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Autore: _Char    06/04/2013    1 recensioni
Non avevo mai visto un ragazzo dai suoi stessi tratti. Erano ben delineati, che richiamavano quasi i tratti stranieri, come quelli degli spagnoli. Seducenti, ammalianti. Era uno di quelli per cui saresti uscita dalla classe fino al corridoio per vederlo. Uno di quelli che ti calamitano con lo sguardo. Con cui avresti voluto fare l’amore subito. No. Non amore. Sesso. Focoso, caldo, passionale, in cui s’intrecciavano gemiti e sospiri.
Sesso. Sesso puro.
Rimasi senza parole, sentendomi morire. Cosa stavo facendo?? Andavo a sbavare dietro a un tizio che non avevo mai visto in vita mia?
Ero confusa, troppo. Non ero abituata ad emozioni così forti. Nessun ragazzo fino ad allora era riuscito a risvegliarmi tutti gli ormoni in una sola volta, con un solo sguardo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                               CAPITOLO 5

 

 

-Allora, andiamo insieme stasera?-
La domanda squillante di Carlotta mi rintronò letteralmente nelle orecchie, lasciandomi come sospesa in una bolla d'aria per qualche momento. Era tutta la settimana che stavo pensando alla festa, e ogni volta che mi sorprendevo a porvi l'attenzione mi pregavo di pensare ad altro. Da quando, una settimana prima, mi ero prefissata di trovare una soluzione per non lasciarmi intimorire dalla presenza di un certo qualcuno, non avevo trovato ancora rimedio, forse avevo addirittura perso tempo convincendomi che ce ne fosse ancora per decidere sul da farsi.
Non volevo andare a quella festa. Non ora che avevo scoperto ci sarebbe andato anche Francesco.
Volevo togliermelo di torno senza indugi, meno ci stavo a contatto meglio sarebbe stato.
Come se non fosse già abbastanza facile scorgere di sfuggita in classe quei suoi occhi tremendamente attraenti che ti mangiavano con lo sguardo. Non avevo paura perché non mi aveva interessato. Avevo paura perché mi aveva interessato anche troppo. Ma a chi volevo darla a bere? Fin dal primo momento in cui gli avevo posato gli occhi addosso quel primo, maledetto, giorno di scuola ero stata sempre palesemente attratta da lui. Trovavo solo più facile non darlo a vedere, con le mie amiche, anche se loro non si facevano troppe preoccupazioni a manifestare il loro interesse alla sua presenza.
Sopratutto Carlotta. Che era sempre stata attratta dai ragazzi era noto fin dall'antichità, ma mai in un modo come quello. Sembrava davvero infatuata di lui. Infatuata. Non innamorata. Era attratta solo dal suo fisico. Non a dire che le sarebbe dispiaciuto conoscerlo caratterialmente, ma sembrava focalizzarsi solo sui suoi pettorali. Diamine. Se li aveva.
Basta! Non dovevo pensarci. Mi stava mandando in confusione. Anch'io ero attratta dal suo corpo, non potevo negarlo per quanto volessi farlo con tutta me stessa. Ero stata, fino a quel momento, la ragazza che non si faceva troppa fissa per i ragazzi, che pensava ad uscire il sabato sera con le sue amiche e che preferiva starsene a fare qualcos'altro che appostarsi nei bar e commentare ogni tizio degno di nota che ti passava davanti. Mi sentivo male, non mi ero mai sentita così interessata ad un ragazzo come per Francesco. Quei capelli scuri, che solo gli occhi potevano eguagliare per profondità, quelle sue labbra dannatamente sexy. Gli occhi che parlavano.
E le sue mani.
Sentivo un brivido scuotermi ogni volta che posavo distrattamente lo sguardo su di esse. Ogni cosa sembrava parlare di lui. Ogni cosa. Francesco non era un fisico. Era un'opera d'arte. Una statua ellenistica in movimento, la meraviglia del corpo che si univa alla fluidità e alla morbidezza dei gesti. Me le ricordava più di ogni altra cosa.
Non avrei potuto resistergli a lungo. Non se ci fossimo trovati insieme in uno stesso posto, per lo stesso tempo senza vie di uscita.
Sentivo sarei crollata, di fronte alla sua presenza.
Mi augurai vivamente il contrario.

