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Autore: nainai    20/10/2007    7 recensioni
Brian Molko non tornava a casa da nove anni. Quante cose non dette erano ancora lì ad aspettarlo?
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Sex, drugs and rock’n roll
 
Ho fatto un enorme errore di valutazione. Ho supposto che mia madre e mio padre sarebbero rimasti a guardare mentre io agivo. Un errore da principiante. Barry mi ha distratto. Finisco sempre per dargli retta quando parla, finisco sempre per farmi condizionare dalla sua presenza. Così faccio errori stupidi che mi costano fatiche immani.
Quando torno indietro, scopro che mia madre e Stefan hanno parlato. E poi, che mio padre e Stefan hanno parlato. Chiaramente nessuno si preoccupa di dirmi di cosa. Meglio, di riferirmi i termini esatti della discussione. Tutto ciò che ho a mia disposizione è l’espressione incolore di Stefan, che evita di guardarmi direttamente negli occhi.
Ora dovrei arrabbiarmi ed andare a dirne quattro allo stronzo.
Già mentre penso questo, realizzo una cosa che fino a quel momento ha continuato a sfuggirmi. Io non so la vera ragione per cui sono qui.
Stefan si muove nella stanza come una specie di automa. Rimette in ordine cose che sono già al loro posto. Piega vestiti già piegati. Quando fa così è perché sta cercando il modo per buttarmi fuori dalla propria stanza, vuole restare solo e non sa come dirmelo.
Al momento ho bisogno di tempo, Stef, scusami ancora ma resterò qui. Qui sto bene e mi è più facile raccogliere le idee.
E le idee si dirigono dritte verso poche schematiche considerazioni.
Il messaggio di mia madre.
Le mie lacrime di quel mattino.
La decisione di partire.
Il colpo basso a mio padre.
L’annuncio di mia madre.
La mia fuga.
Il contrattacco dei miei a Stefan.
…Sono solo un ragazzino arrabbiato.
Magari mio fratello aveva ragione poco fa in giardino.
-Stef…
La mia voce è così roca da farmi paura. Smetto subito di usarla, me la schiarisco fissando Stefan mentre si ferma e mi guarda, lievemente sorpreso per quel tono.
Beh, siamo in due.
Penso frettolosamente a qualcosa che vorrei dire. Una cosa qualsiasi. Mi viene in mente la più stupida del mondo e la tiro fuori senza nemmeno realizzare quanto mi stia suicidando con le mia mani.
-I figli di Barry sono bellissimi, sai?
Stefan lascia ricadere le braccia lungo i fianchi. Mi guarda stupito, ma c’è anche altro nei suoi occhi. Mi chiedo cosa, mentre continuo ad affastellare imbecillità gratuite.
-Quando ero al liceo mia madre fantasticava che io sposassi la figlia di una nostra vicina di casa. Si chiamava Annette. Le nostre madri passavano il loro tempo a guardarci parlare nel giardino dell’una o dell’altra villa. Si sentono ancora adesso.
-Brian…?
-Sai che Annette si è sposata due estati fa? Mia madre ci ha tenuto a chiamarmi per farmelo sapere. Ed io mi sono sentito tradito, come se davvero stessi solo rimandando il giorno del nostro matrimonio.
-Brian.
-È una cosa stupida, vero? Ne ho fatte talmente tante di cose stupide nella mia vita. Quando ho progettato di andare via, l’ho detto a Barry, lui lo ha detto a mamma e lei a papà. La prima volta il mio piano è fallito miseramente ed io sono finito rinchiuso in casa per settimane. La seconda volta non ho detto nulla a nessuno, ho litigato con papà e sono uscito. Non sono più tornato fino a ieri.
Stavolta non prova nemmeno a fermarmi. Si siede accanto a me respirando a fondo. So che, anche se ha voglia di stare solo, non mi manderà via. L’ho imbrogliato ancora? Le cose che ho detto sono vere, e sono proprio così: appallottolate una sull’altra nella mia testa. Sono in fondo, dove non posso prenderle, adesso mi sto sforzando per andarle a ripescare.
