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Autore: _TheDarkLadyV_    29/03/2013    5 recensioni
Un uomo vede il sesso ovunque.
Una sciarpa? State coprendo il seno.
Una scollatura? State mostrando il seno.
Un reggiseno? Evviva le tette!
E poi, ritornando al discorso sull'amore, lo sappiamo tutti molto bene: quando siamo soggetti a un colpo di fulmine,potremmo essere investiti da una macchina, cosparsi di panna montata, lanciati in orbita da un cannone, vestiti da macachi, e non ce ne accorgeremmo!
Buffo il genere umano, così intelligente da perdersi alle prime frivolezze. Forse era meglio nascere macachi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Behind appearances

Mia madre.
Mia: aggettivo possessivo solitamente usato per affermare il possesso esclusivo di qualcuno o qualcosa. Nel mio caso serviva per specificare un possesso che di certo non avevo scelto nè tanto meno voluto necessariamente, ma non ero Dio e non disponevo dunque della facoltà di poter scegliere a mio piacimento chi o cosa doveva appartenermi.
Madre: ecco la nota dolente. Al mondo esistevano mille aggettivi e forse anche di più utili per la mia spiegazione. Eppure nonostante la grande varietà qualcuno aveva provveduto a svuotare il mio cervello impedendomi di completare il quadro generale che avevo iniziato.
Era anche vero che l'infinita scelta di vocaboli complicava di poco le cose, sarcasticamente parlando.
Lady V avrebbe detto che la madre era quel tipo di donna che un giorno aveva deciso di scopare con
sentimento per dare al mondo un suo contributo. Parole ciniche, degne del mio alter ego.
La piccola e umana Jade invece cosa avrebbe detto?
Secondo lei, solitamente il genere umano un pò come i Guelfi, si divideva fra neri e bianchi. I neri, giusto per sottolinearlo anche se il nome diceva già tutto, erano quei figli che detestavano i comportamenti delle loro madri. Non che le odiassero profondamente, semplicemente questi giovani soffrivano di una forma avanzata di soffocamento e fastidio nei confronti del loro creatore. Lo credevo bene: avere una madre troppo apprensiva, ansiosa, soffocante e capace di far saltare i nervi in pochissimi secondi per via delle sue paure, di certo non aiutava a vivere in un clima sereno. Solitamente a soffrire di queste patologie erano i figli unici. Ma che male avevano fatto questi per meritarsi un amore un pò, come dire, morboso?
Oppure si trattava di quei ragazzi che avevano una famiglia con l'assenza di un padre. A quel punto il ruolo della mamma diventava di vitale importanza, perché doveva assumersi diversi compiti e cercare non solo di essere madre, ma anche padre quando questa figura non c'era. Anche qui le troppe responsabilità finivano per riversare le conseguenze sui figli sempre più cupi e chiusi in se stessi.
E poi c'erano i bianchi, ovvero, i figli che adoravano le loro madri e che, a differenza dei neri, avevano vissuto l'infanzia e l'adolescenza lontano dallo stato di terrore e soffocamento. Sembravano quei soliti tipetti americani che vivevano felici e contenti nelle loro casette di legno ampiamente decorate durante le feste natalizie, che magari iniziavano la giornata con una gran sorriso stampato in faccia, un pò come insegnavano le pubblicità televisive, quelle che tu stesso odiavi perché rappresentavano una realtà completamente paranormale per un essere con te che doveva già ringraziare Jesus e Mary per averti fatto svegliare dalla parte giusta del letto. Oppure celebravano il giorno del ringraziamento davanti ad un bel tacchino aiutando la mamma senza sbuffare e presentare malessere davanti ai fornelli. I bianchi erano quei figli che non potevano lamentarsi di nulla perché la loro vita aveva pensato bene a sistemarli in una famiglia numerosa, amorevole, tranquilla e con una madre perfetta. Se proprio doveva esserci un problema di sicuro poteva riguardare il pericolo che la loro casa venisse distrutta dal passaggio di un uragano. Eppure quel problema nonostante potesse essere bello tosto diventava superfluo se di mezzo c'era l'amore spassionato e dolce a sistemare tutto.
