Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: DaniDa    03/04/2013    0 recensioni
"Secondo mia madre mi chiamo Pilar e sono una giornalista."
Una ragazza di 23 anni, dopo l'incidente della madre, scopre che sua madre non c'è più. Al suo posto una donna che non aveva mai conosciuto, di cui ora vuole parlare per ritrovare se stessa e un rapporto madre-figlia che non aveva mai avuto prima.
Ma scoprirà che alla verità non si è mai preparati a sufficienza.
*Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale. I personaggi sono di mia invenzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
La figura di mia nonna è talmente impressa in me che potrei facilmente dire di averla conosciuta.
In casa ci sono moltissime foto di lei con mia madre.
Si scambiano dolci baci, sorridono e si sorridono.
Devono essere state molto legate.
Mia nonna è morta quando mia madre aveva vent’anni. Le mie zie avevano venticinque e ventiquattro anni; zia Dalila solo tredici.
So che era una donna splendida, bellissima – e dalle foto si vede eccome – forte, piena di vita, un genio culinario.
E’ sempre stata il pilastro non solo della casa di mia madre, ma anche quello delle zie di mia madre.
Tutto girava intorno alla figura di mia nonna.
Mia madre quando ne parla dice sempre “LA mamma”.
Avrei tanto voluto conoscerla. Sono certa che avrebbe la soluzione. Saprebbe esattamente cosa fare.
 
Dopo aver rivolto la parola a mia madre, mio padre mi trascinò fuori di peso, chiuse la porta della stanza d’ospedale con forza dietro di sé, e mi sussurrò disperato «Sei matta? Perché lo hai fatto?!?»
«Volevo solo vederla»
«Bene, ora va’ via» e mi spintonò con forza.
Mi sto ancora chiedendo come mai mio fratello non mi abbia ancora chiamata per sgridarmi per ciò che ho fatto.
Mio padre, invece, non lo vedo da quel giorno all’ospedale.
La notte l’ha passata con lei. Aveva paura che si addormentasse per non risvegliarsi più. Invece si risvegliò.
Tutto tranquillo, insomma.
Solo che adesso ho una strana inquietudine.
 
Decisi, comunque, di affrontare mio fratello. Non potevo vivere in attesa di una sua sfuriata. Uscii di casa, presi la macchina e andai da lui.
Casa di mia zia –mi ero già trasferita da un paio di giorni – era a mezz’ora di macchina dalla casa di mio fratello; infatti abitava in un’altra città.
Devo dire che è una città molto trafficata quella di mia zia e, nonostante ciò, per nulla caotica. Per di più la casa era stupenda. All’interno aveva un carattere moderno, tutto high-tech, super computer, super televisori, incredibili elettrodomestici.
La casa in sé, però, doveva avere molti più anni. Forse era del ‘900.
So solo che la casa era del marito di zia Cristina. Sono una coppia davvero molto affiatata.
Ero quasi arrivata a casa di Ferdi, quando mi arriva una chiamata della zia.
«Amoruccio sei a casa?»;
«Ehm, zia? Ce l’hai con me? Comunque no, sono uscita»;
«Oh! E non hai avvisato? Mi aspettavo almeno un sms.»
«Zia sono da Ferdi. Hai bisogno di qualcosa?»
«No… Vabbé. Però la prossima volta avvisa. Potrei avere dei programmi, degli impegni. Così me li fai saltare. Torni a pranzo? »
«Non so, zia. Ti faccio sapere»
«Ma io lavoro, devo fare la spesa! Insomma! Se mangi a casa fammi sapere che ti mando la lista della spesa, così compri giusto qualcosina».
Ero senza parole. Cioè, in sé la chiamata non è nulla… Ma il tono… Da brivido!
 
Comunque, tornando a Ferdi, ero preparata a tutto, ma non a quello.
Dovete sapere che mio fratello è sempre stato uno con la testa sulle spalle.