È la prima volta che mi pongo seriamente il problema di non imbrogliare Stefan.
-Non abbiamo mai più parlato con mio padre, da quella sera. Non ero neanche alla laurea di Barry, mia madre mi ha raccontato che è stata una festa meravigliosa e che papà era molto orgoglioso. Voleva che mi iscrivessi a legge, diceva che sarei diventato un bravo avvocato.
-Lo saresti diventato.- ridacchia Stefan a bassa voce.
Rido anche io. E poi lo guardo.
-No, sarei stato orribile.- ribatto.
-Tu sei orribile.- fa notare lui.
Gli tiro un pugno contro il petto, leggero, solo per protestare non avendo la forza di farlo a parole. Abbiamo saltato il pranzo per restare in camera assieme. La sera scende e tra poco si dovrà cenare. Non ho voglia di uscire da lì.
Mi spingo verso di lui e glielo dico. Stefan sorride, ma pretende che chiudiamo la porta a chiave.
***
Non so davvero perché sono qui. Non so nemmeno dove finirò per arrivare.
Tutto quello che so è che nove anni fa questa storia è iniziata e che voglio che termini in qualche modo. Qualunque sia.
Mio padre è qualcosa di irrisolto nella mia vita. Abbiamo troppo in comune e troppo poco che sia stato condiviso. Mi faccio paura quando penso a ciò che potrei diventare e vedo la sua immagine riflessa nel mio viso.
Da ragazzino ho provato a mascherare questo mio terrore in modo irrazionale. Ho fatto le scelte che mio padre non si sarebbe mai aspettato da me, ho assecondato le manie religiose di mia madre, sviluppato improbabili velleità artistiche, ripudiato ogni forma di cultura finalizzata. Avevo un gioco assurdo che consisteva nel sedermi ad osservare Barry, notando tutte le somiglianze che intercorrevano tra lui e nostro padre e correndo subito dopo a fissarmi allo specchio per cercare tutte le diversità che io avevo con mio padre e Barry con me.
Man mano che crescevo, diventavo sempre più consapevole di come ogni somiglianza fisica o mentale non sarebbe bastata a determinare la direzione della mia vita. Fu quando lo capii che cominciai a volermene andare. Adesso so che potrei scalare le montagne tibetane e ritirarmi su un eremo e non basterebbe a lasciarmi dietro ciò che sono.
Per questo mio padre è qualcosa di irrisolto nella mia vita. Un’ossessione che devo trasformare e sublimare.
Poso la mano sull’uscio. Chiudo le dita a pugno e batto le nocche sul legno. Dall’altro lato mi risponde la sua voce. Distendo il palmo, poggiandolo sulla maniglia dorata, si piega ed i cardini ruotano silenziosi. Sono dentro. Il mio primo passo.
-Papà?
-Vieni pure, Junior.
-Ti disturbo?
-No.
Poche frasi pronunciate senza affetto, senza calore. Da parte di entrambi, come sempre. Mi seggo sulla poltrona che lui mi indica, accanto al proprio letto. Lo guardo come fa lui e ci studiamo come due fiere.
Ecco, è già sbagliato in partenza.
-So che hai parlato con Stefan.
-Ah, sì.
-Posso sapere di cosa?
Ci pensa su.
Non sono qui per sapere di Stefan, ne ho già parlato con lui mentre ce ne stavamo stesi nel suo letto. Era tanto che non parlavamo a lungo come stasera.
-Di te.- tenta di stupirmi lui, tirando un respiro.
Se ne abbiamo già parlato con Stefan è stato proprio per questo. Lui ci teneva a farmi sapere che ero stato il loro argomento di conversazione.
Io non batto ciglio, mi chiedo se sia deluso, ma neanche lui fa una piega.
