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Autore: oOLeylaOo    15/10/2007    1 recensioni
Grace Brine è un adolcescente molto particolare, prima di tutto perchè non è affatto un adolescente, poi perchè ha il piccolo difetto di diventare una sirena se finisce in acqua.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Documento senza titolo Eccovi a velocità warp il capitolo 6^^! Buona lettura!

 

 

Capitolo 6
-Here, there and evrywhere-

Non ci capivo niente! Anzi persino dire così era riduttivo: ci capivo meno di niente, a malapena capivo il significato delle parole. Non importava quante volte rileggessi quella roba, continuava a risultare incomprensibile. Chiusi il libro di fisica con un colpo e poi mi alzai, e mi diressi verso l’angolo della biblioteca in cui c’era stato l’assassinio. Non potevo continuare a fare così! Non avevo nemmeno iniziato a fare delle ricerche.
Intanto la prima cosa da fare era cercare di sapere se qualcuno abitava nei dintorni della scuola, perché se i vampiri avevano trovato un rifugio abbastanza vicino da poterlo sfruttare come base per non essere beccati quando veniamo a cibarsi allora non erano nella scuola, in caso contrario ero nei casini. Dovevo sbrigarmi a individuarli.
Il fatto è che non sapevo come fare, non avevo idea di come individuarli: non avevo un localizzatore GPS per vampiri!
Andai a una finestra e guardai fuori, il paesaggio si stendeva, illuminato dai raggi del sole che sembravano donare ancora più vita ai colori, tentando di pensare a qualcosa da fare, magari a un trappola.
Ci pensai attentamente: i vampiri si erano mostrati solo quella sera, quando ero andata a indagare sui corpi dei ragazzi… Ma perché? I ragazzi erano morti, che senso aveva stare lì? Non erano stati trasformati in vampiri, quindi che senso aveva andare lì? Quanti vampiri c’erano veramente in quel posto?
-Sembri soprapensiero.- un bisbigliò così dolce da sciogliermi, mi voltai lentamente e mi trovai come immaginavo davanti a Hanry.
In mensa ero fuggita, mi ero alzata e ero corsa via dicendo che avevo da fare, senza lasciargli il tempo di ribattere o di fermarmi. La verità è che in quel momento avrei voluto abbracciarlo, un sentimento simile non era da me e non volevo provarlo perché non potevo permettermelo, io ero lì in missione, non ci sarei rimasta a lungo e non potevo legarmi troppo a qualcuno o lo avrei messo in pericolo.
-Come mai da queste parti?- chiesi sentendomi fortemente a disagio.
-Studiavo ovviamente, e tu?- chiese con gentilezza e con un espressione particolare nel volto, avrei voluto abbracciarlo, di nuovo. Che mi stava succedendo?
Mi voltai sopprimendo quell’impulso -Anch’io, ma poi ho capito che era inutile.-
-Inutile?- domandò con un tono preoccupato.
-La fisica non fa per me.- confessai con tristezza e una punta di imbarazzo.
Scese un silenzio, ma fu solo per una decina di secondi, poi mi prese per un braccio.
-Andiamo!- disse trascinandomi a un tavolo.
-Che vuoi fare?- ero solo un po’ preoccupata.
-Insegnarti fisica.- suonò come una promessa solenne.
Lo guardai scettica e lui mi sorrise, un sorriso da diavoletto.
-Preparati, dopo saprai la fisica come mai prima d’ora!- l’avvertimento suonò serio e sarcastico insieme, mi chiesi come fosse possibile… probabilmente anche quello faceva parte del suo naturale fascino. Gli riusciva naturale qualunque cosa, anche la più strana, come se fosse abituato a farlo.
