5 Aprile 1458
"Dissanguati?"
domandò Elena in un sussurro stupito. La folla intorno a lei
e
al Maresciallo non permetteva loro di avere una conversazione a toni
normali.
La Domenica mattina era quasi
un obbligo abbandonare le divise e gli incarichi istituzionali di
caserma, ad
esclusione dei poveri sfortunati che avevano i turni di guardia. La
giornata era splendida ma ancora troppo fredda per affidarsi alle
illusioni dei primi soli di stagione, tuttavia, era un piacere dopo
tanto grigiore dover stringere gli occhi per ripararli dalla luce.
Lei e il Maresciallo si
erano incontrati quasi per caso nella piazza davanti alla Chiesa.
Francesco
aveva da poco preso la strada per tornare a casa dopo la funzione,
mentre lei
si era attardata per ulteriori aggiornamenti. Elena si era comportata
da moglie
esemplare negli ultimi giorni, per quanto permettessero le circostanze,
perciò
Francesco non ebbe nulla da obiettare, fuorché uno sguardo
non troppo amichevole
verso il Maresciallo.
"Così
dicono..." confermò il Maresciallo mentre passeggiavano
lentamente lungo la
piazza. Era strano fare quei discorsi senza indossare un'arma o una
divisa,
quasi fossero due normali civili che chiacchieravano a proposito delle
ultime novità. Il muro era ancora alto tra di loro, ma forse
di
un materiale un po' meno resistente. "Pare che il colpo all'addome non
fosse
abbastanza forte da essere mortale, per quanto dovesse esserlo nelle
intenzioni
dell'assassino".
"Un
soggetto non particolarmente forte, dunque" fu la sua logica
conclusione. Elena diede uno sguardo alla stazza del Maresciallo, e
sorrise
nascostamente. Di certo poteva escludere lui e tutti i suoi simili.
Uomini del
genere in un momento di follia o rabbia avrebbero ridotto in poltiglia
le
vittime.
"Ma come è
possibile? La prima vittima non sembrava tanto facile da abbattere, a
giudicare
dal fisico" obiettò il Maresciallo, che dallo sguardo e dal
tono
quasi disperato pareva molto più confuso da tutti quegli
indizi rispetto a lei.
"Considerate
i soggetti. Considerate i loro abituali atteggiamenti rispetto a quelli
dell'assassino. Lui ha premeditato tutto, era preparato ed intenzionato
a
colpire. Loro colti di sorpresa, facilmente in completa sbronza"
spiegò Elena, in modo da dargli qualcosa su cui riflettere
per
il resto del pomeriggio. Intanto, in lontananza, già
intravedeva il suo cavallo legato insieme ad altri.
Anche lei aveva qualcosa di più su
cui riflettere. Aveva un elenco di persone che avrebbero avuto un
movente di
regolazione di conti con le vittime, ma sinceramente nessuna di esse la
convinceva davvero. Soprattutto perché nessuna era in comune
tra le due
vittime.
Navigavano ancora nel buio più assoluto.
Mentre il secondo
omicidio era ancora miracolosamente oscuro a gran parte dei cittadini,
il primo
era ancora oggetto di congetture da parte di tutti, in modo particolare
il
fatto che fosse ancora rimasto impunito. Figurarsi.
Elena non era preoccupata
per questo. Era più una sfiducia verso l'intero corpo della
polizia piuttosto
che verso di lei in particolare. Certo, aveva molto da dimostrare ai
suoi amorevoli concittadini.
"Credo
che passerò dalla caserma questo pomeriggio... Dobbiamo
cominciare a stringere
il campo dei sospetti" disse mentre montava a cavallo rifiutando
gentilmente
l'aiuto del Maresciallo.
"Sissignora" la salutò lui, nonostante la mancanza di divisa
ufficiale. Un cenno ed Elena partì al galoppo verso casa.
Ben presto, le case e le strade cominciarono a diradarsi per dare
spazio ai campi coltivati e brulli. Diminuivano gli esseri umani,
aumentavano gli animali tra domestici e selvatici.
Era difficile incontrare
qualcuno lungo la strada, piuttosto qualche volpe o lepre, invece
quella volta Elena scorse da lontano la figura di un
bimbetto che correva al lato della strada da solo. Incuriosita e spinta
dal suo senso del dovere lo raggiunse al
trotto.
"Dove
vai, piccolino?" gli chiese adeguando l'andatura del cavallo a
quella del bambino, che dapprima spaventato dall'apparizione improvvisa
della
bestia, rallentò la corsa. Elena gli sorrise e lui parve
tranquillizzarsi.
