Anime & Manga > Rossana/Kodocha
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Autore: Elpis    03/04/2013    9 recensioni
I personaggi di Kodocha sono cresciuti.
Sana è felicemente sposata con Akito, Naozumi convive con Fuka, Tsu ed Aya sono addirittura diventati genitori. Quanto a Rei, continua ad essere il manager affettuoso della sua pupilla e a coltivare il suo idillio con Asako.
Quattro coppie, ognuna con un passato diverso alle spalle.
Quattro coppie i cui destini si intrecciano in un gioco di linee dai contorni non ben definiti.
E se bastasse un test di gravidanza a ingarbugliare tutto e a rompere quei delicati equilibri?
Estratto 15° capitolo:
"Kami, vi prego, fate che almeno il bambino si salvi".
Una parte di lei avrebbe solo voluto abbandonarsi al vuoto dell'incoscienza, l'altra lottava per mantenere a fuoco ciò che la circondava e rimanere presente. Avvertiva un gran vuoto all'altezza del petto, un vuoto da cui nemmeno il dolore delle contrazioni riusciva a distrarre.
"Posso essere egoista, almeno per un momento?"
C'era un nome che martellava nella sua mente, più forte della voce dei medici, più insistente del rumore dei macchinari elettrici, più penetrante della paura.
"Akito-kun.
Ho bisogno di te, Akito-kun."
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
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Ospedale







 

 

Il tempo a volte giocava brutti scherzi.
Fissava le mattonelle bianche per terra, chiedendosi se quell'attesa avrebbe mai avuto una fine.
Per la prima ora il suo sguardo era rimasto incatenato alla porta, senza nemmeno battere le palpebre. Poi gli occhi avevano iniziato a bruciare e non aveva più resistito.
Gettò uno sguardo al quadrante dell'orologio. Erano passati a malapena una manciata di minuti.
Sagami tornò a concentrarsi sulla sottile linea che faceva da divisione fra le mattonelle. A scadenze più o meno regolari di dieci minuti qualcun altro entrava a riempire la sala di attesa.
L'ultimo era stato Tsuyoshi e Rei aveva la brutta sensazione che in quello stretto corridoio l'aria non bastasse per tutti.
Sana-chan. Resisti, Sana-chan.
Lo avvertiva sotto le palpebre, quel pizzicore fastidioso che preannunciava il pianto. Non poteva permettersi di crollare così. Avrebbe dovuto fare forza alla Sensei o assicurarsi che Naozumi non svenisse da un momento all'altro. Il suo colorito pallido non preannunciava niente di buono.
Sono il suo manager. Dovrei essere quello che la tira fuori dai guai.
E invece si sentiva un bambino inerme, alle prese con qualcosa che non poteva combattere. Si girò verso Asako, seduta al suo fianco. Avrebbe voluto nascondere il viso nell'incavo del suo collo e non rialzarlo più.
L'ennesimo rumore di passi.
Si voltò verso la sala di ingresso e il suo corpo si irrigidì nel vedere chi varcava l'entrata. Prima ancora di rendersene conto era scattato in piedi.
« Dove credi di andare? » mormorò Rei a denti stretti.
 

