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Autore: _TheDarkLadyV_    02/04/2013    3 recensioni
Non credo di avere delle parole adatte per spiegare quello che mi è passato per la testa, ma ascoltando " The Path" la mia mente ha partorito questo.
Buon viaggio :)
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tears on Tape

" Scriva, scriva! Vedrà che in questo modo si sentirà più libero. Non scriva poesie e versi di canzoni, scriva ciò che sente dentro di sé e da cosa è dettato. Scriva quello che fa, quello che pensa. Si sentirà leggero come una piuma e capirà affondo i suoi pensieri."

Il dottor Kotipelto continuò a ripetermi quelle parole dopo che per l'ennesima volta comparvi sulla porta del suo studio decisamente confuso. L'idea di andare da un psicanalista era stata tutta mia e mi meravigliavo ancora di tale decisione. Avevo bisogno di sfogarmi alla grande, ma avevo deciso che dovevo farlo con un estraneo. Come disse qualcuno " a volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede per quello che siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere." Ero decisamente d'accordo. In fin dei conti con i gli amici e parenti si finiva per cambiare un pò i fatti narrati così da non far trasparire la propria debolezza. Io non volevo mostrarla e decisi di mettermi nelle mani del dottor Kotipelto anche se non ne ero completamente sicuro. Era un tipo abbastanza strano e io probabilmente dovevo essere più strano di lui ad accettare le sue terapie.
Ma fu l'unico a capire i miei problemi e ciò che mi attanagliava lo stomaco. Non mostrò nessuna fetta di ironia e di ilarità anche per le cose più stupide che gli raccontai. Per questo continuavo ad incontrarlo.
Beh scrivere per me non era di certo difficile, ma scrivere di lei ahimè lo era. Il dottore mi stava chiedendo la luna in quei giorni e io ancora non disponevo di una navicella progettata per quello scopo.
Pensare a lei, al mio tormento, era la cosa più difficile da fare in quel periodo. Ogni volta che i miei pensieri si fermavano su di lei sentivo la mia mente e il cuore bloccarsi.
L'avevo fatta soffrire molto e non lo meritava. Come al solito rovinavo sempre tutto e più passavano gli anni e più capivo che sarei diventato un vecchio arcigno, taccagno che avrebbe vissuto da solo nella sua fottuta torre.
Ora quel dottore mi chiedeva di scrivere. A proposito di lui, in tutte le volte che ero stato in sua compagnia mi dimenticavo sempre di chiedergli se era un parente del leader degli Stratovarius.
Stavo fissando quel foglio bianco da esattamente un'ora e ancora non riuscivo a convincere il mio cervello per una collaborazione.
" Oh andiamo!"- sussurrai portandomi le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi per concentrarmi meglio. Avevo sbagliato ancora. Chiudere gli occhi in quei momenti significava rivedere Irene e io come ogni volta non ero pronto a rivedere tale bellezza. La dolcezza dei suoi occhi mi avevano sempre disarmato e la sua pelle candidata suscitava in me dei ricordi che non avrei voluto mai dimenticare.
Aprii gli occhi e guardai di nuovo il foglio con la folle speranza che si fosse riempito senza il mio intervento. Purtroppo ancora non disponevo di tali poteri paranormali e il fatto stesso che si stessi pensando mi preoccupava. Scossi la testa e decisi di alzarmi per accedermi una sigaretta.

" Scusi."
La mia tosse non era di certo un modo cortese per presentarsi. Dannata, proprio ora dovevi insistere?
Il dottore mi guardò accigliato e io sentii il desiderio di seppellirmi.
" Signor Valo, io credo che lei debba iniziare a scrivere partendo dal suo vizio prediletto."
" E perché mai?"- chiesi confuso. Cosa centrava il mio vizio con il mio problema?
" Vede, la mia terapia non prende in considerazione solo il problema principale che lei prontamente mi ha descritto, ma anche e soprattutto quelli secondari. Niente deve essere messo in disparte. Tutto dovrà partecipare alla sua " guarigione". E io credo che parlare del fumo non sia poi così male. Lo veda come un ulteriore modo di approfondita conoscenza fra me e lei."- concluse il dottore sorridendomi. Dove trovasse tutta quella calma era un mistero, ma avrei pagato oro per averne anche solamente un pezzettino.
" D'accordo."

