Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: BonoRomato    04/04/2013    2 recensioni
Una foto, poi due, poi tre. La tua vita é cambiata da quando, all'accademia delle nazioni e gente comune hai incontrato un bellissimo spagnolo, Antonio Fernandez Carriedo. Sará proprio la fotografia ad avvicinarti a lui
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
\ \ <3 / /

SEMPRE IL RAGAZZO SBAGLIATO!

Me ne stavo nella mia camera oscura, sopra il garage, a sviluppare l’ennesima foto di Antonio Fernandez Carriedo, un ragazzo spagnolo talmente splendido da non aver bisogno di ritocchi, e che si rende a malapena conto della mia esistenza.

Avevo scattato quella foto nell’atrio dell’Accademia Mondiale W mentre Antonio si appoggiava alla statua del grande Impero Romano.

L’avevo fatta da lontano (la distanza è il piccolo ma fondamentale problema della nostra relazione), usando la mia Nikon asso F2 e lo zoom, nascosta dietro a un pilastro di finto marmo.

Mi nascondevo perché, se Antonio avesse scoperto che lo stavo fotografando ormai da mesi, avrebbe probabilmente pensato che sono immatura, nevrotica e ossessiva.

La lampadina rossa diffondeva nella camera oscura un tiepido chiarore.

Ho versato la soluzione di sviluppo sulla carta fotografica, scuotendo gentilmente la vaschetta mentre il viso di Antonio affiorava sulla carta. All’inizio era confuso come un’ombra, poi è diventato sempre più nitido.
Alla fine ho tuffato la carta nel fissatore, l’ho sciacquata e appesa ad asciugare. Poi ho spinto all’indietro la sedia girevole, sospirando profondamente.

Ho passato gli ultimi cinque mesi a cercare di non amarlo.
Starnutendo con sentimento (sono un’allergica cronica), ho tirato fuori l’inalatore per concedere a ciascuna delle mie narici una lunga spruzzata.

Innamorarsi è un’atroce sofferenza.

Era il 6 febbraio, mancavano otto giorni a San Valentino e come al solito ero senza un ragazzo, stretta nella morsa d’acciaio dell’amore non corrisposto.

Era già abbastanza brutto non avere il ragazzo la sera di Capodanno, ma ora dovevo far fronte alla mia tragica solitudine anche nel giorno di San Valentino,e per di più subire il terrorismo psicologico dei bottegai locali, che avevano riempito le vetrine di cuori e cupidi già da gennaio.
Senza contare l’umiliazione di non avere un cavaliere per il romanticissimo ballo del Re di Cuori, che si tiene il giorno di San Valentino nella nostra accademia.

Scendendo la scala che porta dal mio studio nel garage ho quasi inciampato in Kertész, il mio cane, una palla di pelo bianca e nera di circa venti chili, così chiamato in onore di André Kertész, grande fotografo della fine del secolo scorso. Mi si è lanciato addosso con gioia sfrenata, perché solo vedermi lo rende felice.

I cani, almeno, amano incondizionatamente.

Mi sono inginocchiata per accarezzarlo.
“Ci hai mai fatto caso, Kertész, che l’amore è sofferenza allo stato puro e promette soltanto tormenti?”

Kertész non ci aveva mai fatto caso, così ha agitato la coda, tentando di saltarmi in braccio. Io ho attraversato di corsa il garage e sono entrata in cucina, continuando a riflettere sul mio dilemma.

Tutta questa storia è cominciata cinque mesi fa, e ci tengo a sottolineare che non stavo andando in cerca di guai.

Attraversavo l’atrio per andare a lezione di letteratura inglese, leggendo a tutta velocità ‘Beowulf’, quando inciampai nello splendido piede di Antonio e caddi rovinosamente a terra proprio davanti a lui, come una deficiente.

Avrei potuto archiviare la faccenda sotto la voce Pessimo Tempismo, se non avessi alzato lo sguardo verso i suoi fenomenali occhi verde mela, restando pietrificata.

Era una cosa pericolosa, perché stavo cercando con tutti i mezzi di evitare ogni contatto visivo con l’intero genere maschile.

La mia ultima storia era appena finita in un disastro, quando Gilbert Beilschmidt, che era stato il mio ragazzo per quattro mesi, mi aveva mollato per smettere di studiare e vivere della rendita del lavoro di suo fratello Ludwig, pronunciando le parole d’addio preferite da tutti gli ipocriti che infestano la terra: “Ti chiamerò”.

Mi ha mai chiamato?

Ho mai avuto uno straccio di notizia da lui, dal 23 Agosto?

Gli asini volano?

Insomma, eccomi lì, un mucchietto informe ai piedi di Antonio Carriedo, ancora in lutto per quel vigliacco di Gilbert.

Tentai inutilmente di convincermi che prendersi una cotta per un altro tizio fantastico andava oltre i limiti dell’umana stupidità, specialmente se il tizio in questione è il capitano della squadra di calcio dell’accademia e fa coppia fissa con Chiara Vargas, che, per dirla con le parole di Elizavéta Hédérvary, la mia migliore amica, si può definire semplicemente ‘Il Corpo’.

