NOTE:
se vi piace vi consiglio di ascoltare questa
canzone
http://www.youtube.com/watch?v=WDj9xHm9wIQ
finché
leggete il capitolo, a me ha ispirato molto ^^
CAPITOLO
UNO - TI AMO
Solo
che non doveva andar così,
solo che tutti ora siamo un po’ più soli qui.
(Sta
passando novembre, E.Ramazzotti)
Ti
rendi conto dell’importanza di qualcosa soltanto
quando l’hai persa. E questo Jack lo sa bene. Nella sua vita
di cose ne ha
perse tante, ha visto morire molte persone, ha visto accadere cose che
altre
persone non potrebbero nemmeno immaginarsi, ha conosciuto e detto addio
a molte
persone nel corso della sua lunga, interminabile vita.
E che cos’altro potrebbe succedergli? Che cos’altro
potrebbe ancora vedere in
grado di sorprenderlo? È questo a fargli tanta paura.
Giungerà ad un limite la
sua sopportazione? Ci sarà qualcosa che gli farà
letteralmente scoppiare il
cervello, l’anima o il cuore?
O
forse quel momento è già arrivato,
pensò Jack,
voltandosi a guardare Ianto dormire tra le sue braccia, una smorfia di
dolore a
sfregiargli il volto, la fronte coperta di sudore e un braccio poggiato
sul suo
petto.
Stava morendo, stava morendo e lui non poteva fare niente. Era
completamente
impotente, lui, Capitano Jack Harkness, che nella sua vita era morto e
risorto
non sapeva nemmeno quante volte, che riusciva a superare tutte le
difficoltà,
che aveva sconfitto un centinaio di alieni, ora non riusciva a salvare
l’unica
persona alla quale si era veramente affezionato.
E
questo gli faceva una tale rabbia…
24
ore prima…
“Il
computer ha captato un segnale alieno nella zona
del St.Mellons, in un edificio abbandonato!”
esclamò Tosh ai suoi colleghi,
senza togliere gli occhi dal computer. Stava cercando di verificare se
per caso
poteva scoprire qualcosa di più sulla presenza aliena ma,
per quanto
ultra-moderni e ultra sofisticati fossero quei macchinari, non ne era
in grado.
“Un
Weevil?” chiese Owen, sbucando dietro le spalle
della ragazza.
“No,
il segnale è molto più forte. È
qualcosa che
non abbiamo mai incontrato prima”.
“D’accordo,
allora andiamo”. Concluse Jack,
scendendo le scale dal suo ufficio. “Ianto, vieni anche
tu”.
I
cinque non esitarono un attimo e in men che non si
dica furono fuori alla jeep. Jack, come al solito, si mise al posto di
guida,
mentre Tosh, col portatile sulle ginocchia, si sedette nel sedile
posteriore
insieme a Ianto e Owen.
In
mezz’ora arrivarono all’edificio abbandonato
indicato da Toshiko, in una zona piuttosto isolata. Era una vecchia
fabbrica,
chiusa già da parecchi anni, tutta grigia e coi muri
scrostati sui quali
crescevano il muschio e l’erbaccia. Anche
tutt’attorno l’erba incolta aveva
preso il sopravvento e ora circondava la fabbrica affaticando il passo.
Una
parte del tetto era crollata e alcune finestre avevano i vetri rotti.
Jack,
Gwen, Owen, Tosh e Ianto entrarono dentro
senza esitare, con le pistole impugnate a due mani.
“Gwen,
Ianto, andate al piano superiore. Owen, Tosh,
voi restate qui con me” ordinò Jack con voce
perentoria non appena furono
dentro, nella stanza buia e maleodorante.
Gli
altri non se lo fecero ripetere due volte e
obbedirono immediatamente agli ordini. Gwen e Ianto salirono le
instabili scale
per andare al primo piano, mentre gli altri tre rimasero al piano terra
a
controllare le varie stanze.
