[24.
Famiglia]
La Terza e la Colonna dell’Atlantico settentrionale.
Le gradinate calde di sole del Tempio e le insenature di
corallo degli Abissi. Il Devon con le sue pareti di quercia; i chiostri ruvidi
delle Meteore.
Gli stipidi blu e i letti in ferro del mulino a vento a
Mykons. I bicchieri di cotto screziati di rosso nel lavandino.
“Sono tanti” riflette Kanon,
“Sì; tanti” risponde Saga.
E se ne restano così, a fissarsi, la bottiglia d’olio nel
mezzo e una stupida infantile ovvia inaspettata sicurezza. Il loro oikos è anche una tuta spaiata: i pantaloni
su Saga, la felpa su Kanon.
L’oikos.
Una di quelle parole che, se qualcuno di voi ha
studiato greco, capitano sempre fra i piedi e non sai mai decidere come
tradurre. Va bene: è un po’ all’ordine del giorno in molte lingue. Ma, a volte, la voglia di poter semplicemente passare da un
registro all’altro senza starci a pensare è davvero prepotente.
E quando Saga e Kanon
hanno iniziato a parlare di oikos devo confessare che
i miei latenti istinti omicidi si sono risvegliati. Perché, dico io, va bene
che con loro parlo in italiano, ma fra tutte le parole che esistono, se proprio
volevano parlare in greco, proprio oikos dovevano scegliere?
Per capirci, oikos di solito si traduce con casa. E quindi con la famiglia della drabble
non ci azzeccherebbe un piffero. Se
ovviamente si traducesse casa.
Perché, signori miei, dovete sapere che oikos in
greco antico (ed è ovvio, no, che i cari gemellini
parlino in greco antico; usare quello moderno, o quello bizantino sarebbe
chiedere troppo, giusto?) è una di quelle plurisfacettate
parole che comprendono la millanta conoscenza familiare, tanto da far
impallidire per complessità le acrobazie di risoluzione del cubo di Rubik.
Non ci credete? Ascoltate un po’.
Dunque: nella antica Ellade, così generosa di terminologia-crogiolo, il lemma in
esame indicava contemporaneamente la casa
e la famiglia. Facile, direte voi:
basta guardare il contesto; per niente, ribatto io.
Per prima cosa, la casa non è solo la nostra bella struttura muraria con le sue pareti
di bianco intonaco e le tendine alle finestre. Troppo scontato, non credete? La casa è sia la struttura fisica in cui risiede la
famiglia (anche questo termine poi da
inquadrare), divisa nelle sue variegate sezioni sessiste e di molteplice
impiego, sia l’insieme delle proprietà fondiarie e immobili che la famiglia
possiede sparse su tutto il territorio conosciuto (e anche non, visto che certi aristocratici rivendicavano possedimenti
anche in quello che attualmente è il mare aperto) sia una precisa stanza della
casa non meglio identificabile definita come il luogo della vita domestica (di chi non si sa, visto che gli
uomini aristocratici la giornata la passavano a spasso per l’agorà e la
nottata, salvo doverosi assolvimenti a incombenze coniugali, non disdegnavano
banchetti di altalenante morigeratezza e la compagnia di colte e raffinate
etere): forse indicava l’ambiente destinato ad accogliere il braciere con il
fuoco sacro ad Estia, la dea protettrice della casa (oikos appunto).
Ma non è finita qui.
Abbiamo detto infatti che oikos indica anche la famiglia. E che famiglia: partiamo dal
più augusto avo ancora vivente, che detiene su tutti i discendenti, diretti o
acquisiti, un potere pressoché assoluto. Sono quindi compresi nel gruppo familiare i figli, i nipoti, di pro-bis-tris
nipoti e quant’altro per linea maschile, cui vanno ad aggiungersi le
mogli di ogni membro maschio adulto, le figlie nubili e le sorelle non ancora
impalmate e il conseguenze codazzo di figli e figlie al seguito. Niente
suocere. Quelle,almeno, restano nella casa d’origine
della moglie.
Invece, giusto per non annoiarsi, vengono inclusi anche gli schiavi, sia quelli di città sia
quelli residenti nelle eventuali aziende rurali, e anche gli animali, che siano
quelli di compagnia come il cane e il gatto, o quelli da soma o da lavoro. Non
so i pesci rossi, ma di certo la fauna esotica rientrava in età ellenistica
negli oikoi
più rinomati (e facoltosi).
E dulcis
in fundo possiamo concludere la nostra carrellata
sottolineando come, se per la componente femminile della società l’oikos si limitava
nel complesso al “ristretto” circolo familiare-muraturale,
per l’uomo il significato va esteso a comprendere anche la città stessa, di
cui, come per la propria famiglia-casa, l’uomo greco, orgoglioso del suo status
di cittadino, si sente pienamente responsabile.
Dopo questo ampio
preambolo, capite bene come questa drabble sia stata
il parto di imprecazioni, testate alle pareti e improperi a Saga e Kanon, che ghignavano serafici dal mio divano di fronte al
mio drammatico naufragio.
Per Saga e Kanon è oikos alla
maniera greca antica qualsiasi cosa che facciano rientrare nella loro orbita
abituale di vita: il Grende Tempio; gli Abissi; il Devon dove risiede una certa Viverna e le Meteore dove Saga ama soggiornare di quando in
quando (ma al riguardo ci saranno in futuro maggiori delucidazioni. Promesso!).
Un vero guazzabuglio, insomma!
In compenso, ho scoperto che in Grecia ci sono
i mulini a vento. Voi lo sapevate? Io no. O meglio: li avevo visti, qualche
volta, in alcune immagini, ma non avevo focalizzato. Di solito, per i mulini a
vento, a me sovviene l’Olanda dei rossi tulipani o le pianure iberiche di donchisciottiana memoria. Invece. Anche la Grecia ha i suoi
mulini; e sono abitabili! Saga e Kanon ne hanno
scoperto uno squisito a Mykonos, una delle isole
delle Cicladi più rinomate per la vita serale, e
anche per i ritiri in spiagge solitarie. Un po’ di movida non guasta, ma restano sempre due ragazzi un po’ schivi. Ne?
Comunque.
Voglio andare in Grecia. Voglio andare in un
mulino in Grecia. Voglio dormire nel mulino in Grecia. Possibilmente trovandoci
anche Saga e Kanon.
E dopo questo delirio (che sì, supera nettamente la drabble:
poco più di otto volte la 100 canoniche paroline della drabble)
vi saluto. Alla settimana prossima!
P.S.
La spiegazione all’oikos è volutamente trattata in
termini leggeri. Intendiamoci: io amo il greco; è la mia vita.
Ma ritengo anche che l’antichità linguistico-culturale non possa essere compresa mettendo
tutto su di un piedistallo e ricusando qualsiasi elemento di insoddisfacente
sfumatura anticlassicista. I templi non erano bianchi, ma
pieni di colori; le strade di Grecia sapevano di fango, carne, sudore e parole
forti; le donne erano tali solo se confinate in casa (almeno ad Atene) e
l’amore è un concetto talmente complesso che declinarlo è impossibile.
La Grecia antica era questo, oltre a ideali e
filosofia e teatri che di religioso silenzio di platea non conoscono nemmeno il
significato.
Ed è questa la Grecia che amo; quella che mi
piace scavare. Anche con un po’ di ironia e di
disincanto; anche a volte con cinismo e tratti dissacranti.
Non vogliatemene; e perdonate la “modalità maestrina”.