Io non sapevo esattamente dove collocarmi. Ero figlia unica ed ero cresciuta con un amore da perfetta Guelfa Bianca. Certo, non sono mai mancati gli episodi di amore morboso, ma stranamente, furono davvero molto pochi e si erano manifestati tutti durante i difficili anni dell'adolescenza, quando il mio rapporto con gli altri avrebbe potuto vincere perfettamente almeno dieci Razzie Award. Mamma aveva sempre paura che la mia mente potesse partorire idee piuttosto strane e che avrebbero finito per sconvolgere la vita di tutti non solo la mia. Beh non potevo biasimarla. Aveva solo me, e come Guelfa Nera dovevo aspettarmi quelle ansie da parte sua.
Naturalmente non ebbi nessun pensiero di morte violenta nonostante la realtà che sopportavo in quegli anni potesse ispirarmi sul serio. Non ci tenevo ad avere il posto di prima classe nell'Antipurgatorio di Dante. Come diceva Schopenhauer, " il suicidio è un urlo alla vita mancata."
Io la vita ce l'avevo, perché privarmene? Sarei stata solamente una sciocca e dovetti più volte ricordarlo alla mamma che invece diventava paranoica.
Dunque ritornando al presente, Jade cosa poteva dire ora?
Jade non aveva un cuore. Era solita prendersela con se stessa anche per l'errore più banale. E poi era priva di emozioni quanto bastava per non far cadere così su due piedi la maschera che indossava da anni. Eppure esisteva una persona al mondo che riusciva a trasformarla in un batter d'occhio e a farla ritornare, attraverso il semplice utilizzo della magia bianca, la ragazza che era prima dei cambiamenti drastici imposti da una vita bastarda. Quella santa aveva un nome che molto spesso al solo pronunciarlo, Jade si sentiva già diversa: Demetra.
Perché stavo parlando in terza persona?
Perché quando si trattava di mia madre tutto il mio sistema nervoso si gettava completamente nel panico. Avevate presente l'istinto di buttarsi da una finestra perché essa si presentava come l'unica via di scampo? Ecco.
La terza persona mi aiutava per un attimo a rendermi cosciente di quanto fossi fottuta.
Mia madre era l'unica per davvero che riuscisse a distruggere lo stato di apatia in cui mi ero rifugiata da secoli. Era una specie di tzunami e non sapevo ancora come facesse a stanarmi, a denudarmi e alla fine a mettere in bella mostra le mie debolezze facendomi vergognare profondamente.
Perché non mi ribellavo? Potevo comportarmi come al solito, facendo di tutto affinché fra le mie mani non avessi avuto quel biglietto di sola andata per il famoso villaggio turistico " Vaffanculo". La risposta, ahimè, era più semplice di quanto si potesse pensare ed era formata da tre parole: era mia madre. Le solite parole che distinguevano la gente cattiva da quella fin troppo buona.
Avevo sempre pensato che mia madre fosse un modello da seguire. Non perché fosse mia madre, e quindi la persona che era al mio fianco in qualsiasi momento e l'unica che, a differenza del ciarlare degli altri, sarebbe stata capace di buttarsi nel fuoco per me senza esitazione. Semplicemente nella mia mente si era sviluppata un'immagine di lei particolare. Per me era da sempre una donna in fiamme, una specie di super eroe che per sbaglio era uscito da un fumetto e che ora andava in soccorso ai più deboli in una società completamente immersa nel male. Cercava sempre di salvare dalla catastrofe qualsiasi situazione anche quella più banale come ricucire un pezzetto di stoffa di particolare importanza. Si arrabbiava per una giusta causa, era gentile e aveva uno spirito ribelle. Agli occhi di una bambina tutto questo non poteva che sembrare stupendo e super.
Mia madre era un pò come me: difficile da interpretare a volte e sfuggevole all'amore, almeno dopo la separazione da papà. Fu lei ad ispirarmi. Ne adottai il coraggio, la testardaggine e la sicurezza. Ne ero davvero orgogliosa e nei miei trent'anni suonati non conobbi mai una donna come lei.
Per me era stata tutto. E aveva saputo svolgere anche il ruolo di padre che non gli spettava. Purtroppo o per fortuna il mio vero padre aveva deciso di andarsene perché era un vigliacco. Se dovevo ringraziare qualcuno di certo non era il suo spermatozoo, ma la dolcezza, la tenacia, la fragilità e la severità di una donna con le palle che seppe mandare avanti una casa e una figlia con le sue sole forze.
Okay, per un momento mi sono lasciata andare nel descrivere i pregi. E i difetti? Eh sì perché mia madre ne aveva molti.
