, di quelli abbandonati, in piccole province, magari di montagna, ma era perfettamente arredato. Tutto intorno era di pietra. Sembrava quasi che stesse cadendo a pezzi e, invece, all’interno era completamente messo a nuovo.
 
C’era un salotto con una televisione che, a vista d’occhio, sarà stata almeno 52 pollici. Un bellissimo divano in pelle bianca, davanti ad essa e, al centro, un tavolino, di quelli che poggi i piedi, rilassandoti davanti la tv. Di lato, un caminetto, magari per gli inverni freddi, il tutto già illuminato, senza che lui accendesse nulla, da flebili luci, provenienti da piccoli lampioncini tutti intorno alla stanza.
 
Era perfetto.
 
Mi condusse in cucina e notai che era davvero una casetta piccola e si e no avrà avuto un’altra stanza, probabilmente da letto, e un bagno.
 
La cucina era splendida. Tutta in  pietra, come il resto della casa, con un arco che conduceva ai fornelli e al lavello e un’isola dietro la quale c’erano due sgabelli.
 
Era una casa per due persone. Un piccolo rifugio.
 
Notai che su quel bancone, al centro della cucina, c’erano già finemente apparecchiate due tovagliette, con del vino al centro e una rosa rossa su una delle due.
“L’ho comprata.” Spiegò, attirando la mia attenzione.
 
Mi voltai ad occhi sbarrati, guardandolo impietrita.
 
“Tu cosa?” Sussurrai, incredula.
 
“Ero ad un locale qui vicino, con Liam, qualche sera fa e abbiamo visto un cartello fuori questa strada. L’ho vista, mi è piaciuta e l’ho comprata.”
 
Deglutii, non capendo quasi nulla di ciò che stesse dicendo.
 
Cioè, avevo immaginato che fosse ricco sfondato, ma comprare ed arredare una casa in pochi giorni, era di certo oltre l’immaginabile, anche se dallo stato, in cui si trovavano quelle mura, e dalla strada nel quale ci trovavamo, non sarà sicuramente costata molto.
 
“Grant, dove siamo?” Chiesi, non avendo idea se ci trovassimo ancora a Milano o chissà dove.
 
“Credo si pronunci ‘Lumezzano’.” Disse sbagliando sicuramente pronuncia.  “Qui vicino abbiamo avuto una serata di lavoro. E’ davvero carino come posto e, visto che mi piace Milano, ho pensato che avrei dovuto procurarmi un luogo per venire più spesso, stando però non al centro della metropoli.” Spiegò stringendosi nelle spalle.
 
Si avvicinò al bancone e ritirò uno sgabello, facendomi segno di sedermi. “Quella è per te.” Disse indicando la rosa, facendomi mancare il fiato.
 
La presi, stringendo le labbra, col cuore a mille.
 
Sembrava davvero un appuntamento, seppur io volessi fingere il contrario. I suoi vestiti, i suoi modi, una rosa, del vino... Visto dall’esterno, sarebbe sicuramente sembrato un tentativo d’approccio. Ma non ci pensai. Non dovevo darmi false speranze o avrei continuato a sognare, aspettando che arrivasse la fine.
 
 
Aprì il frigorifero e n’estrasse dell’acqua e un vassoio con degli antipasti, prima di andare ad accendere i fornelli, dov’era poggiata una pentola con dell’acqua.
 
“Grant quando hai preparato tutto questo?” Chiesi, mentre mi serviva del pane e dei salumi.
 
“Prima. Mi ha aiutato Ludo. In realtà quando ti ho chiamata, stavamo tornando da qui.” Spiegò, facendomi mancare un battito.
 
Il fatto che Ludovica non avesse insistito sul farmi uscire quel giorno, il fatto che nessuno avesse controbattuto la mia assenza, li aveva portati ad organizzare quella serata.
 
Sì era ufficiale: La mia amica era la persona più speciale del pianeta.
 
Si sedette dall’altro lato, versando del vino ad entrambi, prima di indicare il mio bicchiere. “Bevi?” Chiese, iniziando a bere il suo.  
 
Annuii, alzando anche il mio, avvicinandolo alle labbra, godendo di quel sapore leggero, per fortuna, non reggendo al massimo l’alcool.
 
