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Autore: Miriam85    16/10/2007    10 recensioni
Kosa e Bibi, impegnati nella ricostruzione di quel paese che amano più di loro stessi.
Credo di essere la prima persona in Italia a scrivere una Fan Fiction incentrata su una loro possibile storia d'amore... spero di essermela cavata in modo quanto meno decente.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Nefertari Bibi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO

L'ultima tentazione è il tradimento più grande: fare la cosa giusta per la ragione sbagliata.

T. S. Eliot

Questa è la storia di un ribelle sciocco.

Un giovane dai capelli biondi, e dal volto inespressivo. Silenzioso quanto un’ombra, egli accompagnava la donna dalla lunga chioma azzurra. Camminava due passi indietro rispetto a lei, gli occhi ostinatamente puntati nel vuoto. Era un comportamento ossequioso, il suo. In fondo, quella davanti a lui era una Principessa.

Anche se non una Principessa come tutte le altre.

“Devo farti i miei complimenti, Capo!” Bibi Nefertari volse gli occhi color del cielo sull’uomo intento ad accompagnarla, sorridendogli estasiata. Era bella, incredibilmente bella, con quella veste capace di accarezzarne le forme quasi con malizia, e quei capelli così simili al mare raccolti in una lunga, ondulata coda. “Grazie a te ed al vecchio Toto, Yuba è tornata alla vita!”

Koza le concesse un piccolo sorriso, mantenendo il proprio sguardo puntato altrove. “Non è merito nostro. Ma dell’acqua.”

Però, se voi non foste tornati qui, ora la città non sarebbe così bella. Non è stata l’acqua a ricostruirla, giusto Capo?” insinuò ancora la donna, guardandosi intorno con aria felice ed ammirata.

Passati ben sei mesi dalla rivolta che aveva sconvolto il regno di Alabasta, Yuba era finalmente tornata il centro urbano florido e ricco auspicato anni prima dai suoi fondatori. Crocevia di carovane e mercanti, la città godeva ormai di un’ottima stabilità economica, che permetteva ai suoi molti abitanti di condurre vite agiate e tranquille.

Ovviamente Bibi, una volta sistemate alla meno peggio alcune questioni nella capitale del Paese, non aveva resistito alla tentazione di visitarla. Yuba, ormai, rappresentava per lei qualcosa di più di una città sperduta nel deserto: era un simbolo. L’allegoria della rinascita nel suo regno, espressa alla perfezione in quell’agglomerato di case e locande ora tornato alla vita grazie alla caparbietà dei suoi sudditi. Per la precisione, di due sudditi in particolare.

Vedendola arrivare da lontano, il vecchio Toto l’aveva accolta con un sorriso carico d’orgoglio per il proprio operato, piazzandole poi accanto il suo Capo affinché lui le facesse da guida.

Ed eccoli lì, dunque. La splendida Principessa e lo sciocco ribelle. Lei così dolce, così regale. E lui così cupo, così silenzioso. Si dirigevano verso il centro di Yuba, laddove la popolazione l’avrebbe accolta come una fanciulla del suo rango meritava.

Koza si sprecò nel fare spallucce, forse a disagio per quella sua insistenza nel complimentarsi. “Dovresti smetterla di chiamarmi così. Presto sarai regina.” le fece semplicemente notare, riuscendo in un sol colpo a spegnere sia la gioia che il sorriso di lei.

La piazza era ormai vicina. E lì gli abitanti di Yuba l’attendevano, bisbigliando tra loro parole ammirate sulla beltà e la regalità della futura regnante. La quale, però, al momento aveva per la testa pensieri ben lontani dal benessere del suo regno.

Koza, questo avrebbe voluto chiedere Bibi al proprio accompagnatore, quand’è che ci riuscirai?

Quand’è che riuscirò a fare cosa?, sarebbe stata certamente la domanda stranita che lui le avrebbe rivolto.

E lei glielo avrebbe detto. Senza esitazione. Quand’è che riuscirai nuovamente a guardarmi negli occhi?

C’è qualcosa di strano nell’aria, e la bambina lo sa.

Non è il suo silenzio, e nemmeno quella sua aria contrita. Non sono i suoi pugni serrati, o le braccia rigidamente tenute contro il corpo. No, quelli sono segni che lei vede spesso in lui. Quando è arrabbiato, ad esempio. Quando è offeso. Quando è preoccupato.

Ma stavolta c’è proprio qualcosa di strano. Di davvero, davvero strano. E lei è preoccupata.

“Ehi, Capo!” si accuccia innanzi a lui, cercandone lo sguardo con il proprio. Ma è un contatto visivo che il bambino evita, volgendo il capo altrove con uno scatto. La piccola, esasperata da quella reazione, sbuffa. “Insomma, se sei arrabbiato con me puoi anche dirmelo, no?” fa notare, rialzandosi in piedi.

Ha ora le manine poggiate sugli infantili fianchi, e lo sonda con occhi azzurri carichi di preoccupazione. Ma lui rimane in silenzio, senza osare ricambiare quel suo sguardo. Ed infine la principessa Bibi Nefertari, innervosita, gli da’ le spalle, dirigendosi verso la propria stanza.