Come tutte le mamme esistenti al mondo, la mia di certo non poteva non avere una caratteristica in comune con le altre, ovvero, la capacità di far perdere la pazienza e vergognare a morte indipendentemente da chi ti stava intorno. Con il passare degli anni l'immagine di super eroina che mi ero stampata nella mente dovette convivere gradualmente con un'altra immagine: quella della mamma seccante e petulante.
L'immagine più pericolosa a parer mio. Mai sottovalutare una madre quando è in quello stato! A pagarne le conseguenze saranno sempre i figli, senza distinzione di bianchi e neri!
Era quell'immagine a farmi paura e a mettere in serio pericolo Lady V e tutta la sua corte. Avevo già testato in passato qualche assaggio di quella potenza e tutt'ora al solo pensiero, come la lava di un vulcano, sentivo la pressione salire e arrivare fino alla testa e uno strano rossore si formava sulle guance e sulle orecchie ed io entravo in uno stato di sudorazione che durava fino a quando con grande forza d'animo non cambiavo la rotta dei miei pensieri. Quante notti pessime passai pensando alla brutte figure che feci per colpa sua!
Ora non sapevo davvero cosa aspettarmi. L'avevo lasciata felice e contenta in America insieme al suo nuovo compagno, Frank, e ora era qui ad Helsinki apparentemente senza un motivo valido, ma in realtà sapevo bene che la presenza di mia madre, qualsiasi fosse stata la città, la nazione o l'oceano, aveva sempre una spiegazione più che esaustiva. La cosa essenziale che speravo con tutto il cuore era che la permanenza non si allungasse. Ne andava della mia vita e soprattutto di quella di Lady V. Non sopportavo che mia madre si facesse gli affari miei cosa che invece prontamente faceva.
Aah questo era un circolo vizioso altro che!
" Tesoro che fai lì imbambolata su attivati!"- esclamò scuotendomi, nella speranza che cambiassi espressione e modo di fare. Era la seconda volta che me lo diceva, ma io non riuscivo a reagire. Ero seduta sul divano accanto a lei insieme a Jonathan e Elisabeth, entrambi curiosi della mia reazione decisamente incomprensibile. Più che altro io sembravo un cadavere che tutti si ostinavano a tenere in vita, vedendola come una persona in piena salute. Nessuno avrebbe capito davvero quello che stavo sentendo. Jade era combattuta fra la felicità di vedere finalmente sua madre lì in carne ed ossa e la voglia di scappare a gambe levate terrorizzata. In un modo o nell'altro io ero sempre stata divisa nei miei pensieri e nelle mie azioni, alter ego e Guelfi a parte.
" Jade cosa ti succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma. Santo cielo sono tua madre!"
La guardai questa volta decisa e cosciente del posto in cui mi trovavo.
" Non dirmi che sei dispiaciuta di vedermi qui."
" No, mamma cosa dici? Sono felice di vederti."- le dissi sorridendo e finendo per abbracciarla. In parte era vero. Durante l'abbraccio fissai i miei amici cercando con gli occhi di capire se loro sapessero qualcosa di più di me. Ma non intercettai nessun segno e capii che erano immersi nel buio tanto quanto me.
Mia madre aveva fatto molti lavori ed essendo di spirito ribelle e libero non si era mai legata a nessuno di essi. Diceva che voleva provarli tutti e fino a quando non avesse trovato quello che più le piaceva si sarebbe buttata a capofitto in qualsiasi altro progetto.
Mamma era stata un manager, un avvocato, una giornalista e ora era diventata un'artista. Aveva iniziato da qualche annetto a dipingere. Le sue erano opere post impressioniste. Fu proprio l'arte a farle conoscere Frank e a farla trasferire per circa tre mesi a New York. Ora ero davvero curiosa di sapere cosa fosse successo fra di loro. Non che non sapessi già la risposta. Evidentemente anche questa volta lo spirito libero si sentiva in gabbia e aveva deciso di darsi alla fuga.
" Cosa ci fai qui?"
" Ho avuto un'opportunità irripetibile."- rispose guardando anche Jonathan ed Elisabeth.- " sono qui perché ho modo di mettere in mostra i miei quadri."
" Oh ma è meraviglioso!"- esclamai contenta.- " avrai una mostra tutta per te!"
" Congratulazioni signora Everett."