Mangiammo per qualche istante in silenzio, poi iniziò a chiedermi della mia università e della mia vita a Perugia, tanto per chiudere gli imbarazzanti sguardi al piatto che inviavo, per non guardarlo.
 
 
“E a Perugia hai un ragazzo?”Chiese improvvisamente, alzandosi per buttare la pasta, nell’acqua che bolliva.
 
 
E, alla sua domanda, mi stavo quasi per strozzare con del prosciutto, tossendo come un idiota, e lo sentii ridere, scuotendo la testa.
 
 
“Evidentemente sì.” Disse, tornando a sedersi con nonchalance, guardandomi divertito.
 
“No, invece. Nessun ragazzo.” Risposi, ruotando gli occhi al cielo, sentendo il viso infiammarsi sotto il suo sguardo.
 
Come solito di Grant, aveva poggiato entrambi i gomiti sul bancone, poggiando la testa sulle mani, guardandomi ghignando, mettendomi in imbarazzo, come faceva con ogni persona gli capitasse a tiro.
 
 
Effettivamente qualsiasi cosa avesse fatto uno come lui, avrebbe messo in imbarazzo una come me.
 
 
Non gli chiesi se lui avesse una ragazza. Io lo sapevo già. Lui aveva Hannah e non faceva altro che ricordarlo, inviandole amore pubblico sui social network.
 
 
“Sei sicura di stare bene? Sei più muta del solito.” Disse, servendomi dell’altro vino che accettai, per aiutare a scogliere quella tensione che mi stava attanagliando.
 
Annuii, poco sicura. “Perché mi hai portata qui?” Chiesi, avendo bisogno di saperlo, prima di iniziare a far girare mille film nella mia testa, senza sapere il reale motivo di quella ‘fuga’.
 
“Perché sono a Milano da una settimana e non mi hai dato modo di conoscerti.” Spiegò, dandomi una risposta poco utile, andando a scolare la pasta, pronunciando quella frase, come se fosse la cosa più naturale del mondo, non rendendosi conto che ogni sua parola era una lama al petto, che mi provocava così tante emozioni, da sentirmi davvero come se non riuscissi più a parlare.
 
 
Bevvi ancora, iniziando a sentire le guance calde, per il troppo vino, al quale non ero abituata e aspettai che si affaccendasse, in completo silenzio, per poi tornare con due piatti pieni di spaghetti e qualcosa di vagamente marrone.
 
Lo fissai, avendo paura del suo contenuto, prima che si stringesse nelle spalle, passandomi una scatoletta vuota di ‘Simmental’.
 
“Che tu ci creda o no, questa esiste anche in America.” Disse, indicando il mio piatto. “Ed è l’unico pasto mangiabile che riesco a cucinare.” Spiegò, ridacchiando, aspettando che ingurgitassi il primo boccone e, sorprendentemente, mi accorsi che era buono. Oltre alla carne in scatola, aveva aggiunto delle olive nere e ovviamente pezzettini di cipolla soffritta. La cottura era a puntino e mangiai tutto, stupendomi.
 
Era un piatto semplice, ma, uno come lui, sicuramente non aveva né tempo, né voglia di cucinare e già iniziare a non bruciare tutto, rendendo saporito un piatto del genere, era un passo avanti.
 
“E’ buona.” Dissi, provando a nascondere la mia sorpresa, con pochi risultati.
 
“Ti aspettavi che ti avrei lasciata digiuna?” Chiese, scuotendo la testa, prendendomi in giro.
 
“No, mi aspettavo una pizza e delle patatine, ma visto il buco nel nulla, dove ci troviamo... Penso che sia impossibile chiedere che ci portino qualcosa d’asporto qui.” Dissi, iniziando a sciogliermi forse per il vino o forse grazie a lui, ma stavo davvero iniziando a sentirmi a mio agio.
 
Dopo una settimana e un paio d’ore passate sola con lui, avevo smesso di vederlo come Grant Gustin, almeno un pochino e avevo iniziato a pensare che davanti ai miei occhi ci fosse una persona, non un idolo o cose del genere.
 
