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Autore: addictedtokenji    29/03/2013    1 recensioni
'Sedici anni, sedici fottuti anni per un ragazzo americano, con un passato da dimenticare, un presente da vivere ed un futuro da sognare.'
Genere: Drammatico, Erotico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera, o buongiorno, dipende da quando leggerete la storia. E' la prima fiction che scrivo e che pubblico, e come avrete intuito, al povero Chester succederanno molte cose, alcune tristi, ma altre allegre e serene... insomma come dire, non sarò sempre a scrivere capitoli basati su livelli altissimi di depressione, ma neanche capitoli che hanno come tematiche rose e fiori.
Il personaggio principale è lui, che descrive le sue giornate, come le vive, come le affronta, come sopravvive. 
I personaggi secondari sono *rullo di tamburi* Billie Joe Armstrong, -esattamente, avete letto bene, Billie Joe, il cantante dei Green Day- e il nostro caro buon vecchio Mike. 
Il capitolo inizia, siete pronti? Okay, mi sto scaldando troppo, non vi anticipo niente, solamente di essere forti. 
Buona lettura, baci.


                                         Capitolo 1.



 
Delle immagini offuscate mi passano nella mente, sto fottutamente pensando a tutto, tutto ciò che è successo il giorno prima, ma non riesco a focalizzare nulla che mi sia d’aiuto per ripristinare ciò che vorrei. Sento delle urla di gioia, di divertimento, sembrerebbe un party, una festa alla quale tutto il liceo era stato invitato, vedo delle persone sempre più vicino a me, e sento all’improvviso una fortissima fitta allo stomaco che mi percuote tutto, facendomi sobbalzare ed uscire da quel sogno. 
La rissa, quella rissa che mi aveva procurato un occhio completamente nero, e dolore allo stomaco. Mi sveglio, e dove cazzo mi trovo? Un bagno? Ma cosa cazzarola era successo ieri sera? 
Mi alzo lentamente, e mi avvicino al lavandino, dove mi sciacquo sfregando con forza il mio viso senza toccare l’occhio, e mi sistemo meglio i capelli biondi tinti.
Resto in piedi, fissando lo specchio, sono solamente io e lo specchio, nessun anima viva. Ho una guancia gonfia e mi duole ancora lo stomaco per la rissa di ieri. Fisso ancora il mio misero riflesso e cerco di ricordare la festa di ieri, e soprattutto chi ero. 
Ho bevuto troppo, cammino e cerco di non pensare al vomito, lo stomaco è attaccato da forti fitte e non riesco a tenere completamente aperto l’occhio destro. Finalmente ricordo chi sono. Chester Bennington, sedici anni, residente di Berkeley a causa del trasloco di mia madre, altrimenti sarei sul mio letto caldo di Phoenix e tutto questo non sarebbe successo. Cerco di ricordare il motivo di quei pugni nel mio stomaco, forse sì, Elka, la mia ragazza. E’ bionda, alta, con gli occhi azzurri ed ha un carattere davvero molto comprensivo, insomma, è davvero molto bella ed ha un sorriso che le orna il viso in maniera magnifica. Ora ricordo, tutto è successo perché quella puttana usciva sia con me che con Jared, un ragazzo di quinto. Quando Jared lo scoprì, ieri sera, non la prese bene, ed ovviamente, la cavia ero io, ma cosa ne potevo sapere? Lei era di quarto liceo, ed io del terzo, sapevo che una ragazza così bella avrebbe avuto altri corteggiatori, ma non pensavo di certo che, assieme a me, aveva un altro ragazzo, d’altronde violento, e più grande. Quella puttana, ah, ed io che fino a tre minuti fa la descrivevo come una ragazza perfetta. Cerco di dimenticare ciò che mi è passato per la mente e chiudo il lavandino, mi strofino la giacca di pelle per pulirla meglio dalla sporcizia del bagno e sento qualcosa nelle tasche. Apro la zip e trovo un barattolino, completamente bianco contenente quattro, cinque pastiglie. Cosa cazzo erano? E chi me le aveva messe dentro la mia tasca del mio giaccone? Cerco invano un’etichetta ma niente, sul barattolo erano incise solamente tre lettere: BJA.
Vorrei liberarmene al più presto… se fosse droga? Dio mio, non voglio pensarci, non voglio pensare a nulla, né alla festa, né a Jared, né ad Elka, vorrei solo tornare a casa, ma l’alcool gioca a mio sfavore e mi provoca costanti giramenti di testa. Barcollo. Esco dalla stanza da bagno nell’intento di trovare qualcuno, ma niente, il locale è un pub degli anni settanta; la tv è ancor sintonizzata sul canale di ieri, ma ora mostra un telegiornale a cui non presto attenzione. Mi dirigo verso i divani e noto un ragazzo intento ad accordare la sua chitarra con le cuffie. Non credo mi abbia notato. E’ un ragazzo molto bello. Ha i capelli corvini e neri, uno sguardo così attento alle corde della sua Gibson, le mani ben curate, ed è vestito completamente di nero con una giacca di pelle, come la mia, con un paio di Converse. Frequenterà di sicuro il quinto, anche se la sua statura non lo direbbe, ma meglio evitarsi seghe mentali. Mi avvicino così verso di lui, che appena mi vede, toglie le cuffie, e mi scambia un sorrisino bastardo con le sue meravigliose labbra carnose. Ma che cazzo? Chester, smettila. Sei appena stato picchiato per una ragazza, ed ora ti ritrovi a pensare alle labbra carnose di quel ragazzo? Ok, sì, è molto, ma molto carino, ma non mi interessa. I suoi occhi, poi. Sono verde smeraldo e quando mi fissano, sento un brivido percorrermi dietro la schiena. Sono a contatto con i miei color nocciola, e cerco di non fissarlo a lungo, anche se mi piacerebbe. 