Rimasi molto sorpresa: non capivo niente di fisica, ma lui, invece di scherzare e prendermi in giro, come mi aspettavo, si dimostrò incredibilmente serio. Iniziò dalla base, mi spiegò tutto con calma e attenzione, era molto paziente quando non capivo, mi spigava qualunque cosa gli chiedessi e non se la prendeva quando gli dicevo che era poco chiaro. Praticamente mi spiegò tutto il programma con attenzione, nel dettaglio, alla fine perfino io avevo capito fisica alla perfezione. Era impossibile non capirla visto che ogni cinque teorie mi faceva un test e se lo sbagliavo ripartiva da capo, mi entrava in testa in tutti i modi.
Non mi accorsi che il tempo passava mentre studiavo, non amavo molto studiare ma ero brava a concentrarmi per ignorare il resto, lo avevo fatto spesso quando vivevo con mio padre. Quando finimmo e mi lasciai andare contro le schienale della sedia, mentre lui tutto tranquillo controllava le mie risposte al suo test, l’orologio sulla parete in fondo segnava le sette. Io non avevo un orologio, ero immortale, il tempo non aveva importanza per me.
-Buona prova.- commentò pensieroso abbassando il foglio dopo appena cinque minuti di lettura.
-Hai gai finito di leggere?- chiesi sorpresa, avevo scritto due fogli!
-Scrivi in modo chiaro, non mi ci vuole molo a leggere.- spiegò con un sorriso.
Scossi la testa, poco convinta.
-Dai vieni.- dissi alzandomi. -Ti invito a cena per ringraziarti.-
Lui mi fissò sorpreso e mi rivolse un sorriso dolcissimo che mi fece sciogliere, incrociai le braccia al petto tentando si sopprimere il desiderio di abbracciarlo. Sorrisi forzatamente e feci un cenno verso la porta chiedendo -Andiamo?-
Lui afferrò il mio zaino prima che potessi farlo io e se lo mise in spalla dopo averci infilato il libro, lo lasciai fare senza protestare e mi avviai appena se lo mise in spalla, il mio cuore aveva incredibilmente accelerato il battito. Volevo nuotare. Era strano da capire per chi non era una sirena ma nuotare nel mare ti dava un senso di libertà e completezza che cancellava tutto il resto, per questo non sono mai riuscita a capire la sirenetta da Hans Christian Andersen che ha rinunciato alla vita per un uomo.
-Cosa fai dopo cena?- domandò mentre scendevamo dalle scale della biblioteca.
Scrollai le spalle sentendomi a disagio. -Non saprei, andrò a letto.-
-Alle otto? Cosa sei, una vecchietta?- mi prese in giro lui, fissandomi incredulo.
Alzai le spalle. -Intanto ceno, dopo penserò a quello da fare.- lentamente stavo iniziando a sentirmi più tranquilla. Lasciai andare le mani lungo i fianchi sentendomi vagamente più tranquilla mentre ci dirigevamo verso la seconda rampa di scale.
-E per domani hai programmi?- continuò imperterrito.
Ci pensai su: volevo andare in città a cercare i vampiri, stavo prendendo la cosa troppo sottogamba, se continuava così mi avrebbero affiancato qualcuno, o nel caso peggiore sostituita nella missione.
-Si, domani ho da fare.- risposi con un mezzo sorriso. -Come mai così curioso dei miei programmi?-
-Perché sei ancora indietro con fisica, non siamo ancora arrivati dov’è la classe. Stasera è un po’ tardi, e per oggi hai studiato abbastanza, ma domani devi rimettertici se vuoi essere in pari.- la sua voce era seria, e ricordava quella di un professore che sgrida gli alunni.
-Mi basta capire di che parla il prof.- risposi tranquilla, non pensavo fosse una buona idea continuare a vederlo, mi agitavo troppo. Che fosse perché ero lontana dal mare? Le mie emozioni erano più forti e confuse.
-Non è un bel modo di pensare per passare l’anno.- mi fece notare.
