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Autore: millyray    31/03/2013    3 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE: se vi piace vi consiglio di ascoltare questa canzone http://www.youtube.com/watch?v=WDj9xHm9wIQ finché leggete il capitolo, a me ha ispirato molto ^^

CAPITOLO UNO - TI AMO

Solo che non doveva andar così,
solo che tutti ora siamo un po’ più soli qui.
(Sta passando novembre, E.Ramazzotti)

Ti rendi conto dell’importanza di qualcosa soltanto quando l’hai persa. E questo Jack lo sa bene. Nella sua vita di cose ne ha perse tante, ha visto morire molte persone, ha visto accadere cose che altre persone non potrebbero nemmeno immaginarsi, ha conosciuto e detto addio a molte persone nel corso della sua lunga, interminabile vita. 
E che cos’altro potrebbe succedergli? Che cos’altro potrebbe ancora vedere in grado di sorprenderlo? È questo a fargli tanta paura. Giungerà ad un limite la sua sopportazione? Ci sarà qualcosa che gli farà letteralmente scoppiare il cervello, l’anima o il cuore?

O forse quel momento è già arrivato, pensò Jack, voltandosi a guardare Ianto dormire tra le sue braccia, una smorfia di dolore a sfregiargli il volto, la fronte coperta di sudore e un braccio poggiato sul suo petto.
Stava morendo, stava morendo e lui non poteva fare niente. Era completamente impotente, lui, Capitano Jack Harkness, che nella sua vita era morto e risorto non sapeva nemmeno quante volte, che riusciva a superare tutte le difficoltà, che aveva sconfitto un centinaio di alieni, ora non riusciva a salvare l’unica persona alla quale si era veramente affezionato.

E questo gli faceva una tale rabbia…

 

24 ore prima…

“Il computer ha captato un segnale alieno nella zona del St.Mellons, in un edificio abbandonato!” esclamò Tosh ai suoi colleghi, senza togliere gli occhi dal computer. Stava cercando di verificare se per caso poteva scoprire qualcosa di più sulla presenza aliena ma, per quanto ultra-moderni e ultra sofisticati fossero quei macchinari, non ne era in grado.

“Un Weevil?” chiese Owen, sbucando dietro le spalle della ragazza.

“No, il segnale è molto più forte. È qualcosa che non abbiamo mai incontrato prima”.

“D’accordo, allora andiamo”. Concluse Jack, scendendo le scale dal suo ufficio. “Ianto, vieni anche tu”.

I cinque non esitarono un attimo e in men che non si dica furono fuori alla jeep. Jack, come al solito, si mise al posto di guida, mentre Tosh, col portatile sulle ginocchia, si sedette nel sedile posteriore insieme a Ianto e Owen. 

In mezz’ora arrivarono all’edificio abbandonato indicato da Toshiko, in una zona piuttosto isolata. Era una vecchia fabbrica, chiusa già da parecchi anni, tutta grigia e coi muri scrostati sui quali crescevano il muschio e l’erbaccia. Anche tutt’attorno l’erba incolta aveva preso il sopravvento e ora circondava la fabbrica affaticando il passo. Una parte del tetto era crollata e alcune finestre avevano i vetri rotti.

Jack, Gwen, Owen, Tosh e Ianto entrarono dentro senza esitare, con le pistole impugnate a due mani.

“Gwen, Ianto, andate al piano superiore. Owen, Tosh, voi restate qui con me” ordinò Jack con voce perentoria non appena furono dentro, nella stanza buia e maleodorante.

Gli altri non se lo fecero ripetere due volte e obbedirono immediatamente agli ordini. Gwen e Ianto salirono le instabili scale per andare al primo piano, mentre gli altri tre rimasero al piano terra a controllare le varie stanze.

“A parte ratti, ragni e odore di muffa non mi pare ci sia niente di estraneo qui dentro” commentò Owen, scostando col piede una tavola di legno, scoprendo un rifugio che si erano scavati due ratti spelacchiati. Il ragazzo storse il naso alla loro vista.

“Shhh” gli intimò Jack.

“Il segnale si è fatto più debole, non riesco più a percepirlo. Sembra che sia sparito” disse Tosh incredula, guardando sul suo palmare.

“Che se ne sia andato?” ipotizzò Owen.

“Ma ce ne saremmo accorti” gli fece notare la ragazza.

“No, se è un alieno che riesce a smaterializzarsi a piacimento”.

