Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
(Centro di gravità permanente - F. Battiato)
CAPITOLO TERZO Le
persone cambiano
14 Maggio.
Ore 6.15
Washington
D.C. – Sede NCIS
“JENNY!”
il suo
nome gli uscì dalle labbra a bassa voce, ma abbastanza
nitidamente da essere
sentito da chiunque si fosse trovato lì vicino; la testa era
ancora appoggiata
al supporto metallico sul quale si era addormentato. Era stato un
incubo, solo
un incubo per fortuna. Si passò entrambe le mani sul volto e
si stiracchiò
sulla sedia.
“Da quando
sogni il
direttore?” chiese la voce di McGee che in quel momento se ne
stava fermo
davanti alla sua scrivania e lo fissava con un sopracciglio alzato.
Tony gli rispose con
espressione indecifrabile, tra il seccato e il preoccupato.
“Non ho
sognato il
direttore”
“La chiamavi
nel
sonno.”
“McGee ha
ragione.”
Gli fece eco Ziva mentre appoggiava
la
sua tazza di te sulla scrivania.
“Che
cos’hai lì,
Pivello.”
McGee
spostò gli
occhi sull’oggetto che aveva nella mano sinistra
“il nastro con i video di
sorveglianza dell’aeroporto. Le stavo portando da
Abby.”
“Allora cosa
ci fai
ancora qui!?”
“Smettila di
imitare Gibbs… Perché sognavi il direttore
Shepard?” il tono malizioso non
lasciava dubbi, chissà in che veste aveva immaginato Jen o,
trattandosi di
DiNozzo, sicuramente l’aveva immaginata senza alcun vestito.
Tony non rispose,
si alzò bruscamente spostando la sedia che andò a
sbattere contro lo scaffale
alle sue spalle, producendo un acuto suono metallico “Vado a
prendermi un
caffè.”
“Tony…
Tony dai, io
non…” la voce del collega lo raggiunse ma lui si
limitò ad alzare una mano come
a voler scacciare un fastidioso insetto che gli ronzava accanto
all’orecchio.
“Scendo a
portare
il nastro ad Abby, magari scopriamo qualcosa.” Concluse
rivolto verso Ziva, ma
la sua collega non lo stava ascoltando, fissava il punto in cui Tony
era
sparito, inghiottito dalle porte di acciaio dell’ascensore,
sembrava
preoccupata. Forse avrebbe dovuto esserlo anche lui. Ricordava cosa
significava
essere oppressi dai sensi di colpa, l’aveva provato quando
aveva sparato a quel
poliziotto, forse non era stato lui ad averlo ucciso, ma il suo ricordo
continuava a presentarsi di tanto in tanto nella sua mente. L’aveva provato
quando quel giovane barista psicopatico
aveva iniziato ad uccidere marinai seguendo la trama del suo libro. Il
suo
libro. Aveva convissuto con quel senso di colpa, abbandonando
addirittura la
stesura del romanzo per un tempo che gli era sembrato infinito.
Scacciò
quel
ricordo scrollando la testa, non era il momento per pensare a queste
cose, qualcuno
se ne andava in giro a reclutare dei killer, c’era in gioco
la vita del
direttore Shepard e forse non solo quella. Doveva andare da Abby, anche
perché,
ne era sicuro, Gibbs non avrebbe tardato a chiamare chiedendo di
aggiornarlo su
eventuali sviluppi.
∂∂∂
14 Maggio. Ore 8.30
Washington
D.C. – Sede NCIS
Tony
appoggiò le
mani sulla lastra di marmo e chiuse gli occhi.
Sangue.
Le sue mani erano coperte di sangue.
Aprì il
rubinetto e
lasciò che l’acqua fresca gli scorresse sui palmi
bianchi, li strofinò uno
contro l’altro cercando di lavare via quella
vischiosità scarlatta che nella
sua mente gli avvolgeva le dita e sembrava non voler sparire.
Il
viso pallido con due smeraldi opachi sotto
alla frangia ramata. Gli occhi di Gibbs che lo guardavano con profonda
delusione, mentre sollevava il corpo esanime di Jen tra le braccia.
Si passò
l’acqua
fredda sul viso e sugli occhi nel vano tentativo di togliersi
quell’immagine.