“A
parte ratti, ragni e odore di muffa non mi pare
ci sia niente di estraneo qui dentro” commentò
Owen, scostando col piede una
tavola di legno, scoprendo un rifugio che si erano scavati due ratti
spelacchiati. Il ragazzo storse il naso alla loro vista.
“Shhh”
gli intimò Jack.
“Il
segnale si è fatto più debole, non riesco
più a
percepirlo. Sembra che sia sparito” disse Tosh incredula,
guardando sul suo
palmare.
“Che
se ne sia andato?” ipotizzò Owen.
“Ma
ce ne saremmo accorti” gli fece notare la
ragazza.
“No,
se è un alieno che riesce a smaterializzarsi a
piacimento”.
“Ok,
ragazzi, dividiamoci” ordinò di nuovo il
Capitano e immediatamente gli altri due si diressero in direzioni
opposte,
sempre con le pistole alzate. Non potevano andarsene senza aver
controllato
tutta la zona.
Owen
entrò in quello che pareva essere un
ripostiglio con degli scaffali e delle mensole. C’erano
ancora delle scope e
dei detergenti buttati alla rinfusa. Ma nessuna traccia aliena.
Arrivò ad una
porta nel fondo, trovandola sbarrata.
Toshiko
si trovava in una grande stanza circolare
dove non c’erano altre porte se non quella da cui era entrata
e alcune finestre
rotte. Il suo palmare cominciò a emettere un suono. Il
segnale alieno era
tornato e sembrava provenire dal piano superiore. Forse era il caso di
andare
ad aiutare Gwen e Ianto, visto che lì sembrava non esserci
niente.
Jack,
intanto, stava controllando lungo un corridoio
stretto quando, improvvisamente, sentì un forte rumore
provenire da sopra la
sua testa.
“Gwen,
tutto a posto lassù?” chiese
nell’auricolare
che teneva all’orecchio.
“Abbiamo
trovato l’alieno” gli rispose la ragazza.
“Ed è piuttosto spaventoso”.
Spaventoso.
Già. Il suo sesto senso non si sbagliava
mai.
Gwen
e Ianto si erano trovati a dover fronteggiare
una specie di uomo - gatto alto due metri con delle fauci appuntite e
degli
artigli affilatissimi. Inoltre, quando ringhiava, il rumore che
emetteva era
inquietantissimo.
“Che
cosa mangia questo coso? L’uomo – pesce
palla?”
scherzò Ianto guardando in direzione di Gwen da dietro una
colonna, celato
dall’ombra.
La ragazza ridacchiò cercando di smorzare la tensione.
“Basta
che non mangi le persone”.
L’alieno
prese a camminare nel mezzo, probabilmente
cercando i due. Non doveva avere i sensi molto sviluppati per non
sentire che
erano accanto a lui, nascosti nell’ombra.
Gwen e Ianto impugnarono bene la pistola e si scambiarono
un’occhiata complice.
Il ragazzo cominciò a contare sulle dita della mano e,
quando arrivò a cinque,
entrambi uscirono allo scoperto e spararono una freccia soporifera
ciascuno
contro la creatura. Questi urlò e inarcò la
schiena, ma non cadde a terra
svenuto come si aspettavano. I due sgranarono gli occhi sorpresi; in
quelle
freccette c’era della sostanza soporifera sufficiente per far
addormentare un
elefante. Ma a quanto pareva a quel coso non facevano alcun effetto.
Ne
spararono altre, finché l’uomo – gatto
non si
infuriò completamente lanciandosi contro Gwen che cadde a
terra perdendo la
pistola. Poi la creatura si girò verso Ianto crollandogli
addosso. Il ragazzo
cercò di toglierselo di dosso, ma era troppo forte e pesante
e, inoltre, lo
sentì affondargli i denti nel fianco, al che il ragazzo
urlò.
Gwen
si mise a sedere ma nella caduta aveva preso
una botta in testa che l’aveva un po’ intontita.
Appena si rese conto che Ianto
era in pericolo, si alzò dal pavimento e cercò di
corrergli in aiuto. Ma il
mostro era troppo forte anche per lei.