“Ok, ragazzi, dividiamoci” ordinò di nuovo il Capitano e immediatamente gli altri due si diressero in direzioni opposte, sempre con le pistole alzate. Non potevano andarsene senza aver controllato tutta la zona.

Owen entrò in quello che pareva essere un ripostiglio con degli scaffali e delle mensole. C’erano ancora delle scope e dei detergenti buttati alla rinfusa. Ma nessuna traccia aliena. Arrivò ad una porta nel fondo, trovandola sbarrata.

Toshiko si trovava in una grande stanza circolare dove non c’erano altre porte se non quella da cui era entrata e alcune finestre rotte. Il suo palmare cominciò a emettere un suono. Il segnale alieno era tornato e sembrava provenire dal piano superiore. Forse era il caso di andare ad aiutare Gwen e Ianto, visto che lì sembrava non esserci niente.

Jack, intanto, stava controllando lungo un corridoio stretto quando, improvvisamente, sentì un forte rumore provenire da sopra la sua testa.

“Gwen, tutto a posto lassù?” chiese nell’auricolare che teneva all’orecchio.

“Abbiamo trovato l’alieno” gli rispose la ragazza. “Ed è piuttosto spaventoso”.

Spaventoso. Già. Il suo sesto senso non si sbagliava mai.

 

Gwen e Ianto si erano trovati a dover fronteggiare una specie di uomo - gatto alto due metri con delle fauci appuntite e degli artigli affilatissimi. Inoltre, quando ringhiava, il rumore che emetteva era inquietantissimo.

“Che cosa mangia questo coso? L’uomo – pesce palla?” scherzò Ianto guardando in direzione di Gwen da dietro una colonna, celato dall’ombra.
La ragazza ridacchiò cercando di smorzare la tensione.

“Basta che non mangi le persone”.

L’alieno prese a camminare nel mezzo, probabilmente cercando i due. Non doveva avere i sensi molto sviluppati per non sentire che erano accanto a lui, nascosti nell’ombra.
Gwen e Ianto impugnarono bene la pistola e si scambiarono un’occhiata complice. Il ragazzo cominciò a contare sulle dita della mano e, quando arrivò a cinque, entrambi uscirono allo scoperto e spararono una freccia soporifera ciascuno contro la creatura. Questi urlò e inarcò la schiena, ma non cadde a terra svenuto come si aspettavano. I due sgranarono gli occhi sorpresi; in quelle freccette c’era della sostanza soporifera sufficiente per far addormentare un elefante. Ma a quanto pareva a quel coso non facevano alcun effetto.

Ne spararono altre, finché l’uomo – gatto non si infuriò completamente lanciandosi contro Gwen che cadde a terra perdendo la pistola. Poi la creatura si girò verso Ianto crollandogli addosso. Il ragazzo cercò di toglierselo di dosso, ma era troppo forte e pesante e, inoltre, lo sentì affondargli i denti nel fianco, al che il ragazzo urlò.

Gwen si mise a sedere ma nella caduta aveva preso una botta in testa che l’aveva un po’ intontita. Appena si rese conto che Ianto era in pericolo, si alzò dal pavimento e cercò di corrergli in aiuto. Ma il mostro era troppo forte anche per lei.
Stava cercando di trovare la pistola o qualsiasi altra arma con cui metterlo K.O. quando vide arrivare Jack, seguito da Owen e Tosh che correvano nella loro direzione. I due uomini insieme riuscirono a tirare via l’alieno dal povero Ianto e a lanciarlo contro il muro.

Jack si inginocchiò accanto all’amico che aveva le lacrime agli occhi per il dolore.

“Mi ha morso, cazzo, mi ha morso!” esclamò, portandosi le mani alla ferita.

“Sta’ calmo, sta’ calmo. Adesso passerà” cercò di tranquillizzarlo Jack, controllando lo squarcio nella camicia dell’altro. La carne era piuttosto lacerata e stava perdendo parecchio sangue.

“Owen?” chiamò.

Il medico di Torchwood corse incontro ai due e si chinò accanto a Ianto per controllare la ferita. Lui e Tosh erano riusciti a mettere a tappeto l’alieno con una sprangata in testa e ora la ragazza lo stava legando per portarlo, in seguito, alla base.

“Posso fermare l’emorragia, ma dobbiamo tornare alla base. Non ho tutti gli attrezzi qui”.

