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Autore: vampirettafolle    03/04/2013    2 recensioni
"Ero certo che fosse più facile vivere così e in effetti lo era, ma non mi rendeva più leggero e spensierato, anzi mi dovevo ripetere più di una volta di comportarmi male.
Come se non mi venisse naturale odiare ed evitare tutto e tutti."
Estratto dal Capitolo 2.
Vincitrice del contest indetto da elisatwilight. Classica storia: lei bella ma timida ed impacciata e lui il più popolare.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The little thing and the Beast 2
Per chi si fosse perso il capitolo precedente corresse a leggerlo.
Questo è il secondo e ultimo capitolo della storia. Non ci sarà un seguito, la mia mente ormai gira per altre mete.
Grazie di averla letta e spero che vi sia piaciuta. E' una storia piuttosto semplice dove ho cercato di dare un certo spessore ai personaggi (spero XD).
Ringrazio ancora elisatwilight, sono davvero contenta di aver vinto questo contest; è il primo ha cui ho mai partecipato e non credevo proprio di vincerlo.






The little thing and the Beast






Capitolo 2

Nonostante mi avesse detto dove abitava, ancora una volta avevo dato poco peso alle sue parole.
Era una villetta modesta imbiancata con vari toni di verde che si confondevano con la vegetazione circostante.
Si trovava in quartiere residenziale molto bello e tranquillo, ben frequentato.Mia madre avrebbe sempre voluto abitare qui, ma mio padre preferiva rimanere più vicino alla stazione di polizia.
Durante il tragitto in moto non aveva detto una parola, giusto qualche singhiozzo. Una volta entrati ciò che mi colpì era che tutto viveva nella penombra; c’era un lieve odore di chiuso, sembrava quasi che la casa non fosse abitata da nessuno.
“I tuoi?” chiesi interrompendo questo pesante silenzio.
“Non ci sono” rispose flebile, cercando di sporcare il meno possibile mentre si muoveva.
“E quando tornano?” insistetti più per farla parlare che per vero interesse.
“Non ci sono” ribadì. In un primo momento pensai che non avesse capito la mia seconda domanda, ma non feci in tempo a riproporgliela che mi precedette sul tempo.
“Senti ne riparliamo dopo. Ora salgo a sistemarmi… se vuoi rimanere accomodati”.
Non lo disse con un tono scocciato, ma solo distaccato. Nonostante tutto decisi di rimanere, c’era qualcosa che non andava in tutta quella situazione. Così mi stravaccai sul divano accendendo la tv.

Dopo una mezz’oretta finalmente scese. Si era ripulita e messa comoda indossando una tuta che poteva essere benissimo maschile per i colori scuri e la taglia troppo grande.
Fu lei la prima a parlare.
“I miei non ci sono perché vivo qui da sola per il momento. Mio padre voleva allontanarsi da New York, la città della mela del peccato e ha scelto questa città perché una volta qui c’è stato un ritiro con tutti i fedeli. Però mia madre ha iniziato a mostrare i primi tentennamenti ed è ritornata nella nostra vecchia casa e mio padre l’ha seguita per farla ragionare o tornare in sé come dice lui” disse mesta, accomodandosi accanto a me e seguendo distrattamente una vecchia puntata dei Simpson in cui Bart e Homer si vogliono convertire al cattolicesimo facendo infuriare Marge.
“Non è pericoloso per una ragazza abitare da sola? Non hai nemmeno diciotto anni”
“E’ momentaneo. E poi per mio padre basta che non metto minigonne e tengo le gambe chiuse, che tutti i problemi del mondo si risolvono” questa volta era stata più dura nel tono e la guardai con un sopracciglio alzato non comprendendo appieno la sua ironia. Ricambiò lo sguardo sorridendo triste, poi ritornò a fissare la televisione.
“Quando tornai a casa con la fronte spaccata dopo…beh dopo lo scontro con quel ragazzo del ballo, raccontai tutto ai miei. Impossibile era nascondersi e poi volevo anche un po’ di conforto.