Non lo feci. Non scrissi nulla riguardante il mio vizio. Era qualcosa di troppo intimo per spiattellarlo ai quattro venti. Non ricordavo nemmeno quando fu la prima volta che conobbi quel veleno. Probabilmente strinsi amicizia con delle sigarette che ormai neanche esistevano più sul mercato.
Ricordavo invece tutte quelle che avevo fumato, perché ognuna di quelle sigarette a modo loro erano importanti per me. Ogni volta che gli HIM ottenevano il successo dovuto, io festeggiavo accendendomi una sigaretta, ripromettendomi poi che sarebbe stata l'ultima.
Scrissi molte date importanti sui fogli in cui davo spazio alla mia vena artistica, ognuna riguardante un'ultima ipotetica sigaretta, ma mai quelle date coincisero veramente con la fine.
A quell'ultima famosa sigaretta se ne aggiungeva un'altra e un'altra ancora. Come avrei fatto a smettere del tutto ancora non riuscivo esattamente a capirlo. Forse dovevo farlo accendendo un'altra sigaretta.
E fu quello che feci in quel momento.
Scrivere richiedeva grande concentrazione e io riuscivo a trovarla solo se aspiravo quel dolce veleno che ormai amavo da una vita.
La sigaretta aveva un gusto più intenso quando era l'ultima. La si gustava con maggior passione, come se si stesse facendo sesso. Aveva un gusto speciale diverso dalle altre, un pò come si diceva delle donne che riuscivano a conquistare l'anima degli uomini: quelle erano sempre diverse dalle altre.
La parola donne fece ricordare al mio cervello il vero motivo per cui avevo tirato fuori penna e foglio e scostato le tende nello studio per far entrare la luce primaverile. Quel mondo che c'era fuori dalla mia torre e quei colori così densi erano in completa opposizione con quello che sentivo dentro. Anzi quasi detestavo l'allegria che respiravo nell'aria, forse era per quello che presi l'abitudine a trascorrere molto più tempo a casa che fuori.
Ritornai al tavolo e mi sedetti di nuovo. Sospirai e, spinto da una forza paranormale, iniziai a scrivere.

Cara Irene,
E' passato circa un mese da quando ti scrissi l'ultima lettera alla quale naturalmente non hai risposto. Ho perso il conto di tutte quello che ti ho mandato. Non so nemmeno se ti sono mai arrivate.
Lo so è un pò strano che in un'era come la nostra piena di tecnologie, io decida di scrivere su carta come succedeva negli anni Novanta e affini.
Lo sai, ho sempre pensato che scrivere di proprio pugno sia un modo per rendere più vivi i propri sentimenti imprimendoli fra gli scarabocchi quasi illeggibili e intrappolandoli in mille parole con un senso quasi perduto ormai.
Sono un eterno antico, ma forse questo lo sai già. Credo di averlo scritto anche nelle altre lettere indirizzate sempre al tuo indirizzo.
Le luci di maggio mi hanno insegnato a ricordare i tuoi passi che lentamente svanivano da questa torre dopo la pazzia che tu trovasti al suo interno. Ancora non riesco a perdonarmi quell'ingiusto tradimento.
Sapevo già da allora che la zampata dell'inverno seguente non avrebbe tardato a cancellare il miraggio degli ultimi mesi che trascorremmo insieme.
Ti sorprenderà scoprire quanto poco sia cambiato il tutto. I cambiamenti di stagioni sono quasi sempre improvvisi e che il freddo riesce a penetrare fin dentro l'anima. Tu l'hai sempre odiato. Continuo a chiedermi perché ti fossi trasferita qui se lo odiavi così tanto. Già non te l'ho mai chiesto. Ero sempre piuttosto preso da me stesso per darti l'attenzione che meritavi..
La torre del faro erge sempre come una sentinella nella bruma, e la strada che costeggia la spiaggia è ormai solo un pallido sentiero che si snoda verso il vuoto.
Le rovine di quella vecchia dimora che a te piaceva chiamare " La casa dell'Inglese" si intravedono ancora oltre gli alberi del parco, silenziose e avvolte in un manto di pura oscurità. Nelle sempre meno frequenti uscite che faccio e le poche occasioni che ho per raggiungerla, posso ancora scorgere i vetri incrinati delle finestre che brillano come fantasmagorici segnali nella nebbia.
A volte penso che qualcuno mi osservi da lì, ma poi penso che è soltanto stupidaggine. Ormai lì non c'è più nessuno.
Ti chiederai anche che fine abbia fatto la bella casa vittoriana vicino al porto. Ebbene è sempre lì, isolata, sola contro tutto il vasto mare. Durante questo inverno un temporale ha demolito quello che restava del piccolo pontile sulla spiaggia. Un facoltoso avvocato con la puzza sotto al naso e cattivo come pochi, era tentato di comprarla per una cifra assurda, ma i venti forti e l'impeto delle onde si sono assunti il compito di dissuaderlo.
Non ti nascondo che ieri ho preso la mia bicicletta e sono andato fino al porto dove ho contemplato il crepuscolo e non ho fatto altro che pensarti.
Ricordo che una volta proprio lì ti avevo raccontato una favolosa leggenda di un sinistro pirata la cui nave ne è stata inghiottita in una notte del 1700. Ti ho mentito. Non c'è mai stato un pirata che si sia avventurato nelle gelide acque di Helsinki. Solo un pazzo lo avrebbe fatto.
E' anche vero che, passeggiando per quelle zone, mi sono sentito più solo che mai e ho davvero capito quanto tu mi manchi. Ma non posso chiederti di tornare: tu non lo faresti e io me lo merito.
Sono uno sporco bastardo, egocentrico ed egoista, che in questi anni ha solamente pensato alle sue cose trascurandoti e rendendoti infelice. Ti ho perso senza volerlo davvero.
Solo quando le persone se ne vanno capisci quanto tu ci tenga a loro e quanto siano importanti. E io l'ho capito solo ora. Credo di essere completamente intrappolato nei tuoi ricordi e forse questa è la pena che devo scontare per averti spezzato il cuore.
Il mare a volte ha questa capacità: farmi vivere di ricordi. Stamattina in salotto ho trovato un tuo anello. Strano, vero?
É passato un anno da quando te ne sei andata per sempre e oggi scopro che una piccola parte di te è rimasta in quella malvagia torre. Sai, non nascondo di aver pensato di tenermelo per me, aggrapparmi a quel piccolo oggetto per sentirti ancora vicina.
Sono stupido, lo so e mi chiedo ancora come tu sia riuscita a starmi accanto in questi anni.
Forse non ci crederai ma sei stata la cosa più bella che potesse accadermi dopo l'inferno che avevo passato.
E ti amo.