 
Il tempo a volte giocava brutti scherzi.
Un istante prima si trovava negli studi televisivi ad invidiare Kurata per il modo spontaneo con cui rispondeva ai giornalisti. Lei quella semplicità l'aveva persa da tempo, se mai l'aveva avuta.
Un istante dopo era in ospedale con Rei seduto al suo fianco che aveva lo sguardo perso nel vuoto.
E Sana, dietro quella porta bianca, lottava sospesa fra la vita e la morte.
Sbatté rapidamente le palpebre ma fu inutile. Il flash di quello che era successo appena due ore prima le invase la retina, un film che si ripeteva nella sua testa senza che riuscisse a trovare un modo per fermarlo.
L'intervista con i reporter sarebbe andata avanti fino alle sei.
Erano tutti stanchi ma Kurata sembrava conservare la battuta pronta e un sorriso per ogni occasione. I giornalisti avevano una lista di domande infinite e tutti volevano parlare con lei, ignorando quasi il resto del cast.
Kurumi si era sentita messa in disparte e aveva dovuto combattere il mostro verde della gelosia. Un tempo era lei la protagonista e Sana la graziosa bambina che faceva da comparsa. Aveva pensato con perfidia che in fondo non fosse solo una questione di talento. Quello su cui i reporter desideravano davvero mettere le mani era qualche notizia nascosta sulla gravidanza. Infilavano sempre una domanda in qua e là su quel tema, sperando probabilmente di prendere Kurata in contropiede e strapparle una risposta.
Per questo, quando quel giornalista le rivolse l'ennesima domanda scomoda, lì per lì Kurumi scambiò l'espressione sofferente di Sana per fastidio.
« Quale sarà il sesso del bambino? »
Era stata la quiete prima della tempesta.
Kurata non aveva risposto, stringendo istintivamente il ventre. Asako ricordava confusamente di essersi precipitata per vedere come stava e di aver notato che visto da vicino il suo volto era tirato, costellato di piccole gocce di sudore.
« Cre-credo che mi si siano rotte le acque ».
Ed era stato l'inferno.
Rei che diventava pallido come un morto, la corsa folle in ospedale, il volto di Sana che si faceva più cinereo, il suo respiro affannoso. La telefonata alla signora Misakoe poi a Naozumi, Tsuyoshi, Fuka... a ruota tutti, tranne lui.
Una notizia del genere ad Hayama non si poteva dare al cellulare.
Era stato Tsuyoshi a dire che se ne sarebbe occupato ed aveva riattaccato prima che avessero il tempo di ribattere. Quando erano arrivati alle porte dell'ospedale, Kurata aveva smesso di lamentarsi ma Asako sapeva che non era un buon segno. Non lo era per niente.
Aveva osservato gli infermieri che si avvicinavano e la portavano via su una barella mentre dentro di lei una vocina ripeteva che era presto, troppo presto. Il settimo mese appena, non abbastanza per un parto sicuro.
I medici si erano radunati intorno a Sana e i loro volti erano seri, preoccupati. Poi quella porta bianca si era chiusa e un'infermiera si era posta davanti, impedendo loro di entrare.
« I medici faranno il possibile».
Era stata quella frase, unita alla linea dispiaciuta in cui si erano incurvate le labbra di quella che per la prima volta le aveva fatto dubitare che Sana ce l'avrebbe fatta.
Sotto la luce asettica dell'ospedale un'unica lacrima sottile rigò il volto di Asako.
 