Mio padre disse che me l’ero meritato perché ero stata io ad istigarlo a formicare con me. E’ un uomo acido e bigotto, che dimostra la sua autorità controllando me e mia madre. Per questo lei non lavora più, era esasperata dai suoi continui controlli ed è per questo io mi sono completamente chiusa”.
“Non lo sapevo” dissi solo intimidito da questa confidenza.
“Infatti tu non sai niente di me. Eri tu quello che si confidava e io quella che ascoltava. Sono una persona molto riservata e come ti ho già detto una volta mi risulta più facile confidarmi quando ho un reale contatto con la persona”.
La sua risposta era piuttosto acida e aveva anche un tono accusatorio. Non sapevo se arrabbiarmi oppure ricordarmi che il casino lo avevo combinato io e quindi starmi zitto. Era una situazione assurda, stavamo o meglio stava discutendo con me senza neanche guardarmi in faccia. Eravamo sempre seduti sul divano, fermi e fissi sulla televisione accesa che ora trasmetteva i Griffin. Forse all’esterno eravamo buffi, ma all’interno ci sentivamo davvero a disagio.
“Thomas, parliamoci chiaro io so quello che stai facendo, stupida non lo sono. Timida e un po’ credulona si. Ma so che mi stai volutamente allontanando”. Colto dalla consapevolezza che ero stato scoperto ritrovai la forza di parlarle, però lo si sarebbe fatto a modo mio: guardandoci negli occhi.
Così mi voltai per fronteggiarla inducendola, di mala voglia, a fare altrettanto e spostando una gamba sotto al sedere per girarsi completamente verso di me.
“E’ per questo che hai pianto oggi? Non ne potevi più? Se lo sapevi perché mi sei venuta lo stesso dietro?”
“Si, no…No. Ho pianto perché in quel momento ho capito di essere davvero sola, di nuovo. E forse tu non lo sai che significa davvero. Perché hai un padre che a modo suo ti ama e un amico che ti ripesca dalle situazioni più difficili.
E rispondendo all’ultima tua domanda, anche se lo sapevo non ne potevo fare a meno. Sei l’unica persona che nel bene e nel male mi sta vicina”
Chiuse gli occhi sospirando, e poi con un’agilità che non pensavo possedesse scattò in piedi camminando avanti e in dietro per il salone. Forse pentita di aver implicitamente detto che mi voleva bene.
“Sono complessato e meschino”
“Lo so”
“Ho fatto tutto perché ti pensavo diversa, il primo giorno ti sei presentata vestita come una barbona e mi è crollato il mondo addosso”
“Lo so”
“Sono superficiale e menefreghista. Sono violento e puttaniere”
“Lo so”
“E allora perché mi ascolti?” risposi stizzito, perché non solo mi stavo sfogando per l’ennesima volta con lei, ma anche perchè rispondeva sempre lo so.
“E perché tu stai parlando?” rise sotto i baffi ad una battuta che io non avevo colto.
“Senti nonostante il tuo problematico bigliettino da visita qualcosa non quadra. Tu non vuoi che ti avvicini in pubblico eppure ti trovi a tuo agio a parlare con me in privato. Io sono consapevole che tu ti stai comportando male con me eppure faccio finta di niente…”
“Siamo un casino” conclusi adagiando la testa sulla spalliera del divano e chiudendo gli occhi per il mal di testa.
“Io più che altro direi che in fin dei conti non possiamo far a meno dell’altro” aggiunse appoggiando i gomiti sullo schienale, accanto alla mia testa, guardandomi dall’alto serena. Preso dal panico da questa confessione subito mi raddrizzai.
“Aspetta…mi sembra affrettato che tu…io…noi…” non balbettavo da anni, ero piuttosto imbarazzato.