"Devo consegnare
la lettera al messere Francesco che abita lì lontano" disse
con
un
certo orgoglio incespicando nelle parole, indicò il profilo
della loro dimora che si scorgeva già ma ancora piuttosto
lontana. Elena lo guardò accigliata.
Chi aveva mandato un
bambino tanto piccolo a fare tutta quella strada da solo e a piedi?
"Ma il
messere Francesco abita davvero lontano da qui, non puoi raggiungerlo a
piedi" gli disse. Di solito i mittenti delle lettere a suo marito
utilizzavano messaggeri molto più esperti, e soprattutto
muniti
di cavallo per
coprire distanze del genere. "Perché non dai a me la
lettera?
Gliela consegno io, lo conosco. Così puoi tornare a casa
prima
che faccia buio" gli propose e gli tese la mano. Il bambino la
guardò sospettoso e si strinse
la pergamena al petto.
"Ci prendo
quattro monete se la consegno io" le disse, e ricominciò a
camminare.
"E io te
ne do altre quattro se la fai consegnare a me. Tu devi fare tanta
strada, io
come vedi ho il cavallo, vado più veloce. Giuro sul mio
onore che la
consegnerò" disse alzando la mano destra come promessa.
Il bimbo si
fermò e la guardò, di certo valutando seriamente
la proposta.
Non impiegò molto ad accettare, e
tornò indietro con ben otto monete sonanti nelle tasche.
Arrivata a casa, lasciò
il cavallo nel recinto accanto a quello di Francesco.
Non aveva pensato di
chiedere al bambino chi l'avesse incaricato di consegnarla. Un pazzo di
certo...
Guardò la pergamena. Era
ben piegata, ma non imbustata e senza alcun sigillo. Molto strano, di
solito le
lettere per Francesco avevano un aspetto molto più ufficiale.
Elena ci pensò un po'...
non era molto corretto come gesto ma... la curiosità
è donna...
In fin dei conti, la
lettera era già praticamente aperta.
Cominciò a leggere... e
già dalla prima riga, l'aria fermò il corso lungo
i suoi polmoni.
La sensazione fu quella
di un pugno in pieno stomaco, una stretta ferra sulla gola e di una
cascata di massi sulla testa...
Non si accorse neanche di essersi
fermata all'ingresso di casa mentre leggeva.
ormai giorni sono passati dal
nostro ultimo incontro e il
mio cuore è distrutto da questa folle lontananza.
L'ardore dei vostri baci mi ritorna
chiaro alla mente e mi riscalda le
labbra.
Quando potremmo rincontrarci?
Luce della mia vita, non lasciatemi
al buio in questo mondo, senza la
vostra guida.
L'unico mio desiderio è perdermi ancora
nelle vostra forti braccia, sentire il respiro nel vostro petto che
vorrei
riempire di baci.
La vostra voce è l'eco dei battiti
del mio cuore, se voi non mi parlaste più morirei.
Ascoltarci abbracciati, raccontarci
e
guardarci negli occhi fino a perdere la ragione, non chiedo altro dalla
mia
esistenza.
Vi amo come niente e nessuno prima
d'ora
siete tutta la mia vita.
Infondo, di ciò si
trattava: un estraneo...
L'uomo che aveva sposato, quello che diceva di
amarla, che rispettava lei e quello che era, che la incoraggiava sempre
a
migliorare, quello che conosceva da sempre non esisteva
più... o forse non
era mai esistito.
Chi aveva avuto accanto tutto quel tempo? "Ti
ha trattenuto un bel po' quel Maresciallo...". L'aveva raggiunta
all'ingresso. Elena lo vedeva sfocato in mezzo alle lacrime che le
coprivano
gli occhi, e in ogni caso non avrebbe riconosciuto più quel
sorriso, che gli
morì sulle labbra vedendola piangere immobile con in mano
quel pezzo di carta
stropicciato nel pugno. "Che cosa è successo?"
soffiò preoccupato avvicinandosi di un passo.
Elena sentiva il pugnale
conficcato al centro del petto che ad ogni respiro segava dolorosamente
le sue ossa, il suoi organi... e non
si decideva ad ucciderla una volta per tutte.
"È
per te" riuscì a dire con quel poco di voce che
le restava in
gola, allungandogli la lettera.
Francesco la prese
perplesso e sconvolto da quelle lacrime che così raramente
avevano solcato il volto della
moglie. Anche a lui bastarono le prime righe per capire.
Impallidì.
"Elena..."
cominciò, accartocciando la lettera in una mano.
