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Autore: ValeryJackson    29/03/2013    2 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi alzo circa dieci minuti prima del suono della sveglia.
È tardi, e non ho tempo da perdere.
Sono rimasta sveglia tutta la notte nel vano tentativo di trovare un modo per convincere mia madre a darmi il permesso di andare a quella festa, ma, alla fine, l’unico plausibile che ha attraversato la mia mente è stato forse il più scontato: l’adulazione.
Scendo frettolosamente le scale, cercando di combattere il sonno e di non pensare all’enormi occhiaie nere che quasi sicuramente solcano la mia faccia, e mi dirigo in cucina.
Apro il frigo e tutti i cassetti della dispensa. Non c’è modo migliore di ottenere qualcosa dagli adulti se non quello di preparargli la colazione. Ancora meglio, se è qualcosa che loro adorano.
Ecco, Mary ama lo zabaione.
Non penso sia complicato farlo. Insomma, non l’ho mai cucinato, ma ho visto lei prepararlo un milione di volte a colazione, e credo ricordare tutti i passaggi.
Prendo sei uova e inizio a montarne i tuorli con dello zucchero. Poi, prendo del Marsala che Gabe ha fortunatamente lasciato qui, lo verso a filo nel composto e lo metto a bagnomaria.
Inizio a sbattere energicamente, forse troppo, ma ho fretta. Deve essere pronto prima che Mary si svegli, vale a dire entro mezz’ora.
Finalmente, dopo circa dieci minuti, il composto comincia a gonfiarsi, fino a diventare denso. Perfetto, è pronto.
Ora mi serve soltanto qualcosa con cui accompagnarlo.
Mentre lo verso in un bicchiere e lo decoro con qualche biscotto sbriciolato, comincio a pensare.
Che cos’è che Mary ama tanto quanto lo zabaione?
Sorrido. Ci sono. Il gelato.
Guardo l’orologio appeso al muro. Ho meno di venti minuti prima che Mary scenda a fare colazione. Devo sbrigarmi.
Prendo un limone e inizio a grattugiarne la scorza, per poi spremerlo. Mescolo il succo con metà della scorza e poi vi aggiungo zucchero, cannella e 3 banane a fettine.
È una ricetta che ho imparato da Mary. Di solito, la preparava sempre la mattina del mio compleanno.
Ne metto metà in una coppa e lo cospargo di meringhe sbriciolate. Poi cerco il gelato. In frigo, c’è solo quello alla stracciatella. Andrà bene. Lo afferrò e prendo tre palline con un cucchiaio, mettendole nella coppa.
Guardo l’orologio. Ho quindici minuti.
Il cioccolato. Mi serve il cioccolato.
Ne prendo una barretta intera dalla dispensa e, senza pensarci, la metto in pentola, facendola sciogliere con un po’ di panna fresca.
A volte è una fortuna, avere una mamma appassionata di cucina.
Mentre aspetto che il cioccolato si fonda, verso altre banane e altre meringhe sul gelato. Poi la panna montata. Sempre meglio abbondare.
Prendo il cioccolato ormai sciolto e lo verso, cospargendo il tutto con una manciata di cocco.
Fantastico. Ora si, che è tutto perfetto.
Controllo il tempo che mi è rimasto. Solo cinque minuti.
Nel silenzio, sento dell’acqua scorrere in cima alle scale. Mary è in bagno. Tra poco scenderà.
Sospiro, soddisfatta. Ho fatto proprio un bel lavoro. E tutto entro i limiti di tempo!
Mi guardo intorno, distrattamente, e mi viene un sussulto. La cucina è interamente, completamente sporca. Un porcile.
L’acqua smette di scorrere e qualcosa sbatte. Strabuzzo gli occhi. Se Mary vede questo casino, sicuramente si inquieterà come una bestia. Devo pulire tutto. Ora.
Non dev’essere difficile. Insomma, l’altro giorno, a scuola, sono riuscita a superare tutti e a correre velocissima senza stancarmi, quanto può essere complicato rifarlo in uno spazio ristretto come una cucina?