“No, no. Che hai capito? Non sto confessando nulla. Sto solo dicendo e cercando di farti capire che siamo in sintonia. Nessuna dichiarazione d’amore eterno” affermò tenendo le braccia alzate in segno di resa. Avevo appena fatto una figuraccia. Ero convinto che lei avesse una cotta per me. Questo era il motivo per cui la tenevo anche alla larga.
“Ehi che significa che io non vado bene?” tutte cadevano ai miei piedi e il fatto che in lei non fosse mai passata l’idea di noi due insieme dentro un gigantesco cuore contornato da fiori, toccava il mio gigantesco ego.
“Tu non mi volevi nemmeno tra i piedi e ora ti preoccupi che non ti vedo sotto quella luce?” si stava divertendo alle mie spalle, me lo sentivo. E così misi il muso, certamente non potevo colpirla in faccia per sfogare la mia rabbia repressa.
“Ti va di fare un gioco?” mi chiese prendendomi alla sprovvista “Se vuoi restare qui almeno facciamo qualcosa” disse fermamente convinta.
Diciamo che io preferivo altri passatempi, ma questo mi sarebbe andato più che bene, d’altronde Malia mi stava sì simpatica però non era il mio tipo. Inoltre non volevo lasciarla da sola in quella grande casa.
Io cercavo la pace e il silenzio a casa, lei no, lei non lo voleva e nonostante tutto era una persona speciale che mi ascoltava e mi consigliava più di quanto avessero fatto altri che conoscevo da anni, qualcosa gliela dovevo. E poi ero stato scoperto…

Ero in camera sua. Una stanza piuttosto spoglia se non fosse per una libreria piena non solo di libri, ma di videogiochi e dvd ma soprattutto giochi da tavola.
Era una collezione pazzesca. Aveva tirato fuori un certo Cluedo, un gioco poliziesco dove ognuno si trasforma in detective per indagare sulla misteriosa morte del signor Black. Era piuttosto intrigante come gioco e anche se eravamo in due e la partita finiva subito ricominciavamo tutto da capo ogni volta.
“Posso farti una domanda…personale?” chiesi di punto in bianco mentre cercavo di capire l’arma del delitto. Candeliere o rivoltella?
“Spara”
“Come hai reagito quando tuo padre ha praticamente detto che è colpa tua se quello ti ha colpito?”
“Ho iniziato a tirare pugni” disse con un sorrisetto beffardo sulle labbra.
“Ma che…”
“Senti, praticamente mi hai fatto capire di voler mettere fine a questo patetico tentativo di allontanarmi e se sei qui significa che la mia compagnia non ti dispiace, perciò ti andrebbe domani di venire con me in un posto?”
“Va bene” risposi titubante di fronte alla sua svelta parlantina. Non ero neppure sicuro di aver afferrato tutto.
 “Ti facevo un tipo più timido”
“Lo sono, ma ormai siamo venuti allo scoperto credo che non ci sia più niente di cui vergognarsi con te” disse tutto senza guardarmi negli occhi. Forse iniziavo a capirla, ogni qualvolta che diceva una cosa importante si imbarazzava e non riusciva a sostenere lo sguardo del suo interlocutore.
“Di cosa ti dovresti vergognare?” domandai curioso.
“Non è ovvio?”. La guardai interrogativo.
“Thomas tu sei il classico strafigo della scuola e in questo caso anche un tipino violento. Io sono quella che non viene mai notata. Sia nel bene che nel male…e anzi tu stesso hai sottolineato che il primo giorno che mi hai visto ero vestita come una barbona”.
Meno male che volevo tirarla su di morale. Non solo il mio patetico tentativo di allontanarla era stato scoperto, ma lei era anche gentile con me, confortandomi e io che facevo?  sottolineavo la sua nerdaggine.
“Eh scusa, colpa mia, ma devi ammettere che eri terribile”
“Lo so” disse ora sorridendomi, ma ancora non mi guardava in faccia e dava tutte le sue attenzioni a quella stupida pedina da gioco di Miss Scarlett.