Ha sempre avuto ottimi voti, un liceo scientifico superato brillantemente, laureando di medicina con la media del 27,4, un figlio modello.
E’ sempre stato equilibrato nella carriera scolastica così come con le amicizie e gli amori.
L’ho visto sconfitto, abbattuto, depresso, ma non l’avevo mai visto così come mi apparì sulla soglia di casa sua.
Occhi rossi e gonfi di pianto. Dietro di sé, una scia di foto e scatoloni pieni di album e quaderni.
Lo abbracciai forte, sebbene non riuscissi a capire come potesse sentirsi.
Dopo una strana conversazione su tutto e su niente, decisi di parlare io per prima di ciò che era successo. Era palese che mio fratello non ne parlasse di proposito.
«Che hai trovato qui?» chiesi riferendomi ai vari ricordi che avevano invaso la casa.
«Molte cose» disse lui alzando le spalle.
«Tu non sei curioso?» chiesi.
«Curioso di che?»
«Della vita della mamma, prima che diventasse nostra madre».
«Se non ne sappiamo nulla, ci sarà un motivo» rispose lui, un po’ troppo accigliato per i miei gusti.
«E questo chi te lo dice?» chiesi irritata. Tanto curioso per qualsiasi cosa e non per questa situazione? Ma mi credeva davvero tanto scema? Era come se ci fosse un elefante, proprio lì, davanti ai nostri occhi. Possibile che lo vedessi solo io?
«Me l’ha detto la mamma. Ha detto:  “Ci sono cose che non vorrei mai che voi sapeste, che non vorrei affrontaste. Sono cose molto private e dolorose per me” ».
«Oh… Beh ma se me le facessi raccontare? Insomma, la scelta è sua, io non la forzerei! » provai io, innocentemente.
«Come se tu non lo sapessi! Le faresti solo del male, perché è come se la prendessi in giro!» Il suo tono stava pian piano aumentando e, insieme, la mia paura «Insomma ti fingi una giornalista, e in realtà sei sua figlia! Poi? Vorresti anche farti dire la sua storia?? Ma sei stupida! Te la faresti dire con l’inganno! »
«Oh, certo! Il figliol prodigo! Perché tu non la vorresti sapere? Insomma, non sappiamo niente, niente di lei!» sbottai io.
«Si, invece!» Ma che bugiardo e che vigliacco!
«NO! Sai qualcosa di nostro nonno, ad esempio? Magari non lo conosciamo perché abusava di lei e delle zie. Magari era un narcotrafficante. Lo dice lei che era un professore. E poi lo dice in modo così strano! E la famiglia di nostro nonno? Lo sapevi tu che la mamma ha altre cugine, altri zii? Sai come l’ho scoperto? Con facebook. L’altro giorno. Tutta questa gente con lo stesso cognome che aveva nel suo profilo. All’inizio credevo facesse parte di un gruppo tipo “Ehi, voi, con lo stesso cognome”, ma poi ho cercato un po’ in più ed ecco tutti i suoi parenti.» Alla fine avevo il fiatone.
Lasciai in piedi, in mezzo a scatoloni, mio fratello che non disse più una parola, e decisi di andare dalla persona di cui sapevo tutto. Era poco distante da casa di Ferdinando. Era al cimitero. Mia nonna.
Sin da bambina, andare lì con mia madre mi metteva un senso d’allegria e di gioia. Non travisate, non sono una di quelle che ha un amore per le cose lugubri, che abbraccia la tristezza e che veste di nero. Neanche in adolescenza. 
Solo che lì c’era la pace. Lì si stava bene. Riparati in inverno e freschi in estate. Sempre un buon profumo di fiori. E poi c’erano tante persone che sorridevano dalle foto.
Mia madre ha sempre detto di non andare mai da soli perché una volta, un extracomunitario aveva inseguito fino alla cappella di famiglia, mia zia Federica. Ogni volta che la zia racconta questa storia scoppiano tutti a ridere tranne mia madre.