Una porta sbatte e sento dei passi in cima alle scale. Devo muovermi.
Accattono tutto quello che c’è sul tavolo da lavoro e lo butto nella dispensa, sbattendo l’anta, senza preoccuparmi se siano in ordine o no. Tanto so che è no.
Prendo pentole e pentolini e li metto nel lavandino, cercando di nasconderli il più possibile in modo che non si vedano appena entri in cucina. Bicchieri. Posate. Butto tutto lì, dove capita, senza preoccuparmi minimamente. In fondo, non ho tempo per farlo. Sento i passi di Mary scendere le scale.
Raccolgo le briciole che sono sparse sul tavolo in una mano e le butto nel cestino, sfregando le mani convulsamente. Ormai so che Mary è davanti la porta.
Mi guardo intorno. È tutto in ordine, ho fatto in tempo.
Sospiro, e Mary entra.
<< Buongiorno >> bofonchia, stropicciandosi gli occhi.
<< Buongiorno!>> esclamo, forse con un po’ troppa enfasi. Devo calmarmi, o capirà che c’è qualcosa sotto. Faccio un respiro profondo e metto in mostra il mio sorriso migliore. << Dormito bene, stanotte?>>
<< M-Mh >> mormora, sbadigliando. << Alla grande.>>
Annuisco. Fantastico. Un punto a mio favore.
Prendo la ciotola di gelato e il bicchiere con lo zabaione, e, dopo che lei si è seduta al tavolo, glie li metto davanti.
Mary aggrotta la fronte, mentre cerca di mettere a fuoco l’immagine.  << Cos’è questo?>>  chiede.
Alzo le spalle, cercando di sembrare non curante. << Ho preparato la colazione.>>
Mary mi guarda, stupida. << Davvero?>> domanda, incredula.
Mi fingo offesa. << Beh? È così strano che io mi sia svegliata prima questa mattina per preparare la colazione alla mia cara mammina?>> Ostentazione. Non c’è modo migliore di abbindolare qualcuno se non quello di fargli capire cosa hai appena fatto per lui.
Mary afferra un cucchiaino, prendendo un po’ del liquido giallognolo nel bicchiere e poi facendolo colare di nuovo dentro. Inarca un sopracciglio, tornando a guardarmi. << Anche lo zabaione?>>
Scrollo le spalle, sedendomi accanto a lei. << Beh, so che ti piace tanto. E poi devi mettere un po’ di ciccia su quelle ossa. Sei troppo magra.>> Adulazione. Ormai ce l’ho in pugno.
Lei annuisce e scruta con occhio critico il gelato, individuandone ogni minimo ingrediente. Poi assaggia lo zabaione, constatandone la consistenza. Alza le sopracciglia, con fare sorpreso. Credo che siano usciti abbastanza bene, perché non muove alcuna critica riguardo alla poca densità del liquido o all’assenza di sale. Ottimo. Ormai è fatta.
Mary sospira, poggiando il busto sullo schienale e incrociando le braccia sotto il seno. Mi guarda, come in attesa. << Ok. Ho capito. Di cosa hai bisogno?>>
Sgrano gli occhi. Ma come… come ha… esibisco la mia espressione indignata, ma la sorpresa ha la meglio, tanto da non permettermi di inventare una risposta decente. << Cosa? Io non ho… non ho…>> balbetto.
<< Valeri… >> mi interrompe lei, facendo roteare gli occhi.
La guardo.