La porta si
aprì e
un inconfondibile profumo di muschio bianco lo investì,
pizzicandogli le
narici “Se non l’hai notato questo è
ancora il bagno degli uomini.”
Ziva si chiuse la
porta alle spalle e avanzò di qualche passo fino ad arrivare
a brave distanza
da Tony, appoggiandosi al piano di marmo nel quale erano incassati i
lavandini.
“Mi avevano
offerto
di dirigere una squadra tutta mia…a Rota, in
Spagna.”
La donna
annuì. Lo
sapeva. Jen glielo aveva comunicato una sera, davanti ad una tazza di
té, poco
dopo il reintegro definitivo di Gibbs.
“Forse avrei
dovuto
accettare. Che ore saranno lì, sicuramente sera. Sai quante
belle donne ci sono
in Spagna che avrebbero potuto conoscere Tony DiNozzo.” Prese
un asciugamano di
carta e si asciugò le mani, mentre un falso sorriso comparve
sul suo viso, era
preoccupato, ma non sarebbe stato Tony se non avesse cercato di
sdrammatizzare
la cosa, pensò lei.
“Abby non te
lo
avrebbe mai perdonato.” Rispose Ziva ma lo vide subito
incupirsi di nuovo “Non
hai fatto nulla di sbagliato Tony.”
“Credi che
Gibbs
l’avrebbe lasciata girovagare per Los Angeles da
sola?” gettò la carta
appallottolata dell’asciugamano nel cestino.
No, Gibbs no
l’avrebbe mai fatto, da chiunque fosse giunto
l’ordine. E di sicuro avrebbe
riconosciuto la voce di Franks in sottofondo. Aveva avuto il compito di
proteggere il suo direttore, una donna che aveva imparato a stimare e
con la
quale aveva affrontato momenti difficili, sia dopo la partenza di
Gibbs, sia
dopo il suo ritorno. Lei si era fidata e lui aveva preferito andarsene
in giro
con Ziva a farle foto in costume, intenta a prendere il sole.
“Hai
eseguito gli
ordini, non hai nulla da rimproverarti.”
“Sei venuta
perché
avevi qualcosa da dirmi, David?”
Aveva i capelli
spettinati e una goccia d’acqua gli scendeva dalla fronte
lungo la guancia,
un’espressione risoluta gli si dipinse in volto: aveva
imparato molto da Gibbs.
La conversazione per il momento era conclusa.
“Abby ha
qualcosa.”
Rispose e uscì dal bagno seguita dal collega.
∂∂∂
14 Maggio. Ore 11.00
Los
Angeles- California Hospital
Medica Center
Mike Franks si
accostò al letto di Jen per rimboccarle le coperte, sembrava
dormire serena;
c’era una poltroncina accanto alla finestra, Franks vi prese
posto ed iniziò a
frugarsi nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette.
“Lo sa che
non puoi
fumare all’interno dell’ospedale.” La
voce di Jen gli giunse debole alle
orecchie.
“Motivo in
più per
tornarmene in Messico il prima possibile. Come sta,
direttore?”
“Sono stata
meglio.”
“Dovrebbe
mangiare
qualcosa.” Suggerì, guardando il vassoio della
colazione ancora pieno.
“Non
l’ho ancora ringraziata.”
“Non
è ancora
finita.” Prese il L.A. Times che qualcuno, di sicuro
l’infermiere, aveva
appoggiato sul comodino assieme al vassoio e iniziò a
sfogliare le pagine.
Jen
abbandonò la
testa sul cuscino, rivolta verso la porta, quasi ad aspettare
l’arrivo di
qualcuno. Si era svegliata con l’infantile speranza di
trovare Jethro accanto
al suo letto e aveva cercato di mascherare la cocente delusione quando
al suo
posto vi aveva visto Franks con l’immancabile pacchetto di
sigarette in mano;
che sciocca. Si era accertato che fosse ancora viva e che stesse bene
ed era
sicuramente già tornato a Washington.
Dannazione! Avrebbe
avviato un’indagine e non era questo che doveva accadere, lui
doveva restarne
fuori. Lei era responsabile di quel casino, come lo era per la morte di
Deker.