-Non penso resterò tanto a lungo.- confidai, ero soprapensiero e misi male un piede su uno scalino, così scivolai e rischiai di rompermi la testa. Prima ancora che me ne rendessi conto Hanry mi afferrò per la vita impedendomi di cadere, senza sapere come era successo mi ritrovai premuta contro il suo petto. Sentii la schiena insolitamente calda, nonostante le sue dita a contatto con la pelle della mia pancia fossero fredde.
Rimasi paralizzata, non riuscivo a muovermi, poi sentii il suo respiro sul collo e fui percorsa da mille brividi.
-Hai un odore strano… come di mare.- bisbigliò, lasciandomi andare lentamente, attento a non farmi cadere. -In effetti il tuo cognome è Brine… per caso i tuoi sono originari delle coste?-
Non riuscivo a parlare quindi mi limitai a scuotere la testa, facendo profondi respiri, in silenzio mi precipitai alla fine delle scale e poi mi fermai, rendendomi conto che non potevo scappare visto che ero stata io a invitarlo a cenare insieme. Mi voltai e lui era due gradini dietro di me, la sua espressione era preoccupata e divertita.
-Ti senti bene?-
Feci cenno di si e mi avviai lentamente verso la sala mensa, lui camminava accanto a me, sentivo che ogni tanto mi lanciava un occhiata, era una sensazione, ma visto che non avevo controllato non ero sicura di niente.. Camminavo guardando fisso davanti a me, mi sentivo un po’ troppo nervosa, dovevo abituarmi ad avere a che fare con ragazzi normali e anche a quel nuovo ambiente, senza contare che in giro c’erano dei vampiri, probabilmente era per quello che avevo i nervi a fior di pelle.
Entrammo nella sala semi deserta, di sabato sera erano tutti in paese e la vuotezza di quella sala aveva qualcosa di soffocante. Mi incamminai in silenzio verso il buffet e mi fermai rigida: c’erano solo pietanze a base di pesce… Pesce! Sbiancai, non potevo impedirmelo.
-Che succede? Ti senti male?- domandò preoccupato Hanry, nell’ultima mezz’ora mi ero comportata in modo decisamente strano, ero la prima ad ammetterlo, non era strano che fosse preoccupato.
Scossi la testa, per me mangiare pesce sarebbe stato come mangiare un essere umano per un altro essere umano, non ce la facevo a rimanere lì davanti, avevo quasi le lacrime agli occhi e sentivo il forte desiderio di piangere.
-Io… credo che andrò in camera… non mi sento molto bene…- farfugliai con un filo di voce, continuando a guardare orripilata la pietanze a base di pesce. Mi voltai e corsi via alla velocità della luce.

Mi feci una doccia e mi stesi sul letto con i capelli bagnati e l’asciugamano addosso, mi sentivo ancora nauseata. Chiusi gli occhi e rimasi sdraiata, non so bene quando successe, ma mi addormentai, sprofondando nell’oblio. Mi sentii molto meglio, sognai di essere nel mare e nuotare liberamente nelle profondità marine quando qualcuno mi riportò alla realtà con il suo bussare insistente alla porta. Aprii gli occhi seccata.
-Un attimo.- dissi rivolta alla porta, facendo smettere il continuo bussare: non avevo niente a parte un asciugamano addosso.
Afferrai le mutandine dal cassetto e le misi velocemente, poi presi un vestito azzurro e lo indossai senza pensarci: era corto e senza spalline ma non importava, dovevo solo aprire la porta. Mi trovai davanti a una ragazza alta con i capelli neri e gli occhi nocciola metallizato, era molto bella e aveva la pelle candida. La fissai sorpresa mentre mi porgeva il mio zaino, non l’avevo mai vista.
-Ah, grazie.- bisbigliai confusa.
-Io sono Francesca Holickill. Tu sei Grace, giusto?- feci un cenno d’assenso, domandandomi come mai conoscesse il mio nome -Io e alcuni ragazzi usciamo, ti va di unirti?- domandò con un sorriso, i suoi occhi metallici mi diedero i brividi e qualcosa mi disse che avrei fatto bene a non accettare, ma mi disse anche che forse stavo esagerando e che non avevo nessuna voglia di rimanere in stanza da sola quella sera. Ormai ero sveglia e svagarmi mi avrebbe fatto bene.