" Oh su Jonathan! Ci conosciamo da quando eri un microbo, perché devi darmi del lei?"
Jonathan sorrise e annuì un pò imbarazzato. A stento riuscivo a riconoscerlo. Elisabeth invece non aveva problemi. Era sempre stata la prediletta di mia madre, soprattutto per via dell'aiuto che mi aveva dato in passato.
" E dove starai?"- le chiesi sperando che non dicesse " qui con voi".
" Non preoccuparti. Non starò qui se è questo che ti preme sapere."- sorrise notando la mia espressione.- " Te la ricordi Bea?"
" Sì."
" Ecco, lei è sola qui e ci teneva che io le facessi compagnia piuttosto che prendere un squallida camera di un albergo. Che poi non sarebbe stata squallida. Un hotel a cinque stelle è quello più adatto alla mia immagine."
Scossi la testa divertita dagli atteggiamenti da diva di mia madre.
" Beh John cosa ne dici di venire con me a fare la spesa?"- disse Elisabeth bruciando con lo sguardo il bel John Travolta. Sapevo bene che il suo intento era quello di lasciarmi sola con mia madre.
Lui scattò in piedi e dopo essersi preparati uscirono.
Mamma mi riabbracciò e in quella stretta sentii un amore immenso, quello che io continuavo a chiedermi se un giorno sarei stata capace di dare ad un altro essere umano. Mi affidai alle sue braccia mostrando i primi segni della mia debolezza.
" Mi sei mancata davvero in questi mesi."
" Anche tu."- le sussurrai all'orecchio continuando ad abbracciarla. Quando ci districammo dall'abbraccio le chiesi se voleva una bella tazza di thé e così ci spostammo in cucina.
" Hai rotto con Frank, vero?"
Se c'era una cosa che a volte non riuscivo davvero a trattenere, era la mia sfacciataggine e assenza di tatto. Mia madre non si scompose. Restò seduta tranquillamente con le mani appoggiate sul tavolo, mi guardò e sorridendo disse: " non faceva per me."
" Quindi lui non centra niente?"
" No. Come sempre sono io la guastafeste."
" Non sei una guastafeste. Semplicemente sei ancora alla ricerca della persona giusta."- le sorrisi mentre aspettavo che il thé fosse pronto. Anche lei sorrise e disse: " e tu? Cosa combini qui?"
" Mi conosci."
Avrei voluto parlarle dell'incontro con Ville, ma la mia testa si rifiutava categoricamente di farlo. Mi avrebbe presa in giro con amore. Faceva sempre così.
" Con quel " mi conosci" dovrei capire che sei qui sola con la tua Lady V?"
" Esattamente."
" Lo sai, io detesto la tua Lady V. Un grande genio, ma è così stronza!"
" Mamma! Potrei offendermi!"
" Offenditi pure. Io dico quello che sai da un bel pò di tempo."
" Non cominciare."
A quel punto si alzò e si avvicinò a me con aria severa.
" Jade, lo so bene che vuoi difenderti dagli altri, ma non puoi andare avanti così. Hai trent'anni. Non dico che devi mettere su famiglia da un giorno all'altro, ma andare avanti in questo modo credimi non ti porterà da nessuna parte."
" Sei qui per farmi la predica? La so a memoria."- dissi irrigidendomi. Avevo dimenticato di aggiungere che a tempo perso mia madre era anche un prete. Le sue prediche erano così lunghe che molto spesso mi chiedevo se non fosse il caso di dirle che stava esagerando.
" Va bene."- disse alzando le mani in segno di arresa.- " non parlo più. Però prendi in considerazione che non tutti sono uguali."
" Lo so."
" Bene allora inizia a pensarci."
Quando il thé fu pronto ringraziai quei minuti che seguirono nel loro perfetto silenzio. Entrambe ci osservavamo, ma nessuna delle due aveva deciso di parlare. Alla fine fu lei stessa a parlare e a farmi domande su cosa stessi scrivendo, come mi trovassi lì e io nonostante quel giorno fossi di poche parole mi lasciai andare e fra una chiacchiera e l'altra trovai il tempo anche per ridere a crepa pelle.
Quando andò via fu inutile negare il vuoto che sentii dentro.


Entrai in camera e mi chiusi a chiave onde evitare che qualcuno venisse a disturbarmi solo per sentire la solita domanda: " stai bene?".