Non posso crederci. Ce l’avevo quasi fatta. Ero quasi riuscita nel mio intento, e invece no. Mi ha sgamata. Devo sempre essere esposta dalla parte della lama. Perché? Perché per una volta non posso reggere il coltello dalla parte del manico? Mi serve una scusa, ma non ne ho. Ormai devo accettarlo. Ho fallito. Tanto vale a questo punto dirle la verità. Magari con schiettezza e sincerità…
<< Ok. Ascolta >> comincio. Tutto d’un fiato. << Questa sera, come ogni anno, qui a New York viene organizzata l’ “Halloween Parade”. È una festa molto carina, dove si balla, si mangia, ci si diverte. E poi ci sono anche molte attrazioni… >>
<< E tu vorresti andare a questa parata?>>
<< Beh, io… >> abbasso lo sguardo sulle mie mani, imbarazzata. << Si. Mi piacerebbe molto andarci. La mamma di Mia organizza l’evento, di sicuro ci sarà anche tutta la scuola, e poi… >>
<< E poi?>>
<< E poi… e poi ci sarà anche John. E insomma, io… speravo di poterci andare.>>
Non vedo l’espressione di Mary in questo momento, ma la sento sospirare. Chiudo gli occhi, preparandomi alla risposta negativa che riceverò. Dovevo aspettarmelo. Ho davvero pensato di poterla convincere?
Eccola che arriva. Non piangere, non piangere, non piangere...
<< Ok… >> mormora.
Rilasso i muscoli, afflitta. Devo riprendere fiato, per replicare. Non mi ero neanche accorta di trattenerlo, il fiato.
<< Oh, andiamo, Mary… >> comincio, guardandola. << È una cosa importante per me. Se me ne dessi la possibilità io…>> Mi blocco, all’improvviso, ripensando a ciò che ha appena detto. No, non è possibile. << Aspetta un attimo…. Come?>>
Mary sorride. << Ho detto ok. Puoi andare.>>
Sgrano gli occhi, e mi sento mancare il fiato. Ha detto di si! Ha davvero detto di si! Non posso crederci! È uno scherzo? Ditemi di no. Qualcuno mi dia un pizzicotto!
<< Io… io… >> balbetto, ma mi mancano le parole. Non so davvero cosa dire.
Mi alzo di scatto, precipitandomi ad abbracciarla, forte. << Grazie!>> mormoro. << Grazie, grazie, grazie!>>
Mary ride, accarezzandomi la schiena. << Oh, non ringraziarmi, cara.>>
Rompo l’abbraccio, guardandola emozionata. In un baleno, la mia mente inizia a fantasticare su cosa accadrà questa sera. Che vestito indosserò. Che cosa farò. E John…
<< Allora, a che ora andiamo?>> domanda lei, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
La guardo, scioccata. << Eh?>>
<< A che ora andiamo >> ripete. << Non vogliamo perderci l’arrivo dei carri, no?>>
Sono confusa. << Ma come? Tu non…>>
<< Bambina mia, non avrai mica creduto che ti lasciassi andare lì tutta da sola?>> Scuote un dito davanti la mia faccia. << No, no, no, no. Verrò anch’io.>> Si alza, afferrando la coppa di gelato e versandoci sopra lo zabaione.
Poi mi si para davanti, chiudendomi con una mano la bocca che non mi ero accorta di tenere aperta. << Chiudi la bocca, tesoro. È maleducazione.>> Mi fa l’occhiolino e se ne va.
Non posso crederci. Ha davvero detto che verrà anche lei? Dovrò andare lì… con mia madre?!
Oh, no… La mia vita sociale è ufficialmente finita. Che cosa dirò, ora? “Scusa, John, non posso venire con te. Ho già promesso di andare lì con mia madre…”. Oh… Cavolo! Può andare peggio di così? No, non credo.
Ma, se voglio affrontare bene la serata, devo cominciare a pensare alle cose positive. Mi divertirò con Mia. Avrò la possibilità di scattare molte belle foto. E poi, potrò passare tutta la serata con John… e con mia madre.
 
Quando arrivo davanti scuola, ho la sensazione di essere in un film dell’orrore.
Tutti, in occasione della festa di Halloween, indossano maschere e strani costumi, magliette sporche di ketchup (che dovrebbe sembrare sangue, ma non ci si avvicina neanche lontanamente) e strani cerchietti che danno l’idea di essere appena stati colpiti da un’ascia.
