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Autore: None to Blame    04/04/2013    0 recensioni
Caterina ha quasi diciotto anni ed una gran confusione in testa.
Non le piace il suo corpo. Odia il contatto fisico e la matematica.
C'è una sola cosa che la fa sentire a proprio agio: la solitudine.
Caterina era innamorata. Caterina forse lo è ancora - ma è qualcosa di diverso, lo sente nelle ossa.
Caterina non ha mai creduto nell'amore, perché non ne è mai uscita intera.
Caterina aveva amato, immensamente ed egoisticamente. Era l'amore possessivo e geloso, un mostro verde che la disturbava di notte.
Caterina ama ancora, ma è un amore delicato come una carezza. Quell'amore che lascia andare, che gode di un sorriso anche da lontano, un amore che dona aiuto e non desidera niente in cambio.
Anno della maturità, anno precario ed eterno.
L’anno delle fiamme che ritornano e di guance tumefatte, di scioperi e volantini universitari; un anno di panico e vomito nei bagni, di incontri scomodi e prime canne; l’anno delle decisioni importanti e dell’impegno; l’anno della resa dei conti;
l’anno di chi decide di cadere in piedi.
Ma il fatto è che quando la vita cala il suo pugno non avverte mai.
Genere: Angst, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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A Caterina piaceva la sua scrivania. Era in un legno di un colore morbido e chiaro, solida e pulita. Solitamente, era ingombra di libri e fogli e ciarpame vario – perché il disordine le è sempre stato più familiare. Aveva due ripiani, uno dei quali mobile, quando non era coperto di dizionari e portapenne. Aveva anche dei cassetti, bianchi e capienti. Il secondo ed il terzo, larghi e spaziosi, contenevano caricabatterie vari e vecchi album da colorare, CD che non entravano nella libreria e pastelli a cera.
Il primo cassetto – ah, il primo cassetto era sacro.
C’erano biglietti di autobus vecchi di anni – quando ancora costavano solo un euro. C’erano piccole pietre raccolte sul Vesuvio e a Paestum, c’erano frammenti di pirite che chissà dove aveva trovato. C’era il programma di uno dei teatri di Broadway, il volto del Re Leone che, dorato, faceva la sua figura in copertina. C’erano anche i suoi quaderni privati, un foglio che conteneva la “ricetta per la bomba atomica”.
C’erano lettere mai inviate e temi mai conclusi, c’erano quegli autografi di quei calciatori della partita del cuore – Quagliarella e Materazzi, quando ancora nessuno li conosceva.

C’erano, poi, alcuni pezzi di carta, i più importanti.
Una scrittura raffinata ed elegante e poche parole –  A Caterina, con tanta stima e profondo affetto, Riccardo.
Erano brevi poesie, un rito che apparteneva solo a loro. Scrivevano entrambi quello che sentivano e si passavano questi foglietti sottobanco, nascosti dagli occhi della prof. Erano sciocche poesie, che avevano come titoli “Attaccapanni” o “Lenticchie e scarole”. Facevano sorridere e scaldavano il cuore. A volte erano “politicamente impegnate” o solo vagamente satiriche.
Però era qualcosa che apparteneva solo a loro due.

Ma, come tutte le cose belle, poi finiscono e ti lasciano con l’amaro in bocca e pezzi di carta stropicciati – l’inchiostro che minaccia di sbiadire.




 
 
 
 
 
 
 
 
 























































« Sono molto delusa, ragazzi. »

Quando la Iaccarino era entrata in classe, ogni membro della III B aveva capito che sarebbe stata una pessima giornata.

Lei era l’insegnante di Italiano e Latino, coordinatrice di classe e, praticamente, la prof che vedevano più spesso. Era una persona molto alla mano, giovanile e comprensiva – anche se diabolicamente severa quando necessario.
Sapevano tutti che avrebbero dovuto aspettarsi una paternale, semplicemente perché le faceva sempre quando si comportavano in modo così immaturo.
Però, c’era dell’altro, una minaccia incombente, e nessuno di loro aveva il fegato di prenderla scherzosamente.

« Siete all’ultimo anno. Dovrete sostenere un esame di maturità. Maturità. »


Smise di passeggiare ed incrociò le braccia al petto, l’espressione dura.

« La preside è nera. Non vi dico nemmeno cosa è stata capace di dire nei vostri confronti. Non posso biasimarla. Mi aspettavo diversamente da voi. Evidentemente mi sbagliavo. Sono molto, molto delusa. »

Lanciò un’ultima occhiata alla classe e poi si posizionò dietro la cattedra, sedendosi senza abbandonare il suo cipiglio severo.

