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Autore: stillfreeit    29/03/2013    1 recensioni
Nella penisola Italica del 1458, in pieno Rinascimento, non è affatto comune che il Capitano della polizia locale sia una donna. D'altra parte, a quanto pare, esiste una piccola città sulla costa tirrenica della penisola che può vantare questo singolare prodigio. Viene da sé che Elena abbia sempre da dimostrare di essere all'altezza del suo ruolo. Il killer silenzioso piombato dal nulla in città è esattamente l'opportunità che Elena non avrebbe mai desiderato di dover cogliere per mostrare di che pasta è fatta.
Genere: Mistero, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CE 4

5 Aprile 1458

"Dissanguati?" domandò Elena in un sussurro stupito. La folla intorno a lei e al Maresciallo non permetteva loro di avere una conversazione a toni normali.
La Domenica mattina era quasi un obbligo abbandonare le divise e gli incarichi istituzionali di caserma, ad esclusione dei poveri sfortunati che avevano i turni di guardia. La giornata era splendida ma ancora troppo fredda per affidarsi alle illusioni dei primi soli di stagione, tuttavia, era un piacere dopo tanto grigiore dover stringere gli occhi per ripararli dalla luce.

Lei e il Maresciallo si erano incontrati quasi per caso nella piazza davanti alla Chiesa. Francesco aveva da poco preso la strada per tornare a casa dopo la funzione, mentre lei si era attardata per ulteriori aggiornamenti. Elena si era comportata da moglie esemplare negli ultimi giorni, per quanto permettessero le circostanze, perciò Francesco non ebbe nulla da obiettare, fuorché uno sguardo non troppo amichevole verso il Maresciallo.

"Così dicono..." confermò il Maresciallo mentre passeggiavano lentamente lungo la piazza. Era strano fare quei discorsi senza indossare un'arma o una divisa, quasi fossero due normali civili che chiacchieravano a proposito delle ultime novità. Il muro era ancora alto tra di loro, ma forse di un materiale un po' meno resistente. "Pare che il colpo all'addome non fosse abbastanza forte da essere mortale, per quanto dovesse esserlo nelle intenzioni dell'assassino".

"Un soggetto non particolarmente forte, dunque" fu la sua logica conclusione. Elena diede uno sguardo alla stazza del Maresciallo, e sorrise nascostamente. Di certo poteva escludere lui e tutti i suoi simili. Uomini del genere in un momento di follia o rabbia avrebbero ridotto in poltiglia le vittime.

"Ma come è possibile? La prima vittima non sembrava tanto facile da abbattere, a giudicare dal fisico" obiettò il Maresciallo, che dallo sguardo e dal tono quasi disperato pareva molto più confuso da tutti quegli indizi rispetto a lei.

"Considerate i soggetti. Considerate i loro abituali atteggiamenti rispetto a quelli dell'assassino. Lui ha premeditato tutto, era preparato ed intenzionato a colpire. Loro colti di sorpresa, facilmente in completa sbronza" spiegò Elena, in modo da dargli qualcosa su cui riflettere per il resto del pomeriggio. Intanto, in lontananza, già intravedeva il suo cavallo legato insieme ad altri.

Anche lei aveva qualcosa di più su cui riflettere. Aveva un elenco di persone che avrebbero avuto un movente di regolazione di conti con le vittime, ma sinceramente nessuna di esse la convinceva davvero. Soprattutto perché nessuna era in comune tra le due vittime.
Navigavano ancora nel buio più assoluto.

Mentre il secondo omicidio era ancora miracolosamente oscuro a gran parte dei cittadini, il primo era ancora oggetto di congetture da parte di tutti, in modo particolare il fatto che fosse ancora rimasto impunito. Figurarsi.

Elena non era preoccupata per questo. Era più una sfiducia verso l'intero corpo della polizia piuttosto che verso di lei in particolare. Certo, aveva molto da dimostrare ai suoi amorevoli concittadini.

"Credo che passerò dalla caserma questo pomeriggio... Dobbiamo cominciare a stringere il campo dei sospetti" disse mentre montava a cavallo rifiutando gentilmente l'aiuto del Maresciallo.