Non mi piacciono queste maschere. Sono stupide. E infantili. Insomma, dov’è l’originalità?
A testa bassa, attraverso il corridoio e raggiungo il mio armadietto, aprendolo e prendendo l’occorrente per la prossima lezione.
Ad un tratto, una voce squillante risuona nel mio timpano sinistro.
<< Ehi!>> trilla Mia, così forte da farmi sobbalzare.
Mi volto a guardarla, per fulminarla con lo sguardo, quando mi accorgo dell’ascia che ha conficcata in testa. Storco il naso. << Ciao >> mormoro, con scarso entusiasmo.
<< Che c’è?>> domanda lei. << Non ti piace il mio cerchietto?>>
Sorrido. << Si, certo. Originale. Nuovo, oserei dire >> affermo, sarcastica.
Mia incrocia le braccia al petto, fingendosi offesa. << Beh, tu che indosseresti, signorina Armani? Sentiamo.>>
Scrollo le spalle. << Non lo so… qualcosa di diverso, credo. Siete tutti così monotoni.>>
<< Non è colpa mia se sono questi i costumi che si indossano ad Halloween.>>
Faccio spallucce. A me non piacciono. Non possono mica farmene un colpa.
<< Allora…>> fa Mia, dopo un minuto di silenzio. << Pronta per stasera?>> chiede, in tono malizioso.
Io chiudo gli occhi. Ecco la domanda che tanto temevo. Come glie lo dico, adesso? Storco il naso, grattandomi la nuca imbarazzata. << Ecco, a proposito di questo… volevo dirti che io…>>
Qualcuno, da dietro, mi pizzica i fianchi, facendomi sobbalzare. Mi volto di scatto, ritrovandomi il volto di John a pochi centimetri dalla faccia. << Ehi!>> esclama, con un sorriso.
Mi sento le gambe molli, e, con un po’ di imbarazzo, mi allontano di un passo da lui. Faccio un respiro profondo. Riprenditi, Valeri. Insomma!
Torno me stessa. << Dovresti smetterla di pizzicarmi sempre i fianchi >> dico, un po’ infastidita. << È una cosa snervante.>>
John fa spallucce. << Ok…>> mormora, fingendosi offeso. Abbassa lo sguardo, ma lo vedo. Lo vedo ridere sotto i baffi. Quella faccia da furbo non mi piace…
Mi volto verso Mia, nel tentativo di trovare un modo carino per dirle che non passerò la serata con lei, ma, proprio in quel momento, John allunga la mano verso il mio fianco destro.
Con un piccolo salto mi allontano di un passo, voltandomi verso di lui e afferrandogli la mano a mezz’aria. << No >> lo rimprovero, con un mezzo sorriso, con lo stesso tono che useresti con i bambini.
John sorride, divertito, e solo in quel momento mi accorgo della rapidità della mia azione. Sono davvero diventata più veloce. Però!
Torno a guardare Mia, che ci osserva con un sorriso malizioso. Immediatamente, arrossisco. Non so perché. Spero solo che John non se ne sia accorto.
<< Allora… di che parlavate?>> chiede quest’ultimo, con aria innocente.
Mia scolla le spalle. << Niente di che… Stavamo parlando della festa. Verrai, vero John?>>
Mi volto a guardarlo. Ha abbassato lo sguardo e si sta grattando la nuca, imbarazzato. << Ecco, in realtà… verrò, ma con mio padre. Ci siamo trasferiti qui da poco, e anche lui ha voglia di vedere la parata. Mi dispiacerebbe lasciarlo solo…>>
Strabuzzo gli occhi, mentre Mia annuisce, comprensiva. << Si, capisco. È giusto, non preoccuparti. Ci incontreremo lì.>> E sorride.
Sorrido anch’io, ma stavolta per lo stupore. Sono… allibita. Possibile che i genitori siano tutti così… apprensivi?