“D’accordo, torniamo” acconsentì il Capitano. Si portò dietro le spalle di Ianto per aiutarlo ad alzarsi. Poi lui e Tosh lo presero per ciascun braccio, mentre Owen e Gwen trasportarono l’alieno e cominciarono così a dirigersi fuori, alla jeep.

 

Il gruppo era ritornato alla base per fare rapporto su quello che aveva appena scoperto. L’uomo – gatto era stato rinchiuso nelle celle sotterranee dove già alloggiavano i Weevil, mentre Ianto sedeva sul letto operatorio dove Owen stava finendo di fasciargli la ferita.

“Se ti fa male dimmelo, ti do un altro antidolorifico” gli disse il dottore, chiudendo l’ultima benda.

“Grazie” rispose l’altro, infilandosi la camicia con attenzione. Sentiva parecchio tirare i punti che il collega gli aveva appena messo.

“E non fare troppi movimenti” lo ammonì ancora Owen.

Non fare troppi movimenti? Questo a Jack non piacerà, pensò Ianto ridacchiando tra sé e sé e lanciando un’occhiata all’ufficio dove si era rinchiuso Jack.

Scese dal lettino faticando a trattenere una smorfia di dolore e cominciò a dirigersi dal capitano. Aprì la porta il più silenziosamente possibile e di soppiatto si avvicinò alla scrivania dov’era seduto l’altro. Si sedette sul bordo e si mise ad osservare che cosa l’uomo stesse facendo.

Jack alzò lo sguardo nella sua direzione e gli mostrò un sorriso. Poi si alzò e con sguardo malizioso gli si avvicinò ancora di più, infilando una mano sotto la camicia, sfiorando con le dita le bende che fasciavano la ferita.

“Ti fa male?”

“Giusto un po’”

Il Capitano avvicinò il viso a quello dell’altro e in poco tempo annullò la distanza, unendo le loro labbra in un bacio appassionato. Ianto fu leggermente colto di sorpresa, ma si lasciò completamente andare al bacio possessivo di Jack. Adorava come lo baciava. In realtà adorava tutto di lui, come lo abbracciava, come lo accarezzava, come lo possedeva.

Jack si staccò, un po’ troppo presto e un po’ troppo bruscamente per i gusti dell’altro e si allontanò per prendere qualcosa da uno scaffale.

“Ti preparo del caffè?” chiese Ianto con voce indifferente, ma dentro di lui tutto premeva e gli urlava di smettere di fare il rispettoso e l’innocente e di saltare addosso all’altro senza pietà.

“Sì, per favore”.

Maledetto, sei maledetto, Jack. Ma è anche per questo che mi piaci.

Ianto non fece neanche in tempo ad alzarsi che la porta dell’ufficio si spalancò di colpo e Gwen entrò dentro passando lo sguardo per tutto la stanza, finché non individuò Jack.

“Jack, Tosh ha individuato un’altra forma di vita aliena all’ospedale. Pare sia lo stesso che abbiamo trovato noi”.

“Vai con Owen a controllare. Noi vi osserveremo da qua”.

“D’accordo!”

 

Quando Gwen e Owen arrivarono davanti alla porta dove erano custoditi gli archivi, un uomo – gatto, identico a quello che era rinchiuso nelle loro segrete, si stava mangiucchiando alcuni fogli di carta osservando la porta in modo molto minaccioso, probabilmente solo in attesa di scappare.

D’improvviso, però, notando delle presenze che lo osservavano, spalancò le fauci emettendo un ringhio stridulo al quale Gwen indietreggiò spaventata.

“Ci potete dire cos’è questa cosa?” chiese l’infermiera, una donna piuttosto corpulenta e dalla carnagione scura che aveva tutta l’aria di essere una tipa tosta, da non prendere in giro. Ma naturalmente a Owen questo non importava, il che gli permetteva di dire quello che voleva a chi voleva.

“Quello? Oh, è solo un piccolo micio bisognoso d’affetto”.

Come da copione, l’infermiera lo guardò malissimo.

“Gwen, preparati” ordinò a quel punto il dottore, parlando con tono perentorio. “Appena apriamo la porta gli spariamo una raffica di pallettoni”.

La ragazza annuì solamente.

“Ma così non lo uccidete?” chiese l’infermiera; sembrava che le importasse veramente di quella creatura.

“Oh, mi creda, è più resistente di quello che sembra”. La tranquillizzò Owen.

I due membri di Torchwood impugnarono le pistole a due mani, pronti a sparare. L’infermiera aprì loro la porta.