-Devo riconoscerti i tuoi meriti, Brian,- continua pacato mio padre. Una parte del mio cervello realizza l’uso di quel nome per la prima volta, ma è solo un altro colpo basso, lo so.- non credere che io non mi sia informato su di voi.
“Voi” siamo io e la mia band?
-E devo riconoscerti i tuoi meriti. Sul serio.- ribadisce lentamente, senza guardarmi. So che aspetta il mio cedimento, so già dove sta andando a parare. Dovrà fare molto più che lusingare la mia vanità, ai complimenti privi di anima mi sono abituato in fretta.- Hai dimostrato tutte quelle capacità che ti ho sempre riconosciuto, ti sei mostrato all’altezza in una realtà affatto facile, hai raggiunto il successo nel campo che avevi scelto…
“…ma…”, suggerisco nella mia mente. Incrocio le mani davanti al viso, lo studio attraverso l’arco che disegnano le dita nello sfiorarsi. È un modo idiota per non lasciarmi sedurre dal suo tono, dal modo lento e studiato con cui sciorina le sue frasi. C’è sempre una razionalità evidente e convincente alla base dei ragionamenti di mio padre, non puoi non essere d’accordo con lui.
-Io sono certo, tuttavia, che il tuo sia un talento sprecato, Brian.- arriva implacabile il giudizio. Stavolta sotto forma di consiglio sussurrato. Una volta sarebbe stato gridato, accompagnato da minacce e punizioni. Forse dovrei ritenermi soddisfatto.- Saresti potuto diventare qualsiasi cosa avessi voluto.- mi spiega paziente, sollevando gli occhi nei miei. Sciolgo le mani per posare il capo sul pugno chiuso ed osservarlo ancora senza parlare.- Non riuscirò mai a capire le tue ragioni, hai buttato via tutto quello che avevi per…
-Diventare ricco, famoso ed adorato dalle folle.- ridacchio a mezza voce.- Un’autentica tragedia, papà.- rimarco subito dopo.
C’era sempre un punto su cui i razionali discorsi di mio padre finivano per fare acqua. Questo punto non variava con la sostanza del discorso, perché ruotava inevitabilmente intorno allo stesso errore di base: mio padre non ha mai davvero ritenuto possibile che esistesse una verità diversa dal suo punto di vista.
Il suo silenzio prosegue. È un silenzio fatto della rabbia di chi è stato contestato e non può più rispondere. Una volta mi avrebbe cacciato via, spedito in camera mia senza cena a riflettere sulla mia assurda mancanza di rispetto. Oggi non può più farlo.
È crudele da parte mia approfittare di un vecchio disarmato.
Questa sensazione mi mette a disagio. Voglio uscire da lì e voglio farlo ora. Ma prima c’è un’altra cosa.
-Papà, gradirei molto che tu non parlassi più con Stefan.- chiedo gentilmente. Lui mi fissa, adesso sa che sono arrivato a quella chiacchierata preparato. Questa cosa però mi preme davvero rimarcarla, così prendo fiato e vado avanti pacato.- Non è affatto vero che io stia con lui solo per una forma di contestazione verso di te. Stefan è diverso da noi, lui è una persona sensibile, e preferirei che tu evitassi di tentare di distruggerlo, per non costringermi a fare lo stesso con te.
Per quel che mi riguarda è la cosa più sincera che abbia mai detto nella mia vita.
Mi alzo subito dopo, lui non ribatte nulla ma sento i suoi occhi fissi su di me mentre raggiungo la porta. Mi fermo lì, con la mano già sulla maniglia piegata. Mentre esito ci arrivo da solo, non ho davvero bisogno della sua voce alle mie spalle, però lui lo dice lo stesso.
-Sei tu ad avere usato Olsdal contro di me per primo, Brian. Io non ho affatto mentito a quel ragazzo.
***
Mia madre ci ha detto che oggi pomeriggio arriverà l’avvocato per redigere i testamenti.