Elena si sentiva piena. Sarebbe
bastata anche una sola goccia in più, per fare esplodere il
recipiente.
"È questa la donna
che vuoi? Vuoi
una donna che viva in funzione di te?" riusciva a mantenere ancora un
tono contenuto, forse perché la delusione riusciva a
mitigare
l'ira, ma
stava bruciando in fretta.
Aveva sempre creduto che l'accettasse
per quello che era, a dispetto delle convenzioni. Non l'aveva mai messo
in
dubbio. L'aveva sposato perché convinta che lui fosse
diverso dagli altri...
Ingenua. Ingenua a pensare che il diverso esistesse.
"No,
non è affatto così. Elena, ti giuro che
è qualcosa che non esiste
più...". Oh, questo aggiustava veramente tutto, allora!
Le emozioni erano così
tante, e così mal mescolate che le bloccavano le parole
nella
gola, senza
lasciare che arrivassero alla bocca e solo per questo Francesco
poté continuare con le sue inutili giustificazioni: "Mi sono
comportato da vero egoista. Io... mi sono sentito
messo da parte a causa del tuo lavoro, ma ti giuro che è
stato
solo un momento.
Un momento di troppo, lo ammetto. Ho sbagliato, e sono stato uno
stupido. Ma
questo non significa che io voglia altre donne oltre te...".
Ogni sua
parola era una goccia di veleno.
Francesco era sempre
stata una certezza per lei. L'unica, forse. La sua bussola. E adesso
che aveva
scoperto che anche la bussola la conduceva nella direzione sbagliata...
si era
persa.
"Mi hai
sempre detto che mi appoggiavi in queste scelte... che mi capivi quando
dovevo
sacrificarmi in caserma per stare lontana da casa... invece non hai mai
capito
niente!"
ringhiò, e già avvertiva il suo umore riscaldarsi
in modo
esponenziale. La rabbia schermava il dolore, ma la rendeva incapace di
controllarsi: "Sei sempre
stato davanti al mio lavoro. Se è capitato il contrario non
è certo stata una mia scelta".
Doveva andare via da quella casa... in
fretta... non riusciva più a respirare, come costretta in
un'armatura.
"Elena,
sono sempre stato fiero di essere tuo marito" provò a dire
Francesco afferrandole le braccia, lei si liberò con uno
strattone.
Doveva andare via...
"Ho
sbagliato io ad illudermi che fossi diverso dagli altri, e che fossi
abbastanza
forte da accettarmi per quello che sono" mormorò muovendo i
primi passi verso la porta.
"Elena,
ti prego..."
Bastardo.
"Tieniti
pure quella donna che si annulla completamente per te, se ti piace. Ce
ne sono
tante in giro..." ansimò, e la sua coscienza le
suggerì
che la tempesta di rabbia unita al suo addestramento alle armi non
rendevano consigliabile rimanere nei pressi di una persona. Avrebbe
dovuto darle retta, intanto che era ancora disposta a farlo.
Si tolse la fede dall'anulare e la lasciò su un
tavolino dell'ingresso. Francesco impallidì. Forse aveva
pensato
che gli avrebbe concesso di spiegarsi, di rimediare... presumeva
troppo. "Non venire a cercarmi, marito mio. Fa
come se fossi vedovo".
Fu così che uscì in fretta dalla casa, ignorando
i “ti
prego, aspetta” di Francesco che tentava invano di fermarla.
Fu più veloce a salire in
groppa al suo cavallo e a prendere la strada verso la città
al galoppo,
aumentando la distanza tra lei e lui.
Invece di sedarla, la
delusione alimentava la rabbia a cui stava lasciando il posto, ed essa
cresceva
come l'edera attorno al suo cuore.
Il mondo che aveva
intorno non aveva posto per una donna come lei. Cominciava a gettarle
contro
tutto il suo fango pur di vederla demordere e inginocchiarsi di fronte
alla
realtà.
Le aveva tolto in un solo
gesto la sua famiglia, il suo migliore amico e l'uomo che amava...
mostrandole
chi in realtà vi aveva nascosto dietro. Un uomo non
abbastanza uomo da reggere
la sua vita.
Be', avrebbe dovuto fare di meglio.
Se non esisteva un uomo
che potesse accettarla, ne avrebbe fatto a meno. Se stessa bastava, e
non
avrebbe represso più nulla.
Entrò nella caserma senza
rispondere ai saluti delle guardie che incontrava. Lo sguardo era fisso
davanti a sé
e non lo abbassò finché non entrò nel
suo ufficio.