L’alieno li osservò per qualche secondo, decidendo poi di lasciar perdere quello che stava facendo e alzandosi in piedi. Gwen e Owen non attesero un secondo prima di scaricargli le loro armi addosso, colpendolo in diverse parti del corpo. L’uomo – gatto cadde all’indietro colpendo il pavimento con un colpo secco.

Quando i due si avvicinarono, con cautela e senza abbassare le pistole, stava ancora respirando ma aveva perso i sensi. Si affrettarono subito a legarlo.

“Qualcuno è stato ferito da questa creatura?” chiese Gwen all’infermiera dietro di lei.

“Due infermieri del nostro staff, mentre alcune persone sono arrivate qui già ferite”.

“E che cosa li è successo?”

“Inizialmente stavano bene, avevano solo perso un po’ di sangue. Ma poi… poi sono andati peggiorando e un paio sono morti dopo dodici ore dal morso”.

Gwen e Owen smisero di colpo di fare quello che stavano facendo e si guardarono l’un l’altro scioccati.

 

L’infermiera aveva accompagnato i due membri di Torchwood al capezzale di una ragazza vittima dell’uomo – gatto. Owen esaminò la sua cartella  clinica dandoci una veloce occhiata.

“Febbre alta, forti dolori nella zona del morso, sudorazione eccessiva e tutti i valori del sangue sballati.” elencò il dottore con voce neutra, esattamente come si addiceva a un medico.

Gwen guardò la ragazza e venne colta da un senso di pena e dispiacere per lei. Stava chiaramente soffrendo, si capiva dal suo sonno agitato.

“Owen, dobbiamo fare qualcosa.”

“Hai suggerimenti?” le chiese lui in tono sarcastico.

La ragazza lo guardò duramente ma non aggiunse altro. Così l’amico si girò verso l’infermiera e le consegnò in mano una boccetta dal contenuto giallognolo.

“Cos’è?”

“Una specie di medicina. La dia a tutti quelli che sono stati morsi. Non so se funzionerà.”

Fece per andarsene ma la donna lo bloccò per un braccio.

“Torchwood, per una volta potreste dirci che sta succedendo?”

“Volentieri, se solo anche noi lo sapessimo”.

 

Jack e Ianto se ne stavano di fronte alla porta di vetro della cella che imprigionava la loro nuova creatura.

“Hai intenzione di fissarlo così tutto il tempo?” chiese Ianto  guardando in direzione del Capitano.

“Solo finché non avrò trovato un altro passatempo altrettanto emozionante.” gli rispose l’altro senza distogliere gli occhi dal mostro.

“Be’, potrei proportelo io, un passatempo divertente.” non c’era malizia nella voce di Ianto, né nello sguardo. Anzi, era rimasto impassibile, come sempre. A Jack però non sfuggì l’allusione e non poté non mostrare il suo sorriso sghembo e malizioso che metteva in evidenza la fila di denti bianchi e perfetti.

“Allora perché non mi aspetti nel mio ufficio?”

“Agli ordini, capo.”

Ianto uscì dalla stanza, ma Jack rimase ancora un po’ a osservare, per dare il tempo all’altro di prepararsi. E poi quelle creature, i Weevil e ora l’uomo – gatto, lo incuriosivano parecchio.

Quando decise di raggiungere Ianto, però, incontrò Owen e Gwen sulla porta che lo guardavano con due espressioni spaventose.

“Abbiamo scoperto una cosa che non ti piacerà per niente.” introdusse la ragazza.

“Il morso di quelle creature è letale. Le persone che sono state morse sono morte dopo dodici ore, anche se inizialmente non davano segni di malessere…”.

L’ultima parte del discorso di Owen che Jack era riuscito a sentire era stato: le persone sono morte. Dopo quello il suo cervello era andato completamente a farsi fottere. Solo un nome gli vorticava in testa: Ianto.

Ad un tratto, però, vennero tutti distratti da un rumore di vetri infranti che proveniva dal piano superiore.

Il primo a precipitarsi fuori fu Jack. Vide Ianto inginocchiato per terra con l’espressione distorta dal dolore e la camicia bianca macchiata di sangue. Il capitano ebbe un tuffo al cuore a quello vista, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
Toshiko era già china accanto all’amico e immediatamente anche gli altri gli si precipitarono accanto, Jack sorreggendolo per i fianchi.

“La ferita si è riaperta e anche estesa.” constatò Owen, guardando gli altri preoccupato.  

 

5 ore dopo…

Jack entrò nell’appartamento di Ianto sbattendo la porta dietro di sé.