Ho chiesto a Stefan di ripartire. Con Barry siamo d’accordo che, se ci sarà bisogno, mi chiamerà lui ed io farò tutto quello che sarà necessario. Stefan era con noi due mentre ne parlavamo, lui e mio fratello si sono guardati ed hanno capito che è davvero arrivato il momento che io vada via. Quello che dovevo fare, l’ho fatto.
Quello che dovevo capire, l’ho capito.
Marguerite mi ha aiutato a sistemare le cose nella valigia, ne ha approfittato per parlarmi di Cathy e di Daniel. Io non ricordavo nemmeno i loro nomi fino a due sere fa. L’ho ascoltata volentieri, le ho promesso che quando partiremo per la Francia troverò il modo di farci entrare un paio di giorni di pausa solo per andare da loro. Mi ha detto che ci conta sul serio.
Ho salutato mia madre prima di andare via. Sono sceso nella verandina che usa come sala di lettura, mi ha sentito arrivare ed ha posato il libro. Credo che abbia capito prima ancora che parlassi che quello era l’addio che non avevo pronunciato nove anni fa. Le ho letto in faccia tutto il dolore della separazione, lo stesso che lei non aveva potuto riversarmi addosso allora. Mi è sembrata una cosa penosa, ma l’ho portata fino in fondo. Non è stato molto diverso dal dialogo con mio padre, un modo per accomiatarsi definitivamente ribadendo le nostre posizioni. Quando l’ho abbracciata e le ho detto che ci saremmo sentiti presto, per una volta sono stato sincero. Adesso posso anche chiamarli, posso anche informarmi di come stanno e parlare con loro. Non c’è davvero più nulla che sia rimasto in sospeso.
Mentre usciamo da casa, ci fermiamo sotto il portico. Butto un’occhiata distratta al cielo sopra la casa, insolitamente terso per questa stagione. Stefan mi osserva, sento i suoi occhi addosso ed abbasso i miei per rispondere alle sue domande.
Ecco un’altra cosa che è cambiata, in modo così naturale che neppure ci ho fatto caso.
-Sei sicuro di voler partire subito?- mi chiede semplicemente.- Potremmo aspettare che l’avvocato vada via…
-Non vedo perché!- rido io, divertito.
-Beh…- ci pensa solo un momento, poi ricambia il mio sorriso- Hai ragione tu.- ammette, stringendosi nelle spalle.
-Bene.
Quando scendo i gradini d’ingresso per raggiungere l’auto mi accorgo che non mi segue. Mi volto interrogativo, Stefan mi studia ancora da lontano.
-Cosa?- chiedo.
-Finisce così?- mi domanda lui.
Guardo la casa alle sue spalle. Fa caldo oltre ad esserci il sole. Ed è tutto silenzioso da morire. Quando andai via nove anni prima c’era un gran rumore, era nella mia testa ma mi assordava lo stesso. Mi ripeteva ossessivamente che stavo facendo la cosa giusta, che li odiavo tutti, che volevo solo mettere quanta più strada possibile tra loro e me…
Solo che ora come ora ha davvero ragione Stefan.
-Non è molto adatto al mio stile, vero?- ritorco arricciando il naso.
Lui scoppia a ridere.
-Non stavo dicendo quello!
Sorrido anch’io, facendomi ombra con la mano per non farmi accecare dal sole e poter mettere a fuoco la sua figura ritta sulle scale.
-Stef, piantala di vaneggiare e muoviti!- ribatto fingendomi infastidito.
-Oh!- sbotta lui, decidendosi a seguirmi e tirando fuori le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni.- Hai già chiamato Alex perché possa riempirci la vita d’impegni da domattina all’alba?- s’informa mentre saliamo.
-Uhm…nooo.- rispondo strascicando le parole.
Lui mi fissa perplesso. Mette in moto ed io ridacchio senza spiegarmi.
-Brian!- si spazientisce.