-Bianca? Ci sei?- mi riportò alla realtà Carlotta, prendendomi per un braccio.
-Sì, stavo solo pensando alle macchine- dissi, mentendo spudoratamente. Ci mancava solo che si accorgesse dei miei pensieri.
-Per le macchine possiamo andare con la mia- propose pacatamente, -Siamo in tre, l'auto di mia madre basterà anche se qualcuno avesse bisogno di un passaggio. Ma che hai?- domandò poi, perplessa.
-Niente, sono solo stanca. Due ore di biologia con Monviso non si affrontano- risposi spossata. Cercai di convincerla della mia interpretazione, che sembrò funzionare a dovere.
-Già- disse, -per fortuna dobbiamo fare solo l'ultima ora-
Diamine.
L'ora del patibolo si avvicinava sempre di più.
-Passo a prenderti alle otto. Per te va bene?- continuò il suo discorso.
Annuii, dandole uno sguardo.
-Ottimo- commentò, ma dal tono neutro con cui lo disse capii che stava cercando qualcosa nei miei gesti, focalizzando la sua attenzione su di me come un mirino di una macchina fotografica.
-Buongiorno ragazzi- la voce della professoressa di matematica ci arrivò alle orecchie improvvisa come inaspettata.
-Ha dimenticato di perdersi oggi nei corridoi?- sentimmo dire a bassa voce da qualcuno con tono beffardo.

Un'ora dopo avevamo finito anche di assopirci sulla ripetitiva lezione di fisica.
Non appena sentii la campanella vibrare sgranai gli occhi, atterrita.
Margherita non sapeva più come raccapezzarsi riguardo alle mie espressioni particolarmente poco eloquenti di quella mattina.
Uscii dalla scuola quasi di corsa, implorandomi tuttavia di rallentare e fermarmi come se avessi potuto fermare anche il tempo, mentre la calca di studenti sorpassavano, spingevano e si precipitavano lungo le scale per uscire da quel purgatorio eterno.
-Ci sentiamo più tardi, Bi- mi aveva richiamata Margherita, squadrandomi perplessa anche lei.
Evitai di camminare lungo il marciapiede affollato e sviai il percorso lungo la strada almeno per il tratto più intasato di persone, con lo sguardo che girava da solo dappertutto, ansiosamente, finendo poi per ricadere sul marciapiede.
Mi affrettai a camminare, sperando di arrivare il prima possibile a casa.

 

 

Francesco POV


Era la seconda volta che distoglieva lo sguardo. Quella mattina oggi in classe, poi mentre si allontanava. Dovevo fare un certo effetto su di lei, a quanto pareva. Avevo iniziato ad abituarmi, se così si può dire, ad essere osservato dalle ragazze della scuola. Avevo visto sguardi attratti, maliziosi, imbarazzati. Ma il suo era uno sguardo incerto.
Sembrava avesse paura. Paura di manifestare qualcosa che evidentemente sentiva premerle dentro di sé. Paura di me.
Ero consapevole di fare sempre un certo effetto, sulle ragazze. Ma quelle come loro non mi interessavano, nemmeno per una botta e via. Sfoderavano sorrisi adescatori e sguardi impertinenti, in modi tutti diversi ma che dicevano solo una stessa cosa: scopami.
Si riconosceva facilmente il sesso delle puttane, e ce n'erano parecchie in giro. Se avessi voluto farmi una scopata come si deve per sfogare i miei desideri sessuali sarei andato in un locale notturno dove sapevo ci sarebbero state delle puttane che te l'avrebbero data anche meno per un sorriso malizioso.
O forse di più. Dipendeva dal prezzo che gli attribuivano.
Ma a differenza di quello che credevano non ero uno di quelli che sapendo di far sbavare tutte le ragazze del liceo dietro il suo corpo ben delineato si portava a letto tutte le sciacquette del liceo.
Lei aveva paura. Temeva il mio sguardo, temeva di caderci dentro anche lei.
E se solo avesse saputo che, Dio, avrei voluto prenderla prima che passasse via e dirle che non c'era nulla da temere, non avrei saputo neanch'io cosa le avrei fatto.