"Sissignora" la salutò lui, nonostante la mancanza di divisa ufficiale. Un cenno ed Elena partì al galoppo verso casa.

Ben presto, le case e le strade cominciarono a diradarsi per dare spazio ai campi coltivati e brulli. Diminuivano gli esseri umani, aumentavano gli animali tra domestici e selvatici. Lei e Francesco avevano deciso di prendere casa in campagna, a distanza di un quarto d'ora dalla città. Ciò li obbligava ad adoperare il cavallo ogni volta volessero raggiungerla, ma era un prezzo che valeva la pena pagare per un po' di tranquillità ed intimità.
Era difficile incontrare qualcuno lungo la strada, piuttosto qualche volpe o lepre, invece quella volta Elena scorse da lontano la figura di un bimbetto che correva al lato della strada da solo. Incuriosita e spinta dal suo senso del dovere lo raggiunse al trotto.

"Dove vai, piccolino?" gli chiese adeguando l'andatura del cavallo a quella del bambino, che dapprima spaventato dall'apparizione improvvisa della bestia, rallentò la corsa. Elena gli sorrise e lui parve tranquillizzarsi.

"Devo consegnare la lettera al messere Francesco che abita lì lontano" disse con un certo orgoglio incespicando nelle parole, indicò il profilo della loro dimora che si scorgeva già ma ancora piuttosto lontana. Elena lo guardò accigliata.

Chi aveva mandato un bambino tanto piccolo a fare tutta quella strada da solo e a piedi?

"Ma il messere Francesco abita davvero lontano da qui, non puoi raggiungerlo a piedi" gli disse. Di solito i mittenti delle lettere a suo marito utilizzavano messaggeri molto più esperti, e soprattutto muniti di cavallo per coprire distanze del genere. "Perché non dai a me la lettera? Gliela consegno io, lo conosco. Così puoi tornare a casa prima che faccia buio" gli propose e gli tese la mano. Il bambino la guardò sospettoso e si strinse la pergamena al petto.

"Ci prendo quattro monete se la consegno io" le disse, e ricominciò a camminare.

"E io te ne do altre quattro se la fai consegnare a me. Tu devi fare tanta strada, io come vedi ho il cavallo, vado più veloce. Giuro sul mio onore che la consegnerò" disse alzando la mano destra come promessa.
Il bimbo si fermò e la guardò, di certo valutando seriamente la proposta.
Non impiegò molto ad accettare, e tornò indietro con ben otto monete sonanti nelle tasche.

Arrivata a casa, lasciò il cavallo nel recinto accanto a quello di Francesco.

Non aveva pensato di chiedere al bambino chi l'avesse incaricato di consegnarla. Un pazzo di certo...

Guardò la pergamena. Era ben piegata, ma non imbustata e senza alcun sigillo. Molto strano, di solito le lettere per Francesco avevano un aspetto molto più ufficiale.

Elena ci pensò un po'... non era molto corretto come gesto ma... la curiosità è donna...

In fin dei conti, la lettera era già praticamente aperta.

Cominciò a leggere... e già dalla prima riga, l'aria fermò il corso lungo i suoi polmoni.

La sensazione fu quella di un pugno in pieno stomaco, una stretta ferra sulla gola e di una cascata di massi sulla testa...

Non si accorse neanche di essersi fermata all'ingresso di casa mentre leggeva.

"Mio adorato Francesco,

ormai giorni sono passati dal nostro ultimo incontro e il mio cuore è distrutto da questa folle lontananza.

L'ardore dei vostri baci mi ritorna chiaro alla mente e mi riscalda le labbra.

Quando potremmo rincontrarci?

Luce della mia vita, non lasciatemi al buio in questo mondo, senza la vostra guida.

L'unico mio desiderio è perdermi ancora nelle vostra forti braccia, sentire il respiro nel vostro petto che vorrei riempire di baci.

La vostra voce è l'eco dei battiti del mio cuore, se voi non mi parlaste più morirei.