Meccanicamente avrei risposto " sì, grazie", ma anche quella semplice risposta per me richiedeva un grande sforzo che in quel momento non avevo voglia di fare. Appoggiai la schiena alla porta e sospirai sentendo una grande stanchezza. Non era sonno. Si trattava piuttosto di una stanchezza mentale. Avevo troppi pensieri per la testa che non riuscivano a farmi rilassare come volevo: la mamma, il mio libro, l'ispirazione, l'adattamento della mia vita ad Helsinki e..Ville.
Non volevo ammetterlo, ma quel ragazzo ogni giorno che passava mi dava modo di farmi pensare sempre di più. Era inutile ripetere quanto mi avesse confusa e quanto fosse diverso dagli altri. Erano frasi già fatte, avevo bisogno di altri aggettivi e aforismi per rendere meglio il concetto.
Pensando a lui in quel momento mi avvicinai alla finestra, come ero solita fare quando la sua figura magra si stampava nella mia testa e i suoi occhi fottevano il mio sistema nervoso. Per non parlare della voce che al solo immaginarla sentivo la mia pelle rabbrividire.
Bene adesso basta.
Come una sorta di rito che ancora non capivo, aprii la finestra e respirai l'aria stranamente più morbida degli altri giorni e chiusi gli occhi cercando in quel modo di provare a rilassare la mia mente decisamente affollata di pensieri. Ma perché pensavo troppo?
Stavo per abbandonarmi al nulla, cercando di liberarmi in quel modo di tutto quel vortice che non mi dava tregua, quando sentii un fischio o almeno un rumore che sembrava tale. Aprii immediatamente gli occhi e guardai nella direzione da cui proveniva.
Bene Jade sei fottuta.
Perché fottuta?
Perché si dava il caso che Ville era il responsabile del mio risveglio dal mondo del nulla. E dopo tanti piccoli sotterfugi i due lupi solitari si erano incontrati dalle loro rispettive finestre. Strano il destino, vero? Avevo sempre cercato di evitarlo e ora eccomi qui imbambolata e incapace di fare qualsiasi movimento.
Continuava a sorridermi come se non sapesse fare altro. Sembrava contento di vedermi, o almeno questo era ciò che voleva vedere il mio cervello.
Avevo due possibilità: sorridere di rimando per buona educazione e andare via; sorridere e scappare a gambe levate.
Oh Jade ma smettila! Sei sempre stata sadica, non nasconderti.
Maledetta coscienza.
Alzai la mano salutandolo e decidendomi finalmente di far mostra del mio sorriso sperando che non avessi ancora l'espressione impacciata di prima.
In quel momento mi fece il cenno di aspettarlo e così attesi curiosa. Non ci mise molto. Lo vidi appoggiare sul davanzale dei fogli e scrivere su uno di essi. Quando ebbe finito mi rivolse quel foglio che a grandi lettere diceva: " TORNA DENTRO CHE FA FREDDO!"
Lo guardai sorridere. Era così tenero..
Quella volta fui io a farlo attendere. Tornai dentro e dalla scrivania presi del fogli che avevo lasciato lì per sbaglio.
"POTREI DIRTI LA STESSA COSA."
Lui sorrise divertito e riprese a scrivere. Poco dopo mi ritrovai davanti agli occhi un altro foglio.
" IO SONO FINNICO A DIFFERENZA TUA."
" LA FEBBRE E IL RAFFREDDORE NON FANNO DISTINZIONI."
" LO DICEVO PER IL TUO BENE. E POI IO NON HO IMPEGNI CON LA MUSA: LADY V POTREBBE SCAPPARE DI NUOVO E POI NON SAPREI COME AIUTARTI A RITROVARLA."
" LADY V PUO' ASPETTARE."
Abbassai gli occhi pensando che forse era giunto il momento di metterla per un attimo da parte, almeno isolarla dal mondo reale e utilizzarla solo per scrivere. Mia madre aveva ragione: Lady V mi stava gradualmente fagocitando. In fondo come mi costava provare ad uscire fuori da quella gabbia che avevo costruito con le mie stesse mani?
Alzai di nuovo gli occhi verso Ville, che aveva cambiato espressione. Sembrava preoccupato e immediatamente sul foglio scrisse: " TUTTO BENE?"
Cosa dovevo dirgli? Decisi per la mezza verità. Mentire ad uno come lui era come uscire in bikini sotto la neve. Inutile fare i coraggiosi, tanto la bronchite aspettava dietro l'angolo il momento giusto per fare il suo trionfale ingresso.