 
A volte il tempo giocava brutti scherzi.
In quel momento, per esempio, a Sana sembrava di averne perso completamente la concezione.
Tutto era iniziato con un senso di malessere che aveva scambiato per stanchezza. Come sempre quando era insofferente, aveva iniziato a parlare a ruota libera, stordendo il cast e i giornalisti con frasi prive di senso compiuto. Non poteva farci niente: ridere e dire sciocchezze era il migliore antidoto che conoscesse per la depressione da be'... praticamente sempre. Non era un fuggire i problemi, ma semplicemente un modo per non farsi schiacciare da essi. Sua madre le aveva insegnato che a volte una risata aveva un potere terapeutico pari a quello di scatole di medicinali.
Per questo quel giorno aveva cercato di vincere la stanchezza che le pervadeva gli arti a suon di battute e sorrisi smaglianti. Era stato dopo un quarto d'ora di domande circa che aveva avvertito la prima fitta. Stupidamente aveva pensato di ignorarla, nella speranza che fosse l'ennesimo falso allarme.
Era un cosa imprudente, ne era consapevole, ma interrompere l'intervista per quel motivo sarebbe stato come dare in pasto ai reporter l'ennesima, ghiotta, chicca della sua vita. Per cui aveva stretto i denti e sperato che il tempo scorresse il prima possibile. Per un po' si era anche illusa di farcela. Ma poi di fitta ce ne era stata una seconda e poi una terza, a intervalli sempre più ravvicinati.
Era stata la quarta, però, che le aveva tolto il fiato e fatta barcollare davanti a tutti.
Ricordava quella spiacevole sensazione di bagnato fra le cosce e lo sguardo smarrito di Asako mentre le diceva che probabilmente le si erano rotte le acque. Il resto era una sequela confusa di suoni e immagini.
La testa le girava e a volte le cose perdevano i loro contorni. Quando si era accorto che faceva fatica a camminare, Rei l'aveva presa in braccio e portata di peso fino alla macchina.
Credeva di aver perso conoscenza a tratti perché il tragitto le era sembrato incredibilmente breve e le conversazioni dei suoi amici un mormorio confuso, simile al ronzio di una mosca nelle orecchie.
Arrivata in ospedale, un'infermiera dai tratti gentili aveva provato a rassicurarla, bisbigliandole che sarebbe andato tutto bene. Aveva cercato di sorridere, ma non era sicura di esservi riuscita.
E adesso si trovava lì, circondata da medici che le vorticavano intorno come tante api operaie. Attaccata a macchinari di cui ignorava la funzione, con la luce bianca e asettica del lampadario che le feriva gli occhi.
Non sembra la migliore delle situazioni.
Represse un singulto, mentre il corpo sussultava per l'ennesima contrazione. Aveva paura.
Una paura atavica, che le strisciava nel sangue e le faceva quasi rimpiangere il torpore di prima.
Aveva paura per sé e per suo figlio.
Aveva paura e l'unica cosa che vedeva appena chiudeva gli occhi era uno sguardo d'ambra, uno sguardo ferito e confuso per quello che stava succedendo.
Non voglio morire.
C'era ancora almeno un miliardo di cose che avrebbe voluto fare prima di lasciare questo mondo. Non voleva perdere Rei, mammina, i suoi amici. Non voleva perdere lui.
« Le sue condizioni sono critiche. Non possiamo aspettare oltre ».
La voce del medico era fredda, distante come se provenisse da un'altra galassia.
« Potremmo almeno farle un'anestesia... » propose una voce femminile.
Le parve di scorgere il volto del medico che aveva parlato per primo scuotere la testa.
« Non c'è tempo. Se non ci sbrighiamo il cordone potrebbe soffocare il bambino ».
Avrebbe voluto piangere, ma sentiva i condotti lacrimali secchi.
Kami, vi prego, fate che almeno il bambino si salvi.
Una parte di lei avrebbe solo voluto abbandonarsi al vuoto dell'incoscienza, l'altra lottava per mantenere a fuoco ciò che la circondava e rimanere presente. Avvertiva un gran vuoto all'altezza del petto, un vuoto da cui nemmeno il dolore delle contrazioni riusciva a distrarre.
Posso essere egoista, almeno per un momento?
C'era un nome che martellava nella sua mente, più forte della voce dei medici, più insistente del rumore dei macchinari elettrici, più penetrante della paura.
Akito-kun.
Ho bisogno di te, Akito-kun.
 