Non poteva permettere che lo stesso accadesse a Gibbs. Uno stupido
errore di
dieci anni prima. Avrebbe dovuto parlargli, spiegargli come stavano le
cose. Come
se fosse stato semplice. Non appena avesse saputo chi c’era
dietro a tutto
questo, si sarebbe infuriato perchè lei glielo aveva tenuto
nascosto. Poco
importava la gerarchia di comando, ricordava benissimo la sua reazione
quando
aveva scoperto de la Grenouille.
“Novità
dal
giornale?” chiese vedendolo sfogliare il quotidiano con
scarso interesse.
“L’Iran
si prepara
al post elezioni, mentre il papa organizza il Giubileo Paolino e si
prepara ad
accogliere i giovani in Australia. Il prezzo dell’oro
è salito e… le tavole
calde nel deserto sembrano ancora dei posti sicuri.”
“Bene.”
A quanto
pare la notizia della sparatoria non era trapelata, evidentemente non
volevano
scandali prima di sapere come erano andati i fatti. Aveva tempo.
Mentre la mente
ricominciava a vagare alle ricerca di possibili soluzioni, gli occhi
continuavano a restare fissi sull’ingresso e Franks non
poté non notare come
trattenesse il respiro ogniqualvolta un’ombra passava davanti
alla camera.
“Gibbs
è sceso a
prendersi un caffè.” Le disse pensando di intuire
i suoi pensieri.
Jen si girò
nella
sua direzione visibilmente sorpresa. Quindi era ancora lì,
due sentimenti
opposti si scontrarono, la gioia di saperlo ancora
nell’edificio e rabbia per
aver di nuovo disubbidito ai suoi ordini, prevalse la seconda.
“Pensavo di
essermi
espressa chiaramente, quando gli ho detto che non erano affari
suoi.” Lo disse
più rivolta a sé stessa che non a Franks.
“Credo che
lei lo
conosca abbastanza da sapere che non mollerà così
facilmente.”
“Che cosa
diavolo
pensa di fare?”
“Chi erano
gli
uomini della tavola calda?” evitò la risposta
ponendole una nuova domanda.
“Non
è tenuto a
saperlo. La ringrazio del suo aiuto, ma credo che lei ora possa
andare.” La
ferita al fianco iniziava a bruciare, istintivamente portò
una mano sopra la
fasciatura e chiudendo gli occhi prese un profondo respiro.
Mike
increspò le
labbra in una smorfia, incredibile, era in un letto
d’ospedale eppure si
comportava come se fosse seduta alla scrivania del suo ufficio.
“Ho
ordine di farle da scorta” affermò rivolgendole
un eloquente sorriso.
Per il momento la
conversazione sembrava conclusa e a conferma di ciò le porte
a vetri si
aprirono con un leggero sbuffo.
“Scusi ma
dobbiamo
controllare la medicazione e fare un paio di esami.”
Un’infermiere dall’aria
gioviale entrò in quel momento seguito da una ragazza molto
giovane con una
lunga treccia di capelli castani e due occhi attenti e curiosi, con
molta
probabilità una studentessa.
Rivolse un sorriso
alla ragazza e dopo aver salutato Jenny uscì dalla stanza,
aspettando che
arrivasse Jethro a dagli il cambio.
∂∂∂
14 Maggio. Ore 11.20
Gibbs
sorseggiò il
caffè, comodamente seduto su una panchina poco fuori
l’ospedale. Osservava con
attenta curiosità chiunque si aggirasse nei dintorni e solo
due piccoli segni
scuri attorno agli occhi indicavano la sua quasi totale mancanza di
sonno. Aveva
passato tutta la notte appollaiato sulla poltroncina accanto a Jen,
vigile
anche nel sonno, percependo ogni suo più piccolo movimento o
cambiamento di
respiro.
Si soffermò
rivolto
verso una figura che incedeva con passo calmo nella sua direzione. Era
una
donna. I lunghi capelli biondi erano lasciati sciolti ad incorniciare
il
profilo elegante del viso, nel quale spiccavano due occhi chiari.
Gibbs la
guardò
avvicinarsi sollevando un sopracciglio e aggrottando un po’
la fronte.
“Sembra
sorpreso di
vedermi agente Gibbs?”
“Diciamo che
mi
aspettavo qualcun altro.”
“Sta
lavorando
sotto copertura. Mi ha avvertita dopo la tua telefonata. Comunque sono
anche io
contenta di rivederti Jethro. Non sei cambiato affatto.”
“Hai
il fascicolo con te?” Chiese con un moto
di disappunto.