-Pensavo che nessuno ci corre dietro, no? Ufficialmente il papà morente non è ancora morto, ma nessuno deve necessariamente sapere che io non sono più al suo capezzale e…
-Non puoi usare tuo padre come scusa per non lavorare!- mi strilla lui scandalizzato.
Ed io mi volto di scatto, sgranando gli occhi con aria offesa.
-Stefan! Come puoi attribuirmi un obiettivo così meschino?!- strillo a mia volta.
-E allora?
-…
-Brian?!- mi rimprovera, voltando la macchina e ripercorrendo il vialetto della villa.
-Oh, insomma! Solo qualche giorno!- piagnucolo io.
-Con me?
-E con chi, idiota?!- ritorco stizzito.
Restiamo in silenzio. Il brecciolino scappa da sotto le ruote dell’auto, il vialetto finisce e c’è un piccolo scossone quando usciamo in strada. Stefan tiene gli occhi incollati sulla corsia di marcia, io lo spio di sottecchi.
L’ho detto sul serio? Sì, l’ho fatto.
Ma non basta.
-Stefan…
Non mi risponde, continua a guidare in silenzio.
Prendo un respiro profondo, mi appoggio al finestrino spalancato e lo guardo direttamente.
-Scusami.
Ci ho messo un po’. Fai da conto che non basta nemmeno a ripagare la metà delle volte in cui l’ho detto senza nessun sentimento, senza sincerità. Ma sai…in realtà era sempre stato qui ed aveva sempre avuto ragione di starci.
Vorrei aggiungere anche il resto e farlo diventare qualcosa di veramente serio, ma per quanto io sia bravo a parole questo è quel genere di cose che non viene mai fuori come vorresti. Ed io non l’ho nemmeno provato davanti allo specchio. Quindi, “scusami” è tutto ciò che posso dirti. E posso sperare che ti basti, perché se non basterà io non potrò nemmeno darti torto.
Adesso so che Steve si è sbagliato su un punto: non è una cosa così. Non è iniziata per caso e non finirà per caso. Finirà quando io l’avrò distrutta con le mie mani, perché sono un disastro in certe cose e finisco sempre per romperle senza neppure volerlo. E spero davvero che quando lo avrò fatto, io non avrò distrutto anche più di ciò che siamo in questo preciso istante della nostra vita.
Spero che almeno in parte riuscirai a perdonarmi anche allora. Anche se magari, quando sarà, non avrò nemmeno la prontezza di spirito di ripetere questo “scusami” con la stessa convinzione di adesso.
…Vorrei sul serio aggiungere tutto questo, Stefan. Ma cerca di capirmi…non è perché sei tu.
È perché sono io…ad essere tutto sbagliato.
-Ci fermiamo dalla signora del “bed and breakfast”?- mi chiedi gettandomi un’occhiata da sopra il braccio che tiene il volante. Mentre io scoppio a ridere tu continui imperterrito- Ti fa un effetto interessante essere oggetto del negativo giudizio altrui.
-Sei un porco!- commento tra le risate.
 
“Slackerbitch”
MEM 2007
 
Bene, sono arrivata alla fine, e posso dire che non ne sono nemmeno dispiaciuta.
Questa storia a suo modo è positiva. In un modo contorto e difficile da capire a me per prima, ma io penso che sia positiva.
Vorrei dedicarla alla persona per cui l’ho scritta, senza nemmeno rendermene conto.
Questa persona sa che sto parlando di lei, per cui trovo superfluo mettere il nome qui ^_^
Ringrazio le mie due Beta per il loro insostituibile aiuto ed incoraggiamento: Liz e Rinnie, un bacione a tutte e due.
Vorrei invece ringraziare tutti coloro che hanno letto ed, in modo speciale, coloro che hanno trovato anche il tempo di dirmi cosa ne pensavano.
Quindi un grazie sincero va a: Liz e  Rinnie (chiaramente XP), Lucifer, Memuzz, Stefydlv e Stregatta.
Un bacio a tutti ed alla prossima ^_-
  
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