Cacciò fuori dalla borsa i suoi due registri – Italiano e Latino, rossi come le lacrime di ogni povero studente.

« Visto che ieri nessuno si è presentato, suppongo abbiate avuto il tempo di prepararvi in Italiano. »

L’aria si fece irrespirabile.
All’unisono, ventotto cuori persero un battito e ventotto fronti si impregnarono di sudore gelido.

Dal secondo banco, Riccardo, forte del suo ruolo di rappresentante di classe, prese la parola.

« Professoressa, in realtà oggi erano previste interrogazioni di Latino. Avevamo concordato con lei che quelle di Italiano sarebbero cominciate la prossima settimana, di martedì. »

La Iaccarino aprì il registro, rivolgendo a lui e all’intera classe uno sguardo glaciale.

« Non siete nella posizione di dettare condizioni. Oggi interrogheremo in Italiano. »

Riccardo non replicò, ma giunse le mani sul banco avanti a sé, il capo chino.

« Ci sono volontari? »

Lo aveva chiesto per abitudine, naturalmente, visto che le facce verdi dei suoi studenti non lasciavano intendere una buona preparazione.

Caterina aveva tirato fuori dallo zaino il suo miracoloso quaderno di appunti e stava approfittando degli attimi di panico del su e giù della penna sul registro per inculcarsi almeno un paio di cose in testa.
Probabilmente, il sessanta percento della classe aveva iniziato a studiare il programma di italiano, perché era tanto corposo che sarebbe stato impossibile farselo per bene in meno di due settimane. Ma Caterina non faceva mai queste cose intelligenti. Non aveva mai, neanche una volta, iniziato a prepararsi per una verifica con un tale anticipo.

In quel momento, ringraziò la sistemazione dei posti – ultimo banco sul lato del muro, non interamente nascosta dalla prof ma sufficientemente riservata.

Alla sua destra, Marisa aveva aperto il libro e stava leggendo le note de La Ginestra.

Alla sua sinistra – perché nella loro affollatissima classe c’erano due banchi tripli, cosa che male si sposava con le norme di sicurezza – Roberto aveva le mani fra i capelli e gli occhi fissi sul paragrafo Il rapporto con i “nuovi credenti”.

« De Angelis… »

Ambra, dall’ultimo banco della fila centrale, ingoiò un verso di agonia.
Lentamente, richiuse il libro e lo strinse al petto. Si alzò e portò con sé la sedia – perché c’erano professori che ritenevano che uno studente si sarebbe sentito meno nervoso se interrogato mentre era seduto.

Il su e giù continuava.

« Marrazzo… Marrone… »

Francesca, dall’altro lato della sala, annuì con quella sua aria convinta – ma chiunque vedeva il panico che dilagava nelle sue vene. Si legò i riccioli biondi ed inforcò gli occhiali, pronta per il patibolo.

Riccardo, dal canto suo, non poteva essere più tranquillo.
Era la calma piatta del Mar Morto.

Mancava solo un nome. Solo un nome e la salvezza sarebbe stata a portata di mano.

« Ragusi »

La legge di Murphy doveva dire qualcosa a riguardo.

Caterina – Ragusi, Caterina Ragusi – dovette trattenersi dallo sbattere la testa sul banco. Sospirò profondamente, sentendosi addosso lo sguardo carico di pietà – e del sollievo di chi sopravvive – di Marisa e, dal banco davanti, di Sonia.
Roberto le sorrise, come a infonderle forza.

E Caterina si fece forza.

Con libro e appunti sottobraccio, la sedia nell’altra mano, raggiunse la cattedra, posizionandosi accanto a Riccardo – Riccardo, che certamente si era preparato non solo nel programma già svolto, ma aveva certamente già dato un’occhiata a ciò che ancora dovevano fare.

Fece un cenno alla Iaccarino, che chiuse il registro e si spinse contro lo schienale della sedia.

« Bene, Ambra, iniziamo da te… »
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


















« Come cazzo hai fatto?! »

Caterina scrollò le spalle e sorrise, accarezzando il sudato 8 e mezzo sul suo libretto.