Mia mi scrolla un braccio, distogliendomi dai miei pensieri. << Valeri… Allora? Cosa volevi dirmi?>>
Rimango un attimo interdetta, guardando ora Mia, ora John. << Beh, io…>>
<< Valeri!>> una voce forte e imponente mi chiama dalla fine del corridoio.
Mi volto, non capendo, quando vedo il preside Harris agitare le braccia nella mia direzione.
Oh, no. Che ho fatto stavolta?
Il preside inizia a venirmi incontro e, non appena vedo che non ce la fa, comincio a camminare verso di lui. In realtà ho la forte tentazione di scappare dalla parte opposta, ma, l’intuito mi dice che, se sono già nei guai, scappare peggiorerebbe solo la situazione.
Quando siamo abbastanza vicini, Harris si ferma, poggiando le mani sulle ginocchia e facendo grandi respiri. Dopo qualche secondo, però, raddrizza la schiena, tornando ad assumere la sua solita posa autoritaria.
<< Ciao Valeri.>>
<< Buongiorno a lei, preside Harris.>> Adulazione. Ho già detto che è una grande tattica? << Mi cercava, forse?>>
Lui annuisce, pensieroso. << Si, sono venuto qui per chiederti un favore.>>
Aggrotto la fronte. << Un favore?>
<< Un favore >> ripete. << Come ben sai, questa sera qui in città si terrà la “New York Halloween Parade”. Tu ci andrai, giusto?>>
Annuisco. Non ho ancora ben capito cosa voglia da me.
<< Bene. Tra i tanti carri, sfilerà anche quello della nostra scuola. Tutti i fotografi che lavorano per un giornale hanno il compito di fotografarlo, ma io non mi fido molto di quella gente. Il nostro carro è molto bello, e la nostra scuola deve spiccare. Quindi, ho già chiesto ai ragazzi che frequentano il corso di fotografia in questa scuola di scattare qualche foto in più, così, tanto per essere sicuri.>>
<< E cosa centro io?>>
<< Tu, mia cara, dovrai fare lo stesso. So che quei ragazzi sono tutti degli appassionati, ma non mi fido molto neanche di loro. Non sanno guardare attraverso l’obbiettivo, non sanno cogliere l’attimo. Ma tu si. Sappiamo entrambi la tua bravura nello scattare delle ottime fotografie. Ti chiedo solo di farne qualcuna questa sera alla parata.>>
Sono sbalordita. Sbalordita, ma anche contenta. << Ma… ma… perché proprio io? Come sa che sono così brava?>>
Lui scrolla le spalle. << Ho visto le foto sul tuo sito, e devo ammettere di essere un tuo grande fan, e poi, c’è qualcuno che ha confermato per te >> afferma, indicando con un cenno qualcuno alle mie spalle.
Mi volto e, con un gran sorriso, sia Mia che John mi salutano con i pollici alzati.
Sorrido, riconoscente.
<< Allora, ci stai?>> domanda il preside, a cui non ho ancora dato un risposta.
Faccio finta di pensarci, anche se so perfettamente cosa dire. << Ma certo >> rispondo, cercando di contenere l’entusiasmo. << Conti pure su di me.>>
Lui sorride, contento, e, dopo avermi salutato, si volta per tornare nel suo ufficio.
Non appena se ne va, rilasso i muscoli della mia faccia, facendo allargare la mia bocca in un ampio sorriso. Mi volto e corro verso Mia e John, abbracciandoli di slancio.
<< Oh, grazie, grazie, grazie!>> esclamo.
Mia ride. << Noi non abbiamo fatto niente. Sei tu quella brava con la macchinetta.>>
Mi stacco dall’abbraccio, guardandoli entrambi emozionata. Che bello, non vedo l’ora. Finalmente ho la possibilità di dimostrare quanto valgo. Di dimostrarlo a tutti.
La campanella suona, segnando l’inizio della prima ora.
Faccio mente locale. Ho lezione di Letteratura.
