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Autore: Killapikkoletta    01/04/2013    2 recensioni
Anno 1639, Nuovo Mondo. Cronache di Lur
Più di un millennio di anni fa un enorme meteorite si schiantò sul nostro mondo, distruggendolo. I pochi sopravvissuti all'impatto cercarono di ricostruire il pianeta, ma ormai la Terra non esisteva più, nulla rimaneva della sua rigogliosa natura o dei profondi abissi, solo un vuoto ed infinito deserto. Gli insediamenti di Kenn, Tearmann e Shelter, la Capitale, furono eretti come rifugio da un mondo esterno divenuto troppo pericoloso. Così passarono gli anni e sempre meno gente ricordava le ricchezze del Mondo Antico, quasi nessuno l'esistenza di bellezze ormai perdute. Ma non tutti hanno dimenticato, avventurarsi nel Mondo di Fuori non è così rischioso come tutti pensano.
Lilah vive a Shelter, da 18 anni protetta da alte mura e una società perfetta. Solo quando incontrerà il selvaggio Dunstan le sue certezze inizieranno a vacillare e lei aprirà finalmente gli occhi. Minacce forse più grandi della morte aspettano i due ragazzi, il tempo stringe e la libertà sembra sempre più lontana.
Questa è una storia scritta a quattro mani con la mia bravissima amica SadieJT
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Dunstan