In fondo, si comportava come se la sua vita non fosse quella che io conoscevo. Non come se io potessi sentirmi presa in giro da un istante all’altro, non come se, da quella porta, fosse potuto entrare un presentatore di quegli stupidi programmi di Candid Camera ed io avrei potuto essere la loro cavia.
 
Semplicemente stava facendo conversazione, sorridendomi con quegl’occhi che brillavano e quei denti perfettamente bianchi.
 
Avevo sbagliato sul suo conto.
 
Non era pieno di sé, anzi. Non era affatto un narciso o avrebbe passato tutta la sera a parlare di lui e della sua carriera, magari del suo futuro o della sua perfetta ragazza. Invece, stava puntando a me, cercando forse davvero di conoscermi. Anche se non ne capivo il perché.
 
 
Dopo aver sparecchiato i piatti vuoti, andò a prendere qualcosa che sembrava stesse prendendo fuoco nel forno che aveva acceso, mentre cucinava la pasta, imprecando per il vassoio troppo caldo.
 
 
Tornò dopo poco, con due piatti con delle cotolette e mi passò una ciotola con dell’insalata.
 
 
“Queste le ha fatte Ludo” Spiegò, indicando i nostri piatti. “Io ho solo rischiato di bruciarle nel forno.”
 
 
Annuii, mangiando, lasciando che il silenzio ripiombasse tra noi.
 
 
“Cosa ti piacerebbe fare una volta laureata?” Chiese, tanto per fare conversazione.
 
“Bhè il mio sogno è diventare redattrice, magari a Londra o Parigi...”
 
“O Los Angeles” S’introdusse, facendomi arrossire, menzionando dove lui attualmente abitava.
 
“Nah, credo che punterò leggermente più in basso. Magari inizierò proprio da Milano.” Spiegai, stringendomi nelle spalle, prendendo i suoi piatti, andando a sciacquarli.
 
“Sai almeno come si usa?” Chiesi, mentre cercava, invano, di mettere in moto la lavastoviglie.
 
Scosse la testa, premendo qualsiasi cosa, quando mi abbassai al suo fianco, mettendola in funzione, sistemando ogni piatto all’interno.
 
“Perché prendi una casa, con una lavastoviglie, se non sai nemmeno usarla?” Chiesi ridendo.
 
“Bhè era compresa nella cucina e poi perché immaginavo di avere sempre qualcuno che mi aiutasse ad usarla...” Scherzò, dandomi la mano, aiutando ad alzarmi, mentre quasi stavo per cadere, piegata su quei dannati tacchi.
 
Una volta alzata ritirai la mano con così tanta fretta che rimase a fissare la sua ancora a mezz’aria tra i nostri corpi.
 
Quel contatto troppo ravvicinato mi stava facendo sentire come se stessi per prendere fuoco e avevo dovuto allontanarmi prima di diventare un peperone, per un gesto così stupido e banale, come porgere la mano, per cortesia.
 
“Cosa vuoi fare? Guardiamo un po’ di tv o vuoi uscire?” Chiese smorzando la tensione.
 
“Mmm la tv va bene.” Dissi, andando verso l’esterno della cucina, sedendomi poi sul divano.
 
Si sedette al mio fianco, iniziando a cercare chissà cosa, tra i canali tv italiani, e dopo aver fatto  zapping, per almeno dieci minuti, fermò su un episodio di NCIS, cambiando lingua, ponendola in inglese.
 
“Penso che dovrò mettere la tv, via cavo. Non capisco nulla della vostra lingua.” Mormorò, allungando un braccio, lungo la testiera del divano, avvicinandosi al mio fianco, sfiorando il mio corpo col suo.
 
Deglutii imponendo a me stessa di stare calma. Eravamo due semplici conoscenti che guardavano la tv, nulla di più, ma poi, quando la sua mano strisciò dal bracciolo del divano, arrivando alla mia spalla stringendola, in un gesto così familiare da farmi venire i brividi, andai completamente in tilt, saltando in piedi, correndo come un’idiota al bagno.
 
 
Chiusi la porta, guardandomi allo specchio, chiamando subito Ludovica, completamente in panico. “Cazzo-Rispondi-Cazzo.”  Mormorai, contro gli squilli del telefono, a ripetizione.
 
 
“Betta?”
 