Quando avrai intenzione di guardarmi in faccia, dimmelo!” e quasi lo ruggisce, come una vera e propria donna offesa. Perché lui sarà anche i suol Capo, ma evitare il contatto visivo con il proprio interlocutore è una maleducazione che Bibi non ha intenzione di concedergli. E non perché lei è una Principessa. Semplicemente, perché sono amici.

La bambina entra nella propria stanza, sbattendosi il portone alle spalle. Ed è dopo qualche minuto che l’urlo esplode, pieno di sorpresa. Pieno di dolore.

Che succede?!” è Ingaram il primo ad accorrere, agitato.

Koza, a disagio, si fa da parte, permettendogli di raggiungere quanto prima la camera della principessa. E continua a fissare il pavimento, mentre la sua piccola coscienza lo tortura come non mai.

Anche se in fondo non era stata colpa sua. Insomma, sì, la candela era caduta a lui, quando era andato a cercare la sua Vice Capo per invitarla ad un giro con l’intera banda. Ma non l’aveva fatto apposta! E poi aveva spento subito le fiamme… anche se un po’ troppo tardi per salvare il pupazzo preferito della principessa. Quello che lei gli aveva mostrato qualche volta in gran segreto, confidandogli che esso era appartenuto ad una mamma defunta da ormai molti anni.

Eh sì… Koza l’ha combinata grossa.

Sa che Bibi non ruggirà, né tenterà di rompergli il naso, né scatenerà una vendetta. Perché queste sono cose che fa in seguito ad offese di poco conto. Quando, invece, la principessa si sente vittima di un’ingiusta cattiveria, la sua reazione è una sola: un freddo, spietato, incredibile silenzio carico di sofferenza.

Parrebbe una sciocchezza, quel silenzio, specialmente se visto dagli occhi di un bambino. Ma Koza sente che passeranno non pochi giorni, prima che lui possa riottenere il coraggio di guardarla negli occhi.

La festa si protrasse a lungo, sino a molte ore dopo il tramonto. Bibi sorrise e ringraziò, ballò e rise, popolana dal sangue blu che per un giorno volle dimenticare del tutto il proprio ruolo di spicco.

E gli abitanti di Yuba glielo permisero. I bambini l’attorniarono, le donne scherzarono con lei, gli uomini la invitarono a ballare. Persino il vecchio Toto ebbe modo di deliziare i presenti con evoluzioni ritmiche che quasi gli rischiarono la rottura dell’antica spina dorsale. Nessuno, insomma, poté esentarsi dallo spirito allegro e gioioso di quella festa vissuta attorno ad un enorme e caldo falò.

Nessuno, tranne uno sciocco ribelle seduto in disparte.

Simile ad un’ombra, Kosa, silente, osservò attraverso le lenti dei propri occhiali quella donna intenta a ridere ed a danzare; e sorrise amaramente, nello scorgere in lei l’antico nucleo della sua piccola, pepata Vice Capo. Quella bambina con cui fare a botte era così stimolante, quella principessa che lui, povero cavaliere armato solo d’un bastone, aveva difeso quasi rimettendoci un occhio.

Quella donna il cui padre volevi combattere. La cui reggia volevi bruciare. Lei, sì.

Ancora una volta, lo sciocco ribelle tornò a chiedersi come le cose si fossero evolute in quel modo. La Baroque Works aveva agito con sottile intelligenza, innegabile. Ed era logico che il popolo fosse caduto nella trappola da loro tesa.

Ma non era affatto logico l’errore da lui compiuto. Perché Kosa non era mai stato un semplice popolano. Nessuno più di lui, nell’intera Alabasta, avrebbe potuto vantare una migliore conoscenza dei loro regnanti.

Eppure aveva sbagliato ugualmente. Aveva perso la fiducia nel re, creduto la principessa rapita, o fuggita… o peggio. Si era mosso contro la reggia, brandendo delle armi; guidando un esercito.

Maledetto idiota d’un ribelle…

Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse del fruscio di stoffe che annunciò l’avvicinarsi di una fanciulla, ed il suo sedersi al suo fianco. Nefertari Bibi, cercando di dimenticare il frastuono portato dai festeggiamenti, osservò con i grandi occhi blu il suo vecchio amico d’infanzia.

“Va… tutto bene, Capo?”

“Sì.”

Cadde il silenzio tra loro. Kosa, la schiena appoggiata contro il muro di un edificio, il braccio destro abbandonato sulle ginocchia raccolte all’altezza del petto, alzò lo sguardo celato dagli occhiali in direzione del cielo di Alabasta, anche per quella sera trapuntato di mille, brillanti stelline piene di vitalità.

Un tempo, quell’assenza di discorsi tra loro sarebbe stata alquanto impossibile. C’erano sempre state, tra loro, cose da raccontare, cose di cui ridere ed anche – perché no? – cose su cui litigare. Ma ora, purtroppo, troppo era cambiato. Ora, il bel bambino biondo era divenuto uno sciocco ribelle, e la pestifera bambina dagli occhi azzurri una bellissima principessa.