Ascoltarci abbracciati, raccontarci e guardarci negli occhi fino a perdere la ragione, non chiedo altro dalla mia esistenza.

Vi amo come niente e nessuno prima d'ora

siete tutta la mia vita.

Per sempre vostra".

"Ho sentito arrivare il cavallo..." giunse dall'altra stanza. Era la voce di Francesco, ma le giunse all'orecchio come un suono estraneo.
Infondo, di ciò si trattava: un estraneo...
L'uomo che aveva sposato, quello che diceva di amarla, che rispettava lei e quello che era, che la incoraggiava sempre a migliorare, quello che conosceva da sempre non esisteva più... o forse non era mai esistito.
Chi aveva avuto accanto tutto quel tempo? "Ti ha trattenuto un bel po' quel Maresciallo...". L'aveva raggiunta all'ingresso. Elena lo vedeva sfocato in mezzo alle lacrime che le coprivano gli occhi, e in ogni caso non avrebbe riconosciuto più quel sorriso, che gli morì sulle labbra vedendola piangere immobile con in mano quel pezzo di carta stropicciato nel pugno. "Che cosa è successo?" soffiò preoccupato avvicinandosi di un passo.

Elena sentiva il pugnale conficcato al centro del petto che ad ogni respiro segava dolorosamente le sue ossa, il suoi organi... e non si decideva ad ucciderla una volta per tutte.

"
È  per te" riuscì a dire con quel poco di voce che le restava in gola, allungandogli la lettera.
Francesco la prese perplesso e sconvolto da quelle lacrime che così raramente avevano solcato il volto della moglie. Anche a lui bastarono le prime righe per capire. Impallidì.

"Elena..." cominciò, accartocciando la lettera in una mano.

Elena si sentiva piena. Sarebbe bastata anche una sola goccia in più, per fare esplodere il recipiente.

questa la donna che vuoi? Vuoi una donna che viva in funzione di te?" riusciva a mantenere ancora un tono contenuto, forse perché la delusione riusciva a mitigare l'ira, ma stava bruciando in fretta.
Aveva sempre creduto che l'accettasse per quello che era, a dispetto delle convenzioni. Non l'aveva mai messo in dubbio. L'aveva sposato perché convinta che lui fosse diverso dagli altri...
Ingenua. Ingenua a pensare che il diverso esistesse.

"No, non è affatto così. Elena, ti giuro che è qualcosa che non esiste più...". Oh, questo aggiustava veramente tutto, allora!

Le emozioni erano così tante, e così mal mescolate che le bloccavano le parole nella gola, senza lasciare che arrivassero alla bocca e solo per questo Francesco poté continuare con le sue inutili giustificazioni: "Mi sono comportato da vero egoista. Io... mi sono sentito messo da parte a causa del tuo lavoro, ma ti giuro che è stato solo un momento. Un momento di troppo, lo ammetto. Ho sbagliato, e sono stato uno stupido. Ma questo non significa che io voglia altre donne oltre te...".
Ogni sua parola era una goccia di veleno.

Francesco era sempre stata una certezza per lei. L'unica, forse. La sua bussola. E adesso che aveva scoperto che anche la bussola la conduceva nella direzione sbagliata... si era persa.

"Mi hai sempre detto che mi appoggiavi in queste scelte... che mi capivi quando dovevo sacrificarmi in caserma per stare lontana da casa... invece non hai mai capito niente!"
ringhiò, e già avvertiva il suo umore riscaldarsi in modo esponenziale. La rabbia schermava il dolore, ma la rendeva incapace di controllarsi: "Sei sempre stato davanti al mio lavoro. Se è capitato il contrario non è certo stata una mia scelta". 
Doveva andare via da quella casa... in fretta... non riusciva più a respirare, come costretta in un'armatura.

"Elena, sono sempre stato fiero di essere tuo marito" provò a dire Francesco afferrandole le braccia, lei si liberò con uno strattone.

Doveva andare via...

"Ho sbagliato io ad illudermi che fossi diverso dagli altri, e che fossi abbastanza forte da accettarmi per quello che sono" mormorò muovendo i primi passi verso la porta.