“Ludo, ti prego, sono in panico. Aiutami.” Sussurrai, sperando che Grant non sentisse, seppur stessi parlando in italiano, quindi era probabile non capisse.
 
“Calma. Respira. Prendi un grosso respiro...” Disse, mentre, ubbidendo inspirai profondamente. “Che diavolo succede?” Chiese altrettanto in panico, mentre sentivo la voce di Liam, che le diceva qualcosa di dolce all’orecchio.
 
“Ho interrotto qualcosa?” Domandai, ad occhi sbarrati.
 
“Ehm...” Mormorò lei, in imbarazzo.
 
“Ma non vi stancate mai voi due? Bhè comunque tu mi hai messa in questo casino e tu devi tirarmene fuori!” Dissi a voce più alta, facendola ridere.
 
“Che hai combinato?” Chiese, ridacchiando a chissà quale scempiaggine perversa, che gli aveva sussurrato Liam.
 
“Nulla. Abbiamo cenato e ho avuto la brillante idea di scegliere la tv, come post-serata e mi ha tipo abbracciato sul divano e non appena mi ha toccato, sono scattata come una molla, correndo al bagno, come se fossi un’anziana incontinente!” Sbuffai frustrata, facendola ridere di gusto.
 
“Ti ha semplicemente abbracciato e sei scappata? Oddio Betta, ma come devo fare con te?”
 
“Sì Ludo, io non posso. Ma che diavolo sta succedendo? Perché mi ha portata qui?” Chiesi, sapendo che conosceva la risposta.
 
“Devi chiederlo a lui questo, vedi che saprà come risponderti. Ora, torna subito alla tv e smettila di fare l’idiota!” Urlò, sentendo Liam ridere, capendo forse la figuraccia che stavo facendo col suo amico.
 
Poi Grant bussò alla porta.
 
“Betta tutto bene?”
 
“S-sì arrivo!” Urlai, balbettando.
 
“Devo andare, e Ludo...”
 
“Si?”
 
“Se state facendo sesso sul mio amato tappeto, ti giuro che me la paghi!” Scherzai, smorzando la tensione.
 
“Ops...” Sussurrò prima di riattaccare, facendomi ruotare gli occhi al cielo. No, su quel tappeto non potevo più dormire.
 
 
Mi guardai ancora allo specchio, bagnandomi il viso con dell’acqua, prima di prendere un enorme coraggio e di uscire, trovandomelo sull’uscio.
 
 
“Hey.” Disse, sorridendo. “E’ successo qualcosa?”
 
Scossi la testa, sentendo il petto fermarsi. Okay ero in un sogno, ma oramai dovevo viverlo.
 
Ero lì, perché sprecare il mio angolo di paradiso?
 
“Grant.” Dissi, ancora sull’uscio del bagno.
 
La luce soffusa del corridoio, provocava un gioco di luci con i suoi occhi verdi, che quasi mi fecero dimenticare ciò che volevo dire.
 
“Si?” Chiese, restando a debita distanza. Forse aveva capito che ero scattata per la sua vicinanza di prima.
 
Trattenni il respiro, provando a dare forza a me stessa.
 
Io dovevo chiederglielo e lui doveva darmi una risposta più precisa, o non sarei mai potuta essere a mio agio, lì con lui.
 
Restai a fissare quelle due gemme verdi, perdendomi nel luccichio che avevano, ogni volta che li muoveva, studiando i miei occhi, aspettando forse che io dicessi qualcosa, visto che lo avevo chiamato e restavo lì in piedi come un ebete.
 
 
“Perché mi hai portata qui?” Chiesi di nuovo, con più convinzione, rispetto a prima.
 
Sgranò gli occhi un istante, arricciando poi la fronte, non capendo forse la domanda.
 
“Deve esserci un motivo?” Chiese stringendosi nelle spalle. “Tu invece perché continui a scappare da me, come se avessi paura?”
 
Sospirai. Era ovvia la domanda e prima o poi sarebbe arrivata, ma non mi tirai indietro, avanzai verso il salotto, aspettando che mi seguisse.
 
“Bhè perché sei Grant Gustin e non capisco perché continui ad inseguirmi, visto che io non sono tipo... nessuno?”
 
