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Autore: Lady Yoritomo    06/04/2013    0 recensioni
Un chierico con un piccolo problema a contenere la sua collera. Una giovane Githyanki in fuga dal suo piano perchè odia il rigore militare. Uno stregone che da una vita spaccia la prestidigitazione per magia. Un ladro Tiefling, signore del mercato nero e desideroso di arricchirsi. Poco accomuna questi quattro, almeno fino al momento del loro fortuito incontro.
La chiesa di Pelor ha bisogno di un valoroso gruppo di mercenari per recuperare un prezioso e pericoloso manufatto, sottraendolo alle grinfie della malvagia Cerchia Interna, una setta devota al Dio dei Rasoi... ma sarà tutto così semplice come viene prospettato ai quattro eroi? Chi tira veramente le fila della chiesa di Pelor e quali forze si stanno muovendo segretamente?
Trascrizione di una campagna di D&D 3.5 giocata di recente. Nota: alcuni nomi di personaggi sono stati presi in prestito da altri già esistenti, causa poca fantasia del master (che non sono io!).
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1
 
Il chierico era arrivato alla locanda da qualche ora e non aveva detto che poche parole all’oste, per avere una camera in cui potersi riposare. Stava seduto al suo tavolo, da solo, giocherellando con i guanti d’arme che si era tolto. Era un uomo sulla trentina, sarebbe sembrato anche più giovane, se non fosse stato per i lunghi capelli bianchi che gli ricadevano fino alle spalle. Era di carnagione pallida, tratto che distingueva gli stranieri dagli abitanti abbronzati di Bellingsohne, ed i suoi occhi verdi vagavano pigramente avanti e indietro per la locanda, soffermandosi ogni tanto su di una graziosa cameriera che si aggirava solerte con un vassoio per servire gli avventori. Il suo scudo giaceva a terra, appoggiato contro ad una gamba del tavolo insieme ad una grossa sacca da viaggio. Che fosse un viaggiatore si capiva anche dalla polvere e dallo sporco sulla sua armatura, sulla quale i simboli sacri di Kord, dio della forza e della lotta, si vedevano a malapena e dalla barba incolta di parecchi giorni, più scura dei capelli, che gli ricopriva la mandibola, eccetto per una lunga cicatrice verticale che gli segnava la guancia sinistra.
La cameriera depositò il terzo boccale di birra davanti a lui, rivolgendogli un sorriso malizioso. Certo, doveva essere ben strano per lei vedere un chierico in una taverna, un religioso che tracannava birra come un naufrago assetato, ma a Sir Kubrick poco importava. Era giunto a Bellingsohne da poco, dopo un viaggio estenuante e senza aver avuto modo di riposarsi fra una missione e l’altra. I suoi superiori miravano a sfiancarlo, probabilmente, ma stavano perdendo qualsiasi accortezza nel nascondergli questa intenzione. Il chierico sorseggiò in silenzio la sua birra, rimuginando su quel poco che gli era stato detto prima di venire spedito a migliaia di chilometri da casa: il leader della chiesa di Pelor, che in quella città la faceva da padrona, aveva chiesto aiuto alla sua chiesa per recuperare un manufatto preziosissimo, ma non aveva spiegato a che diamine servisse, né perché fosse così importante impossessarsene. Inoltre, non si spiegava perché mandare una sola persona quando si poteva benissimo inviare un manipolo di soldati. Se la chiesa di Pelor se la passava così bene, perché chiedere aiuto ad un altro culto, peraltro così distante geograficamente? Inutile dire che, quando avevano saputo che si sarebbe trattato di una missione probabilmente molto pericolosa e in una città sufficientemente distante da Morwick da non dover inviare risarcimenti se qualcosa fosse andato storto, i suoi superiori non ci avevano pensato due volte a rispondere alla richiesta d’aiuto di Sohnnor inviando lui.
Pareva che facessero il possibile per tenerlo lontano, notò il chierico, mentre si guardava svogliatamente intorno. Comprendeva la preoccupazione degli altri chierici di Kord, ma avrebbe preferito venire allontanato in una maniera più fine, che non portasse scritto a caratteri cubitali “qui a Morwick non ti vogliamo, vai a fare danni da un’altra parte, possibilmente quanto più lontano ti riesce”. In fin dei conti non era colpa sua. Almeno, non del tutto. Lo avevano accolto fra i devoti di Kord nella speranza di poter blandire il suo “problema”, ma in realtà non avevano fatto altro che dargli gli strumenti per causare ancora più danni e, ora che non potevano cacciarlo perché era a tutti gli effetti un membro della loro comunità, cercavano di liberarsi di lui spedendolo nei posti più sperduti a portare a termine le missioni più assurde, sperando che si perdesse o che ci lasciasse le penne. In quel frangente, la fortuna lo aveva sempre assistito, ricordò, mentre svuotava il boccale: era sempre tornato indenne (o quasi), ma quelli ne avevano approfittato per spedirlo ancora più lontano con la missione successiva. Rise fra sé e sé. Che differenza faceva una missione in più o in meno? Ormai passava più tempo via da casa che fra i suoi confratelli e doveva ammettere che la cosa gli piaceva. Aveva da sempre avuto una grande energia dentro di sé e poterla sfogare con le fatiche del viaggio non gli pareva sbagliato. Ora però era veramente stanco, perché il viaggio per arrivare a Bellingsohne era stato a dir poco sfibrante. Avrebbe preso magari un’altra birra, si sarebbe fatto una dormita decente, finalmente su un vero letto e con delle vere coperte e poi, l’indomani mattina, sarebbe andato da Sohnnor a sentire che diamine volesse.