 

 

Bianca POV

 

-Sei pronta amore?-, Carlotta mi parlava entusiasta al telefono.
-Dammi solo 5 minuti e sono pronta- risposi, poggiando il telefono sulla scrivania ancora in modalità chiamata.
-Uffa, voi donne siete tutte uguali- sbruffò, -se tra 5 minuti non sei pronta giuro ti vendo a prendere su-
E allora vieni.
Avrei preferito mi trascinasse legata come un sacco di patate piuttosto che camminare di mia volontà in quel locale.
Mi accostai allo specchio, cercando di salvare il salvabile.
-Margherita è già con te?- alzai la voce per farmi sentire, parlando frettolosamente.
-Ehiii, ti stiamo aspettando qua giù!- la voce della mia amica mi ritornò altrettanto alta, capendo mi ero messa a distanza dall'apparecchio.
-Andiamo Bià, muoviti o faremo tardi- si lamentò l'altra.
-Arrivo- borbottai, prendendo la pochette nera da sopra le lenzuola.
-Muoviti Bià, o salgo sul serio a prenderti-
Mi assicurai di spegnere tutte le luci prima di uscire e chiusi la porta a chiave: mia madre sarebbe tornata per le otto e mezza, e avrei dovuto muovermi se non avessi voluto trovarmela in mezzo alle scale.
-Finalmente la signorina ci degna della sua presenza- sbottò Carlotta non appena mi vide arrivare.
-Zitta e accendi il motore- dissi senza giri di parole.
-D'accordo, Vossignoria- fece seccamente.
Venti minuti dopo eravamo in mezzo all'autostrada.
-Perché fanno sempre le feste di compleanno lontano dal centro?- fece Margherita, che sbucava dai sedili posteriori in mezzo a me e Carlotta, sedute davanti.
-Dovremmo esserci quasi- le dissi in risposta, prendendo coscienza delle mie parole solo in un secondo momento.
-Sta calma Bi- mi rabbonì Carlotta, tenendo il volante, -la so la strada-
Merda.
Carlotta aveva stoppato nel parcheggio, cercando un posto dove sistemare la macchina.
-Vedete posto?- domandava a me e Margherita. L'unico posto che vedevo era quello del poggiapiedi della macchina.
-Lì, accosta lì- le indicò Margherita da dietro.
Potevo ufficialmente definirmi fottuta.

 

Tre ore dopo

 