In un altro contesto avrei riempito d’aria le guance e avrei sbuffato. Ma ora no. Ora sono troppo felice.
Chiudo il mio armadietto, saluto Mia e John e mi dirigo verso l’aula. Troppo felice.
 
La campanella suona.
Ecco che inizia la sesta e penultima ora.
Raggiungo il mio armadietto. Ho Arte ora.
Lo richiudo e, mentre percorro il corridoio dritta verso l’aula, John mi si para davanti.
<< Ehi, Valeri! Hai Arte, giusto?>>
Sorrido, guardandomi intorno. So che John prima aveva lezione di Matematica, e so anche che l’aula di Matematica è a circa due corridoi da qui. Davvero ha corso così tanto solo per venirmi incontro? Annuisco. << Si, certo.>>
Lui sorride, fingendosi non curante. << Perfetto. Andiamo, allora.>>
Riprendiamo a camminare, arrivando davanti l’aula d’Arte. Alcuni sono già arrivati. Altri ancora no. Il professore, però, è già qui.
<< Riprendete i posti dell’altra volta, ragazzi >> ci dice, sorseggiando una limonata. Dopo aver arricciato il naso per via del sapore amaro di quella bevanda, poggia il bicchiere vuoto sul tavolo.
<< Vi ho riportato i quadri >> ci informa. Io e John prendiamo posizione, sedendoci uno di fronte all’altro. Improvvisamente, arrossisco. Ricordo benissimo il mio quadro, e la cosa è piuttosto imbarazzante.
Il professor Martin afferra una pila di tele, passando accanto ad ognuno di noi e porgendoci i nostri quadri.
Si ferma davanti a John, dandogli il suo, e, dalla sua espressione, capisco che ha preso un buon voto. Prima di passare agli altri, però, il professore fa una cosa strana. Si china su John e gli sussurra qualcosa. Lui aggrotta la fronte.
Che gli ha detto? Perché ha aggrottato la fronte? Non gli avrà mica detto che…
Il professore mi si para davanti, cercando il mio quadro. Non appena lo trova, me lo porge.
<< Bel lavoro, Valeri >> afferma. << A+ >>
Strabuzzo gli occhi. A+? Ho davvero preso una A+? Sorrido.
Il professore sta per passare al ragazzo successivo, quando mi accorgo che si è chinato leggermente verso di me. Ora si che riesco a scorgere le macchioline di succo d’arancia sulla sua sciarpa, oggi verde. Mi sorride. << Sai, a quanto pare avete avuto la stessa idea. Curioso, non trovi?>>
Mi fa l’occhiolino, prima di raddrizzarsi e passare al prossimo.
Aggrotto la fronte. La stessa idea? Chi ha avuto la mia stessa idea? Quale idea?
Osservo il mio quadro. Io ho dipinto John. Chi altro il classe ha potuto dipingerlo?
Alzo lo sguardo, per scrutare le ragazze che mi circondano, quando i miei occhi incontrano quelli blu di John. Lo guardo. Lui mi guarda. E un lampo mi attraversa la mente.
Il professor Martin si è chinato anche su di lui, prima, per dirgli qualcosa. Ma che cosa? Forse…
John, però, credo ci sia arrivato prima di me, e lentamente gira il suo quadro.
Il mio cuore prende tre battiti.
Lì, proprio di fronte a me, il mio ritratto mi osserva, sorridente. È perfetto. Sembra quasi di guardarsi allo specchio. Non posso crederci…
Guardo John, e lui fa spallucce, imbarazzato.
Sorrido, girando a mia volta la mia tela. Lo vedo sorridere spaesato, quando si riconosce nel dipinto.
Ci guardiamo negli occhi e, insieme, ridiamo.
Non posso credere che lui abbia avuto la mia stessa idea.
Non posso credere che anche lui sia così bravo a disegnare.
Non posso credere che lui abbia disegnato proprio me.
 
Esco da scuola con un po’ di fretta.