Stava cercando di trovare la pistola o qualsiasi altra arma con cui
metterlo
K.O. quando vide arrivare Jack, seguito da Owen e Tosh che correvano
nella loro
direzione. I due uomini insieme riuscirono a tirare via
l’alieno dal povero
Ianto e a lanciarlo contro il muro.
Jack
si inginocchiò accanto all’amico che aveva le
lacrime agli occhi per il dolore.
“Mi
ha morso, cazzo, mi ha morso!” esclamò,
portandosi le mani alla ferita.
“Sta’
calmo, sta’ calmo. Adesso passerà”
cercò di
tranquillizzarlo Jack, controllando lo squarcio nella camicia
dell’altro. La
carne era piuttosto lacerata e stava perdendo parecchio sangue.
“Owen?”
chiamò.
Il
medico di Torchwood corse incontro ai due e si
chinò accanto a Ianto per controllare la ferita. Lui e Tosh
erano riusciti a
mettere a tappeto l’alieno con una sprangata in testa e ora
la ragazza lo stava
legando per portarlo, in seguito, alla base.
“Posso
fermare l’emorragia, ma dobbiamo tornare alla
base. Non ho tutti gli attrezzi qui”.
“D’accordo,
torniamo” acconsentì il Capitano. Si
portò dietro le spalle di Ianto per aiutarlo ad alzarsi. Poi
lui e Tosh lo
presero per ciascun braccio, mentre Owen e Gwen trasportarono
l’alieno e
cominciarono così a dirigersi fuori, alla jeep.
Il
gruppo era ritornato alla base per fare rapporto
su quello che aveva appena scoperto. L’uomo – gatto
era stato rinchiuso nelle
celle sotterranee dove già alloggiavano i Weevil, mentre
Ianto sedeva sul letto
operatorio dove Owen stava finendo di fasciargli la ferita.
“Se
ti fa male dimmelo, ti do un altro
antidolorifico” gli disse il dottore, chiudendo
l’ultima benda.
“Grazie”
rispose l’altro, infilandosi la camicia con
attenzione. Sentiva parecchio tirare i punti che il collega gli aveva
appena
messo.
“E
non fare troppi movimenti” lo ammonì ancora Owen.
Non
fare troppi movimenti? Questo a Jack non piacerà,
pensò Ianto ridacchiando tra sé e sé e
lanciando un’occhiata all’ufficio dove
si era rinchiuso Jack.
Scese
dal lettino faticando a trattenere una smorfia
di dolore e cominciò a dirigersi dal capitano.
Aprì la porta il più
silenziosamente possibile e di soppiatto si avvicinò alla
scrivania dov’era
seduto l’altro. Si sedette sul bordo e si mise ad osservare
che cosa l’uomo
stesse facendo.
Jack
alzò lo sguardo nella sua direzione e gli
mostrò un sorriso. Poi si alzò e con sguardo
malizioso gli si avvicinò ancora
di più, infilando una mano sotto la camicia, sfiorando con
le dita le bende che
fasciavano la ferita.
“Ti
fa male?”
“Giusto
un po’”
Il
Capitano avvicinò il viso a quello dell’altro e
in poco tempo annullò la distanza, unendo le loro labbra in
un bacio
appassionato. Ianto fu leggermente colto di sorpresa, ma si
lasciò
completamente andare al bacio possessivo di Jack. Adorava come lo
baciava. In
realtà adorava tutto di lui, come lo abbracciava, come lo
accarezzava, come lo
possedeva.
Jack
si staccò, un po’ troppo presto e un po’
troppo
bruscamente per i gusti dell’altro e si allontanò
per prendere qualcosa da uno
scaffale.
“Ti
preparo del caffè?” chiese Ianto con voce
indifferente,
ma dentro di lui tutto premeva e gli urlava di smettere di fare il
rispettoso e
l’innocente e di saltare addosso all’altro senza
pietà.
“Sì,
per favore”.
Maledetto,
sei maledetto, Jack. Ma è anche per questo che mi piaci.
Ianto
non fece neanche in tempo ad alzarsi che la
porta dell’ufficio si spalancò di colpo e Gwen
entrò dentro passando lo sguardo
per tutto la stanza, finché non individuò Jack.