"POTREBBE ANDARE MEGLIO."
"PROBLEMI?"
"NIENTE DI IMPORTANTE."
"SE VUOI SFOGARTI FAMMI UN FISCHIO. SONO A TUO COMPLETO SERVIZIO."
"MOLTO CARINO E GENTILE DA PARTE TUA."
" Jade, dove sei?"
La voce di Jonathan era molto vicino alla porta della camera e prima che potesse scoprire ciò che facevo, decisi di troncare immediatamente quello strano colloquio.
" DEVO ANDARE. A PRESTO."
" A PRESTO DONZELLA ACIDELLA."
Sorrisi leggendo quel buffo soprannome e chiusi la finestra. Ero completamente congelata.
" Ehi! Mi apri? Che stai facendo? Ti stai scopando qualcuno! È così, vero?"
Aprii la porta e lo fissai negli occhi. Alla fine entrambi scoppiammo a ridere.
" Mi aiuti in cucina?"
" Elisabeth?"
" Edward mani di forbice l'ha chiamata e lei è letteralmente scappata."- rispose alzando gli occhi al cielo. Lo presi sotto braccio e dissi: " vorrà dire che prepareremo delizie che lei potrà solamente immaginare."
" Ben detto."
Fortuna che avevo John in quell'inferno di ghiaccio.


Quella notte aveva nevicato e il mattino seguente non si era fatto mancare altre spruzzate. Il risultato fu che la città era completamente immersa dalla neve. Ora sembrava che il cielo avesse voluto fare una tregua, ma non sapevo fino a quanto si sarebbe riposato. Amavo restare alla finestra a guardare i fiocchi scendere e depositarsi su tutto ciò che incontravano. Mi sembrava per un attimo di tornare bambina.
Mamma era passata per salutarmi e restò con me a fare qualche chiacchiera. Mi meravigliavo di me stessa ad ogni minuto che passavo con lei. Era come se mi stessi addolcendo.
Guardai l'orologio e decisi di fare due passi per sentirmi libera e a mio agio camminando sulla neve. Mi impacchettai per bene e affrontai il mio destino. Non avevo una meta ben precisa. Avrei girovagato come un'anima in pena infestando le vie di Helsinki senza una giusta spiegazione.
Andai in centro e per perdere un pò di tempo iniziai a guardare le vetrine dei negozi. Stavo pensando che dovevo fare un pò di shopping, giusto per non pensare a niente. Di solito era la medicina perfetta e poi avere Elisabeth al fianco avrebbe avuto anche i suoi pregi.
Ma i negozi che più amavo erano quelli con gli scaffali traboccanti di libri, gli unici posti dove mi sentivo bene. Era come se entrassi in un mondo completamente diverso e ogni volta che entravo in uno di essi mi chiedevo come mai a nessuno veniva ancora in mente di imbottigliare quel profumo meraviglioso che la carta dei libri emanava.
Proprio in quel momento mi fermai di fronte ad una libreria e guardai tutti i libri che erano esposti in vetrina e con grande stupore trovai anche il mio. Erano anni che scrivevo e ogni volta quando vedevo un mio libro in vetrina non riuscivo a crederci e gioivo come una bambinetta davanti al suo regalo di Natale. Lady V a quanto pareva era sempre nei paraggi anche quando cercavo di non pensarla. Era il prezzo che dovevo pagare per averla voluta indietro a tutti i costi e allontanarla di nuovo ora che l'avevo trovata perché avevo capito che mi soffocava. Fissai quel libro e mi chiesi se quello che stavo scrivendo avrebbe avuto lo stesso successo. Ogni tanto la sicurezza che mi distingueva dalla massa andava via ed entravo nel panico più assoluto.
Se quel maledetto libro non avesse avuto successo, avrei sempre potuto continuare il mio sporco lavoro di giornalista o in casi estremi avrei rispolverato la mia laurea iniziando una carriera da insegnante.
Presi dalla borsa un foglietto e lo accartocciai. Se fosse caduto nel tombino avrei fatto bene a ritirarmi dal mercato. Se avesse toccato il suolo avrei continuato prepotentemente a prendermi gli onori della mia discreta fama. Solitamente facevo così a Londra: mi fermavo di fronte ad un negozio di libri e lanciavo dietro dietro di me un pezzetto di carta. Alla sua caduta affidavo il mio destino. Era un gesto scaramantico che continuavo a voler fare nonostante sapessi bene che non serviva a nulla.