“Non sono in collera con te.” Le parole provennero da una Bibi intenta a spiarlo con uno sguardo benevolo, pieno di dolcezza. “Questo lo sai, vero, Capo?”

Le labbra di Kosa si piegarono in quello che volle essere un sorriso indifferente. “Credo di averlo notato quando hai versato fiumi di lacrime sul mio corpo ferito…” buttò lì, senza però abbassare gli occhi su di lei. Non poteva farlo. Non voleva farlo. “Hai pianto come una…”

“Se ora dici bambina, ti prendo a pugni sul naso. avvertì lei, anche se con un sorriso.

“Bambina?” aggrottò le sopracciglia il ribelle, osservando il cielo sopra di loro con fare decisamente divertito. “Riduttivo. Piccola peste, magari. Mocciosa. Ecco cosa volevo dire…”

Bibi scoppiò a ridere per quegli insulti gratuiti. Il suono argentino della sua risata si levò nell’aria, deliziandolo; ma Kosa non ebbe molto tempo per godere del fenomeno, dal momento che lei, ancora ridente, si mosse verso il grande corpo del ribelle con entrambi i pugni levati in aria, evidentemente allo scopo di mantenere la promessa fatta poco prima.

Sorridendo con aria di sufficienza, l’uomo la bloccò con una mossa dettata dall’istinto, afferrandole i polsi con ferma delicatezza; a causa di quel gesto, egli fu costretto ad abbassare lo sguardo sul viso di lei. E lì i suoi occhi si bloccarono, come calamitati dai tratti regali della fanciulla.

Il loro gioco si fermò all’istante. Rimasero immobili, la principessa in ginocchio e protesa verso di lui, il ribelle con le ginocchia ancora alzate al petto e le dita serrate attorno ai suoi polsi. Bibi lo osservò a lungo, i tratti del volto sommariamente illuminati dalla splendente luna piena e dal riflesso danzante delle fiamme.

“Non sono in collera con te, Capo” mormorò una seconda volta la futura regnante di Alabasta, questa volta con tono solenne, sincero.

Kosa desiderò ardentemente volgere lo sguardo altrove. Evitare quegli occhi azzurri e grandi, pieni di un affetto infantile ed indistruttibile che il ribelle sapeva di non meritare. Ma non vi riuscì.

“Hai agito per il bene del regno. Non contro di me, non contro mio padre… ma per il bene di Alabasta. Lo avrei fatto anche io. Mille ed ancora mille volte. Amiamo il nostro Paese… ed esso viene prima di tutto. dopo quel discorso, Bibi tacque, distanziandosi da lui. Distrattamente, Kosa liberò le sue braccia dalla propria presa, mentre le parole da lei pronunciate gli ronzavano nella mente, simili ad api dispettose. Non paga degli effetti già ottenuti sull’amico, ella proseguì: “Hanno giocato con tutti noi. Tu hai sbagliato ma… quando hai capito qual era la cosa giusta da fare, non hai esitato neppure un attimo. Queste sono decisioni da vero Capo, Capo. la principessa sorrise di quel giro di parole; dunque, si alzò, spolverandosi l’elegante veste in parte insozzata dalla sabbia del deserto. “Quindi, una volta per tutte: non sono in collera con te. Riesci ad afferrare il concetto, Capo?”

Kosa annuì. “Non l’ho mai pensato, infatti. ammise infine, fissando le persone danzanti a poca distanza da loro. “So benissimo che non sei in collera con me. L’unico problema, Bibi, è che sono io a detestare me stesso. notò l’irrigidimento in lei a quelle parole, e, sospirando, si alzò, spolverandosi a sua volta dalla sabbia che il vento del deserto conduceva anche lì, tra le strade della sua splendida città. “Ho condotto i miei uomini verso quella che ritenevo la decisione più giusta… facendomi muovere come un burattino dalla Baroque Works. Ho messo a repentaglio le loro vite. Alcune, le ho spezzato per sempre. Non sono un uomo, non sono un Capo. Ti chiedo di non chiamarmi più così.”

“Capo…” con quella parola, la principessa si oppose all’istante alla sua richiesta. Ma, dopo di essa, Bibi non seppe come continuare; Kosa l’aveva posta innanzi ad una specie di muro psicologico, che ella non poteva in alcun modo abbattere. Demoralizzata dalla piega che il loro discorso aveva preso, la fanciulla non poté fare altro che abbassare lo sguardo, ed annuire dolorosamente. “Proprio non vuoi capire?”

“Buonanotte, principessa.” con quel mormorio, lui le diede le spalle, allontanandosi dal falò, dalla festa, dalle danze. E da lei. Bibi non lo rivide più per tutta la sera, né durante il giorno seguente.

Fu con un pesante senso d’oppressione al cuore che la principessa, il pomeriggio successivo, dovette partire da Yuba. Senza salutare il suo più caro amico d’infanzia.

  
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