E
finalmente ho trovato il tempo e la voglia di finire questa ficci...nonostante
tutti i buoni propositi, non sono riuscita a tirare fuori un lieto fine.
C’è un
piccolo messaggio qui dentro...l’amore vero non finisce mai.
Ok,
posso anche uccidermi =_________=” *si suicida*
Not happy ending.
I giorni che ci separano al processo passano velocemente.
Così come le notti. Le nostri notti insieme. Passate
ad accarezzarci, a sorriderci, a dirci “ti amo” a vicenda, a fare l’amore…
E pensare che tra pochi giorni tutto questo sarà un ricordo…ci
fa solo stare male.
Perché ci amiamo, come il primo giorno…e continueremo a
farlo…
La
vigilia del processo. Sono seduto sul divano, in salotto. Nella casa di Ryo.
Nella nostra casa. Quella casa che ha visto
crescere il nostro amore, giorno dopo giorno. Ma che da domani non ci vedrà più
insieme…comunque vada.
Sto
aspettando che rientri. Devo parlargli. Ho preso una decisione…perché lo amo da
morire. E non voglio coinvolgerlo in tutto questo. E’ strano…lui è l’unica
persona di cui avrei bisogno.
Sento
la chiave girare nella porta, la serratura che scatta…
E’
lui.
Respiro
profondamente. Sento già le lacrime bruciarmi gli occhi. Dio, lo amo, lo amo da
morire…ma devo farlo…lui…non deve soffrire…
Sento
la sua voce chiamarmi dall’ingresso, e io lo chiamo a mia volta…
“Ryo…sono
in salotto…”
E
sento i suoi passi avvicinarsi…quei passi che ho sempre atteso con tanta gioia…
Ma
non posso.
Perché lo amo.
(¯*°`-
. _ . -´°*¯)
Un giorno? Un mese? Un anno?
Non lo so. Non so quanto tempo è passato, dall’ultima
volta che l’ho visto.
So solo che io, da quel giorno...non vivo più.
Quel giorno. Non uno qualsiasi. Il giorno del processo.
Se chiudo gli occhi, posso vederlo ancora, davanti a me.
Spaventato, con gli occhi sgranati. Quegli occhi che tanto
amavo, e che amo tutt’ora, aperti a dismisura. Ricordo ancora che lo paragonai
ad un cerbiatto. Un dolce, innocuo cerbiatto, autore di un delitto atroce. E
dentro di me gridavo, gridavo che non poteva essere
condannato, non poteva. Perché Uruha, il mio Uruha, quel cerbiatto
spaurito...mi amava. E il suo amore, quell’amore che lui nutriva per me, lo
assolveva da ogni peccato.
Dio. La sera prima. Il nostro ultimo litigio. La nostra
ultima notte d’amore.
“Lo faccio per il
tuo bene, Reita...ti amo, Reita. E non voglio che passi il resto della tua vita
nel mio ricordo...”
“Uruha, sii...sii ragionevole. E’ inutile chiedermi
questo.”
“E’ meglio così...”
E, nonostante le sue parole, ci siamo amati, amati come
mai prima d’ora. Perché era l’ultima volta.
Sono andato a trovarlo, qualche volta. In ogni momento
libero.
I capelli sfatti, il trucco ormai assente, quella
maledetta tuta arancione –lui odia l’arancione, l’ha sempre odiato, lo so– . Il mio Uruha.
Quella lastra di vetro spessa almeno quanto la barriera
che nonostante tutto si andava creando fra i nostri cuori ci ricordava in ogni
momento quanto non fossimo liberi di amarci.
Non potrò più amare nessuno. Per il semplice motivo che
ormai il mio cuore appartiene ad un’altra persona.
E non farò nulla per riprendermelo.
Tanto vale morire, senza Uruha con me.