"Elena, ti prego..."
. Che preghi il suo Dio. Magari di restituirgli un minimo di dignità mentale.
Bastardo.
"Tieniti pure quella donna che si annulla completamente per te, se ti piace. Ce ne sono tante in giro..." ansimò, e la sua coscienza le suggerì che la tempesta di rabbia unita al suo addestramento alle armi non rendevano consigliabile rimanere nei pressi di una persona. Avrebbe dovuto darle retta, intanto che era ancora disposta a farlo.
Si tolse la fede dall'anulare e la lasciò su un tavolino dell'ingresso. Francesco impallidì. Forse aveva pensato che gli avrebbe concesso di spiegarsi, di rimediare... presumeva troppo. "Non venire a cercarmi, marito mio. Fa come se fossi vedovo".
Fu così che uscì in fretta dalla casa, ignorando i “ti prego, aspetta” di Francesco che tentava invano di fermarla.

Fu più veloce a salire in groppa al suo cavallo e a prendere la strada verso la città al galoppo, aumentando la distanza tra lei e lui.

Invece di sedarla, la delusione alimentava la rabbia a cui stava lasciando il posto, ed essa cresceva come l'edera attorno al suo cuore.

Il mondo che aveva intorno non aveva posto per una donna come lei. Cominciava a gettarle contro tutto il suo fango pur di vederla demordere e inginocchiarsi di fronte alla realtà.

Le aveva tolto in un solo gesto la sua famiglia, il suo migliore amico e l'uomo che amava... mostrandole chi in realtà vi aveva nascosto dietro. Un uomo non abbastanza uomo da reggere la sua vita.

Be', avrebbe dovuto fare di meglio.Il mondo non la voleva? Si sarebbe imposta. Era capace anche lei di gettare fango. Non avrebbe accettato compromessi. E si sarebbe inginocchiata soltanto di fronte al Creatore, una volta giunta la sua ora. Sarebbero stati costretti ad accettarla. Era così, e non avrebbe cambiato una virgola per nessuno.
Se non esisteva un uomo che potesse accettarla, ne avrebbe fatto a meno. Se stessa bastava, e non avrebbe represso più nulla.

Entrò nella caserma senza rispondere ai saluti delle guardie che incontrava. Lo sguardo era fisso davanti a sé e non lo abbassò finché non entrò nel suo ufficio.

Era una furia. Tesa più di una corda. Pugni stretti e le gambe che non decidevano a fermarsi.
Perché sarebbe arrivato il momento di piangere, molto presto. Di disperarsi e di chiedersi perché.
Ma non ancora.Se ne rendeva conto e sapeva che in quel modo non poteva ragionare. Se non ragionava, era solo un animale in gabbia. Un animale in gabbia è vulnerabile ad ogni minimo stimolo.
Bastava anche un:

"Capitano...".

"Che cosa c'è?!" ruggì l'animale, voltandosi di scatto verso un Maresciallo del tutto colto di sorpresa da quella reazione.

"Vi aspettavo molto più tardi" disse con una calma del tutto contrapposta al tono di Elena, mentre la guardava dubbioso e preoccupato. Una calma che in quel momento, Elena non era in grado di tollerare.

Niente aveva il diritto di mantenere la calma quando lei era arrabbiata.
"Non è mio dovere giustificare a voi i miei orari di arrivo o di uscita, sono io il Capitano o sbaglio?" sputava veleno peggio di una vipera irritata. Il Maresciallo ne fu nuovamente colpito.
"Sì, certo..." mormorò tentando di studiarla, ma senza evidentemente riuscire a scoprire quale diavolo avesse in corpo. Ben presto si arrese. "Che cosa è successo, Capitano?" si decise a chiedere infine, mandando alle ortiche la discrezione.
Il maresciallo non era notoriamente un esperto di donne...
"Direi che non vi riguarda, Maresciallo... ora se voleste essere così gentile da andare a...".

"Capitano" due guardie alquanto agitate giunsero di corsa, interrompendola sul più bello della frase.