“Purtroppo non è stato volontario. Mio padre aveva portato con sé solo gli scatoloni che ha ritenuto più indispensabili, ovvero i miei orribili vestitini da ragazza perbene. Mi sono dovuta arrangiare tra camicie a fiori e collant ultra coprenti con fantasie improbabili” concluse il tutto tirando la frangia all’indietro perché troppo lunga e forse fastidiosa.
Fu in quel momento che la notai. Una piccola cicatrice di un rosa più scuro rispetto al suo viso. Un piccolo trattino leggermente rialzato, non poco visibile.
Accortasi del mio sguardo riportò i capelli al proprio posto piuttosto agitata.
“E’ per questo che porti la frangia?” le parole mi uscirono da sole. Improvvisamente come mesi prima lei aveva fatto con me, ora ero io che volevo sapere di più di questa buffa ragazzina. Timida, ma un po’ più spigliata con me, uno sconosciuto a dire il vero.
“Dovevo nascondere la vergogna”. Lo disse con un tono carico di disprezzo, tanto che quelle parole non sembravano neppure uscite da lei. Una cosetta così piccola e che sembrava indifesa.
“Tuo padre, eh? Permettimi, ma secondo me dice un sacco di minchiate”
“Lo penso anche io, ma devo solo resistere un altro anno e poi sarò maggiorenne”
“Vuoi andartene, eh?”
“Certamente”. Questa volta non c’era stato né imbarazzo e neppure un tentennamento. Mi guardò seria e dritta negli occhi. Erano grandi. Castani, con lunghe ciglia che si perdevano nella frangia altrettanto scura. Eppure vi leggevo una certa tristezza, forse quella che sentivo anch’io da anni.
Forse era per questo che eravamo in sintonia.
“Oh si è fatto tardi, meglio che torni a casa va”. Mi alzai di fretta, sentivo che la situazione si era fatta troppo intima e io non ero ancora pronto a lasciarmi andare così.
“Ti accompagno alla porta”.

“Allora che faccio, passo da te domani? Per quella sorpresa che hai detto…”
“Se vuoi sì”
Guardai oltre le sue spalle e quella casa mi sembrò davvero troppo grande e scura per lei sola. Sembrava un set perfetto per The ring 3. E lei con quei capelli poteva interpretare benissimo Samara.
Le accennai un saluto e mi diressi verso la mia moto.
Cosa faceva da sola tutto il tempo? Certo studiava e poi? Certo anche io ero praticamente sempre solo per il lavoro di mio padre, ma i suoi buongiorno e buonasera non mi facevano sentire in una casa fantasma. Anche il suo russare era rassicurante.
In quel momento capii che il discorso fatto ore prima con lei aveva un senso. Era inutile che cercassi di evitarla perché lei non voleva, ma non volevo neppure io.
Salii in moto e feci l’unica cosa che dovevo fare.

Avevo fatto un po’ tardi, ma non sapevo cosa prendere. Dopo aver suonato tre volte il campanello sperando che non fosse andata presto a letto, Malia aprì la porta. Mi guardò prima meravigliata, poi accigliata. Senza chiederle il permesso entrai.
“Spero che tu non abbia cenato e se l’hai fatto beh mangerai di nuovo. Ho comprato un sacco di roba. Vedrai che ti piacerà”
“Ma cosa…”
“Ah e per la cronaca stasera dormo qua. Non può una ragazza così giovane vivere da sola. Cioè se ti accadesse qualcosa anche se urlassi nessuno ti sentirebbe in questa gigantesca villa”.
Dopo aver posato sul tavolino del salotto il sacchetto colmo di cibo, mi voltai e trovai una Malia con gli occhi lucidi e gli occhiali appannati dalle lacrime.
“Grazie”
 Era sinceramente contenta del mio gesto e lo ero anche io. Non avevo fatto una buona azione per pulirmi la coscienza, era qualcosa di più.