La musica della sala rimbombava nelle orecchie a volume altissimo. Le luci erano fortunatamente abbassate, così da evitare di riconoscere la gente a prima vista, motivo per cui la maggior parte di noi se non tutti si erano buttati a ballare fregandosene della figura che avrebbero fatto poiché momentaneamente irriconoscibili se non a contatto diretto. Per lo stesso motivo mi ero buttata anch'io in pista, cosa che non avrei mai fatto se le luci fossero state normalmente funzionanti, e, diamine, dovevo ammettere che se l'avessi saputo prima avrei fatto la stessa cosa anche alle altre feste trascorse per la maggior parte ai tavolini del buffet, seduta a chiacchierare con qualcun'altra rimasta fuori dai giochi.
-Allora Bianchina, ti stai divertendo stasera eh?- sentii praticamente gridare da Margherita, nonostante fosse vicina a me, per sovrastare il livello della musica.
-Avreste dovuto trascinarmi prima- ridacchiai, -dovevate prendermi e buttarmi dentro senza troppe cerimonie-
-L'avremmo fatto se non fossi stata armata della borsa pronta a malmenare chiunque tentasse di farti svagare di più- mi rimbeccò Carlotta.
Le feci la linguaccia in risposta, sentendo un'ebrezza diversa.
Per una volta, finalmente, ero tornata ai vecchi tempi se non di più, lasciandomi andare alla musica e alle luci pulsanti senza troppe preoccupazioni.
-Ehi ragazze, io torno ai tavoli- gridai alle due, per farmi sentire, -ci vediamo dopo-
-Okay!- disse Margherita con entusiasmo.
Riuscii a superare la calca di persone che si riversavano in pista e raggiunsi i tavoli, come un marinaio sopravvissuto a un naufragio. Mi sentivo ancora tremare per tutto il corpo le scariche di adrenalina, motivo per cui avevo un sorriso a quarantadue denti senza curarmi troppo delle reazioni altrui.
-Ehi Bianca!- sentii richiamarmi da poco distante. Girai lo sguardo in cerca dell'interlocutore nascosto nel buio e sorrisi non appena lo riconobbi:
-Flavia!- esclamai, senza perdere il sorriso.
Okay, stavo andando di testa. Sembravo Alice caduta nel Paese delle Meraviglie.
Si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia:
-Non ti avevo mai vista così carica, prima di stasera- fece, ammiccante.
-O scarica- la corressi, al che ridacchiò.
-Ti conviene stare lontano dai drink allora, ci andresti giù pesante e ti basta essere fuori di testa già normalmente-
-Ma guarda un po', non si saluta eh?- arrivò da dietro di noi Margherita, fingendosi offesa.
-Buonasera anche a voi- mimò una riverenza sarcastica Flavia, -Ci conosciamo, prego?- continuò poi fingendosi perplessa nei confronti di Carlotta.
-Bianca, chi è costei?- rispose a tono lei, indicandola stranita.
-E poi sarei io ad essere fuori di testa- commentai, divertita.
-Come te la passi, Fla?- riprese un tono normale Carlotta, tenendo in mano un bicchiere pieno.
-Non male- rispose lei, abbozzando, -anche se Enzo se la passa meglio- aggiunse poi.
-Enzo?- si stupì Margherita.
-Vincenzo- la illuminai stancamente, al che ebbe la rivelazione che le fece accendere la memoria.
-È venuto anche lui stasera?- continuò.
-Sì, mi ha accompagnata. Dovrebbe essere da quelle parti- indicò con il dito in fondo, al che la seguii istintivamente. Il sorriso a quarantadue denti mi si spense di colpo.
Cazzo.
Lo sguardo mi ricadde impulsivamente su qualcuno appoggiato sul fondo della sala, insieme agli altri ragazzi. Dove c'è una festa femminile i ragazzi tendono a starsene in gruppo per i fatti loro, a buona ragione. A buona, dannata, ragione.
Mi si fermò quasi il battito cardiaco, persa.
La sua camicia nera, scollata sulle clavicole, lo risaltava nelle luci pulsate della sala, creandogli un'ombra di celato e di rivelato allo stesso tempo. Solo la cintura argentata delineava lo stacco dal busto ai pantaloni, neri anch'essi. Aveva in mano un bicchiere, simile a quello di Carlotta, e ogni tanto vi faceva scorrere le dita attraverso l'impugnatura.
Tentai di distogliere lo sguardo, stregata da quelle dita, ma non feci in tempo che lo osservai portarsi il bicchiere alla bocca, per poi riabbassarlo mentre si leccava le labbra.
Mi sentii morire.
Ecco lo stato confusionale che ritornava. Non so cosa avrei dato per potergli sfiorare quelle maledette labbra estremamente sensuali, accarezzargli il petto maliziosamente simile a una calamita per via di quella scollatura accattivante.
Abbassai lo sguardo, assumendo nuovamente il controllo di ogni cosa.

 

 

Francesco POV

 

-Ehi, guarda chi c'è- sentii dire da Antonio, mentre indicava col mento qualcuno davanti a noi.
Mi voltai verso la sua direzione, e la vidi.
Era insieme ad altre ragazze, la chioma scura tendente al castano inconfondibile in mezzo alle altre more.
Le gambe scoperte, le spalline quasi abbandonate oltre la spalla.
Merda. Mi stavo eccitando di nuovo. Sentii un calore familiare nei piani inferiori del mio pantalone e istintivamente chinai lo sguardo, cercando di non farmi sorprendere dagli altri a tenere d'occhio il mio amico. Sentivo il membro pulsare insistentemente; cazzo, dovevo fare qualcosa.
-Ragazzi ci vediamo dopo, vado a farmi un giro per la festa- dissi ad Antonio e agli altri.
-Cerca di non farti un bicchiere- mi raccomandò con tono da mamma quest'ultimo, suscitando un ridacchiare generale.
-Sì mamma- sorrisi furbetto, dirigendomi verso l'uscita della sala.
Bagno. Sospirai, cercando di calmarmi, in piedi davanti allo specchio che ricopriva l'intera parete, con le mani appoggiate al lavandino. Possibile che mi bastava vederla per andare in escandescenza? O era particolarmente provocante quella sera o ero io che stavo avendo più erezioni del solito. Aprii l'acqua del rubinetto e chinai lo sguardo nel lavandino, osservando il liquido che sgorgava come un fiumiciattolo nello sgorgo. Dovevo calmarmi. Non potei fare a meno di ripensare a lei quando, quella mattina, era andata via accelerando il passo. Dovevo fermarla. Prima che lei avrebbe definitivamente fermato me.