Niente e nessuno, tranne forse una fiamma ossidrica, potrebbe allontanare un maschio da lei.

Sorridendo, cercai di uscire graziosamente di scena, ma riuscii soltanto ad inciampare di nuovo. Antonio Carriedo mi guardava come un bambino guarda i clown al circo.

Mi allontanai zoppicando, e, mentre passavo accanto alla panca intitolata alla Pace nel Mondo, dono degli alunni che si erano diplomati l’anno precedente, Elizavéta si avvicinò.

“Non ci pensare neanche, Lisa!” sibilò.
Io la guardai con aria innocente.
“A chi credi di darla a bere? Ho visto tutto. Hai strabuzzato gli occhi” continuò lei, e, dopo avermi esaminato le mani, sussurrò sinistramente “Hai le mani sudate. Conosco i sintomi”.

Elizavéta e io siamo migliori amiche dalla prima media e abbiamo condiviso tutto: infinite delusioni d’amore, le continue aggressioni di quel rompiscatole del suo vicino di casa rumeno, senza contare la crisi di mezza età di suo padre, quando se ne andava in giro indossando atroci camicie aderenti e chiamava tutti quanti ‘piccolo’.

“Dillo!” ordinò Elizavéta.
“Non prenderò mai più una cotta per il ragazzo sbagliato” balbettai.
Poi, nel tentativo di rassicurarla, aggiunsi “Non preoccuparti. Sto bene.”

Tutto questo è successo cinque mesi fa.

Non stavo bene allora, e non sto bene neanche adesso.

Diciamo le cose come stanno. E’ una tragedia.
Ho avuto quattro ragazzi quattro, e nel giro di un anno il mio potenziale romantico si è trasformato in un formaggio svizzero.

Due mi hanno lasciata per tornare dalle loro precedenti conquiste; uno ha insultato le mie fotografie, e Gilbert, testa di legno che non è altro, si è stufato di studiare ed è sparito.

Ho saltato una festa di fine anno, una festa di inizio anno, e ormai sono tre anni che non partecipo più al ballo del Re di Cuori.

Badate bene, non sono un mostro. Ho lunghi capelli castani, un bel paio di occhi scuri, denti perfetti e un nasino da arricciare con grazia, se proprio devo farlo. Sono abbastanza alta e snella, si portare bene i vestiti e riesco a riparare un piccolo guasto al motore dell’auto senza sembrare un maschiaccio.

I miei genitori sono preoccupati perché mi innamoro troppo in fretta.
“Secondo te, Li” mi hanno chiesto una volta “perché i ragazzi ti attraggono così tanto?”

Inutile parlare dell’esplosione chimica che mi travolge quando li guardo.
I genitori non vogliono sentire queste cose.

Così ho fatto finta di niente e sono rimasta zitta.
“Forse dovresti rifletterci sopra” ha suggerito la mamma “almeno fino a quando i tuoi sentimenti non andranno di pari passo con la realtà”.
“Oppure potremmo incatenarti al termosifone” ha aggiunto mio padre “fino a che momenti come questi non saranno passati”.

Ora capite con che cosa devo combattere.

Ho tentato di esprimere le mie emozioni attraverso le fotografie: e non a caso quella della lattina di Coca Cola spiaccicata in mezzo al parco-giochi deserto è la mia preferita.

Cerco di convincermi che tutto va bene, e poi vedo una coppia innamorata che fluttua lungo la strada e mi ricordo di quando mi sentivo così, anche se non era una cosa seria; di quando mi sentivo amata, desiderata e importante.

A quel punto mi assale la tristezza e mi tornano in mente tutti i tizi che mi hanno mollata, compreso Mathias Køhler, che in quinta elementare aveva riso del mio biglietto di San Valentino e l’aveva fatto vedere a tutti durante la ricreazione.

Per conoscermi veramente, comunque, dovete guardare le mie fotografie.

Quando io e la fotografia ci siamo incontrate per la prima volta, avevo sette anni ed ero in Italia. Avevo guardato la Torre di Pisa attraverso il mirino della Leica di mio padre, inclinando l’apparecchio finché la torre mi era apparsa dritta, e avevo scattato.

Vedendo la foto sviluppata, qualche giorno dopo, ero rimasta affascinata dal potere di una macchina tanto piccola, che però riusciva a raddrizzare un edificio pericolante.

Papà mi aveva regalato una 35mm usata, e io mi ero preparata a catturare la vita attraverso l’obiettivo.

I ragazzi non capiscono l’arte.

Non gli importa niente se ogni tanto la macchina fotografica manifesta un potere che va oltre il fotografo, riuscendo a cogliere un’emozione che solo il cuore è capace di vedere.

Quando tiro fuori la mia, si sentono minacciati.

I maschi che apprezzano il ruolo dell’artista nella società sono pochi, ma io nutrivo grandi speranze nei confronti di Antonio Fernandez Carriedo.

\ \ <3 / /
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: BonoRomato