L’afferrai con un braccio per portarla sul mio petto e nascondendole il viso rigato dalle lacrime di gioia. Le accarezzai teneramente quei lunghi capelli quasi neri, pensando anche che non ero mai stato così volutamente dolce con nessuno, ma mi veniva naturale per una persona come lei.

Fu strana la notte. Dormii sul divano e sentivo una strana agitazione. Non sapevo bene cosa, ma più che altro avevo la sensazione che dovesse succedere da un momento all’altro qualcosa, qualcosa di bello.
Il risveglio fu invece imbarazzante. Mi ero addormentato in una delle mie solite pose strane e quando Malia  scese per fare colazione e mi vide occupare il divano in una posa bizzarra scoppiò a ridere, svegliandomi di getto e facendomi per giunta precipitare sul tappeto.
“Eri davvero buffo. Dormivi tutto raggomitolato con il sedere per aria. Come un neonato”
“Non è divertente” sbruffai perché versava il caffè nella tazza seguendo i suoi attacchi di risa.
“Scusa ma…non ti è mai capitato che qualche ragazza…beh si…ti beccasse in qualche posa buffa” chiese timida voltandomi le spalle per prendere qualcosa che naturalmente non serviva per la colazione, ma piuttosto per non guardarmi negli occhi.
“No. Le cacciavo sempre dopo un po’ e non dormivamo mai insieme”.
Mi sarei dovuto vergognare di quello che dicevo, invece no. Erano delle opportuniste come me e non si meritavano di più di quello che mi davano. Nessuna mi faceva stare davvero bene, beh tranne una.
“Prepariamoci che ti porto in un posto” esclamò contenta, probabilmente non solo perché saremmo usciti ma anche per un altro motivo che non riuscii a cogliere.
“Proprio non mi vuoi dire dove andiamo, eh?”
“Ti piacerà. E’ il motivo per cui nonostante tutto quello che mi è successo sono ancora in piedi”.

Eravamo in una palestra dove precisamente si praticava in maniera professionale la boxing.
 Non riuscii a capire la connessione che ci poteva essere tra la magrolina Malia e questo sport fino a quando non mi disse che si andava a cambiare.
Quella che arrivò non poteva essere davvero lei. Aveva tirato su i capelli in una coda e anche la frangia era stata fermata sulla testa con quelle armi micidiali che le donne chiamano ferretti.
Andava a fronte scoperta, forse perché qui non si sentiva a disagio come a casa.
Indossava un top striminzito che sembrava uno di quei reggiseni sportivi e metteva in risalto le sue braccia magre, ma forti. Sotto un paio di lunghi pantaloni neri da tuta che tenuti a vita bassa mostravano un ventre piatto e davvero invitante da baciare e anche delle gambe davvero lunghe e ben tornite. Non era male la cosetta, magra si , ma in forma.
“Anche se sei in jeans, credo che vada bene”. Prese un paio di guantoni e me li lanciò.
“Quando successe il fattaccio…da ragazzina normale diventai il bersaglio di tutti. Aveva sparlato di me quel bastardo, dicendo che le figlie dei pastori sono le peggiori. Sai le solite dicerie sulle ragazze casa e chiesa e gli amici mi abbandonarono” prese un lungo respiro e proseguì “Diventai il bersaglio di orribili scherzi…ti dico solo che quello che mi è successo ieri era una fesseria in confronto a quello che ho subito. Gli adolescenti sanno essere davvero crudeli per noia.
Comunque ero a pezzi, mi stavo chiudendo in me stessa e al contrario tuo reprimevo la rabbia. Fino a quando sono finita per sbaglio in una palestra come questa. Cercavo un lavoretto per distrarmi. E poi sono finita per sfogarmi su un sacco da boxing. Dovresti provare anche tu…è più divertente che spaccare la faccia alla gente”
“Non credo” risposi secco. Anche lei come le altre donne cercava di salvarmi? Questo non mi piaceva.