Gli uomini a volte erano portati a credere che quei piccoli gesti di superstizione potevano davvero influenzare il corso oggettivo del mondo e della storia che vivevano. E io non ne ero immune. Guardai quel pezzo di carta accartocciato fra le mie mani e chiudendo gli occhi lo avvicinai alle labbra e sospirai.
" Fai il tuo dovere."- sussurrai. Lo lanciai e quasi timorosa aspettai prima di voltarmi.
"Donzella acidella, lo sai che è maleducazione buttare le carte per strada?"
Chi doveva rovinare i miei momenti di pura concentrazione?
Con il cuore che batteva ancora forte mi voltai e lo guardai con il mio solito sguardo incazzato.
"Ma non mi dire."- dissi infastidita.- " dai qua."
Presi dalle sue mani senza guardarlo il pezzo di carta.
"Siamo sempre molto allegre e simpatiche. Sono contento anche io di vederti."
Lo fulminai con lo sguardo.
"Per la cronaca, l'avrei raccolta di nuovo se tu non avessi deciso di intralciare i miei piani."
"I tuoi piani?"
"Lascia perdere."
"Oh no, mi piace conoscere le tradizioni degli altri popoli."
Lo fissai indecisa se scagliarmi contro e ammazzarlo di botte, rispondere a tono o semplicemente fare finta di niente e rispondere tranquillamente.
"Quando devo prendere una decisione, lancio un pezzo di carta dietro di me. In base alla caduta deciso cosa fare."
Senza rendermene conto avevo deciso di rispondere tranquillamente e mi vergognai a morte per avergli detto cosa stessi facendo.
"Ehm okay."- rispose lui confuso.
"Ma che te lo dico a fare? Ciao."- risposi antipatica come sempre.
Stavo per sorpassarlo, quando sentii la sua mano stringere il mio braccio con presa sicura e io come una molla tornai indietro scontrandomi con i suoi occhi.
"Ehi! Ehi! Mi sembra che io non abbia detto niente."
"La tua faccia ha parlato molto di più."
"Ah donzella..tu pensi sempre di sapere tutto. Rilassati! Anche io l'ho fatto qualche volta, ma con una moneta. Non è servito a molto nel mio caso."
Mi rilassai e sentii la presa allentarsi piano piano. L'imbarazzo andò gradualmente via e io ripresi a respirare.
"Che ci fai da queste parti?"- gli chiesi.
"Avevo voglia di fare due passi. Vedere la città e le strade piene di neve mi rilassa."
"Anche a me fa questo effetto."
Per un attimo esitai e poi imbarazzata gli chiesi: "ehm..posso farti compagnia?"
Non seppi il motivo preciso di quella mia scelta. Forse era un modo tutto mio di farmi perdonare per il mio solito carattere burbero e acido anche quando il sole spaccava le pietre e portava buon umore anche ai più rigidi. Ville mi guardo quasi scandalizzato. Ecco, quella era l'ultima cosa a cui avevo pensato.
"Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia donzella acidella?"
Sua? Da quando?
"A volte è piuttosto eccitante infrangere le regole." - risposi con un mezzo sorriso.
" Stai mettendo da parte l'ascia di guerra?"
" Non allarghiamoci."
Ville scoppiò a ridere.
" Immaginavo. C'è sempre la fregatura con te."
Gli voltai le spalle e iniziai a camminare senza guardarlo. Poco dopo mi fermai e lo trovai ancora lì a guardarmi.
Jade sono solo due occhi.
Cercai di dar retta alla mia vocina e mettendo le mani sui fianchi dissi:" beh, vuoi muoverti?"
Con il suo solito sorriso sghembo mi raggiunse.
Jade stai calma, è solo Ville.
Già solo Ville.


Come due perfetti amici parlavano tranquillamente mentre passeggiavamo nel parco. Strano ma vero, quegli occhi e quel volto non mi mettevano più imbarazzo e, ancora più strano, mi stavo decisamente aprendo di più. Gli raccontai qualche aneddoto sulla mia vita sentimentale giusto per accontentare la sua curiosità.
Ville in quel momento scoppiò a ridere e disse: " c'è più amore in una lumaca che in te!"