‘Hai dormito, eh?’ mi rivolge la parola sorridendo in maniera bastarda, come se lui sapesse tutto.
‘Posso sapere dove cazzo mi trovo?’ la mia finezza. Lui ride.
‘Non ricordi proprio nulla, eh?’ domanda divertito, ‘cavolo, quella roba deve essere davvero potente allora.’ Conclude.
‘Di che cazzo stai parlando, quale roba? Le pastiglie?’ domando incazzato indicando la strana scatola.
‘Esattamente.’ Continua divertito, wow, deve aver trovato questa storia davvero divertente. ‘Sai, ieri non eri un bello spettacolo, per nessuno. Sei stato picchiato a sangue dal Jared di quinto E, ed hai fatto ridere molte persone, perché non avevi capito proprio un cazzo di niente.’ Continua.
‘Me lo ricordo questo. Cos’altro è successo?’ 
‘Beh, hai iniziato ad urlare come una bimba piccola, e ti ho portato al bagno. Stavi davvero molto male, così ti ho messo tre di quelle nella bocca. Devono avere fatto effetto, perché non ricordi nulla, e non hai sentito più dolore, perché ti sei addormentato come un ragazzino viziato.’ Conclude strimpellando la sua chitarra divertito.
‘Cioè, tu mi avresti drogato?’ domando incazzato.
‘Nah, non è droga, è roba legale, me l’hanno regalata quattro giorni fa, non ha nessun effetto indesiderato; e poi, più che altro, direi che ti ho salvato. Stavi diventando lo zerbino di tutti, e ti stavano tutti ridendo in faccia per quanto ti contorcevi dal dolore…’ sorride. Ha un sorriso stupendo. ‘Era la tua prima rissa, vero? Dal tuo occhio nero si direbbe di sì.’ Dice divertito indicandomi l’occhio. Che cazzo si ride?
‘Non credo che saresti così divertito se fosse successo a te, sai? Quella puttana con cui uscivo si faceva sia me che Jared, ed io non lo sapevo, beh, almeno fino a ieri.’ Dico grattandomi la nuca. ‘Di certo non mi avresti drogato, o come dici tu, salvato. Giuro che se mi hai…’ mi ferma. 
‘Ancora? Non ti ho fatto assolutamente nulla. Sono normali farmaci, e poi, anche se fosse droga? La mammina si incazza con te, cosa succede? Tuo padre ti sbatte di casa?’ ride.
Ammetto che è davvero stronzo, ma mi piace, un po’ come me.
‘No, sai, la mia mammina è impegnata a scoparsi per bene i pazienti dell’ospedale dove lavora; mio padre mi ha abbandonato quando avevo otto anni, non lo vedo da molti anni, e ciò non mi dispiace, era uno stronzo, e lo avrei voluto fuori da casa mia molto tempo prima.’ Concludo sedendomi accanto a lui.
‘Ed invece, i tuoi?’ aggiungo. Fa una smorfia.
‘Mia madre è impegnata a scoparsi per bene il suo patrigno mentre io cerco in tutti i modi di impedirglielo con qualche canzone di merda, ma non ho successo.’ Risponde secco.
‘E, tuo padre?’ 
Cambia letteralmente il suo viso, nei suoi occhi c’è dolore, sofferenza e delusione. Si alza dal divano, impugnando la chitarra, prende le chiavi dal tavolino vicino e mi guarda seccato.
‘Fatti i cazzi tuoi.’ Mi risponde senza peli sulla lingua. Lo guardo un po’ stupito, prima è divertito e dopo una domanda cambia letteralmente umore?
‘Mi dispiace…’ aggiungo con fiato debole. 
‘E’ meglio che torni a casa, vieni.’ Aggiunge posando la sua Gibson sul divano ed impugnando le chiavi che fa girare tra indice e medio.
 
Usciamo dal pub e ci dirigiamo verso la sua macchina, beh, macchina, è un catorcio, ma va bene così, d’altronde, è l’unico che si è prestato d’aiutarmi.
‘Mi puoi lasciare qui, me la cavo, sono piccolo ma non sono impedito.’ Sorrido ed esco, lui fa per ripartire, ma mi volto di scatto e lui abbassa il finestrino.
‘Perché mi stai aiutando? Hai detto che sono diventato lo zerbino della scuola, tu non mi pari molto zerbino, anzi, secondo me hai moltissimi amici e tantissime donne dietro. Sei un ragazzo perfetto, andiamo.’ Dico.
‘Sai, non sono un ragazzo perfetto, non mi conosci, e se lo facessi cambieresti subito idea.’ 
‘Magari potremmo parlare meglio, per conoscerci. Che ne dici di domani sera nello stesso locale di ieri?’
Annuisce ed alza velocemente il finestrino per poi dirigersi verso, chissà, forse la sua casa. Io non la ho, ma voglio risparmiarmi sempre il terzo grado di chi mi chiede tutto ininterrottamente. Anche se credo, che quel ragazzo non me lo avrebbe fatto. E’ misterioso, misterioso come me. Mi piace.
  
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