Una delle novità che la nuova preside aveva portato con sé era il libretto scolastico, che comprendeva giustificazioni per assenze, permessi per gite e tante – troppe – pagine dedicate alla registrazione dei voti.
Il commento generale era stato di profondo disgusto. Accanto alla firma del professore, il genitore o tutore doveva inserire la propria ed i professori più sadici controllavano con regolarità che ogni voto fosse affiancato dalla seconda firma.

Non c’era via di scampo.

In quel caso, però, Caterina ritenne il libretto un’ottima invenzione – se non l’avesse avuto sott’occhio, probabilmente non c’avrebbe creduto.

« Non lo so com’è successo, lo giuro. »

La maggior parte delle volte era così. Caterina non studiava abbastanza per l’interrogazione – o non studiava affatto – e sul libretto fioccavano voti più che positivi. Solo Matematica e Fisica erano un’eccezione – lei studiava e studiava e mai riusciva a strappare più di un quattro e mezzo.

Roberto stava sfogliando il libretto, scoppiando a ridere quando capitava la pagina di Fisica o di Matematica.

« E questo cos’è? »

Era finito nella pagina di Religione, dove i primi 8 e 9 erano diventati innumerevoli impreparati.

Caterina si grattò la tempia.

« È perché non porto mai il quaderno – e sai quanto ci tiene lui. E quindi Miccio mi mette impreparato. »

« Finirai per essere bocciata perché non hai mai portato il quaderno di Religione. »

« Magari mi metterà un’insufficienza sul pagellino e io dovrò seguire i corsi di recupero. »

« Che si terranno in chiesa. Oddio, immagina la scena... »  sollevò il dito indice, gonfiandosi il petto   « Ragusi! Mi dica in quale versetto è detta la frase “Chi mi ama, mi segua”. »

« Non era la pubblicità dei Levi’s? »

Roberto ci pensò su, socchiudendo le palpebre.

« Mi pare fosse roba italiana. »


« Confessa: te lo ricordi perché c'era un culo sul cartellone. »

« Naturalmente. E poi era un bellissimo culo! »

Caterina inarcò un sopracciglio, fissandolo negli occhi. Roberto continuò a guardarla, le labbra che tremavano per lo sforzo di non ridere.
Alla fine, fu lei a perdere, arrendendosi ad una risata liberatoria. Lui la seguì a ruota, con le lacrime agli occhi.

Roberto Attardi era una persona strana.
La quasi totalità dei membri della classe lo considerava solo un ragazzo divertente, perché sparava battute a raffica, spesso senza alcun senso, il più delle volte a sfondo volgare – ma era proprio quello che faceva più ridere.
Gli piaceva definirsi pallido, ma più di una volta Caterina gli aveva fatto notare che la sua pelle aveva più un colorito giallo-verdastro e malaticcio. Due occhi neri e profondi, cerchiati perennemente da occhiaie scavate – perché a volte videogiochi e computer sono più intriganti della vita reale.
Ciò che Caterina amava dell’aspetto di Roberto erano i suoi capelli. Morbidi e neri, soffici, lisci, invitanti. Voleva affondarci il volto e morirci e nulla sarebbe stato più dolce.
Roberto aveva mani enormi e Caterina le aveva minute – piccole davvero, non aveva mai trovato nessun essere umano, eccezion fatta per i bambini di sette anni, con mani più piccole delle sue.
Era magro e flaccido, zero massa muscolare.
Era alto ed aveva un sorriso abbagliante – o forse abbagliava solo lei.

E c’era qualcosa, in lui, che gridava costantemente aiuto.

Forse era l’espressione che aveva quando pensava che nessuno lo stesse guardando, forse era lo sguardo concentrato che si imprimeva in volto mentre disegnava – e lui aveva un vero talento per il disegno.

La Ruggiero – la vivace e bizzarra prof d’Inglese – lo chiamava Blackie, non solo perché si vestiva solitamente in nero, ma perché aveva quell’aspetto cupo che un diciottenne non dovrebbe ancora avere. Roberto aveva più volte tentato di disfarsi di quel nomignolo, perché lui voleva essere una persona normale, non una vittima.

Però non ci riusciva.
Forse, nel suo inconscio, qualcosa glielo impediva – forse sperava che qualcuno si preoccupasse di lui, che qualcuno lo aiutasse.

Ma nessuno se ne fregava. Finché faceva battute e stava al loro gioco, i suoi cari compagni di classe facevano gli amiconi e i compagnoni.
Nel momento in cui qualcosa lasciava intendere che avesse bisogno di un amico – di una spalla, di una mano – gli amiconi svanivano.

