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Autore: hilaryssj    15/10/2007    10 recensioni
Una pagina ingiallita del diario di una ragazza. Il giorno più brutto della sua vita, una frase la risolleva nel baratro in cui è caduta. Storia dedicata a tutte le persone che almeno una volta nella vita si sono sentite sole, vuote, con mille problemi. Spero che questa one-shot vi trasmetta un messaggio che per me è stato tutto ... quel giorno maledetto.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto è finito.

 

 

Niente.

E’ tutto finito.

La mia speranza se né andata.

Afferro velocemente il mio casco e le chiavi, apro la porta e scendo le scale cercando di reprimere la voglia di piangere, di sfogarmi. Non serve disperarsi così. Non c’è niente da fare. Tutto ciò per cui ho lottato, tutto ciò in cui credevo si è rivelato inutile.

Prendo senza nemmeno minimamente pensare, se sto per caso dimenticando qualcosa, il borsone dei pattini ed esco da casa mia.

Non devo piangere. Non devo.

Fa più male doversi tenere tutto dentro, ma io sono forte. 

Io sono forte.

Salgo sul mio piccolo scooter, accendo il motore e dalla foga, parto in sgommata verso la strada.

I campi e le risaie sfrecciano troppo veloci. Dovrei rallentare, ma non mi importa. Per un attimo vorrei riuscire a sfuggire alla mia vita, vorrei correre così veloce da lasciarla indietro, scaricarla per strada … ma so che è impossibile.

Anche la più piccola luce di speranza di uscirne fuori è svanita.

Mi sento come se fossi stata condannata … condannata alla vita.

Accelero ancora … spinta da una strana forza che non conosco.

Sorpasso una macchina, poi un’altra, poi un’altra ancora …

Troppo … troppo veloce … ma non mi fermo.

Davanti ai miei occhi scorrono immagini della mia infanzia … una bambina vivace, felice, spensierata.

Io.

Non sarà più così … non sarà mai più così.

Una lacrima mi solca il viso, lasciandosi dietro una scia che brucia.

Talmente assorta dal mio dolore che non mi accorgo del semaforo rosso.

Un’auto sbanda, ma riesce a frenare in tempo, ed io sfreccio via lasciandomi alle spalle i clacson impazziti che a malapena raggiungono il mio udito.

Perché?

Perché il destino vuole piegarmi a questa mia insulsa vita?

Sarebbe stato mille volte meglio se quella macchina mi avesse presa in pieno. 

Avrebbe placato per sempre tutti i miei problemi, regalandomi l’oblio della pace eterna … ma non l’ha fatto.

Sono ancora qui.

E subisco poco alla volta ogni singolo ricordo amaro della mia esistenza, rassegnandomi anche al pensiero di dimenticare tutto ed andare avanti.

Come posso vivere con questa consapevolezza?

E’ inutile sperare, se poi il dottore ti dice: “Si. E’ effettivamente affetta. Mi dispiace, ma la cura non è ancora stata scoperta dalla scienza. Per ora stiamo ancora facendo esperimenti, ma non siamo totalmente sicuri del risultato finale.”.

Mia madre è crollata nella disperazione più totale a quelle parole.

Lei ha scoperto di avere la retinite pigmentosa all’età di 23 anni, dopo avermi partorito.

Maledizione!

Neanche fosse poi tanto diffusa. E’ una stupida malattia rarissima che colpisce alla retina dell’occhio … peggiora nel tempo e porta alla quasi completa cecità.

Si chiama Daniela. E’ una donna forte e determinata … ma anche lei, quando è venuta a saperlo la prima volta, è caduta in un esaurimento nervoso da cui ha faticato ad uscirne.

Poco tempo fa, la scienza ha scoperto la vera natura della retinite … è genetica.

Per questo stamane mi sono recata al centro oculistico specializzato di Genova. Ed ecco il risultato … positiva a tutti i test.

Mi ricordo di mia madre … quando lottava per riuscire a leggere una ricetta di cucina. Nei primi tempi ci riusciva, poi ha iniziato a chiedere il mio aiuto … adesso non riesce più a vedere le lettere.

Diventerò anche io così?

Stento a crederlo, ma è la verità.

Solo che io non riesco ad essere forte … non come lo è stata mia mamma.

Sono arrivata.

Spengo il motorino ed entro nel palazzetto dello sport con la mia solita borsa malandata sulla spalla.

Non dico niente alle mie compagne di pattinaggio artistico … non voglio fare pena a nessuno.

Le saluto con un “ciao” distratto e accenno un sorriso amaro, ma nessuno ci fa tanto caso.

Entro nello spogliatoio e mi tolgo i pantaloni e la maglia, rivelando un body davvero grazioso … fortuna che è nero, perché se fosse stato di stoffa vivace non sarei nemmeno riuscita ad indossarlo. Adesso adoro il nero! Dovrò conviverci prima o poi … perché da qui a dieci anni vedrò solo quel colore!

Mi infilo i pattini con cautela, accarezzando quella pelle bianca che li ricopre … sono i migliori.

Professionali, perfetti, ultraleggeri … fantastici!

