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Autore: The Edge    01/04/2013    1 recensioni
-Mi spiace Dean, ma ormai credo che sia arrivato il momento di finire con tutto questo.
Sono stufa e tu lo sai meglio di me.-
-No! Ti prego, resta con me!-
-Ho fatto la mia scelta-
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Com’è questo Alec?” mi domanda Dean mentre camminiamo verso casa mia.
“Non è male. E’ simpatico ed è il primo americano oltre a te che mi tratta come se fossi una persona e non un mostro”
“Sembrerebbe un buon tipo, a pelle mi sta simpatico”

Arriviamo davanti a casa mia e il mio migliore amico mi saluta con una pacca sulla spalla “ a dopo”
Gli sorrido e chiudo la porta.
Frank non è qui, per fortuna. Salgo con fatica le scale e mi siedo per terra, sollevo il copriletto e sposto verso sinistra il materasso e con un leggero sbuffo estraggo una scatola.
Sul legno vi è inciso il mio nome in cirillico.
Tolgo la polvere che si è depositata sul coperchio e apro.
Al suo interno ci sono dei fogli, il mio tesoro più grande.
Sono le storie scritte da Andrej Michajlovna, mio padre.
Appoggio la scatola sulle mie ginocchi ed estraggo il plico di fogli. Passo le dita sopra la carta, accarezzo dolcemente i solchi provocati dalla penna e mi immagino mio padre seduto nel suo studio che scrive le sue storie.
Dispiego lentamente la prima pagina e incomincio a leggere. E’ grazie a questi scritti che ho mantenuto la capacità di leggere e scrivere in cirillico.
Mamma non ha mai voluto insegnarmi la lingua scritta, ogni tanto mi parla in ucraino, lo fa quelle rare volte che è a casa da sola con me.
Mi ricordo i primi tempi, quando eravamo appena arrivate a Los Angeles. Mi ostinavo a parlare solo il mio idioma, non ne volevo sapere di imparare l’inglese.
Tutto cambiò quando incontrammo Dean e sua mamma al supermercato. Sarah masticava un po’ di russo e riuscì a comunicare con mia mamma. Diventarono amiche e di conseguenza io e quello che sarebbe diventato il mio migliore amico passammo molto tempo insieme.
Mi insegnò lui l’inglese. Prima giocavamo in silenzio, però un giorno sentii il bisogno di ringraziarlo in qualche modo, biascicai un –grazie- a bassa voce. Dean mi guardò, mi sorrise e pronunciò correttamente la parola.
Continuai ad imitarlo fino a quando riuscii a dirla in modo corretto.
Lui mi abbracciò con slancio e mi disse –brava-.
Da quel giorno incominciammo le nostre ‘lezioni’ e nel giro di due mesi imparai a fare un discorso abbastanza sensato. Capivo quasi tutte le parole.
Sorrido al ricordo, rimetto i fogli al loro posto e nascondo nuovamente la scatola.
A volte mi capita che inizio a parlare in inglese e concludo in russo. Ogni volta che succede tutti mi guardano male.
Risistemo il copriletto e mi alzo.
Ho bisogno di uscire e di stare all’aria aperta.
 