“Sul serio! E’ pericoloso!” Insiste ogni volta.
Comunque, una volta entrata nella cappella, mi sedetti a terra sul marmo freddo e mandai un messaggio a mia zia Cri.
 - Non torno per pranzo -
 
***
Nel suo studio, il padre di Pilar, ricevette una telefonata. Era il figlio, Ferdinando.
“Pronto, papà”
“Qualcosa non va?”
“Oh, no. Tutto bene” pausa “Ho trovato un quaderno tra le cose della mamma. Della Disney. Con dei topolini.”
“Oh”
“Già. Penso che la dovresti lasciar fare. Penso che sia ora di sapere qualcosa in più, non credi?”
“Parlerò con Demetra. Ma sarà lei e solo lei a decidere”.
“Penso che farebbe bene sia alla mamma che a Pilar, non credi? Magari così si riavvicineranno… Forse, serviva proprio questo l’incidente, no?”
“A volte, a parlare con te, sembra di sentire i discorsi di Demetra. Non prometto nulla”.

***
 
Dopo un po’, a stare seduta sulla pietra fredda e guardando in alto verso il sorriso grande di mia nonna, mi era venuto un torcicollo incredibile e non sapevo se il mio sedere si sarebbe mai staccato da terra.
Era già pomeriggio senza che me ne accorgessi.
Mio padre, Davide Ferretti, mi aveva chiamato poco prima per dirmi che mi aspettava in ospedale, e che la mamma voleva vedermi.
Credevo sul serio che le fosse tornata la memoria. Ne ero un po’ delusa, però. Se avesse riacquistato tutti i ricordi, non avrei saputo nulla della sua storia.
Arrivata lì, un’ora dopo la chiamata di mio padre, la trovai raggiante, pronta a dare ordini su cosa avrebbe voluto mangiare una volta tornata a casa. Stava chiedendo di tutti i locali di cui ricordava e voleva sapere se erano chiusi, falliti, perché chiusi, perché falliti, se ancora aperti, se era molto qualcuno che conoscesse e che lavorava in quei locali.
Bussai piano, non volevo disturbare un momento che, seppure sciocco e insignificante, era meraviglioso.
«Salve!» La sua voce squillante mi colpì in pieno, mettendomi di buon umore. «Mi scusi se sono in queste condizioni, ma mi dimetteranno tra qualche giorno. Le piace il mio pigiama? Io lo adoro! » esclamò indicando il pigiama colorato.
«Oh, si. Sei bella… Oh, mi scusi. Lei mi sembra piena di vita». Mi corressi… Che figura!
«Oh, ti prego, dammi del tu. Ti potrei essere madre, è vero, ma l’incidente mi ha tolto parecchi anni» disse toccando con l’indice destro la sua tempia.
Aveva pronunciato la verità con tanta naturalezza che per un momento mi sentii vittima di uno scherzo. Come se ricordasse tutto. Come se fosse tutta una messa in scena.
«Ho parlato con mio marito – Dio se fa strano questa frase.
Mi ha detto che ti ha fatto firmare un contratto; che la sua casa editrice – ho sposato un editore… Io!- pubblicherà questo libro, in modo che non sia un semplice articolo buttato su un giornale. Che in nessun caso scriverai o divulgherai il mio nome o quelli della mia famiglia. »
«Oh, ehm » guardai mio padre interrogativa «Si tutto giusto».
«Ottimo! Sta’ bene a sentire. Niente fronzoli, non ne aggiungere. Io tendo a saltarli quando leggo un libro. Tipo le sciocchezze sul paesaggio. Io le salto, quindi non metterne. In più, non dirai nulla a nessuno, neanche alle mie sorelle – Oh, Federica mi ammazzerà e Cristina, oh Dio, se non avrà da ridire lei, io sono un fantasma!!