“Bhè non è vero che non sei nessuno, o non saresti qui, con me. Perché hai così tanta paura di lasciarti andare? Non lo vuoi?”
 
Alla sua domanda rabbrividii e lanciai uno sguardo attento al pavimento.
 
Non lo volevo? Certo che lo volevo, era il mio sogno, cazzo.
 
Ma come diavolo potevo viverlo, sapendo che prima o poi avrei dovuto seriamente svegliarmi? Come avrei potuto vivere dopo che io mi fossi risvegliata?
 
Era meglio preservarmi di soffrire dopo o concedermi, per una volta di vivere, lasciando che i pensieri arrivassero, poi?
 
 
Annuii incerta, non riuscendo a guardarlo negli occhi, ma lui decise che avrei dovuto farlo, così fregandosene del fatto che stessi tremando da capo a piedi, portò due dita al mio mento, alzandolo.
 
“Non ti sto chiedendo la mano. Ti ho solo portato a cena fuori... cioè tecnicamente a casa mia.” Disse, continuando a tenermi il mento, sussurrando così piano da farmi venire i brividi. “Ma non voglio che tu sia a disagio. Avevo capito che non riuscivi a starmi vicino, in un certo modo, e posso capirlo: metto in soggezione le persone, perché pensano a me come ‘quello che va in tv’, ma speravo che tu capissi che non sono solo quello. Però, ripeto, non voglio che tu non sia a tuo agio, quindi se vuoi ti riporto a cas-”
 
“NO”.
 
E lo urlai così forte che lo vidi sussultare, lasciando il mio mento per lo spavento.
 
Diventai rosso fuoco, guardando il basso per la figuraccia.
 
Il suo discorso mi stava destabilizzando e il fatto che stesse per gettare la spugna, mi aveva spaventato al punto, da urlargli di voler restare con lui.
 
“Vo-voglio restare.” Balbettai, sussurrando, guardando di nuovo il pavimento.
 
“Bene.” Disse, tornando al divano, trascinandomi per mano. “Non darai di matto se ti abbraccio?” Chiese, tornando alle posizioni che avevo interrotto, portando un braccio lungo la mia spalla, premendomi contro di lui.
 
Scossi la testa, fingendo di stare bene, ma ovviamente, soltanto essere inebriata dal suo profumo, così vicino al mio naso, mi stava facendo sentire così debole, da aver paura di svenire quanto prima, lì tra le sue braccia.
 
Guardammo distrattamente la tv, mentre io non facevo attenzione a cosa dicessero. Ero troppo impegnata a sentire la sua mano che saliva e scendeva, strusciando sulla mia spalla, accarezzandomi, per farlo.
 
Voltai leggermente la testa, e notai che stava ghignando al vuoto, pensando sicuramente a quanto fossi stupida, a tremare per così poco, poi lo vidi avvicinarsi con la bocca al mio orecchio e lì pensai che poteva arrivare la mia fine.
 
Respirò un attimo, quasi tentennando, mentre un tremolio attraversò tutto il mio corpo perché... Grant Gustin stava soffiando contro il mio orecchio ed io non avrei resistito a lungo.
 
Trattenni il respiro, aspettando che facesse qualsiasi cosa, combattendo contro l’istinto di scappare di nuovo, ma prima che potessi farlo, lui parlò.
 
 
“Non darai di matto nemmeno se ti bacio?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Brant (?) Corner.
 
Heylaaaa
 
 
Vi lascio un capitolino per augurarvi buona Pasqua e voi e alla pazza che è protagonista di questa storia.
Spero che un giorno la smetterà di flirtare su twitter con Grant davanti ai miei occhi (perché SI succede davvero), perché inizio seriamente ad essere gelosa u.u
 
Vorrei ringraziare chi sta seguendo questa storia leggera e un po’ pazza da parte di entrambe. Seppur sia una storia personale a qualcuno sta piacendo e noi ne siamo felici.
 
Con questo saluto quella piccola peste che m’ispira ogni volta che lei e Grant si punzecchiano (?) su twitter.
 
Buona Pasqua, Tesoro,  e spero che non mi ammazzerai per come ho finito il capitolo u.u
 
Al prossimo, auguri ancora a tutti
 
Kisses
Vale♥
 
   
 
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