Il viavai alla locanda era ancora fitto, nonostante l’ora tarda. Una ventina di persone in tutto era seduta ai vari tavoli, consumando cibarie dal profumo appetitoso e bevendo birra a grandi sorsi. Alcuni giocavano a dadi, altri chiacchieravano e ridevano rumorosamente. Gli avventori erano tutti principalmente umani, eccezione fatta per un paio di elfi ed un nano che, con la schiena appoggiata allo stipite della porta, fumava la pipa guardandosi attorno. Il chierico sbadigliò e fece un cenno ad una cameriera perché si avvicinasse.
«Sono tre birre e un piatto di arrosto.» disse, prendendo dalla bisaccia che aveva a tracolla alcune monete.
«Una moneta d’argento e tre di rame.» gli rispose la cameriera, con un gran sorriso.
«Tieniti il resto come mancia.» disse Sir Kubrick, depositando sul tavolo due monete d’argento ed alzandosi. Prima di andare a riposarsi avrebbe preso un’ultima boccata d’aria fuori dalla locanda. Raccolse la sua sacca e si diresse verso la porta, quando qualcuno gli mise una mano su una spalla.
«Siete voi il chierico di Kord convocato dalla chiesa di Pelor?» gli domandò una voce chiaramente femminile, con una leggera intonazione sibilante. La stretta sulla sua spalla non pareva particolarmente forte, né la voce sembrava essere minacciosa, perciò non mise mano alla morning star che teneva in cintura, accuratamente nascosta dal lungo mantello grigio. Strinse lo scudo nella mano sinistra e voltò appena la testa per dare un’occhiata a chi lo aveva appena fermato.
«E anche se fosse?» chiese, cercando di discernere qualche particolare del volto della sua interlocutrice da sotto al cappuccio.
«Mi manda Sohnnor, sono qui per scortarvi fino alla chiesa. Di recente ci sono stati alcuni… uh, disordini. E quindi è preferibile viaggiare accompagnati.» gli rispose lei. Il chierico si rilassò. Una guardia del corpo, probabilmente. E se anche fosse stato qualcuno di malintenzionato, sapeva badare sufficientemente a se stesso da non preoccuparsi troppo.
«Ottimo.» disse quindi. «Contavo in realtà di fermarmi a dormire qui per la notte e di andare da Sohnnor domani…»
«È meglio andare adesso.» la stretta sulla sua spalla si fece un po’ più ferma e la voce assunse una nota di preoccupazione. «È… una questione importante, non c’è tempo da perdere.»
«Stai veramente dicendo che Sohnnor potrebbe ricevermi a quest’ora della notte?» le domandò il chierico, divertito. La cosa gli sembrò sospetta.
«È veramente importante che mi seguiate ora.» insisté quella.
«Non ho la minima intenzione di muovermi da qui, stanotte. Ho appena fatto uno stramaledetto viaggio di oltre tre settimane per arrivare fin qui, sono piuttosto provato dall’esperienza e l’idea di un letto comodo mi tenta alquanto.» rispose lui, impuntandosi.
Pareva che la persona incappucciata non avesse previsto quell’evenienza, perché parve rimanere interdetta e fermarsi un momento a pensare. Un secondo di silenzio dopo, un uomo si fece strada accanto a loro con uno spintone ed uscì dalla porta. In effetti, stavano discutendo ad un metro dall’uscita della locanda, era normale che un avventore un po’ scocciato li avesse scostati per riuscire ad uscire… a meno che… il chierico si cacciò una mano in tasca, alla ricerca della pergamena che gli era stata affidata dalla sua chiesa come lasciapassare da esibire al cospetto di Sohnnor. L’aveva sempre tenuta, ripiegata in quattro, nella tasca posteriore dei pantaloni, assieme al sontuoso sigillo d’oro in foggia di sole che la teneva chiusa, ma ora sia la pergamena che il sigillo erano scomparsi. Imprecò: era stato derubato.
Non fece in tempo a dirlo alla sua compagna che quella lo aveva preso per un braccio e trascinato fuori dalla locanda, di corsa, all’inseguimento dell’uomo che li aveva spintonati poco prima.