Tuo Ville.

Sospirai e cercai di non piangere. Non sapevo nemmeno più come si piangesse, pur volendo non ci sarei riuscito. Mi passai una mano sugli occhi assicurandomi di non avere delle perdite e mi avvicinai alla finestra. Portai con me la lettera e insieme ad essa il dubbio che Irene potesse leggerla.
Non mi interessava, gliel'avrei spedita come avevo fatto per le altre.
La speranza ancora non riusciva ad abbandonarmi.


Era il 12 dicembre del 2008 quando lo notai per caso, quell’uomo in giacca e berretto, alto, scuro e di bell’aspetto. Io non ero che una semplice ragazza che sorseggiava silenziosa la sua tazza di cioccolata calda con le nuove amiche ad un bar per completamente sconosciuto. Fu un colpo di fulmine a ciel sereno. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato lo stesso anche per quell’uomo? La prima volta che incontrai Ville fu durante una festa, quando mi strinse la mano in segno di nuova conoscenza. Sentii le gambe tremare. Da lì iniziò la storia d'amore più bella, ma anche quella più difficile.
Ville era un bell’uomo e non aveva nulla di strano. Era un poeta: mi circondava di dolci frasi e surreali pensieri. E quando le nostre labbra s’incontrarono per la prima volta, sentimmo che era amore.
Non lo avrei dimenticato mai, nonostante il male che era riuscito a farmi.

Una donna quasi con aria furtiva, si avvicinò alla torre cercando di non essere vista. Lo sperava con tutta se stessa. Doveva fare solo una piccola cosa e poi sarebbe scomparsa così come era arrivata.
Il cancello era aperto e lei sperò ancora una volta che Ville non la vedesse.
Cautamente si avvicinò alla porta dell'ingresso e sulle scale adagiò una lettera. In cuor suo avrebbe tanto voluto vederlo, toccare il suo volto e strappargli un bacio, ma non l'avrebbe fatto.
Era tornata ad Helsinki solo per compiere quella missione, poi sarebbe andava via per sempre. Ville doveva capire.
Lei lo amava, ma non sarebbe tornata. Così le consigliava la ragione..ma il cuore?
Quello era di tutt'altra opinione.
Bagnò con le sue lacrime il piccolo tappeto e la lettera e poi scappò via, lontana da quella torre, lontana dall'unico uomo che aveva amato in vita sua.

Non cercarmi più.
Ti amo.
Per sempre, tua Irene.



   
 
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