Le ruote sono quasi nuove, cromate … normalmente le uso solo per le gare, ma oggi ho voglia di sentire la perfezione che mi accompagna nei salti.

Scendo in pista e per un attimo mi sento libera da ogni preoccupazione. Mi fa sempre quest’effetto quando le ruote toccano il freddo marmo, liscio e levigato, iniziando a scivolare, trasportandomi nel mio più vivido desiderio.

Come un autonoma, accolgo questa richiesta che mi cresce nel cuore e inizio a spingere sulle crociere di leggero titanio, esibendo un’aggraziata e veloce pattinata.

Mi sento già meglio … lo stomaco si contorce di meno e i pensieri a poco a poco svaniscono, lasciando il posto alla concentrazione del doppio Axel che sto per staccare sotto gli occhi vigili della mia allenatrice.

Nell’atterraggio apro troppo il fianco e mi sbilancio. Cado.

Merda!

“Hai aperto troppo il fianco!” Mi urla Cristina.

Mi rialzo con una punta di delusione e cerco di concentrarmi di più.

Strano. Di solito il doppio Axel mi è sempre riuscito alla perfezione

Riprovo.

Prima di staccarlo ricontrollo la posizione delle braccia e la ripresa …

Atterro con la schiena troppo in avanti e finisco sul puntale del pattino. Cado ancora.

“Avevi la schiena troppo piegata. Mettici più testa sulle cose, Hilary!” mi rimprovera la mia allenatrice.

Riprovo, cado e mi rialzo. Riprovo, cado e mi rialzo.

Vaffanculo!

Esco dalla pista più arrabbiata che mai.

Questa volta nemmeno il pattinaggio mi ha tirato su di morale.

Mi rivesto in fretta e riprendo il mio scooter.

Dove vado?

Mando a quel paese anche le mie domande e imbocco una via a caso.

Non conosco nemmeno la strada che faccio, ma non me ne curo.

Continuo a seguire la linea bianca della carreggiata … come se fosse l’unica cosa che posso fare ormai, senza via d’uscita.

Poi, come un flash, mi viene in mente quello stage che ho fatto a Santa Caterina Val Furva … bellissimo!

Per un istante riesco anche a sorridere …

Poi ritorno alla realtà, ricado nel profondo dolore che mi sommerge a poco a poco.

Viaggio per un’ora credo, ho perso anche la percezione del tempo, fatto sta che mi ritrovo a fare dei tornanti …

La mia Aprilia 50 fatica a salire, ma lentamente riesco a prendere le marce giuste.

Arrivo alla vetta della collina, probabilmente sono le colline del Monferrato, e mi fermo in uno spiazzale d’erba di un verde vivido.

Metto il motorino sul cavalletto, faccio qualche passo e mi sdraio sul manto morbido appena umidiccio.

Mi ero dimenticata la brezza che aleggia sempre su questi altipiani, leggera, delicata, fresca.

Strano che non ci siano rumori cittadini, nemmeno il rombo di una moto, solo l’urlo silenzioso della pura natura.

Alzo il viso tirato e chiudo gli occhi.

Che piacevole sensazione!

Mi sento sollevata da tutto … dalla malattia, dai problemi, dalla vita ...

Ci sono solo io e il vociare delle fronde degli alberi.

Rimango ad ascoltare …

Mi fondo con la natura, almeno così mi pare. La sento abbracciarmi amorevolmente e legarmi a sé come una cosa essenziale.

D’un tratto mi sento vuota … ma so che non è così.

E’ solo la mia anima che, accompagnata dalla Madre della Natura, esce dal mio corpo e vaga, confondendosi con l’aria.

Mi avvolge un senso di tristezza … anche la mia anima mi ha abbandonato … anche lei si è stufata della mia vita.

Sono sola!

Mio padre è troppo preso dal lavoro per starmi vicino … d’altronde non gliene faccio una colpa … lavora giorno e notte per mantenere la famiglia.

Mia madre prima o poi cadrà in un’altra depressione, maledicendosi per avermi messa al mondo e per avermi offerto solo dispiaceri.

L’unica cosa che mi rimaneva era l’amicizia.

Che vada a morire pure quella!

Una brutta litigata, nata da una sciocchezza, ha distrutto l’unico mio appiglio di salvezza.

Forse … forse sto più male per quella perdita che per la mia malattia.

E ora mi rendo conto che è così, perché i miei difetti, per quanto orrendi possano essere, un’amica vera li accetta, assieme ai miei lati positivi … ma ora nemmeno ci parliamo più.

Cosa farò adesso?

Sono sola!

Sola … con il mio dolore.

Quanto vorrei non aver detto quelle cose ...

Mi odio per questo … perché senza volerlo, io porto del male alle persone.

Ed è giusto che resti qui, ora … completamente vuota, con la mia solitudine.

Sto piangendo!

Non ce la faccio più a trattenermi.

Mi sfogo, lasciando fluire tutta la mia amarezza e il mio rimorso.

Non posso più tornare indietro e aggiustare le cose, questa è la dura consapevolezza, un insegnamento di vita.