Mi raccomando non dire nulla finché non è tutto finito, chiaro?»
«Cristallino»
«Bene. Allora?» mi fissava impaziente, in attesa di un mio gesto o parola. Ma che dovevo fare?
«Oh si vede proprio che sei giovane e alle prime armi. Non prendi il taccuino? Una penna? Qualcosa? » disse gesticolando.
«Mmm, no. Questo è solo un primo incontro, per conoscerci. Mi parli un po’ di lei, della prima cosa che le viene in mente».
Lei fissò mio padre e lui capì, senza che si dicessero nulla, che non era gradito. Uscì senza una parola.
Per un momento ci fu il silenzio. I macchinari erano spenti. Solo il cinguettio degli uccelli si sentiva.
«La mia compagna di stanza è sotto i ferri. Aveva tipo un tumore. Quando mi sono risvegliata credevo di avere un tumore anche io. E’ da quando è morta mia madre che credo di essere malata di tumore e di non saperlo. Allora credevo mi avessero operata, e invece… »
«Capisco» dissi. Mia madre, che non era mai malata ma che il massimo che poteva prendere era un raffreddore o un mal di testa, da giovane, credeva di avere un tumore. “Ferdi questo lo sapevi?” mi ritrovai a pensare.
«Già. Sei molto magra, fai attività fisica, sport?» chiese, ma non aspettò una mia risposta e subito disse «Sono qui da due mesi e mangio cose molto light. Dovrei essere dimagrita. Sai, sono ossessionata dal peso. Faccio continuamente su e giù con la bilancia. Sono molto nervosa, emotiva… Mi sfogo sul cibo e alterno momenti – molto brevi – in cui sono molto magra, a periodi estremamente lunghi in cui sono molto grassa. Il problema è che io non mi accorgo di essere grassa. Mi sento solo più frustrata.
Non oso guardarmi allo specchio, ora come ora. Ho paura di avere un aspetto orrendo. Non che sia una di quelle ossessionate dalla bellezza. So benissimo che ci sono problemi più gravi e non ho bisogno in questo momento di altri problemi, ma… »
«Ma che dice? Un aspetto orrendo? » Provai a dirle, ma lei m’interruppe.
«No, si, sul serio! Insomma, immagina come sarebbe vederti adulta così, all’improvviso. » Feci una faccia pensierosa e spaventata, o chissà cosa, probabilmente, perché mi disse: «Ecco, è così che mi sento in questo momento. Come se stessi vedendo il futuro in una sfera di cristallo. E se non mi piacessi? Se non mi piacesse la mia immagine?»
«Effettivamente, ha ragione.»
Poi calò il silenzio e io ripensai che mi aveva dato del tu e che io, invece, mi ero rivolta con il lei. Mi faceva troppo strano parlare normalmente con lei, con mia madre, facendo finta che non fosse successo nulla.
E se mi scappava qualcosa? E se dicevo qualcosa e capiva che io non ero una vera giornalista? Un brivido mi scosse tutta. Sembrò non accorgersene.
«Dicono che se vuoi sapere come sarai da vecchia, devi guardare tua madre. Io ho paura di superare i cinquanta, sai? Mia madre è morta a quell’età, ufficialmente. Si è persa pian piano, sfiorendo poco a poco.
La malattia l’ha consumata finché non è morta» Non avevo mai visto il suo sguardo tanto triste. Si girò poi, come di scatto, a guardare gli alberi oltre la finestra, come la prima volta che le avevo fatto visita.
Mi sentii triste anch’io, e insicura, molto insicura. Non volevo più continuare, non volevo più chiedere niente. Se l’avevo fatta sentire così, in questo modo, ora che era solo l’inizio, figurarsi se m’avesse accennato qualcosa in più. Guardavo già la porta della camera, pronta a chiamare mio padre. Ma quando aprii bocca, le parole che uscirono erano diverse da quelle che avevo intenzione di dire.