“Certo che è più divertente! Il sacco lo puoi sfinire fino a quando non si stacca o rompe e nessuno ti dirà niente, beh forse il proprietario della palestra un po’ si lamenterà. Ma almeno non avrai qualche denuncia per aggressione”. Mi prese per mano e mi posizionò davanti ad un sacco marrone scuro, lei dietro era pronta a reggerlo per me.
“Non voglio farti la morale, ma è il mio modo di ringraziarti per essere rimasto con me. Hai capito che non amo stare sola e un grazie non sarebbe davvero bastato”.
La guardai, non sapendo davvero che fare. Mi sentii perso in quel momento. Come faceva a sapere tutte quelle cose su di me? Era così facile leggermi? Leggere che non stavo bene? Anche gli altri potevano notarlo?
Improvvisamente non seppi più chi ero. Se mi fossi guardato in uno specchio avrei visto il solito Thomas. La fotocopia di mia madre. Alto e slanciato, dai capelli neri lasciati lunghi e arruffati, un viso da bravo ragazzo, uno sguardo cupo e gli occhi neri da stronzo.
Ma ora mi sentivo diverso, come se avessi potuto vedere un’altra persona, una persona che non volevo vedere. Tutte le mie vecchie certezze stavano crollando. Credevo che Malia fosse una nerd patentata, invece era una ragazza dolce e triste che però nascondeva un carattere fiero.  
Ero certo che fosse più facile vivere così  e in effetti lo era, ma non mi rendeva più leggero e spensierato, anzi mi dovevo ripetere più di una volta di comportarmi male.
Come se non mi venisse naturale odiare ed evitare tutto e tutti.
E in quel momento mi accorsi che stavo dando di box.
Era stato solo il sudore sulla fronte a risvegliarmi da questo profondo stato di riflessione esistenziale.
Crollai a terra sorreggendomi al sacco. Che mi stava succedendo?
“Ehi. Mi dispiace. Mi dispiace tanto” Sentii la dolce voce di Malia e le sue forti braccia avvolgermi.
 “Forse ho svegliato brutti ricordi”
“No” dissi solo ricambiando l’abbraccio e accorgendomi che a modo suo era davvero morbida.
 “Però mi sento come se mi avessi dato un pugno in faccia e i miei ingranaggi fossero tornati a rifunzionare”.
Sentii il suo petto scosso dalle risate e così decisi di alzare lo sguardo per non privarmi anche del suo sorriso. L’apparecchio aveva fatto un buon lavoro.
Non resistetti e la baciai. Colta alla sprovvista non ricambiò subito. Ma ero troppo preso dal momento per accorgermene e fare le cose con calma lasciandole il suo tempo. Cercai di far pressione con la lingua per farle schiudere le labbra e ci riuscii.
La baciai come mai avevo fatto fin ora. Con un trasporto tale che probabilmente ad occhi esterni sembrava che stessi per prenderla lì sul pavimento. Assaporai la morbidezza delle sue labbra e il suo fresco gusto di menta e anche le sue piccole mani che cercavano di strapparmi i capelli a forza di artigliarli. Ci staccammo ansanti solo perché qualcuno aveva fatto un commento un po’ volgare.
Le afferrai il mento prima che abbassasse lo sguardo dall’imbarazzo.
“Vatti a cambiare, perché così sei molto eccitante” affermai di getto per farle capire subito quello che provavo.
“E poi ci facciamo una bella passeggiata insieme. Tanto è sabato abbiamo tutta la giornata, no?” Le diedi un’ultima chance per scappare.
Ma non lo fece, sorridendomi dolcemente si alzò e si avviò un po’ titubante verso gli spogliatoi; lanciando di tanto in tanto uno sguardo per accertarsi che non fossi scappato.

Rimasi seduto a terra qualche altro minuto arruffandomi ancora di più quel cespuglio di capelli che avevo in testa. Per una volta mi sentivo davvero bene e leggero.