Gwen e Owen lo aspettavano in salotto, una seduta sulla poltrona e l’altro in piedi alla finestra con le braccia conserte e la mascella serrata. Appena lo vide entrare, nel riflesso del vetro, si girò per aggiornarlo.

“Gli ho dato l’antidoto ma non so quanto funzionerà. Questa è una forma aliena che non conosciamo, non so che effetti abbia. Ho provato ad analizzare il suo sangue  e quello delle altre persone che sono state morse ma non ci ho ricavato niente. E’ un veleno che fa morire le cellule rapidamente.
L’ho imbottito di antidolorifici, ma… probabilmente non passerà la notte.” abbassò lo sguardo, non potendo affrontare quello duro e pieno di dolore di Jack. Perché, anche se cercava di non darlo a vedere, il capitano stava una merda. Teneva a Ianto più di quanto avrebbe voluto.

“Non puoi fare qualcos’altro?” gli chiese, fissandolo negli occhi.

“Non so che altro fare”.

“Cazzo, Owen, tu devi…”

“Non sono Dio, Jack!” urlò a quel punto il dottore spazientito, avvicinandosi al capitano e guardandolo minaccioso. “Non posso decidere della vita degli altri.”

Ma perché tutti si aspettavano qualcosa da lui? Prima Gwen e ora Jack. La situazione faceva schifo pure a lui e già da solo si sentiva una merda perché non riusciva a salvare uno dei suoi amici, nonostante lui fosse un medico e avesse il sacrosanto dovere di salvare le persone.

Gwen, dal canto suo, guardò in direzione dei due con il viso rigato di lacrime. Sperava che non prendessero ad azzuffarsi, non se la sentiva di dover calmare anche una rissa.

Jack, allora, senza dire niente, uscì dalla stanza e andò in camera da letto di Ianto dove questi giaceva tra le coperte, accudito da Tosh che gli stava passando un panno inumidito con un po’ d’acqua sulla fronte madida di sudore. Se proprio doveva morire, era meglio se lo faceva nella tranquillità di casa sua.

“Ha chiesto di te” disse la ragazza non appena lo vide entrare.

“Grazie, Tosh, ci penso io.” le rispose lui e, anche se non aveva usato un tono di comando, la frase serviva chiaramente per congedarla. Voleva restare da solo con Ianto. Toshiko lo capì subito e abbandonò immediatamente la stanza.

Jack prese il suo posto sedendosi al capezzale dell’amico. Gli passò il panno umido sulla fronte.

Ianto si agitò leggermente e poi aprì gli occhi nella sua direzione.

“Jack” sussurrò con voce debole “Sei qui”.

“Sì” rispose l’altro cercando di non far notare che aveva la voce spezzata “Hai freddo?” gli chiese poi.

“Un po’”.

Jack allora si alzò dalla sedia e si stese accanto a Ianto, nel tentativo di riscaldarlo di più col proprio corpo. Ianto ne approfittò per poggiare la testa sul suo petto, mentre il capitano prendeva ad accarezzargli i capelli.

“Mi dispiace, non doveva andare così” gli sussurrò cercando di non piangere “E’ colpa mia, non avrei dovuto portarti…”.

“No” lo interruppe l’altro “Non è stata… colpa tua” ma ogni parola sembrava costargli parecchio sforzo. “Sarò morto facendo… il mio dovere, come ho sempre… voluto”.

“No, non dire così” ormai neanche Jack riusciva più a trattenere le lacrime. “Tu non morirai”.

Ianto ridacchiò debolmente lasciando cadere una lacrima sulla camicia del capitano. “Non importa… sono… sono comunque contento… di morire tra le tue braccia. Resterai con me, vero?”

Il capitano portò lo sguardo alla finestra: il sole stava calando all’orizzonte e il vento di novembre si era alzato scuotendo le foglie degli alberi.

“Sempre” gli sussurrò, riportando lo sguardo  su di lui. Ianto però aveva già chiuso gli occhi, sempre appoggiato sul suo petto. Non era ancora morto, ma Jack si sentì stringere il cuore in una morsa d’acciaio.
Aveva voglia di prendere a pugni qualcosa, qualsiasi cosa. Si sentiva così impotente.

“Ianto, non andartene, non mi lasciare” disse, sicuro che comunque l’altro non lo avrebbe sentito. “Non voglio continuare a vivere senza di te, non avrebbe senso” ormai non si preoccupava neanche più di nascondere le lacrime. “Ti amo”.