« Scherzi a parte, Robbie, com’è che ieri non ti sei fatto vedere? »

L’altro evitò il suo sguardo e sorrise.

« Mi sono svegliato tardi. Lo sai com’è… »

Lasciò cadere la frase, gesticolando con la mano.

Non aveva guardato Caterina in volto.
Se l’avesse fatto, vi avrebbe letto quello che lei non avrebbe mai detto ad alta voce.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 






















  Mittente:Davide

Hey, Cati, come va? A scuola tutto bene? Non ti fai sentire da un sacco. Ci vieni alla festa di Filomena? Comunque, c’è una cosa urgente che devo dirti. Non ne parlare ancora con Cetta. Ci sentiamo. :)
 
 
 
 



  Mittente: Concetta

Troiona, fatti sentire ogni tanto! Domani c’è la festa di Filo giù alla spiaggia. Tu ci vieni?
Cmq, ho preso 10 in tedesco. Sono una forza.

Ci sono dei problemi con Davide ma te ne parlo da vicino.
Ciao, troia. <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
















































Un luminoso giovedì di fine gennaio, Riccardo porse a Caterina un plico di fogli.

« Gli appunti di Fisica. Fanne buon uso. »

Lei lo guardò e gli sorrise riconoscente, dimentica, per un attimo, del rancore nei suoi confronti.

Lanciando un’occhiata all’orologio – le sette e cinquantaquattro – si disse che sarebbe riuscita a fare una puntata in tipografia per fotocopiarli, tanto alla prima ora avevano Educazione Fisica.

Facendosi largo fra la calca di studenti gracchianti, raggiunse il marciapiede opposto ed iniziò a correre.

Aveva appena girato l’angolo, quando sentì un rumore sordo alle sue spalle e la voce di qualcuno che richiamava la sua attenzione.
Si voltò e vide a terra il cellulare, la mascherina e la batteria spalmati sul marciapiede, le sue chiavi di casa e – orrore! – alcune pagine dei preziosissimi appunti di Riccardo.

Un tipo, dall’altro lato della strada, mise il motorino sul cavalletto e la raggiunse.

« Lascia, ti aiuto io! »

Caterina non si preoccupò di rifiutare il suo aiuto e si affrettò a raccattare i fogli, accertandosi che non si fossero macchiati.
Lo sconosciuto, intanto, aveva raccolto le chiavi ed i pezzi del cellulare e li aveva rimessi insieme.

« C’è un graffio sullo schermo. »

Lei, senza alzare gli occhi dagli appunti, fece un cenno con la testa.

« Oh, non importa. L’importante è che funzioni ancora. Grazie, comunque! »

« Di nulla. Io sono Gaetano, ma tutti mi chiamano ‘O Spagnolo. I tuoi fogli sono salvi? »

Lei sollevò la testa ed annuì, ritrovandosi di fronte un ragazzo alto e ben piazzato, capelli lunghi che si arricciavano alle spalle ed una barbetta ispida, le iridi chiare e sopracciglia folte.

« Caterina, piacere. Sì, i fogli sono salvi, fortunatamente. »

Gaetano spostò lo sguardo sul plico che aveva fra le mani.

« Perché andavi così di fretta? »

« Devo raggiungere la cartoleria giù all’incrocio. Sai, per le fotocopie. »

« Posso darti un passaggio, se vuoi. In moto, intendo. »

Caterina scosse la testa lievemente.

« No, grazie. È a pochi passi. »

L’altro non insistette, ma si limitò a sorriderle.

« Allora, al prossimo incontro, Caterina. »

Le fece un cenno e la guardò allontanarsi a passo svelto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 























































 
Caterina preferiva non interrogarsi sui propri sentimenti.

Ogni volta che ci provava, si ritrovava con una matassa da sbrogliare e nella quale rimaneva impigliata senza via d’uscita.

Preferiva lasciare che le cose seguissero il loro corso.

Alla fine, certe questioni si sgonfiano da sole.
































































NdA

Eccomi qua!
Non abituatevi a questi aggiornamenti flash. E' un caso - e chi mi conosce come autrice lo sa.
Ho un momentaneo blocco dello scrittore per quel che riguarda le storie sul mio adorato fandom di Merlin, perciò eccomi qui ad infangare la sezione Romantico. Spero mi passi presto. 

Di nuovo, potrebbero esserci errori vari. Segnalatemeli se ne trovate!

Ringrazio le due anime pie che hanno inserito la storia fra le seguite. :)

Alla prossima!

   
 
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