-Mi metto qualcosa di più adatto e arrivo.- accettai con tranquillità.
Lei rispose con un cenno d’assenso dicendo -Ci vediamo tra mezz’ora all’entrata.-
Chiusi la porta e buttai il mio zaino in un angolo, mi tolsi quel vestito e indossai una maglia di lana bianca a maniche lunghe, che però lasciava scoperte le spalle, e una gonna lunga beige in tinta unita, un paio di calzini e gli stivali che arrivavano poco sotto il ginocchio. Afferrai il cappotto e una borsa con tutto ciò che poteva servirmi, dopo di che aprii la finestra e chiamai Caddy –era il nome che avevo dato a quella specie di animaletto che mi aveva mandato Nettuno, era il nome di una creatura marina che era stata avvistata dagli esseri umani tempo addietro- perché mi seguisse in caso di problemi, lui dopo essersi posato un attimo sul davanzale della finestra, prese agilmente il volo. Io corsi il più velocemente possibile all’entrata, certa che Caddy mi seguisse dall’alto senza perdermi di visto.
Parcheggiata davanti al portone c’era una macchina metallizzata, odiando universalmente le auto non avevo idea di che modello fosse, Francesca era appoggiata alla macchina e mi salutò con un sorriso. C’era qualcosa che non andava in lei, i suoi occhi erano freddi, si sforzava di sembrare normale, tranquilla, eppure c’era qualcosa che stonava sia nel suo modo di comportarsi che di parlare.
Mi diressi verso di lei con passo tranquillo, non tradendo alcuna ansia, felice che i miei stivali fossero comodi e avessero un tacco basso: la libertà di movimento è tutto quando sei nei guai.
-Dove state andando?- domandò una voce, una voce che conoscevo sorprendentemente bene anche se da un solo giorno.
Non era possibile! Era ovunque! Era una persecuzione!
Mi voltai a fissarlo: indossava un dolcevita nero e un paio di jeans scuri che gli facevano risaltare in modo incredibile la carnagione chiara. Era bellissimo, i suoi occhi metallici si fissarono nei miei per un istante, mentre lo guardavo confusa e seccata.
-Ciao Hanry! Io e i ragazzi stavamo pensando di fare un salto in città e Grace si unisce a noi, vuoi venire anche tu?- domandò Francesca, con voce tranquilla, i suoi occhi sembravano accessi, non erano più freddi e distaccati.
-Grace non si sentiva bene, è meglio se non viene in città!- ribatté avvicinandosi e afferrandomi un braccio.
-Ora sto bene, lasciami.- il tono irremovibile che c’era nella mia voce lo stupì e lo spinse a lasciarmi il braccio.
-Non avevi affatto un bell’aspetto, è meglio se resti qui.- tentò di convincermi.
-Sto bene!- risposi con noncuranza, mi voltai verso Francesca e corsi nella sua direzione con leggerezza, aprii lo sportello. -Andiamo?- le chiesi ignorando Hanry, ma lei teneva gli occhi fissi su di lui: iniziavo a capire perché mi aveva invitato.
Hanry la fissò seccato. -E va bene. Vengo anch’io.- pronunciò la frase a denti stretti, poi salì sulla macchina accomodandosi accanto a me mentre il ragazzo alla guida accendeva il motore.
Francesca si sedette davanti senza più fare caso a me. Si, c’era qualcosa che non andava in lei e avevo la sensazione che quella serata sarebbe stata tutto tranne che tranquilla.