Le bastò guardarli in faccia per capire, quasi potesse leggere nei loro pensieri. Proprio per questo motivo, non aveva alcuna intenzione di ascoltarli.
Purtroppo parlarono lo stesso: "Un pescatore ha trovato un altro corpo in riva al fiume... stesse ferite di tutti gli altri...".

Basta! Basta, per favore! MALEDIZIONE BASTA!!

Elena strinse gli occhi e i pugni, forse nella speranza di svegliarsi, di cancellare tutto, di renderli invisibili. Di tornare a qualche ora prima.
Non valse a nulla, ormai la goccia era caduta, e la sua rabbia era un fiume in piena che distrusse totalmente la diga del suo autocontrollo.

Urlò tutta la frustrazione che aveva dentro e una delle sedie andò a distruggersi contro il muro a causa di un suo potente calcio.

Le persone continuavano a morire e lei non riusciva ad arrivare alla conclusione che potesse fermare quel maledetto!
Le imprecazioni nella sua testa avevano raggiunto il limite della decenza.
I tre militari sulla porta avevano assistito alla scena sbigottiti, mentre lei si copriva il viso con le mani in cerca del buio e della tranquillità che le permettessero di mettere insieme i pensieri, emarginando quelli inutili.

Non li vide, ma le parve di udire sussurrare vagamente:

"Ma che le prende?".

"E che ne so? Sarà nel suo periodo...".

Quel tipo di provocazione era esattamente ciò che le serviva per trovare una vittima con cui prendersela in un momento del genere.

"Già, forse avete ragione. Ed è una fortuna che il Creatore abbia maledetto noi con la piaga del sangue, visto che degli insulsi vermi senza palle come siete voi non sarebbero mai riusciti a reggere neanche un giorno del dolore che ci capita di provare" il volume prendeva quota ad ogni parola come se sbattesse le ali. "Voi che pur di non confrontarvi con un vostro pari preferite costringerlo con la violenza al vostro volere perché sapete che se ci mettesse appena un po' più di cervello non ci sarebbe partita. Sbaglio o sei tu il soldato che è svenuto davanti a quei cadaveri?" l'indice accusatore puntò minaccioso uno dei due giovani militare, che come il suo compagno guardava il Capitano ad occhi sbarrati, rimpicciolendosi sempre di più ad ogni sua parola, come se la sua rabbia premesse forte sulle loro teste.
Il poveretto annuì lievemente, perché sapeva che non rispondere sarebbe stata quasi una condanna a morte. "E ALLORA FAMMI LA CORTESIA DI ANDARE A SVENIRE FUORI DALLA MIA VISTA IMMEDIATAMENTE!! E PORTATI ANCHE IL TUO COMPAGNO!! FILATE VIA!!" fu l'ordine, già eseguito ancor prima che finisse di parlare.
Che liberazione...

Più urlava, più aveva voglia di urlare.

"Capitano...?" fu la sola cosa che riuscì a chiedere il Maresciallo, l'unico rimasto lì ad assistere sconcertato a quella scena.

Lei non rispose e gli voltò le spalle.

Urlare e sfogare la rabbia era un piacere liberatorio che mai avrebbe potuto immaginare, ma non era un lusso che poteva permettersi.
Doveva riattivare la mente, e ragionare. Sapeva che le stava sfuggendo un particolare importante, che invece avrebbe dovuto avere a portata di mano per giungere alla conclusione... ma finché lasciava che la rabbia viaggiasse a ruota libera, non ci sarebbe riuscita.

Sospirò buttando fuori l'ultimo residuo della furia contro i due soldati, si poggiò alla scrivania con le nocche dei pugni stretti e chiuse gli occhi.

Calmati Elena... Calmati... Tu lo sai di cosa sei capace quando perdi le staffe... Ce ne sono già troppi di cadaveri in città, non c'è bisogno che ne aggiungi anche in caserma...

La rabbia è un animale che per scatenarsi deve mantenersi al buio, e basta una piccola luce a scacciarla... quella che si era appena accesa nella mente di Elena e aveva zittito la bestia, almeno per il momento.

