Autore: _sweetygirl_
Titolo: In deinen Augen ist der
Himmel
Pairing: HidaHina
Raiting: Arancione
Genere: Romantico, drammatico
Avvertimenti: Contenuti forti, tematiche
delicate
Note:
Macciao=)
Devo dire che sono particolarmente contenta del risultato, considerando
il fatto che in questo periodo l'ispirazione si è
trasferita decisamente lontano dai miei due neuroni superstiti e che
questa è la prima AU che scrivo!
Poi che dire, era un
contest sugli amori drammatici e per di più indetto dalla
mia adoratissima C., non potevo proprio non partecipare!
Parlando della
storia, ci tengo a precisare che non condivido assolutamente i pensieri
e i commenti in essa contenuti, ma li ho usati a scopo di trama e
quindi spero di non offendere nessuno con questo mio scritto.
Comunque (giusto
perchè fino ad ora sembravo una persona quasi intelligente),
Hidan quanto ci sta nei panni del folle fanatico religioso?
Non potevo non farlo
diventare un nazista, proprio no!
Ringrazio di nuovo
Zombiecch per il giudizio accuratissimo e per il terzo posto, sono
veramente contenta!
Un bacio<3
ps: la frase era
troppo bella per non inserirla, semplicemente!
pps: Mi è
stato gentilmante fatto notare che, dall'alto della mia ignioranza per
quanto riguarda la lingua tedesca, ho scritto "mein lieber" riferito ad
Hinata quando, in realtà, è una formula maschile.
Ringrazio quindi tantissimo Cya_viki per avermi fatto notare l'errore e
per avermi fornito la forma corretta.
Per il resto ne approfitto per farvi gli auguri di Pasqua
perchè si!, me ne ero completamente dimenticata=)
Un bacio<3
Terza classificata a pari merito con Amaranth93 al contest Amore Insano indetto da zombiecch sul forum di EFP
In deinen Augen ist der Himmel
(Nei tuoi occhi c’è il cielo)
Hidan
era un generale nazista, aveva il compito di gestire la clinica del
lager.
Si presentava ogni mattina poco dopo l’alba, una sigaretta
tra le labbra fini stirate in un ghigno, e costringeva le infermiere a
dimettere gli uomini che riuscivano a malapena a reggersi in piedi,
uccideva senza esitazione quelli per cui non c’era nulla da
fare.
Hinata, prima che i tedeschi la deportassero, era un medico.
Lo aveva conosciuto così, il giorno in cui era stata
separata da sua sorella e dalle altre donne per essere portata in
quella baracca sudicia con il compito di evitare che la feccia ancora
utile morisse troppo presto.
Da quando era arrivata al campo, però, Hinata era per tutti
la “nutte” del generale, quella che sopravviveva
solo perché brava ad aprire le gambe.
“Meine liebe” Le aveva detto lui una sera, il corpo
muscoloso coperto solo da un vecchio lenzuolo sdrucito “Hanno
deciso di trasferirmi, mi manderanno in chissà quale altra
merda di posto ad occuparmi di chissà quale altra merda di
compito. Mi dispiace, non avrai più nessuno con cui
divertirti!”
Hinata si era sistemata appena i capelli raccogliendoli in una crocchia
disordinata e si era coperta, pudica, le forme generose.
Le prime volte che Hidan la costringeva ad andare a letto con lui,
Hinata piangeva, cercava di morderlo e graffiarlo, avrebbe preferito
morire piuttosto che lasciarsi toccare da un mostro del genere.
Ma Hidan godeva dei suoi tentativi di allontanarlo e ferirlo, il sapore
del sangue sembrava eccitarlo, le suppliche miste ai singhiozzi non
facevano altro che renderlo più violento.
“Oh, andiamo! Se ti mancherò così tanto
potrei sempre chiedere a qualcuno dei miei amici di tenerti compagnia,
sei una delle puttane migliori con cui sia mai stato!” Aveva
continuato lui ironico sulle sue labbra, le dita affusolate
già tra le sue cosce.
“Portami con te” aveva però detto lei
prima di affogare nelle sue braccia e tutto ciò che le era
rimasto era l’odore di Hidan ancora sulla pelle e il rumore
di una porta sbattuta a coprire quello del suo cuore spezzato.
Aveva sentito che c’era stata una rivolta nel campo, una
decina di uomini aveva approfittato del cambio della guardia per
provare a fuggire, erano stati tutti uccisi.
Quella sera Hinata era stata chiamata d’urgenza, sei il
medico migliore a disposizione le avevano detto, ed era stata portata
negli alloggi dei militari tedeschi, un po’ più a
sud rispetto alla baracca in cui stava di solito.
L’avevano accompagnata in una camera buia immersa in un
silenzio quasi spettrale, l’odore di sangue così
forte da stomacarla.
Quando poi il soldato al suo fianco aveva acceso la luce, Hinata aveva
visto Hidan steso su una vecchia brandina, il volto sudato e il corpo
coperto da un lenzuolo completamente zuppo di sangue.
Gli si era precipitata accanto, le mani a cercare di tamponare al
meglio la ferita, le lacrime agli occhi e il cuore in gola.
Aveva chiesto aiuto al soldato ancora sulla porta, non ce
l’avrebbe mai fatta da sola, ma “Non voglio nemmeno
toccare una cagna ebrea come te”, le aveva risposto quello
uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
Hinata allora si era lasciata andare ad un pianto disperato,
perché aveva capito subito che non avrebbe potuto salvarlo:
il colpo d’arma da fuoco aveva probabilmente intaccato
qualche organo e, anche in caso contrario, l’emorragia
sarebbe stata letale o la ferita si sarebbe sicuramente infettata.
Non lo avrebbe mai lasciato morire da solo, però.
Aveva quindi passato la notte inginocchiata al suo capezzale, le dita
intrecciate alle sue e la voce calma, gentile, a sussurrare parole che
lui non poteva più sentire.
"Io ti volevo lo stesso, anche senza amore. Forse perché
pensavo di essere in grado di amare io per entrambi." Aveva detto
quando ormai era l’alba e le era sembrato, solo per un
attimo, che lui avesse aperto di nuovo gli occhi ametista, un sorriso
diverso sul volto e un’espressione che lei non aveva mai
visto.
Si era addormentata così, il cadavere dell’uomo
che amava stretto tra le braccia e le mani sporche del suo sangue.
Il giorno dopo, il 5 maggio
1945, gli americani erano entrati nel campo di concentramento di
Mauthausen per liberare i prigionieri e le urla erano state
così forti da svegliarla dal sonno in cui si era costretta,
il rumore degli spari l’aveva fatta tremare come non era mai
successo.
Anche oggi,
nonostante abbia passato anni cercando di dimenticare gli orrori del
lager, di dare un senso a tutto il tempo passato tra le braccia di quel
generale nazista, Hinata non riesce a smettere di pensare agli occhi di
Hidan, all’ultima volta che li ha visti
Cosa c’era
nei suoi occhi? Cos’era quel sentimento che per un attimo le
aveva dato di nuovo speranza?
Hinata sa di
sbagliarsi, ma lei lo chiama amore.