“Jack,
Tosh ha individuato un’altra forma di vita
aliena all’ospedale. Pare sia lo stesso che abbiamo trovato
noi”.
“Vai
con Owen a controllare. Noi vi osserveremo da
qua”.
“D’accordo!”
Quando
Gwen e Owen arrivarono davanti alla porta
dove erano custoditi gli archivi, un uomo – gatto, identico a
quello che era
rinchiuso nelle loro segrete, si stava mangiucchiando alcuni fogli di
carta
osservando la porta in modo molto minaccioso, probabilmente solo in
attesa di
scappare.
D’improvviso,
però, notando delle presenze che lo
osservavano, spalancò le fauci emettendo un ringhio stridulo
al quale Gwen
indietreggiò spaventata.
“Ci
potete dire cos’è questa cosa?” chiese
l’infermiera,
una donna piuttosto corpulenta e dalla carnagione scura che aveva tutta
l’aria
di essere una tipa tosta, da non prendere in giro. Ma naturalmente a
Owen
questo non importava, il che gli permetteva di dire quello che voleva a
chi
voleva.
“Quello?
Oh, è solo un piccolo micio bisognoso
d’affetto”.
Come
da copione, l’infermiera lo guardò malissimo.
“Gwen,
preparati” ordinò a quel punto il dottore,
parlando con tono perentorio. “Appena apriamo la porta gli
spariamo una raffica
di pallettoni”.
La
ragazza annuì solamente.
“Ma
così non lo uccidete?” chiese
l’infermiera;
sembrava che le importasse veramente di quella creatura.
“Oh,
mi creda, è più resistente di quello che
sembra”.
La tranquillizzò Owen.
I
due membri di Torchwood impugnarono le pistole a
due mani, pronti a sparare. L’infermiera aprì loro
la porta.
L’alieno
li osservò per qualche secondo, decidendo
poi di lasciar perdere quello che stava facendo e alzandosi in piedi.
Gwen e
Owen non attesero un secondo prima di scaricargli le loro armi addosso,
colpendolo in diverse parti del corpo. L’uomo –
gatto cadde all’indietro
colpendo il pavimento con un colpo secco.
Quando
i due si avvicinarono, con cautela e senza
abbassare le pistole, stava ancora respirando ma aveva perso i sensi.
Si affrettarono
subito a legarlo.
“Qualcuno
è stato ferito da questa creatura?” chiese
Gwen all’infermiera dietro di lei.
“Due
infermieri del nostro staff, mentre alcune
persone sono arrivate qui già ferite”.
“E
che cosa li è successo?”
“Inizialmente
stavano bene, avevano solo perso un po’
di sangue. Ma poi… poi sono andati peggiorando e un paio
sono morti dopo dodici
ore dal morso”.
Gwen
e Owen smisero di colpo di fare quello che
stavano facendo e si guardarono l’un l’altro
scioccati.
L’infermiera
aveva accompagnato i due membri di
Torchwood al capezzale di una ragazza vittima dell’uomo
– gatto. Owen esaminò
la sua cartella clinica
dandoci una
veloce occhiata.
“Febbre
alta, forti dolori nella zona del morso,
sudorazione eccessiva e tutti i valori del sangue sballati.”
elencò il dottore
con voce neutra, esattamente come si addiceva a un medico.
Gwen
guardò la ragazza e venne colta da un senso di
pena e dispiacere per lei. Stava chiaramente soffrendo, si capiva dal
suo sonno
agitato.
“Owen,
dobbiamo fare qualcosa.”
“Hai
suggerimenti?” le chiese lui in tono
sarcastico.
La
ragazza lo guardò duramente ma non aggiunse
altro. Così l’amico si girò verso
l’infermiera e le consegnò in mano una
boccetta dal contenuto giallognolo.
“Cos’è?”
“Una
specie di medicina. La dia a tutti quelli che
sono stati morsi. Non so se funzionerà.”