Era una furia. Tesa più
di una corda. Pugni stretti e le gambe che non decidevano a fermarsi. Perché sarebbe arrivato il momento
di piangere, molto presto. Di disperarsi e di chiedersi
perché.
Ma non ancora.
Bastava anche un:
"Capitano...".
"Che cosa
c'è?!" ruggì l'animale, voltandosi di scatto
verso un Maresciallo del tutto
colto di sorpresa da quella reazione.
"Vi
aspettavo molto più tardi" disse con una calma del tutto
contrapposta al tono di Elena, mentre la guardava dubbioso e
preoccupato. Una calma che in quel momento, Elena non era in grado di
tollerare.
Niente aveva il diritto di mantenere la calma quando lei era arrabbiata.
"Non è
mio dovere giustificare a voi i miei orari di arrivo o di uscita, sono
io il
Capitano o sbaglio?" sputava veleno peggio di una vipera irritata.
Il Maresciallo ne fu nuovamente colpito.
"Sì,
certo..." mormorò tentando di studiarla, ma senza
evidentemente
riuscire a scoprire quale diavolo avesse in corpo. Ben presto si
arrese. "Che cosa è
successo, Capitano?" si decise a chiedere infine, mandando alle
ortiche la discrezione.
Il maresciallo non era notoriamente un esperto di donne...
"Direi
che non vi riguarda, Maresciallo... ora se voleste essere
così gentile da
andare a...".
"Capitano" due
guardie alquanto agitate giunsero di corsa, interrompendola sul
più bello della
frase.
Le bastò guardarli in
faccia per capire, quasi potesse leggere nei loro pensieri. Proprio per
questo motivo, non aveva alcuna intenzione di ascoltarli.
Purtroppo parlarono lo stesso: "Un pescatore ha trovato un altro corpo
in
riva al fiume... stesse ferite di tutti gli altri...".
Basta! Basta, per
favore! MALEDIZIONE BASTA!!
Elena
strinse gli occhi e
i pugni, forse nella speranza di svegliarsi, di cancellare tutto, di
renderli invisibili. Di tornare a qualche ora prima.
Non valse a nulla, ormai la goccia era caduta, e la sua rabbia era
un fiume in piena che distrusse totalmente la diga del suo
autocontrollo.
Urlò tutta la
frustrazione che aveva dentro e una delle sedie andò a
distruggersi contro il
muro a causa di un suo potente calcio.
Le persone continuavano a
morire e lei non riusciva ad arrivare alla conclusione che potesse
fermare quel
maledetto! Le imprecazioni
nella sua testa avevano raggiunto il limite della decenza.
I tre militari sulla
porta avevano assistito alla scena sbigottiti, mentre lei si copriva il
viso con le mani
in cerca del buio e della tranquillità che le permettessero
di mettere insieme
i pensieri, emarginando quelli inutili.
Non li vide, ma le parve
di udire sussurrare vagamente:
"Ma che le
prende?".
"E che ne so? Sarà
nel suo periodo...".
Quel tipo di provocazione
era esattamente ciò che le serviva per trovare una vittima
con cui prendersela
in un momento del genere.
"Già,
forse avete ragione. Ed è una fortuna che il Creatore abbia
maledetto noi con
la piaga del sangue, visto che degli insulsi vermi senza palle come
siete voi
non sarebbero mai riusciti a reggere neanche un giorno del dolore che
ci capita
di provare" il volume prendeva quota ad ogni parola come se sbattesse
le ali. "Voi che pur di non confrontarvi con un vostro pari preferite
costringerlo con la violenza al vostro volere perché sapete
che
se ci mettesse
appena un po' più di cervello non ci sarebbe partita.
Sbaglio o
sei tu il
soldato che è svenuto davanti a quei cadaveri?" l'indice
accusatore puntò minaccioso uno dei due giovani
militare,
che come il suo compagno guardava il Capitano ad occhi
sbarrati, rimpicciolendosi sempre di più ad ogni sua parola,
come se la sua
rabbia premesse forte sulle loro teste.
Che liberazione...
Più urlava, più aveva
voglia di urlare.
"Capitano...?"
fu la sola cosa che riuscì a chiedere il Maresciallo,
l'unico rimasto lì ad
assistere sconcertato a quella scena.
Lei non rispose e gli
voltò le spalle.
Urlare e sfogare la
rabbia era un piacere liberatorio che mai avrebbe potuto immaginare, ma
non era un lusso che poteva permettersi.
Doveva riattivare la mente, e ragionare.
Sapeva che le stava sfuggendo un particolare importante, che invece
avrebbe
dovuto avere a portata di mano per giungere alla conclusione... ma
finché
lasciava che la rabbia viaggiasse a ruota libera, non ci sarebbe
riuscita.