«Mi parli di lei»
«Cosa c’è da dire? » disse con una smorfia, guardandomi di nuovo. «E’ morta. Si è lasciata consumare da un cancro, anzi da più di un cancro» - “Metastasi, forse”, pensai - «Ah, se tu l’avessi vista, se l’avessi conosciuta… Se sapessi… » Non aveva finito nessuna delle frasi cominciate. «Oh, mia madre era una combattente. Forte e rigida. Amava la verità, era di sani principi. Una donna tutta d’un pezzo. Ma siamo tutti deboli davanti alla morte. Lei, anche se non tutti lo vedevano e l’hanno visto, è stata debole anche in altre circostanze».
Curiosa le domandai «Lei ha avuto paura della morte?»
Il suo sguardo si fece confuso e si toccò nuovamente con l’indice, la fronte.
«Ah, che scema. Si, niente ricordi. Già» …che scema, scema, scema che ero stata.
«No, scusa tu. Comunque penso di no, sai? Insomma, avrei lasciato solo un marito, no? In più ho sempre creduto che la vita, questa vita, è nulla rispetto all’eternità – sono molto religiosa. Credo fortemente che la morte mi ricongiungerebbe solo alle persone che più ho amato, e che poi, prima o poi, ci rivedremo tutti. Solo che… » D’un tratto la voce era come se fosse scomparsa. «Solo che verrei meno alla promessa fatta a me stessa». Si schiarì la gola
«Quale?» Ma perché cavolo mi lasciava in sospeso sui punti più belli, che odio!
«Morire per ultima. Ho sempre chiesto a Dio di morire per ultima. Non perché abbia paura della mia morte o perché non abbia paura di quella dei miei cari, anzi. Ho una tremenda paura di essere abbandonata. Solo, morire per ultima significherebbe non lasciare sole le mie sorelle. Sono tutta la mia vita. Le amo più della mia stessa vita.»
Non riuscivo a vedere più mia madre. Era sfocata. Avevo dei lacrimoni agli occhi e non sapevo che fare. Davvero poco professionale.
Forse si era accorta del mio problemino perché di nuovo puntava gli alberi, come se ci fosse qualcuno o qualcosa su un ramo o dietro le foglie. Ebbi tutto il tempo per riprendermi.
«Prima ha accennato alle debolezze di sua madre», ricordai, «A cosa si riferiva?»
Come se qualcosa l’avesse punta o come se si fosse scottata mi guardò arrabbiata. «Non. Dire. Così. Tu non puoi» scandì con tono severo.
«Mi spiace, non volevo» mi feci piccola piccola «Io, allora vado» non capivo più niente, non avevo mai visto mia madre così, volevo solo scappare via.
«Aspetti» mi disse scocciata, come se si fosse ricordata una cosa insignificante. I suoi cambi repentini di umore erano assurdi. Iniziai seriamente ad agitarmi.
«Devi scoprire una cosa per me. Solo allora parlerò di mia madre. Dirò tutto, perché mia mamma se lo merita. Non voglio visite finché non avrai scoperto questa cosa. Devi trovare mio padre. Devo sapere dov’è, sapere cosa fa e com’è andato il processo. » “Processo? Quale processo?” Era tutto così strano, nuovo e inquietante allo stesso tempo.
«Mi devi far sapere se è definitivamente uscito dalle vite delle mie sorelle e dalla mia. Il suo nome è Alberto. Alberto Spezzini».
Pronunciò questo nome come se fosse un rigurgito e con una smorfia talmente schifata da lasciarmi senza parole.
Andai via senza fiatare.

 
 
Non ho ricevuto né recensioni positive, né negative, così continuo con questa storia.
Parla un po’ di me e un po’ della mia famiglia, ma molte cose sono di fantasia.
Per riprendere un po’ quello che ho detto nel testo, la mia famiglia se lo merita.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: DaniDa