Fece
per andarsene ma la donna lo bloccò per un
braccio.
“Torchwood,
per una volta potreste dirci che sta
succedendo?”
“Volentieri,
se solo anche noi lo sapessimo”.
Jack
e Ianto se ne stavano di fronte alla porta di
vetro della cella che imprigionava la loro nuova creatura.
“Hai
intenzione di fissarlo così tutto il tempo?”
chiese Ianto guardando
in direzione del
Capitano.
“Solo
finché non avrò trovato un altro passatempo
altrettanto emozionante.” gli rispose l’altro senza
distogliere gli occhi dal
mostro.
“Be’,
potrei proportelo io, un passatempo divertente.”
non c’era malizia nella voce di Ianto, né nello
sguardo. Anzi, era rimasto
impassibile, come sempre. A Jack però non sfuggì
l’allusione e non poté non
mostrare il suo sorriso sghembo e malizioso che metteva in evidenza la
fila di
denti bianchi e perfetti.
“Allora
perché non mi aspetti nel mio ufficio?”
“Agli
ordini, capo.”
Ianto
uscì dalla stanza, ma Jack rimase ancora un po’
a osservare, per dare il tempo all’altro di prepararsi. E poi
quelle creature,
i Weevil e ora l’uomo – gatto, lo incuriosivano
parecchio.
Quando
decise di raggiungere Ianto, però, incontrò
Owen e Gwen sulla porta che lo guardavano con due espressioni
spaventose.
“Abbiamo
scoperto una cosa che non ti piacerà per
niente.” introdusse la ragazza.
“Il
morso di quelle creature è letale. Le persone
che sono state morse sono morte dopo dodici ore, anche se inizialmente
non
davano segni di malessere…”.
L’ultima
parte del discorso di Owen che Jack era
riuscito a sentire era stato: le persone sono morte. Dopo quello il suo
cervello era andato completamente a farsi fottere. Solo un nome gli
vorticava
in testa: Ianto.
Ad
un tratto, però, vennero tutti distratti da un
rumore di vetri infranti che proveniva dal piano superiore.
Il
primo a precipitarsi fuori fu Jack. Vide Ianto
inginocchiato per terra con l’espressione distorta dal dolore
e la camicia bianca
macchiata di sangue. Il capitano ebbe un tuffo al cuore a quello vista,
anche
se non lo avrebbe mai ammesso.
Toshiko era già china accanto all’amico e
immediatamente anche gli altri gli si
precipitarono accanto, Jack sorreggendolo per i fianchi.
“La
ferita si è riaperta e anche estesa.”
constatò Owen,
guardando gli altri preoccupato.
5
ore dopo…
Jack
entrò nell’appartamento di Ianto sbattendo la
porta dietro di sé.
Gwen
e Owen lo aspettavano in salotto, una seduta
sulla poltrona e l’altro in piedi alla finestra con le
braccia conserte e la
mascella serrata. Appena lo vide entrare, nel riflesso del vetro, si
girò per
aggiornarlo.
“Gli
ho dato l’antidoto ma non so quanto funzionerà.
Questa è una forma aliena che non conosciamo, non so che
effetti abbia. Ho provato
ad analizzare il suo sangue e
quello
delle altre persone che sono state morse ma non ci ho ricavato niente.
E’ un
veleno che fa morire le cellule rapidamente.
L’ho imbottito di antidolorifici, ma…
probabilmente non passerà la notte.”
abbassò
lo sguardo, non potendo affrontare quello duro e pieno di dolore di
Jack. Perché,
anche se cercava di non darlo a vedere, il capitano stava una merda.
Teneva a
Ianto più di quanto avrebbe voluto.
“Non
puoi fare qualcos’altro?” gli chiese,
fissandolo negli occhi.
“Non
so che altro fare”.
“Cazzo,
Owen, tu devi…”
“Non
sono Dio, Jack!” urlò a quel punto il dottore
spazientito, avvicinandosi al capitano e guardandolo minaccioso.
“Non posso
decidere della vita degli altri.”
Ma
perché tutti si aspettavano qualcosa da lui?