Le prime luci dell'alba filtrano attraverso le finestre, svegliandomi. Nonostante le crepe ed i graffi che ricoprono il vetro opaco recuperato dai rifiuti di Shelter riesco ad intuire la sagoma delle mura della grande Capitale che si stagliano contro il cielo pallido. Sogghigno all'idea delle migliaia di anime che, protette da quella barriera impenetrabile, dormono sonni tranquilli, senza la preoccupazione di doversi procurare del cibo né tantomeno di dover combattere per la sopravvivenza, mentre i loro maggiordomi preparano loro una lauta prima colazione, che ovviamente non smaltiranno mai, con tutti gli agi che li circondano. Loro non sanno nemmeno che siamo qui fuori. Quando si è bambini ci si chiede il perché di questa follia, ma col tempo ci si abitua, e credo di esserne la prova vivente.
Mi tiro su a sedere sul mio giaciglio di paglia scansando le coperte di cotone e lana e mi alzo, percorrendo mentalmente quella che sarà la mia giornata: prelevare l'acqua dal lago, portarla a casa, andare a caccia, vendere la selvaggina ai commercianti, comprare del cibo per me e per i bambini, tentare di insegnar loro qualcosa, metterli a dormire e ricominciare daccapo l'indomani. Un'esistenza come la mia si potrebbe considerare ciò che di più lontano ci sia dalla monotonia, ma scandire il mio tempo facendo sempre le stesse cose -o almeno provarci- mi impedisce di andare alla deriva. Devo rimanere sano di mente, se non per me almeno per i bambini. Me lo ripeto ogni mattina, mentre mi carico sulle spalle la pesante giara che trascino per tre chilometri all'andata e tre al ritorno, ma solo dopo essermi goduto i miei cinque minuti di libertà nuotando nel lago gelido; io sono rimasto solo dopo la morte dei miei, non voglio che a loro accada lo stesso. Lasciata la giara al solito posto, accanto alla porta di legno marcio della stanza dei bambini, mi affaccio per vedere quanti di loro sono già svegli. I quattro più grandi devono essere già in giro per i boschi, speriamo tornino a casa anche oggi. Mi incammino con il pugnale assicurato alla cinta dei pantaloni e la pistola nella fondina improvvisata. Quella si che è stata un bel regalo dalla Capitale. Sul tragitto per la zona più fitta della foresta mi aspetto di incontrare i miei amici, come ogni giorno, ma oggi non ne vedo traccia.
 “Si stanno impigrendo” penso, ridendo tra me e me, e vado avanti, convinto che gli altri siano ancora a letto. Anche gli animali oggi sembrano poco propensi a mostrarsi. Mi chiedo se non sia io a fare troppo rumore camminando, ma non mi pare plausibile.
Proseguo la mia ricerca, e finalmente scorgo tra le fronde degli alberi un paio di uccelli e li abbatto con pochi colpi di pistola. Non è un gran bottino, ma meglio di niente. Il sole si alza rapidamente in cielo, proiettando macchie d'ombra mentre s'insinua tra le foglie. Gli animali dovrebbero essersi svegliati tutti ormai, ma non vedo ancora nulla, a parte qualche insulsa lucertola qua e là. Improvvisamente la vegetazione sparisce, e mi rendo conto di essermi spinto fin sotto le mura di Shelter. A qualche centinaio di metri da me vedo i miei amici, che di solito cacciano con me, accalcati su qualcosa che sembrano trovare particolarmente interessante. Li raggiungo di corsa. Quando mi fermo a pochi centimetri da loro impiego alcuni secondi per farmi notare. Visto che non sembrano intenzionati a spiegarmi cosa sta succedendo mi faccio strada spingendo via alcuni di loro, e rimango sconcertato da ciò che vedo. C'è una breccia nel muro.
Una sorta di eccitazione mi pervade e un sorriso mi tende le labbra. Lì dentro non sono così perfetti, dopotutto. Mi accorgo che i miei amici si stanno strattonando a vicenda e stanno tentando di non fare troppo rumore mentre si sfidano ad entrare senza che nessuno si dimostri abbastanza coraggioso.
Mi volto verso gli altri e senza pensarci due volte sussurro: “Vado io” E mi volto senza aspettare la risposta dei ragazzi sbigottiti. Attraverso il varco con le braccia stese ai lati, le mani che accarezzano la roccia massiccia rimasta in piedi. Qui dentro devono esserci tesori immensi, e la gente della Capitale non li merita. Il mio pensiero è corso immediatamente ai bambini che, rifugiati in casa mia, vivono con qualche crosta di pane che rimedio per loro scambiando la selvaggina al mercato.
Attraverso le strade della città senza che nessuno mi dia realmente peso. Alcuni camminano a passo spedito con lo sguardo fisso davanti a loro, altri si servono di mezzi di trasporto. Cerco qualcosa che somigli al nostro mercato, delle bancarelle o qualcosa di simile, ma non sembra esserci niente del genere in giro. Più mi addentro nella città allontanandomi dalla breccia più noto gruppi di persone in uniforme dall'aria particolarmente concitata. Tento di tenermi più lontano possibile da loro, soprattutto da quando ho notato quanto il mio abbigliamento sia diverso. Se malauguratamente qualcuno dovesse distrarsi dalla sua cieca corsa giornaliera facendo cadere lo sguardo su di me noterebbe immediatamente che non appartengo a quel posto, e dato il trattamento che ci è riservato di norma non oso immaginare cosa mi farebbero trovandomi all'interno del loro prezioso paradiso terrestre.
Mi appiattisco contro una parete in un vicolo secondario mentre una pattuglia passa rapidamente nella strada principale. Dopo alcuni secondi di apnea tiro un sospiro di sollievo, che mi rimane bloccato in gola quando una mano mi afferra il braccio.
“Ragazzo chi sei? Identificati immediatamente!” Con uno strattone mi libero e fuggo inoltrandomi nella stradina. Per un breve istante mi illudo di aver seminato i miei inseguitori.
“Accidenti un vicolo cieco..” Impreco dentro di me rendendomi conto che ormai è troppo tardi per tornare indietro, sentendo il vociare della pattuglia che si avvicina.
In preda al panico inizio a guardarmi intorno finché non trovo una possibile via di fuga: c'è una porta alla mia destra, che conduce all'interno di un grosso edificio. Senza domandarmi quanto dannosa possa rivelarsi la mia scelta la apro e me la sbatto alle spalle appena in tempo. Sento la pattuglia arrivare davanti al mio nascondiglio e tornare indietro, confusa. Mi lascio andare contro il muro del mio nascondiglio e scivolo a terra.





Angolo Autrice: 
Ed ecco a voi anche il mio esordio! Salve lettori sono SadieJT e come avrete intuito io gestisco Dunstan il selvaggio (non troppo XD) della situazione! Spero vi piaccia come inizio e non perdete il prossimo capitolo visto dagli occhi di Lilah gestita dalla mia amica Killapikkoletta :)
A presto con Frozen Harbor!

  
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