Cammino tranquillamente per le strade, il tiepido sole primaverile scalda timidamente la terra. Mi dirigo verso il parco, supero le altalene e mi trovo nella parte più appartata.
Mi stendo sull’erba, incrocio le mani sotto la testa e guardo il cielo. C’è qualche piccola nuvola bianca che lo solca.
E’ rilassante stare sdraiati sul prato, è una bella sensazione.
“Sapevo di trovarti qui” mormora una voce che conosco bene
“Volevo stare tranquilla all’aria aperta”
Dean si siede accanto a me e inizia a giocherellare con i fili d’erba “Tutto bene?”
“Sì, prima mi sono riletta le storie che ha scritto mio padre”
“Davvero? Era da tanto che non le leggevi, vero?”
“Esatto, credo un anno o due. Mentre leggevo mi è tornato in mente il nostro primo incontro al supermercato”
Dean scoppia a ridere “Non mi toglievi gli occhi di dosso”
“E tu non ti scollavi dalla gonna di Sarah”
Ci guardiamo in faccia  e scoppiamo in una sonora risata.
Mi metto a sedere, appoggio la testa sulla sua spalla ossuta.
“Ti voglio bene Dean”
“Anche io. Come mai tutto questo affetto oggi?”
“Sentivo il bisogno di dirtelo” dico con semplicità
“Un po’ come il tuo famoso –grazie- di quando eravamo bambini?”
“Esatto.”
“Lo sai che sei una strana? Ma è bello che tu lo sia”
“Grazie”
Mi scosto dalla sua spalla e mi sdraio nuovamente sul prato “Mi sta venendo mal di testa” mormoro ad occhi chiusi.
Dean non mi risponde, è intento a cercare l’accendino nelle tasche dei jeans. Riapro gli occhi, mi giro su un fianco e appoggio il mento sul palmo della mano, ridacchio alla vista del mio migliore amico.
“Cosa ridi? Io sto cercando disperato il mio accendino e tu sghignazzi”
“Se sei buffo non è colpa mia” ribatto con un sorrisetto
“Ah si?”
Dean si getta su di me e incomincia a farmi il solletico.
Questo stronzo sa benissimo che lo soffro da morire, comincio a contorcermi dalle risate “basta, ti prego”
Lui si ferma solo cinque minuti dopo.
Cerco di calmare il mio respiro e di regolarlo “Sei un bastardo” mi rialzo
“Esagerata, tanto so che ti diverti”
“Non è vero”
“Allora spiegami il motivo del tuo sorrisetto idiota”
Un calore improvviso mi arrossa le gote, abbasso lo sguardo imbarazzata.
Dean mi guarda divertito “Ti vuoi mimetizzare con la maglietta?”
Indosso una maglietta rosso fuoco e quando me ne accorgo arrossisco ancora di più.
Dean ride, mi abbraccia da dietro e appoggia il mento sulla mia spalla “Tutto bene? E’ la prima volta che diventi così rossa. Sembri un pomodoro maturo”
“Tutto a posto, tranquillo”
Non capisco cosa mi sta succedendo. Perché sono così imbarazzata? Ho le guance in fiamme.
Sento il respiro caldo del mio migliore amico sul collo. E’ ancora abbracciato a me. Siamo seduti alla bell’e meglio sull’erba. Malgrado il mio imbarazzo sono contenta di essere qui.
Mi sfiora la guancia con un dito “A che ora devi essere a casa?”
“Penso per le sei. Devo arrivare prima di Frank”
“Capisco. Come va con quel mostro?”
“E’ stranamente tranquillo in questi giorni. Non urla più di tanto, non picchia più mia madre. Io lo ignoro e lui fa lo stesso con me.”
“Meno male, almeno non ti fa del male”
“Già. Adesso l’aria in casa mia è quasi vivibile”

 

***



Sto correndo come non ho mai fatto. Sono in ritardo, spero vivamente che Frank non sia a casa. Altrimenti è la volta buona che mi ammazza.
Apro la porta, il silenzio e l’oscurità regnano sovrani.
Mi dirigo in cucina e vedo un post it appiccicato sul frigorifero, riconosco la grafia tonda di mia madre.
Ci avvisa che non tornerà a casa, visto che rimarrà in ufficio tutto il giorno.
Grandioso, ciò significa che rimarrò nuovamente da sola con quell’odioso.
Mi verso un bicchiere d’acqua, ho ancora il fiatone.
Appoggio il bicchiere nel lavandino, lo laverò dopo.
Faccio per andare nella mia stanza, quando vedo un altro post it.
-Sonja devi fare il bucato. Non essere lavativa come tuo solito. Mamma-

Ah, e io sarei lavativa? Grazie mamma. Ti odio.
Afferro le lenzuola che la mia adorata mammina mi ha gentilmente lasciato e con una smorfia le infilo in lavatrice.
Ora mi toccherà anche cambiare il copriletto nella loro camera.
Con uno sbuffo mi trascino sulle scale, salgo l’ultimo gradino e mi giro a destra.
Apro lentamente la porta ed entro.
La camera di Frank e di mia madre è sempre un mistero.
E’… spoglia. Non c’è assolutamente nulla, è completamente anonima.
E’ la stanza di due sconosciuti che convivono sotto lo stesso tetto.
Sempre sbuffando mi avvicino al mobile dove mia madre tiene le lenzuola pulite. Lo apro e afferro le prime cose che trovo. Che si arrangino.
Sistemo alla meglio il letto e faccio per andarmene, quando una piccola scatola di latta attira la mia attenzione.
La afferro, è stranamente leggera.
La apro, non posso credere ai miei occhi!





Angolo della matta:
Eccomi qua, è passata più o meno un'eternità dall'ultima volta che ho oggiornato, scusate.
Spero di riuscire a pubblicare i prossimi capitoli con una regolarità maggiore.
Asd, spero vi piaccia!
Le recensioni sono sempre gradite.
a presto!
The Edge
  
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