Prima Gwen e ora Jack. La situazione faceva schifo pure a lui e
già da solo si
sentiva una merda perché non riusciva a salvare uno dei suoi
amici, nonostante
lui fosse un medico e avesse il sacrosanto dovere di salvare le
persone.
Gwen,
dal canto suo, guardò in direzione dei due con
il viso rigato di lacrime. Sperava che non prendessero ad azzuffarsi,
non se la
sentiva di dover calmare anche una rissa.
Jack,
allora, senza dire niente, uscì dalla stanza e
andò in camera da letto di Ianto dove questi giaceva tra le
coperte, accudito
da Tosh che gli stava passando un panno inumidito con un po’
d’acqua sulla
fronte madida di sudore. Se proprio doveva morire, era meglio se lo
faceva
nella tranquillità di casa sua.
“Ha
chiesto di te” disse la ragazza non appena lo
vide entrare.
“Grazie,
Tosh, ci penso io.” le rispose lui e, anche
se non aveva usato un tono di comando, la frase serviva chiaramente per
congedarla. Voleva restare da solo con Ianto. Toshiko lo
capì subito e
abbandonò immediatamente la stanza.
Jack
prese il suo posto sedendosi al capezzale dell’amico.
Gli passò il panno umido sulla fronte.
Ianto
si agitò leggermente e poi aprì gli occhi
nella sua direzione.
“Jack”
sussurrò con voce debole “Sei qui”.
“Sì”
rispose l’altro cercando di non far notare che
aveva la voce spezzata “Hai freddo?” gli chiese poi.
“Un
po’”.
Jack
allora si alzò dalla sedia e si stese accanto a
Ianto, nel tentativo di riscaldarlo di più col proprio
corpo. Ianto ne approfittò
per poggiare la testa sul suo petto, mentre il capitano prendeva ad
accarezzargli i capelli.
“Mi
dispiace, non doveva andare così” gli
sussurrò
cercando di non piangere “E’ colpa mia, non avrei
dovuto portarti…”.
“No”
lo interruppe l’altro “Non è
stata… colpa tua”
ma ogni parola sembrava costargli parecchio sforzo.
“Sarò morto facendo… il mio
dovere, come ho sempre… voluto”.
“No,
non dire così” ormai neanche Jack riusciva
più
a trattenere le lacrime. “Tu non morirai”.
Ianto
ridacchiò debolmente lasciando cadere una
lacrima sulla camicia del capitano. “Non importa…
sono… sono comunque contento…
di morire tra le tue braccia. Resterai con me, vero?”
Il
capitano portò lo sguardo alla finestra: il sole
stava calando all’orizzonte e il vento di novembre si era
alzato scuotendo le
foglie degli alberi.
“Sempre”
gli sussurrò, riportando lo sguardo
su di lui. Ianto però aveva già
chiuso gli
occhi, sempre appoggiato sul suo petto. Non era ancora morto, ma Jack
si sentì
stringere il cuore in una morsa d’acciaio.
Aveva voglia di prendere a pugni qualcosa, qualsiasi cosa. Si sentiva
così
impotente.
“Ianto,
non andartene, non mi lasciare” disse,
sicuro che comunque l’altro non lo avrebbe sentito.
“Non voglio continuare a
vivere senza di te, non avrebbe senso” ormai non si
preoccupava neanche più di nascondere
le lacrime. “Ti amo”.
E
gli diede una bacio sulla fronte calda.
Il
giorno dopo…
Jack
si svegliò di colpo, reduce da un brutto sogno
che aveva dimenticato non appena aveva aperto gli occhi. Non si trovava
nel suo
letto, questo lo capì subito, ma gli ci volle un
po’ per ricordarsi che cosa
fosse successo. Sentiva soltanto una pesantezza sul cuore e qualcuno
che gli
gravava addosso.
Ianto.
Ianto
era ancora poggiato sul suo petto, gli occhi
chiusi, l’espressione rilassata. Un po’ pallido
forse.