 

 

Bianca POV

 

Accelerai il passo, in cerca di salvezza.
Mi tornarono in mente le parole di Margherita dette pochi istanti prima:
Andiamo, resta un po'” aveva detto con tono solare.
No, ho bisogno di una boccata d'aria” mi ero limitata a dire, dileguandomi dalla sala. Stavo già programmando del come avrei potuto andarmene da lì senza dare troppo a vedere la mia voglia di evadere, sopratutto nei confronti della festeggiata. Maledetta lei e quando si era messa con Andrea; chi cazzo glielo aveva detto a lui di invitare i ragazzi?? Comunque era mezzanotte passata, quindi l'orario era consono per una dipartita improvvisa causata da un inaspettato malore di mia madre.
Gemma io devo scappare, mia madre mi ha appena chiamata perché ha avuto un giramento di testa ed è a casa da sola, non vorrei le succedesse qualcosa, grazie di tutto”
Stop. Rapido e conciso.
Uscii dal locale, respirando l'aria fresca della serata.
Camminai per un paio di passi, guardando nel parcheggio, quando mi sentii stranamente osservata.
-Che cosa ci fai tu qui?- sentii dire da una voce alle mie spalle, scherzosa.
Sgranai gli occhi dalla sorpresa e mi girai, trovandomi a tu per tu con... Francesco. Proprio lui.
L'ultima persona che avrei voluto vedere a quella festa, la persona a cui stavo cercando di sfuggire. Lui.
-Non si può nemmeno uscire liberamente fuori?- ribattei, cercando di ignorare i suoi modi affabili.
-Da sola?- mi fece notare, guardingo.
-Sì- la mia risposta trapelava indecisione, -non è concesso? Bisogna sempre essere con qualcuno per poter prendere un po' d'aria?-
-In due?- fece notare, sorridendo.
Mi sentii in imbarazzo.
-E tu che ci fai qui?- presi la palla al balzo, manifestando simulata nonchalance.
-Non si può prendere una boccata d'aria?- riprese le mie parole, senza smettere di sorridere.
Diamine che sorriso che aveva.
-Vuoi seguirmi?- gli chiesi, mostrandomi fredda e distaccata.
-Se è un invito hai sbagliato di grosso a chiedermelo- sorrise.
Sentii vacillare di fronte alle sue parole. Di solito quando non ce n'è bisogno riusciresti a dire tutti i discorsi ben strutturati del mondo, con quel tocco di pepe che ti permetteva di guadagnarti un'uscita in grande stile. Ma fu come se avessi dimenticato ogni parola e ogni frase.
-Voglio solo parlare- abbassò il tono, parandosi di fronte a me.
Lo osservai, incerta.
Lui non si spostava, in attesa di una mia risposta.
Dai Bianca, un'occasione come questa non ti capiterà più” mi sollecitava il mio cervello.
-Perché?- dissi soltanto, a bassa voce.
-Non ti fidi di me?- domandò a bruciapelo. Stavolta nel suo tono sensuale c'era una punta di dolcezza. Sarei potuta cadere fra le sue braccia.
-Devo?- restai sul tema, avvicinandomi di un millimetro, guardandolo negli occhi.
Non mi rispose; furono i suoi occhi a parlare.
Volevo scoprire cosa aveva in mente. Nel peggiore dei casi sarei scappata via per non farmi più vedere dalla circolazione. Non avevo niente da perdere, se non un'occasione.