Mi voltai verso Hanry, non aveva nemmeno una giacca ma non sembrava preoccuparsene, lui mi lanciò un occhiata tutt’altro che gentile. Che accidenti voleva? Mica l’avevo costretto a venire! Poteva fare quello che voleva! Era lui che mi seguiva come un cagnolino!Mi sentii crudele per quel paragone e scossi la testa tentando di scacciare via anche il lieve senso di colpa che però non accennava a collaborare.
Nella macchina regnava il silenzio più assoluto, nemmeno l’autoradio era accesa, il motore era l’unico suono che si percepiva ed era lievissimo.
-Di preciso dove andiamo?- domandai fingendomi curiosa, quel silenzio mi dava i brividi, senza contare che l’atmosfera nel veicolo era orribile.
-In città c’è una discoteca, pensavamo di andare lì.- spiegò Francesca con un’alzata di spalle.
-Ah… ma io ho sedici anni.- gli feci notare. Ne avevo più o meno cento ma dubito che il buttafuori mi avrebbe comunque permesso di entrare in un locale in cui vendevano alcolici.
Prima che Francesca potesse dire una sola parola Hanry si intromise.
-Io e Grace faremo un giro in città!- lo disse come per chiudere l’argomento. Provai anch’io ad aprire bocca ma l’occhiata che mi lanciò fu così di ghiaccio da zittirmi.
-E come ci ritroviamo se ci dividiamo?- domandò Francesca. Dal suo tono intuii che non era molto contenta di quell’idea.
Mi chiesi chi fosse il ragazzo che stava guidando, spero per lui che non avesse un debole per lei visto che chiaramente a lei sembrava interessare Hanry. Il pensiero mi irritò per una ragione che nemmeno io compresi bene.
-Abbiamo i cellulari, no?- le fece notare Hanry.
-Ma siamo venuti insieme, non è bello dividerci. Che ne pensi Grace? A te va di venire in discoteca? Possiamo farti entrare, ne sono sicura!- chiese, una nota di speranza nella voce.
Non me ne fregava un bel niente della discoteca e dovevo scambiare quattro chiacchiere con mister onnipresente: stava iniziando a darmi sinceramente ai nervi.
-Veramente non amo molto le discoteche.- rivelai, e non era una bugia: io amavo contare e ballare, ma quei posti erano orribili! La musica era troppo alta, le luci fastidiose e le persone solitamente odiose.
Hanry sorrise, un sorriso freddo e calcolato. -Io e Grace andremo per conto nostro.- la sua voce era distaccata e decisa, sembrava impossibile ribattere.
Dopo quell’affermazione scese nuovamente il silenzio, ancora più pesate e denso di prima, e con lui venne un atmosfera gelida. Per la prima volta in vita mia pensai che facesse davvero molto freddo, troppo freddo perfino per me che ero una sirena ed ero abituata a temperature bassissime e quindi ero praticamente insensibile al gelo. Notai in quel momento che non avevano acceso il riscaldamento della macchina e mi sorprese sapere che nessuno di loro risentiva della temperatura bassa.
Mi afferrai le braccia lasciandomi andare contro lo schienale del sedile, riflettendo un attimo: io non sentivo freddo perché ero una sirena, ma la temperatura era bassa quindi loro come facevano a non avere freddo? Che fossero… che fossero vampiri? No, non poteva essere! In fondo anche se erano freddi, anche se erano bellissimi, non avevano i caratteristici occhi azzurro chiaro che li rendeva immediatamente riconoscibili. Quindi NON POTEVANO essere vampiri! Non potevano esserlo ASSOLUTAMENTE! Hanry non poteva esserlo!
-Dave accendi il riscaldamento! Si congela!- disse polemico Hanry, probabilmente aveva freddo.
Ecco, appunto, non poteva essere un vampiro!
Dave -finalmente conoscevo il nome dell’autista!- accese il riscaldamento al massimo, non ci volle più di tanto prima che l’interno dell’auto diventasse piacevolmente caldo.
Sorrisi contenta dell’accensione del riscaldamento mentre l’auto, fluida, percorreva la strada che ci separava dalla città.

  
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