 
Il tempo a volte giocava dei brutti scherzi.
Hayama si era accorto che qualcosa non andava non appena aveva visto Tsuyoshi precipitarsi in casa sua.
E questo perché Tsu non correva, mai. Al più poteva dedicarsi a un passo veloce ma correre no, perché correre implicava sudare ed era una cosa che l'amico detestava. Invece quel pomeriggio si era precipitato dentro la soglia con il fiatone, come se avesse un'intera schiera di diavoli alle calcagna.
« A- Akito-kun » ansimò non appena gli aprì la porta.
Aveva il nodo della cravatta disfatta e i capelli arruffati. Si immobilizzò, fissandolo come se non sapesse bene come affrontarlo. Tutta quella fretta, per non sapere poi cosa dire.
« Devi venire con me ».
« Dove? » chiese diffidente.
Di nuovo quello sguardo schivo, come se Tsu stesse mentalmente contando le parole.
« Vieni e basta » mormorò alla fine. « Sana...»
Hayama quasi non si accorse della sua reazione. Le mani scattarono automaticamente, afferrando Tsuyoshi per il bavero della giacca e quasi sollevandolo da terra.
« Che cosa è successo a Kurata? » ansimò mentre un brivido sottile gli percorreva la spina dorsale.
Per un attimo Tsuyoshi parve troppo sorpreso da quella reazione per aprir bocca. Si limitò a fissarlo di rimando, gli occhi sgranati dietro quegli occhiali che sembravano fondi di bottiglia, il respiro ancora accelerato.
« Parla » ribadì facendo fatica a trattenersi.
Avrebbe voluto scrollarlo fino a fagli sputare fuori la verità.
È Tsuyoshi. È tuo amico fin dalla prima infanzia.
La voce della ragione era sempre più difficile da ascoltare. Quando quello finalmente si decise a rispondere, lo fece senza guardarlo negli occhi:
« Si trova in ospedale ».
La presa fra le sue mani si fece scivolosa. Il rombo che gli otturò le orecchie quasi gli impedì di udire il resto della frase.
« Sta... sta partorendo, Akito-kuyn ».
Vuoto.
Non avrebbe saputo dire se era svenuto o meno. Un istante prima quasi sollevava Tsu da terra, un istante dopo era scivolato contro il muro e le gambe sembravano incapaci di reggere il peso del corpo.
Tsuyoshi continuava a parlare, se ne accorgeva distrattamente.
« Akito-kun... Alzati, ti prego... »
Macchie confuse gli invadevano la retina e brividi di freddo gli squassava il corpo. Si sentiva come prosciugato di ogni energia, persino pensare si rivelava più difficile del previsto.
Sta partorendo.
« Akito, dobbiamo andare, per favore... »
Provò ad afferrarlo per un gomito ed issarlo. Hayama se lo scrollò di dosso senza sforzo, in modo brusco, meccanico.
Non voleva allontanarsi da quel muro. Gli pareva che fosse l'unica cosa che lo teneva ancorato a quel mondo, che se solo avesse provato a fare un passo la nausea che provava sarebbe diventata incontenibile e si sarebbe ritrovato carponi per terra a vomitare anche l'anima.
Sta partorendo.
I tentativi di Tsu erano sempre più disperati. Stava armeggiando con il telefono e la sua voce era salita di varie ottave.
« Non riesco a farlo ragionare... È sotto shock, non sono nemmeno sicuro che mi riconosca ».
Sì zittì, ascoltando una risposta che Hayama non poteva udire. Tsuyoshi annuì, stringendo il cellulare talmente forte che pareva volesse strangolarlo.
« Arrivo subito ».
Gli gettò un'ultima occhiata preoccupata, poi una sequela confusa di parole che probabilmente avrebbero dovuto rincuorarlo.
Non le ricordava, scivolavano dalla sua mente come tanti piccoli sassolini bagnati.
Sta partorendo.
Quasi non si accorse del profilo di Tsuyoshi che si allontanava.
Il muro alle sue spalle era freddo, doveva essere per quello che i brividi non lo abbandonavano e il suo corpo si tendeva come l'arco di un violino. Nella sua mente si affaccendavano pensieri confusi e ombre del passato, mentre la strana paralisi che lo aveva colpito sembrava non accennare ad andarsene. Solo il cuore si opponeva a quel torpore e batteva affannosamente, scadendo i secondi che passavano.