“Oddio. Lo sapevo che era destino!” esclamò una voce fastidiosa e stridula come una cornacchia. Mi voltai e trovai Sharon. Va bene che la città fosse piccola, ma avevamo più palestre che abitanti, non era possibile incontrarla proprio qui e ora.
Mi alzai senza neppure un ciao e mi spazzolai i vestiti facendo finta che non ci fosse, ma mi si attaccò ad un braccio.
“Sharon cosa delle parole: non ti voglio più vedere, non è chiaro?”
“Oh andiamo lo vuoi quanto me” rispose sicura di sé. Strattonai il braccio - avevo una sensazione di déjà-vu - e la guardai cattivo.
“Vorrei dirti di andartene…ma non lo farò” un sorriso entusiasta passò su quelle labbra laccate di rosso anche per la palestra; e invece un sorriso maligno passò sulle mie.
“Perché me ne vado via io”.
La suspense nella frase era un tocco da maestro.
In quel momento uscì Malia e mi affiancò titubante essendosi accorta di questa nuova compagnia.
“TU!” urlò Sharon guardandola come se fosse spuntata all’improvviso e mettendole finalmente in funzione il cervello, per poi afferrarla per i capelli. In quel momento vidi tutto al rallentatore, solo che in questa situazione qualcun altro sarebbe finito col sedere per terra.
Malia prontamente le scansò il braccio e afferrando questo la fece ruotare su se stessa fino a quando non cadde a terra. Ero esterrefatto e anche il pubblico della palestra. Malia alzò lo sguardo verso di me e con un’alzata di spalle disse:
“Ho frequentato anche un corso di auto difesa, sono un po’ imbranata nei movimenti e avevo bisogno di perfezionarmi così…” non la feci finire che l’afferrai per la vita ridendo come uno scemo e portandola fuori. Potevo anche morire dal ridere così. Ero davvero colpito, e io che pensavo che MissScarlet-witha-Boxinglove fosse una piccola donzella indifesa, beh credevo che fosse pure Megan Fox sotto mentite spoglie, ma in realtà non era così.
“Aspetta” si fermò improvvisamente con faccia seria.
“Prima…di quella…noi ci siamo…baciati. Perché? E ora, cosa vuoi?”. Aveva spalancato gli occhi come un cervo abbagliato dai fari di una macchina. Era tesa, come invece non lo ero io per una volta.
“Quello che vuoi tu e se mi stai per dire che non lo sai, beh neppure io lo so. Però vorrei proseguire questa giornata con te e perché no…baciarti di nuovo” dissi avvicinandola con una sola mossa al mio petto e utilizzando un tono di voce che farebbe invidia ad un attore porno, avevo anche un po’ sbattuto le ciglia.
“Io vorrei baciarti” aggiunse stupendomi per l’intraprendenza. Nel minuto successivo ci furono pochissime parole almeno da parte nostra, i passanti si lamentarono parecchio, perché la baciai un’infinita di volte. Sfiorando le sue labbra morbide e umide per me, la sua piccola e per niente timida lingua, la piccola cicatrice rosa sulla fronte. Ci baciammo dolcemente con gli occhi mezzi aperti per essere sicuri che nessuno dei due scappasse da un momento all’altro.
Era quello che volevo io, era quello che voleva lei.

Due anni dopo…
MissScarlet-witha-Boxinglove: Hai saltato l’ora di matematica oggi, di nuovo…
TheBreaker94: Ero in palestra, non sarei riuscito a vederlo…lo sai.
MissScarlet-witha-Boxinglove: Mi preoccupo perché stai ancora scontando la pena che ti ha imposto il preside…e poi ti volevo dare una bella notizia ;)
TheBreaker94: Grazie e spara, amore…
MissScarlet-witha-Boxinglove: Andremo alla stessa università, ti hanno accettato!
TheBreaker94: Allora continuerò a sapere da chi copiare ;)
MissScarlet-witha-Boxinglove: Ti amo
TheBreaker94: Mi aspettavo uno stronzo, ma questo è decisamente meglio. Ti amo anche io.
   
 
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