Non so perché. Forse perché voglio che il tempo acceleri. Forse perché ora non vedo l’ora che arrivi stasera.
Cerco Mia con lo sguardo. Non c’è. Sarà andata a prepararsi. O forse Matt è venuta a prenderla. Quei due sono perfetti, insieme. Spero tanto che alla parata se ne rendano conto.
Osservo la strada. Questa mattina sono venuta a piedi a scuola, ma avevamo già deciso che sarebbe stata Mary a venirmi a riprendere, fuori scuola.
Solo che ora di lei non c’è traccia. Come non detto, mi toccherà aspettare.
Inizio a dondolarmi sulle punte e i talloni, fischiettando qualcosa per ammazzare il tempo. Poi, inizio a far scorrere i pensieri.
Ad interromperli, ci pensano due braccia, che mi avvolgono la vita, stringendomi contro un altro corpo.
Mi sento avvampare per l’imbarazzo, mentre mi volto. I miei occhi si perdono immediatamente in quei pozzi blu che sono quelli di John, i nostri volti ad un palmo. Lui sorride.
<< Aspetti qualcuno?>> mi chiede.
Annuisco, o meglio, tento di annuire, mentre cerco di ricordarmi come si respira. << Mia madre >> balbetto.
Lui annuisce, un po’ deluso. << Speravo di poterti riaccompagnare a casa. Vabbè, vorrà dire che ci rivedremo direttamente questa sera.>>
Lo guardo ancora, in silenzio. Non so cosa dire. Credo di aver dimenticato come si articola una parola. Lui sorride. << Visto?>> mi fa. << Non ti ho pizzicato i fianchi, stavolta.>>
Sorrido. Eh, già. Questo è decisamente molto meglio che farsi pizzicare i fianchi.
Distrattamente, lui guarda il suo orologio. << Devo andare >> dice. << Si sta facendo tardi.>>
<< A… a stasera, allora >> balbetto. Evvai! Sempre meglio di niente.
Lui sorride, chinandosi leggermente verso di me. Poi, lentamente, mi stampa un dolce bacio sulla guancia. << A stasera >> dice. Poi si divincola dall’abbraccio e se ne va, dirigendosi verso casa.
Mi sento avvampare, mentre mi sfioro la guancia, sbalordita.
Mi ha… mi ha…
Il forte suono di un clacson mi riporta alla realtà.
Comincio a camminare all’indietro, senza voltarmi. Non ho bisogno di farlo. So per certo che è quello della macchina di Mary.
Lentamente, salgo in macchina, e solo allora, mentre Mary parte e poggio la mia testa sul finestrino, mi rendo conto di sorridere come un’ebete.
A stasera, ha detto. Si, a stasera.

Angolo Scrittrice
Ehilà!
Come va, bella gente?
Ecco a voi, appena sfornato dalla mia mente contorta, un altro capitolo di questa strana storia. Lo so, vi avevo promesso che il prossimo sarebbe stato direttamente sulla festa di Halloween, ma, andiamo, questo ci stava tutto!
Vi prometto che nel prossimo vi accontenterò! :)
Non so esattamente come è venuto? E' bello? E' brutto? Fatemi sapere, mi raccomando, i commenti sono sempre bene accetti ;)
Non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo, quindi, nell'incertezza, approfitto di questo angolo per augurarvi
Buona Pasqua! E mi raccomando, mangiate tanto cioccolato anche per me! xDxD
Oggi, poi, è
Venerdì Santo. Non so da voi come si festeggia o se si festeggia, ma qui c'è una grande processione con un grande coro, che segue piangente le statue di Maria e Gesù. Anche se un po' triste, è molto bello, e non voglio perdermelo. Quindi ora vado, per la felicità di molti di voi ;D
Da voi c'è qualcosa di particolare? Qualche processione o usanza del genere? Sono curiosa... ^^
Ok, basta, ho finito.
Un
Bacione a tutti quanti e di nuovo Buona Pasqua!
La vostra
ValeryJackson <3


  
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