Il tempo era una linea che si arrotolava su se stessa, simile a un cane che si mordeva la coda. Era prigioniero in quell'oblio comatoso che non gli consentiva di percepire né il tempo né lo spazio che lo circondava.
Secondi, minuti, ore.
Sta partorendo.
Contava solo quello e la paura che gli stritolava le viscere con un artiglio ricurvo.
A riscuoterlo fu il rumore di passi che percorrevano il vialetto. La visione che gli andava incontro doveva essere un demone sorto direttamente dai suoi incubi.
Kurata.
« Akito-kun ».
La voce aveva un buffo accento di Osaka. Ci mise un attimo per mettere a fuoco la figura della giovane donna che aveva di fronte.
« Matsui ».
Quella si limitò ad annuire, stagliata di fronte a lui con gli occhi adombrati.
Che stupido che sono stato a scambiarla per Sana-chan.
Per il tempo di un respiro il fatto di vederla lo aveva ancorato alla realtà.
Ma non è lei. Non è mai stata lei, solo una che le assomiglia.
Socchiuse gli occhi, cercando di contenere la paura che adesso sì, si stava facendo sempre più prepotente. Quell'attimo di lucidità gli rendeva più difficile reimmergersi di nuovo nell'incoscienza.
Fuka si piegò verso di lui e l'odore di viole della sua pelle gli solleticò le narici. Poi gli mormorò all'orecchio una frase che gli rubò il respiro.
« Potrebbe morire, Hayama ».
La sua mano si chiuse intorno a quella di Matsui, in uno spasmo involontario. La sensazione era quella di affogare, senza avere niente a cui aggrapparsi.
«Io... non so cosa fare » gracchiò con voce rauca. « Non ce la faccio ».
« Non voglio convincerti a fare niente. Ma se non trovi la forza, potresti rimpiangerlo per tutta la vita ».
Quelle parole aleggiarono fra di loro, mentre qualcosa dentro di sé andava faticosamente a posto.
Issarsi in piedi fu faticoso, ma mai come fare il primo passo. Si sentiva come un bambino che stava imparando a camminare: tremulo, insicuro. Fuka lo sostenne, senza fare domande.
Un passo dopo l'altro, muoversi diventava sempre più facile fino a quando non si ritrovò a correre verso la macchina. Matsui non lo lasciò guidare e la piccola scintilla di razionalità che a tratti lo animava non poté che darle ragione: non sarebbe stato in grado di rispettare le più elementari norme di prudenza. Quando però la macchina fu parcheggiata nel cortile dell'ospedale, non attese altri incitamenti prima di precipitarsi da lei.
Kurata.
Ti prego, fa' che sia ancora in tempo.
Il corridoio era lungo, scivoloso. Quando infine vide quella porta bianca, per un attimo pensò che il suo cuore si sarebbe fermato. Scattò in avanti, schivando un'infermiera che lo fissava come se avesse bisogno di una camicia di forza.
Una figura ostile gli si parò di fronte, sbarrandogli il passo.
« Dove credi di andare? »
Rei Sagami pareva avere tutta l'intenzione di essere un nuovo ostacolo difficile da superare.
 
 
 



Ciao a tutti!
Eccomiiiii ^^ Spero che le vacanze siano andate bene e che abbiate mangiato tante uova.
Finalmente il tanto atteso momento del parto. Anticipo che il prossimo dovrebbe essere l'ultimo capitolo (penultimo se mi verrà troppo lungo) più un epilogo. Inutile dire che Rei ha tutta l'intenzione di togliersi qualche sassolino dalla scarpe.
Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo: ryanforever, vale89, jeess, Dramee, brenda the best, sabry 92 e cucciola123. Un grazie ovviamente anche ai seguiti/ricordati/preferiti e a chi legge soltanto.
Un grosso bacio,
Ely
 
p.s. Nel caso voleste contattarmi, ecco la pagine fb:  http://www.facebook.com/media/set/?set=a.127091040814094.1073741829.100005395956983&type=1#!/alessia.bianchi.7165331 
  
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