Mi alzo, ormai completamente stremata, divorata dal rancore, e mi avvicino tremante al mio cinquantino tutto sporco per via della strada sterrata.

Basta!

Non ce la faccio più.

Per colpa mia stanno soffrendo troppe persone.

Mia madre, mio padre, la mia migliore amica, la gente che mi sta intorno …

E’ ora di chiudere questo doloroso cerchio.

Apro la sella e sorrido quasi nel notare quanto io sia disordinata.

Sul fondo ci sono ancora resti di quel picnic che ho fatto con la mia amica una settimana fa! Quando ancora la verità sul mio futuro non mi sfiorava nemmeno.

Cerco tra i tovaglioli … lo sento. Tagliente e affilato … il coltello per affettare la carne.

Lo prendo in mano e lo ammiro. La lama che risplende alla fioca luce del sole, ormai rosso per il tramonto.

La voglia irresistibile di farla finita mi attraversa come un fiume in piena, e, devo ammettere, che mi farebbe davvero comodo.

Niente più dolore, niente più preoccupazioni, niente più colpe da dovermi addossare … solo una leggera fitta e tutto si dissolverà come fumo al vento.

Mi cade l’occhio sul quadernino di filosofia che avevo lasciato lì dentro per prendere appunti in biblioteca …

Lo raccolgo e vedo che in allegato avevo lasciato anche la penna.

Senza indugiare oltre mi siedo sull’erba e lo apro alla pagina bianca.

“Con il dolore sono nata,

Con il dolore ho vissuto,

Con il dolore ho fatto del male

E con il dolore, me ne vado.”

 

Scrivo questa specie di frase che magari apparirà senza senso, ma per me rispecchia la realtà, la mia realtà.

Infine, sotto metto una piccola nota:

Non disperatevi per me. Non versate lacrime sul mio corpo esanime.

Non merito la compassione.

Mi scuso dal profondo del cuore con una persona che ha fatto tanto per me, mi ha fatto sorridere nei momenti più bui, e io non sono mai stata capace di ricambiarla. Tutto è finito così, come una bolla di sapone, uno stupido litigio senza senso.

 

Rileggo quello che ho scritto …

Forse un po’ troppo melodrammatico, ma ora è così che mi sento.

Il coltello brilla, quasi a volermi chiamare, ad annegare del sangue.

Alzo lo sguardo alla volta celeste.

Dio, com’è bello! 

Il tramonto d’autunno è una delle sette meraviglie del mondo.

Il sole sta scomparendo dietro al Monte Rosa, con lui me ne vado anche io.

Afferro il pugnale … lo guardo ancora … non ho paura.

Mi scende una lacrima, sarà l’ultima.

Appoggio la lama al petto …

Mi cade l’occhio sul mio quadernino.

La pagina è girata … sarà stato il vento.

Leggo una frase dei miei appunti …

“Non lasciare mai che la paura di perdere ti impedisca di partecipare.”

La nota mi colpisce …

La rileggo, distogliendo il coltello dal cuore.

Io non ho paura.

Non ho paura di perdere.

Eppure si. Ho paura di quello che sarà di me.

Ora tutto mi è chiaro … guardo ancora la natura intorno a me …

E’ davvero questo che voglio? Scomparire?

Mi alzo in piedi con in mano il libretto e mi avvio al motorino.

Asciugo con il dito la lacrima che non sono riuscita a reprimere.

Strappo il foglio dove ho appena scritto quelle parole e lo riduco a coriandoli … il vento porta via i pezzi e insieme, il mio dolore.

“Per vivere bisogna lottare. E’ dura, ma posso farcela.”

“Non da sola. Non rinchiusa nella mia solitudine. Ma con tutte le persone che tengono a me e che mi aiuteranno ad uscire dai miei problemi.”

Mi infilo il casco e metto in moto … la brezza mi avvolge in un unico abbraccio di calore … sorrido.

Torno a casa!

Impigliato ad un ramo di un albero rimane uno straccio di quel foglio … quelle parole non sono state divise … forse per un motivo. Sicuramente per un motivo …

“Tutto è finito”

                                             

Fine

Non ho mai pubblicato una pagina del mio diario. Questa one-shot l'ho scritta il giorno in cui io e la mia amica abbiamo avuto un brutto litigio. Non so come a voi possa sembrare ... queste sono le mie emozioni, quando sto malissimo. Dopo un mese io e lei abbiamo fatto pace, ma non è più come prima.

Preciso comunque che non ho mai veramente pensato di farla finita. Semplicemente le mie dita scivolavano sui tasti senza tregua e in un certo senso, sono riuscita a sfogarmi.

La retinite pigmentosa non è una malattia inventata. Mia madre ne è veramente affetta, ma io fortunatamente non lo sono.

Spero che vi sia piaciuta ... e spero anche di non avervi depresso troppo!^_^

                 Nella vita c'è sempre una via d'uscita. (Questo dovrebbe essere il messaggio della mia fic!)

       Grazie per chi leggerà ... e per chi recensirà.

Un grosso bacione

                              Hilaryssj

  
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