-Perché mi hai seguita?-
Ci eravamo allontanati dall'ingresso, appostandoci in una zona piuttosto riservata. “Oh cazzo” fu il mio primo pensiero. Se fosse arrivato al dunque non avrei saputo cosa fare in una situazione come quella.
-Voglio soltanto parlare- ripeté.
-Di cosa?-
Mi sentii tremare.
-Di te-
Fu come una frecciata al cuore. Che cosa voleva da me?
-Di me...?- ripetei, incerta.
-Sì...- disse, avvicinandosi; sentii chiudermi ogni via di uscita. Anche mentale.
-E che cosa vuoi, da me?- mormorai, andando in panico. Non eravamo mai stati così vicini. Avevo timore anche solo a sfiorarlo, per non ritrovarmi nelle sue grinfie.
Mi guardò dall'alto al basso, come per studiarmi.
-Potrei farti anch'io la stessa domanda- disse infine.
Il suo tono era calmo. Forse voleva davvero soltanto parlare, senza preludiare qualcos'altro.
-Che vuoi dire?- chiesi, perplessa e interessata. Non mi sarei mai aspettata un'uscita del genere da lui.
Appoggiò la mano al muro dietro di me, di modo da trovarsi terribilmente vicino al mio viso.
-Perché scappi?- sussurrò, mentre il suo tono ritornava ad essere caldo e suadente, -Si scappa quando si ha paura di qualcosa. Di cosa hai paura?-
I miei occhi incerti cercavano rifugio nei suoi. Le mie mani tremanti desideravano aggrapparsi al suo corpo. Mi aveva messa completamente in trappola.
Di te. Ho paura dei tuoi occhi, del tuo viso, e delle tue labbra fottutamente sexy”
Non seppi cosa rispondergli.
-I-io...- balbettai, guardando il brecciolino sulla strada, -io voglio solo... voglio solo fare la cosa giusta-
Merda. Mi era uscito così, all'improvviso. Non l'avevo nemmeno pensato.
Aggrottò le sopracciglia.
-“Fare la cosa giusta”?- si sorprese, -cioè allontanarti da me? È così? Ma perché vuoi scappare, Bianca?-
Aveva pronunciato il mio nome accoratamente, quasi per dargli peso più di ogni altra parola della sua frase.
Sentii di non poter più parlare, le parole che mi si stroncavano nelle labbra come bloccate da una grossa pietra.
-Okay, senti...- disse ancora, -Non so cosa pensi, nella tua testa. Non so se ti faccio così... timore, da voler scappare via ogni volta che mi incontri- aveva pronunciato “timore” dopo una frazione di secondo, quasi a voler correggere un altro vocabolo, -Ma voglio solo farti capire che non ne hai bisogno. Chissà cosa pensi di me- abbozzò poi un sorriso a labbra chiuse, quasi a sdrammatizzare.
-Non penso niente di te- mi affrettai a ribattere, scuotendo leggermente la testa come per aiutarmi a convincerlo.
-E allora cosa c'è?- mormorò di nuovo, con tono paziente. Anche quando era perfettamente calmo riusciva ad avere qualcosa nella voce di inconsciamente eccitante.
-Io... - mormorai, non riuscendo a sostenere il suo sguardo negli occhi; scivolai sul contorno scuro della leggera barba sotto le narici, perdendomi sulle sue labbra, -Francesco io... io voglio...-
-Che cosa vuoi...?- sussurrò senza spostarsi, seguendomi con lo sguardo.
Un vuoto allo stomaco e un calore improvviso che mi pervadeva il corpo dalla vita in giù; sentii cedermi le ginocchia, sforzandomi inutilmente di non cedergli.
-Tu cosa vuoi da me?- ribaltai la domanda, ritornando lucida in un breve risveglio dei sensi.
-Voglio quello che vuoi tu...- sussurrò con la sua maledetta voce sensuale, eccitandomi incontrovertibilmente.
-E se non fosse la stessa cosa?- mi sforzai di ribattere.
-Chi ti dice che non lo sia...- gli sfuggì un sorrisetto malizioso.
-Ne rimarrai deluso allora, perché non tutto va come prevedi- rivelai, mentendo spudoratamente, sperando che almeno uno dei due ci credesse sul serio.
-In ogni caso io sono qua...- non si abbatté; si avvicinò ancora al mio viso, tanto che riuscii a sentire il calore del suo respiro sul mio collo, che tremava ad ogni soffio, -sempre disponibile in un cambio di opinione-
Rimasi a fissare le sue labbra, respirando quasi a fatica dallo sforzo di tentare di restare calma; dopo pochi secondi che mi parvero un'eternità si scostò dal muro, lasciando scivolare via la mano, senza tuttavia smettere di guardarmi mentre si allontanava, diretto a raggiungere i ragazzi. 

  
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