E gli diede una bacio sulla fronte calda.

 

Il giorno dopo…

Jack si svegliò di colpo, reduce da un brutto sogno che aveva dimenticato non appena aveva aperto gli occhi. Non si trovava nel suo letto, questo lo capì subito, ma gli ci volle un po’ per ricordarsi che cosa fosse successo. Sentiva soltanto una pesantezza sul cuore e qualcuno che gli gravava addosso.

Ianto.

Ianto era ancora poggiato sul suo petto, gli occhi chiusi, l’espressione rilassata. Un po’ pallido forse.

E lui… lui non era pronto a dirgli addio. Non così presto, non in quel modo. Avrebbe dovuto fare di più, avrebbe dovuto insistere di più per salvarlo. Glielo doveva, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare come minimo avrebbe dovuto salvarlo. E invece… l’unica cosa che ora poteva fare era dargli l’ultimo bacio e portare il peso della sua perdita sulla coscienza.

Lo poggiò sui cuscini e si chinò per dargli un bacio sulle labbra. Ma non appena gli si avvicinò notò che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di strano. Dell’aria fredda usciva dalle labbra di Ianto, fiato, respiro. Stava ancora respirando.

Col battito accelerato andò a tastargli la fronte, il viso, le mani trovandoli caldi… tutto il suo corpo era caldo, non freddo come si era aspettato. Caldo.

Gli diede un bacio sulle labbra. Ianto sotto di lui si mosse e poi… poi aprì gli occhi azzurri fissandoli in quelli altrettanto chiari di Jack.

“Ianto” sussurrò Jack incredulo.

“Jack”

La porta si spalancò di colpo facendoli sobbalzare tutti e due.

“Jack, volevo solo…” Owen, sulla porta, rimase come paralizzato nel vedere Jack a gattoni sul letto e Ianto sotto di lui, vivo più che mai. Entrambi lo fissavano come se lo volessero incenerire.

 

“Sembra tutto nella norma” concluse Owen dopo aver eseguito un controllo su Ianto, da cima a fondo.

“Te l’ho detto, mi sento bene”.

“Non è detto. Non possiamo escludere che tu possa avere una ricaduta” gli fece notare il dottore che non voleva nutrirsi di false speranze. Ma era chiaro che anche lui, come tutti gli altri, era contento di vedere che l’amico stava bene e che non era morto.

“Ho chiamato l’ospedale” sbottò Tosh, entrando nella stanza. “Mi hanno detto che gli altri pazienti che sono stati morsi ora stanno bene. Hanno avuto un recupero eccezionale dopo che hanno preso l’antidoto”.

Owen, intanto, aveva finito di controllare la ferita di Ianto, trovandola quasi completamente rimarginata.

“Allora l’antidoto ha funzionato”.

“Direi proprio di sì”.

“Questo è… fantastico”.

“Bene, ora che abbiamo tutti constatato che ho altri giorni da vivere di fronte a me, qualcuno mi preparerebbe da mangiare?” chiese Ianto che non vedeva l’ora di togliersi dagli occhi quel via vai di gente che continuava a chiedergli come stava. E poi… doveva fare due chiacchiere con Jack.

“Sì, subito!” esclamò Tosh uscendo dalla stanza insieme a Gwen.

Owen finì di riporre i suoi attrezzi da lavoro e le seguì.

L’unico a rimanere fu Jack, proprio come Ianto sperava.

“Bene. E ora… parliamo di quel ti amo”.

 

 

MILLY’S SPACE

Sono una romanticona, lo so, ma dopo aver visto la scena della morte di Ianto (e aver versato non so quante lacrime), be’… questo è quello che da una come me viene fuori.

Che dite di questo primo capitolo?? Spero che mi lasciate qualche recensione, ci tengo a sapere se la storia via piace o se mi conviene lasciar perdere.
Tanto per non creare false speranze vi dico subito che non so quanto spesso riuscirò ad aggiornare questa storia. Ne ho ancora altre in ballo che devo continuare, ma, chi ha già letto altre mie opere sa che non sono una che molla. Perciò la porterò avanti, fino alla fine. Ho anche delle belle idee.

Comunque, per rimanere sempre aggiornati, mi potete trovare anche su Facebook, basta mettere un mi piace qui: https://www.facebook.com/MillysSpace?fref=ts

Ok, adesso posso lasciarvi. E ricordatevi le recensioni ^^

Milly.

 

 

  
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