Era tutto così chiaro.

Aveva sbagliato dall'inizio. Aveva puntato la testa in una direzione e non si era neanche posta il problema di voltarla leggermente da un'altra parte.

Un errore imperdonabile... soprattutto commesso da lei.
E adesso, adesso che la luce si era riaccesa, vedeva tutto così tremendamente chiaro che si stupì di quanto cieca fosse riuscita ad essere.
"
È  una donna..." mormorò guardando gli appunti sparsi sulla scrivania quasi ci fosse praticamente scritto.
"Come dite?"  tentò cautamente il Maresciallo, del tutto imbarazzato.

una donna!!" ripeté, più che sicurissima. Il Maresciallo la guardò senza capire. Ma per quanto ne sapeva lei, poteva anche spiegarglielo scrivendoglielo a chiare lettere sulla parete, non avrebbe mai capito. Era un uomo. E un uomo non avrebbe mai capito quello che stava capendo lei... Quella furia tirata fuori come solo una persona repressa poteva saper fare...
La castrazione... Non era difficile conoscere i motivi per cui una donna avrebbe potuto decidere di punire un uomo con quel gesto. Potevano essere molteplici, ma uno solo le veniva in mente. Quelle che per nessuna legge erano dichiarate colpe per gli uomini carnefici e invece lo erano per le donne vittime.

Lo sfregio... quante donne colme di cicatrici da violenza, sia fisiche che nell'anima, aveva già visto?

Persino i colpi non abbastanza forti che aveva inferto alle vittime trovavano infine spiegazione.

"Maresciallo, non vi affannate a chiedere, sono certa che anche questa terza vittima fosse un ubriacone violento come tutti gli altri. Piuttosto, voglio che cominciate ad indagare sulle donne che hanno subito stupri negli ultimi tempi. Controllate se ce n'è qualcuna magari sparita improvvisamente" La carovana di pensieri era partita e non si sarebbe fermata facilmente. Il Maresciallo la fissò interdetto da tutte quelle novità dell'ultimo minuto quando pochi istanti prima navigavano ancora nell'acqua alta.

"Capitano, ne siete sicura?" chiese infine.

"La pista è molto più logica di quella che abbiamo seguito fino a questo momento, Maresciallo. Fate come vi ho detto".

Il Maresciallo la fissò ancora qualche secondo.

"Mi fido ciecamente di voi, Capitano" ammise infine.
Quelle parole la scossero, fragile com'era. Ma durò solo un secondo. Era qualcosa che aveva sentito dire anche ad altri... che non avevano fatto altro che deluderla.

Il Maresciallo scattò sull'attenti e fece per andarsene, ma un altro soldato arrivò di corsa.

"Capitano... vostro marito chiede di entrare..." disse. Subito la rabbia che la luce dell'intuizione aveva esiliato lontano, tornò alla carica.

"Cacciatelo. Non voglio vederlo" rispose seccamente. Il soldato la guardò solo un momento perplesso, ma consapevole di non avere il diritto di porre alcuna domanda in merito, obbedì subito tornando all'ingresso.

Elena era diretta alla scrivania, quando si sentì bloccare da un braccio.

Si voltò stupita. Era il Maresciallo. Lo guardò basita, senza parole. Non avevano mai avuto un contatto fisico di alcun tipo.

"Che cosa vi ha fatto?!" le chiese, diretto e lasciando da parte il solito tono calmo e istituzionale con cui usava rivolgersi. Elena continuò a fissarlo senza riuscire neanche a rimproverarlo e rimetterlo al suo posto. Non aveva mai letto quella rabbia negli occhi del Maresciallo. Non trovò le parole per rispondere, e si limitò a scuotere la testa.

Lui le lasciò il braccio e d'improvviso corse verso l'ingresso seguendo la scia del soldato.

Elena gli corse dietro appena riuscì ad ordinare alle sue gambe di farlo.
Arrivò appena in tempo per vedere il pugno di pietra del Maresciallo posarsi in modo per niente delicato sul muso di Francesco.

   
 
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