Mi fermai e fingendomi arrabbiata dissi: " cosa?! Mi reputo offesa!"
Presi un pò di neve e gliela lanciai.
"Ehi! Come ti sei permessa?"- mi chiese completamente immobile. La sua espressione cambiò velocemente e gli occhi assassini tornarono a farmi compagnia. Lo vidi prendere lentamente un pò di neve e appallottolarla continuando a fissarmi con aria diabolica. Feci un passo indietro deglutendo.
" Tu non lo farai."- dissi puntandogli un dito e cercando di essere minacciosa.
" Chi te lo dice?"- chiese lui avvicinandosi e giocherellando con la palla.
" Lo dico io."
" Vuoi spaventarmi?"
A quel punto con una velocità che non avevo mai visto in vita mia fui colpita allo stomaco. Per poco non caddi nel tentativo invano di schivare la palla.
" Sai, vorrei che in questo momento un pezzo di meteorite ti centrasse in pieno per vedere che effetto ha su di te."- dissi arrabbiata.
Lui continuò a ridere e poi disse: " lo sai vero che così hai aggravato la situazione?"
Dopo quelle parole fu rapito il passaggio da " tranquilla passeggiata amichevole" a " questa è guerra!"
Iniziammo a rincorrerci cercando di colpire l'avversario con una mira accurata. Riuscii a colpirlo più volte, anche se furono più le volte che fui colpita io e risi a crepa pelle quando lo vidi scivolare.
" Sei disonesta!"
" Che c'è ti sei fatto male?"- gli chiesi divertita avvicinandomi.
" Dammi una mano."- mi disse ancora a terra.
" Te lo puoi scordare."
La conseguenza della mia sfacciataggine fu una bella manciata di neve in bocca.
" Poi sarei io la disonesta."
Lui si alzò e iniziò a rincorrermi. Mi stavo divertendo come non mai. Riuscii a superarlo e mi fermai quando vidi che era scomparso. Iniziai a preoccuparmi. Ero sicura che stesse tramando qualcosa.
" Ville che stai facendo?"- chiesi intorno a me.
Mi avvicinai ad un albero guardando in tutte le direzioni, ma non avevo fatto i conti con l'altra faccia dell'albero. Ville mi sorprese da dietro le spalle e per la sorpresa caddi a terra. Lui perse l'equilibrio e me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio volto.
In quel momento persi la concentrazione e la voglia di riempirlo di parolacce svanì. Non sapevo cosa stesse per succedere. Impercettibilmente si stava avvicinando e io all'improvviso fui presa dal terrore. Bloccai l'avanzamento delle sue labbra con due dita e con quel poco fiato che mi restava dissi: " sarà meglio andare. Io non sono finnica come te e potrei davvero ammalarmi."
" Non sia mai! Non voglio che ti ammali per causa mia."- sussurrò lui sorridendo.
Lentamente si allontanò da me e mi aiutò ad alzarmi.
Come mai il mondo intorno a me stava girando? 


L'angolo di Vals:
Welllllaaaaaaa sono tornata!!!!!!!
Come state??? O dovrei dire, come state dopo questo finale lasciato in sospeso??? Sono una sensitiva e vedo nei vostri occhi la voglia di ammazzarmi, ma non affrettatevi..ce ne sarà di tempo muahahahhahahhahahahhahah!
Come ogni volta torno a ringraziarvi..pian piano state crescendo e questo non può che farmi contenta *-*
Sono anche qui per lasciarvi degli indizi sui personaggi, o meglio, voglio mostrarveli, così almeno vedete se corrispondono all'immagine che vi siete fatti di loro nella vostra mente :)
Signori e signore questo è Jonathan per tutti John 
http://www.cucchini.com/media/03112011111904_berr-1.jpg 
Questa invece è la dolce Elisabeth http://shechive.files.wordpress.com/2012/05/amanda-seyfried-20.jpg?w=500&h=500
Demetra, ovvero la madre di Jade http://krystalgrant.files.wordpress.com/2010/04/jane-fonda-press-shot.jpg
E adesso teneti pronte..sto per presentarvi la bella signorina, la donzella acidella che il dottor Valo sta curando: Jade http://userserve-ak.last.fm/serve/500/62568563/Nicole+Scherzinger+Killer+Love.png
Che ne pensate di tutti questi gnocchi?? Attendo i vostri commenti!!!!
Alla prossima, Vals.

   
 
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