Sospirò buttando fuori
l'ultimo residuo della furia contro i due soldati, si poggiò
alla scrivania con
le nocche dei pugni stretti e chiuse gli occhi.
Calmati Elena...
Calmati... Tu lo sai di cosa sei capace quando perdi le staffe... Ce ne
sono
già troppi di cadaveri in città, non
c'è bisogno che ne aggiungi anche in
caserma...
La rabbia è un animale
che per scatenarsi deve mantenersi al buio, e basta una piccola luce a
scacciarla... quella che si era appena accesa nella mente di Elena e
aveva
zittito la bestia, almeno per il momento.
Era tutto così chiaro.
Aveva sbagliato
dall'inizio. Aveva puntato la testa in una direzione e non si era
neanche posta
il problema di voltarla leggermente da un'altra parte.
Un errore imperdonabile...
soprattutto commesso da lei.
"È
una donna..." mormorò guardando gli appunti
sparsi sulla
scrivania quasi ci fosse praticamente scritto.
"Come
dite?" tentò cautamente il Maresciallo, del tutto
imbarazzato.
"È una donna!!" ripeté, più che
sicurissima. Il Maresciallo la guardò senza capire. Ma per
quanto ne sapeva
lei, poteva anche spiegarglielo scrivendoglielo a chiare lettere sulla
parete,
non avrebbe mai capito.
La castrazione... Non era
difficile conoscere i motivi per cui una donna avrebbe potuto decidere
di
punire un uomo con quel gesto. Potevano essere molteplici, ma uno solo
le
veniva in mente. Quelle che per nessuna legge erano dichiarate colpe
per gli
uomini carnefici e invece lo erano per le donne vittime.
Lo sfregio... quante
donne colme di cicatrici da violenza, sia fisiche che nell'anima, aveva
già visto?
Persino i colpi non
abbastanza forti che aveva inferto alle vittime trovavano infine
spiegazione.
"Maresciallo,
non vi affannate a chiedere, sono certa che anche questa terza vittima
fosse un
ubriacone violento come tutti gli altri. Piuttosto, voglio che
cominciate ad
indagare sulle donne che hanno subito stupri negli ultimi tempi.
Controllate se
ce n'è qualcuna magari sparita improvvisamente" La carovana
di pensieri
era partita e non si sarebbe fermata facilmente. Il Maresciallo la
fissò interdetto da
tutte quelle novità dell'ultimo minuto quando pochi istanti
prima navigavano
ancora nell'acqua alta.
"Capitano,
ne siete sicura?" chiese infine.
"La pista
è molto più logica di quella che abbiamo seguito
fino a questo momento,
Maresciallo. Fate come vi ho detto".
Il Maresciallo la fissò ancora qualche
secondo.
"Mi fido
ciecamente di voi, Capitano" ammise infine.
Quelle parole la scossero, fragile com'era. Ma durò solo un
secondo. Era qualcosa che aveva sentito
dire anche ad altri... che non avevano fatto altro che deluderla.
Il Maresciallo scattò
sull'attenti e fece per andarsene, ma un altro soldato
arrivò di corsa.
"Capitano... vostro
marito chiede di entrare..." disse. Subito la rabbia che la luce
dell'intuizione aveva esiliato lontano, tornò alla carica.
"Cacciatelo.
Non voglio vederlo" rispose seccamente. Il soldato la guardò
solo un
momento perplesso, ma consapevole di non avere il diritto di porre
alcuna domanda in merito, obbedì subito tornando
all'ingresso.
Elena era diretta alla
scrivania, quando si sentì bloccare da un braccio.
Si voltò stupita. Era il
Maresciallo. Lo guardò basita, senza parole. Non avevano mai
avuto un contatto fisico di alcun tipo.
"Che cosa
vi ha fatto?!" le chiese, diretto e lasciando da parte il solito tono
calmo e istituzionale con cui usava rivolgersi. Elena
continuò a
fissarlo senza riuscire neanche a rimproverarlo e rimetterlo al suo
posto. Non aveva mai
letto quella rabbia negli occhi del Maresciallo. Non trovò
le
parole per
rispondere, e si limitò a scuotere la testa.
Lui le lasciò il braccio
e d'improvviso corse verso l'ingresso seguendo la scia del soldato.
Elena gli corse dietro
appena riuscì ad ordinare alle sue gambe di farlo.
Arrivò appena in tempo per
vedere il pugno di pietra del Maresciallo posarsi in modo per niente
delicato
sul muso di Francesco.