E
lui… lui non era pronto a dirgli addio. Non così
presto, non in quel modo. Avrebbe dovuto fare di più,
avrebbe dovuto insistere
di più per salvarlo. Glielo doveva, dopo tutto quello che
gli aveva fatto
passare come minimo avrebbe dovuto salvarlo. E invece…
l’unica cosa che ora
poteva fare era dargli l’ultimo bacio e portare il peso della
sua perdita sulla
coscienza.
Lo
poggiò sui cuscini e si chinò per dargli un bacio
sulle labbra. Ma non appena gli si avvicinò notò
che c’era qualcosa che non
andava, qualcosa di strano. Dell’aria fredda usciva dalle
labbra di Ianto,
fiato, respiro. Stava ancora respirando.
Col
battito accelerato andò a tastargli la fronte,
il viso, le mani trovandoli caldi… tutto il suo corpo era
caldo, non freddo
come si era aspettato. Caldo.
Gli
diede un bacio sulle labbra. Ianto sotto di lui
si mosse e poi… poi aprì gli occhi azzurri
fissandoli in quelli altrettanto
chiari di Jack.
“Ianto”
sussurrò Jack incredulo.
“Jack”
La
porta si spalancò di colpo facendoli sobbalzare
tutti e due.
“Jack,
volevo solo…” Owen, sulla porta, rimase come
paralizzato nel vedere Jack a gattoni sul letto e Ianto sotto di lui,
vivo più
che mai. Entrambi lo fissavano come se lo volessero incenerire.
“Sembra
tutto nella norma” concluse Owen dopo aver eseguito
un controllo su Ianto, da cima a fondo.
“Te
l’ho detto, mi sento bene”.
“Non
è detto. Non possiamo escludere che tu possa
avere una ricaduta” gli fece notare il dottore che non voleva
nutrirsi di false
speranze. Ma era chiaro che anche lui, come tutti gli altri, era
contento di
vedere che l’amico stava bene e che non era morto.
“Ho
chiamato l’ospedale” sbottò Tosh,
entrando nella
stanza. “Mi hanno detto che gli altri pazienti che sono stati
morsi ora stanno
bene. Hanno avuto un recupero eccezionale dopo che hanno preso
l’antidoto”.
Owen,
intanto, aveva finito di controllare la ferita
di Ianto, trovandola quasi completamente rimarginata.
“Allora
l’antidoto ha funzionato”.
“Direi
proprio di sì”.
“Questo
è… fantastico”.
“Bene,
ora che abbiamo tutti constatato che ho altri
giorni da vivere di fronte a me, qualcuno mi preparerebbe da
mangiare?” chiese
Ianto che non vedeva l’ora di togliersi dagli occhi quel via
vai di gente che
continuava a chiedergli come stava. E poi… doveva fare due
chiacchiere con
Jack.
“Sì,
subito!” esclamò Tosh uscendo dalla stanza
insieme a Gwen.
Owen
finì di riporre i suoi attrezzi da lavoro e le
seguì.
L’unico
a rimanere fu Jack, proprio come Ianto
sperava.
“Bene.
E ora… parliamo
di quel ti amo”.
MILLY’S
SPACE
Sono
una romanticona, lo so, ma dopo aver visto la scena
della morte di Ianto (e aver versato non so quante lacrime),
be’… questo è
quello che da una come me viene fuori.
Che
dite di questo primo capitolo?? Spero che mi lasciate
qualche recensione, ci tengo a sapere se la storia via piace o se mi
conviene
lasciar perdere.
Tanto per non creare false speranze vi dico subito che non so quanto
spesso
riuscirò ad aggiornare questa storia. Ne ho ancora altre in
ballo che devo continuare,
ma, chi ha già letto altre mie opere sa che non sono una che
molla. Perciò la
porterò avanti, fino alla fine. Ho anche delle belle idee.
Comunque,
per rimanere sempre aggiornati, mi potete
trovare anche su Facebook, basta mettere un mi piace qui:
https://www.facebook.com/MillysSpace?fref=ts
Ok,
adesso posso lasciarvi. E ricordatevi le recensioni
^^
Milly.