“Come sta il
direttore Shepard?”
“Se la
caverà”
rispose continuando a fissare la donna in attesa di una risposata alla
domanda
iniziale.
“Lo sai che
di
norma c’è una procedura da seguire.”
“Significa
no?”
“Significa
che avresti dovuto inoltrare una
richiesta scritta e attendere la risposta; tuttavia visto che me lo ha
chiesto
Callen e poiché si tratta di Jen…ecco
qui.” La
donna estrasse una busta color senape dalla
borsa e la diede all’agente “Posso chiederti a che
cosa ti serve il fascicolo
di William Deker?”
“Ancora non
lo so.
”
“Continui a
non
avere fiducia in me, vero.”
Gibbs prese il
fascicolo e sorrise sarcastico prima di avviarsi verso
l’ospedale concludendo
la conversazione, ma a quanto pareva la donna non era dello stesso
avviso
perché con un paio di falcate si portò a lato
dell’agente.
“La gente
cambia. Lei
non ha mai commesso errori, agente Gibbs?” aveva usato di
proposito un tono
formale.
Jethro la
osservò con
più attenzione, c’era qualcosa di diverso
dall’ultima volta in cui si erano
visti e poco centrava con il fatto che fossero passati più
di quindici anni.
“C’è
altro che
vuole dirmi?”
“Posso
incaricare
due miei agenti per un turno di sorveglianza. Così potrete
darvi il cambio per
il tempo che il direttore resterà qui.”
Raggiunsero il
piano in cui si trovava la stanza del direttore: Mike era seduto su una
delle
sedie a muro del corridoio.
“Credevo che
l’agente Franks fosse in pensione.”
“È
venuto a trovare
un’amica.”
La bionda
annuì
poco convinta, ma per ora poteva lasciar correre, perciò
rivolse nuovamente la
sua attenzione verso l’uomo al suo fianco attendendo una
qualche risposta alla
sua proposta.
“Devo
mettermi in
contatto con la mia squadra.”
“Abbiamo una
sala
videoconferenze niente male al OSP.”
Gibbs le rivolse un
mezzo sorriso, poi gli occhi caddero su un piccolo mazzo di fiori che
teneva
nella mano destra e che fino a quel momento gli era sfuggito;
alzò un
sopracciglio interrogativo.
“Pensavo di
darli
al direttore.” Rispose e si avviò verso la stanza
di Jen. Quando passò davanti
a Franks gli rivolse un cenno con la testa e lui non nascose la propria
sorpresa nel vederla.
“Quella non
è Lara
Macy, Pivello?”
“Aha.
Sì.”
“Cosa
diavolo ci fa
qui?”
“La gente
cambia,
Mike.”
∂∂∂
14 Maggio. Ore 16.00
Washington
D.C. – Los Angeles
“Gibbs
ci vuole tutti in sala videoconferenze.
Anche tu Abby.” Disse McGee rivolto alla scienziata.
“Perché
il capo ha
chiamato te, Pivello. Sono io l’agente più
anziano.” Tony un po’infastidito premette
il pulsante del piano desiderato.
“Lo ha
fatto.”
“No. Io non
ho
sentito nul…eheh devo aver inserito per errore il
silenzioso.” Disse con
noncuranza guardando il display su cui era comparso l’avviso
di due chiamate
perse.
Entrarono nella
sala in penombra, Gibbs era già apparso sullo schermo e li
stava guardando
impaziente.
“Ciao Gibbs.
Quando
torni? Tony si è dimenticato di portarmi il caffè
stamattina, tu non te lo
dimentichi mai.”
“Ti trovo
bene capo.
Credo che l’aria della California ti
giovi…” Disse l’agente più
anziano
“DiNozzo!”
“Ehm
sì giusto
capo. Uno dei killer si chiamava Viggo Drantyev, russo, era arrivato
quattro giorni
fa con un volo da Mosca, e si era registrato all’Hotel
Excelsior. Gli altri tre
sono James Baxter, Horatio Parker e Ronald Nielsen, tutti e tre killer
professionisti ricercati dalla polizia di San Diego. Sono stati
reclutati sul
posto.”
“Da
Drantyev?”
“Forse. Ma
non ne
siamo sicuri.”
Gibbs
guardò i suoi
agenti con aria truce “cosa vuol dire non ne siete
sicuri?”
“Non avevano
alcun
effetto personale con sé, niente cellulare, nulla. Siamo
risaliti a loro grazie
all’identificazione facciale.”
“L’unico
ad avere
con sé il cellulare era Drantyev.”
Specificò Ziva “Ma…”
“Ma
cosa!?”
“Ma
è stato colpito
in pieno da un proiettile del direttore e non ci si può fare
più niente.” Disse
Abby intervenendo nella conversazione. “Ma tu dove sei? Non
credevo che in ospedale
avessero degli schermi per…”
“Abby!”
“Hai
ragione, non
ti ho neanche chiesto del direttore, allora, come sta?”
“Quindi non
avete
niente?”
“Niente non
direi
capo. McGee si è fatto dare i nastri delle telecamere
dell’aeroporto, si vede
Drantyev che sale in auto con una donna.”
Gibbs lo
guardò in
attesa che continuasse.
“Pivello,
fai
partire il nastro.” Disse rivolto al collega che si trovava
accanto alla
console di comando.
Sullo schermo
apparvero le immagini di un uomo e una donna che salivano su un taxi
posteggiato all’uscita dell’aeroporto.
“Crediamo
sia la
stessa donna che ha fotografato il direttore al funerale di Deker, si
chiama Natasha
Lenkov.”
“McGee,
le foto.”
“Subito
capo”
“Purtroppo
finora
non sappiamo nulla sulla Lenkov. Nulla prima del 1999.”
Sullo schermo
comparve il profilo di una donna dai capelli biondi, gli occhi coperti
dalle
lenti degli occhiali da sole, ma Gibbs non ebbe dubbi, era di sicuro
lei.
“Provate con
Svetlana Chernitskaya.” Disse e
pose fine
alla conversazione lasciando i suoi uomini ammutoliti a fissare uno
schermo
nero.
La porta alle loro
spalle si aprì rivelando la figura di Vance “Ci
sono novità sul caso?” chiese
il vicedirettore.
“No. No signore.” Rispose Tony anticipando i
colleghi.
“Allora cosa ci fate qui? E perchè Gibbs era in
videoconferenza?”
“Ci informavamo sulle condizioni del direttore.”
Rispose Abby con un sorriso e
si apprestò a seguire i suoi colleghi all’uscita.
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17 Maggio. Ore
15.10
Messico
– Stazione di polizia di un piccolo paesino.
Mike
Franks entrò nella stazione di
polizia, attraversò l’unica stanza presente,
salutando i due uomini
affaccendati con alcune scartoffie ed entrò in una porta
laterale che conduceva
all’ufficio dello sceriffo.
“L’avete
trovata?” chiese rivolto all’uomo
che alzò la testa, sbucando dal cassetto in cui stava
frugando alla ricerca di
qualcosa.
“Sì,
questa mattina. Era a casa sua.”
“Avete
trovato niente?”
Lo
sceriffo scosse la testa in senso di
diniego “nulla di rilevante, non sembra abbiano preso nulla e
non ci sono stati
segni di effrazione.”
“Il medico legale che si è occupa
dell’autopsia è sempre Rogers?” chiese
Franks.
“Sì.”
“Bene,
gli devo parlare.”
“Non
sarà un bello spettacolo, era passata
più di una settimana prima che la trovassero.”
“Lo
so. Grazie sceriffo.” Rispose Mike
prima di salutarlo ed uscire per riprendere l’auto
ANGOLINO AUTRICE:
Ce l'ho fatta, sono riuscita a postare un altro capitolo.
- Come avrete notato il personaggio misterioso è Lara Macy, ho voluto inserire lei perchè non essendo presente nella serie NCIS L-A. non veniva a crearsi il rischio di una cross-over che in questo caso non era mia intenzione scrivere. In più perchè per vari motivi non riesco quasi mai a seguire la serie perciò rischierei di non rappresentare bene i personaggi non conoscendoli. Infine seppur un piccolo ruolo, la Macy comparirà di tanto in tanto...vedrete perchè.
Spero che un pochino vi sia piaciuto, vi ringrazio per la pazienza nell'attesa e ringrazio tutti coloro che sono arrivati alla fine di questo terzo capitoletto e che vorranno lasciarmi un commentino.
A tutti auguro una BUONA PASQUA
Besos
Fink