Il ladro, dopo aver intascato la pergamena ed il sigillo, si era confuso abilmente con la folla, evitando di correre per non attirare l’attenzione. Era vestito di scuro ed un cappuccio gli copriva il capo, ma la compagna di Kubrick, dopo un momento di smarrimento, lo rintracciò e gli corse dietro. Forse non sarebbe stato facile come se l’era immaginato, pensò il ladro, cominciando a zigzagare fra la gente. Prese alcuni vicoli secondari che conosceva bene, cercando di tagliare la linea visiva dei due inseguitori, ma quelli gli stavano dietro piuttosto bene. Il chierico pareva affaticato dall’armatura pesante che portava, mentre l’incappucciata non perdeva un colpo. Si guardò attorno, alla ricerca di un appiglio qualsiasi per issarsi lungo la facciata di una casa e prendere la via dei tetti ma, improvvisamente, una voce gli si accese nella testa.
Come fulminato, il ladro si fermò per alcuni secondi, cercando di capire cosa gli avesse appena detto la voce e, soprattutto, a chi appartenesse. Bastò quella minima esitazione perché la sua inseguitrice incappucciata gli balzasse addosso. Il ladro si sentì afferrare in vita e spingere a terra. Nella breve colluttazione che seguì, entrambi persero i cappucci e fu così che una giovane guerriera Githyanki ed un ladro Tiefling si trovarono faccia a faccia. La Githyanki era riuscita a sovrastarlo, tenendolo inchiodato con il volto a terra ed un braccio ritorto dietro alla schiena. Il chierico arrivò poco dopo, leggermente affannato, prese fiato un momento e poi gli piazzò uno stivale in testa.
«Allora? Eh, bastardo?» gli chiese, con un tono che decisamente poco si addiceva ad un religioso. «Dove hai messo la mia pergamena? Eh, demone?»
«Non sono un demone.» ringhiò il ladro. Era cosa comune che le persone lo scambiassero per un Immondo, data la colorazione rossastra della sua pelle e le grosse corna che gli spuntavano dalla fronte e gli incorniciavano il viso, ma di demoniaco aveva solamente l’aspetto, tratto che, da sempre, era bastato per valergli l’odio e le persecuzioni della gente.
«M’importa poco.» gli rispose Kubrick, senza togliere il piede dalla sua testa. «Ridammi quel che mi hai preso.» si rivolse poi alla sua compagna, osservandone con aria incuriosita il volto vagamente serpentino, la pelle gialla, gli scuri occhi a fessura ed i lunghi capelli color del rame raccolti in numerose trecce. «Grazie per l’aiuto… uh, demone?»
«Neanche io sono un demone.» gli rispose la Githyanki, con un sospiro. «Vengo dal Piano Astrale e ho bisogno del tuo aiuto.»
«Non hai detto che eri qui per scortarmi da Sohnnor?»
«Era tutta una farsa, volevo rubarti la pergamena, ma pare che qualcuno mi abbia preceduto.» la Githyanki indicò il Tiefling sotto di lei con un cenno della testa.
«Ah, sì? Ma bene!» sbottò il chierico, seccato, cominciando a frugare addosso al ladro con gesti bruschi, per ritrovare la pergamena. «Di grazia, com’è che siete tutti così interessati alla mia stramaledetta pergamena?»
«Speravo di poter avere udienza con Sohnnor, dei nemici della chiesa di Pelor sono anche miei nemici, perciò volevo chiedergli aiuto.» gli spiegò la Githyanki. Sembrava sincera. «Scusa se ho cercato di ingannarti.» aggiunse.
«Non c’è problema, non credo ci saresti riuscita.» le rispose Kubrick, mentre continuava a cercare addosso al Tiefling. Quest’ultimo, pur nella posizione sottomessa in cui si trovava, lo guardava con aria di sfida, come se fosse stato certo che il chierico non avrebbe mai trovato quello che cercava. Aveva in effetti nascosto pergamena e sigillo in una tasca segreta nella fodera del suo mantello, in un punto veramente improbabile da trovare.
«Non troverai mai quel che cerchi, umano.» disse, beffardo.
«Tu dici, eh? Sappi che sono un uomo molto fortunato.» gli rispose Kubrick, proprio nel momento in cui passava le dita sulla tasca segreta nel mantello. Si fermò un attimo, parve riconoscere la forma del sigillo sotto al tessuto e, tratto fuori un piccolo pugnale dalla cintura, lo usò per lacerare la stoffa e tirarne fuori la refurtiva. «Che ti dicevo?» gli chiese, mentre un sorrisetto gli si disegnava sulle labbra sottili.
Mentre Kubrick controllava che la pergamena ed il sigillo fossero intatti ed il Tiefling si alzava in piedi, guardandolo con astio, un nano si avvicinò a loro.
«Lieto che siate riuscito a recuperare il vostro foglio, messer chierico.» disse, con un sorriso cordiale. Kubrick alzò lo sguardo e riconobbe il nano che fumava la pipa vicino alla porta d’ingresso della locanda in cui il Tiefling lo aveva derubato.
«Uh, grazie, messer nano.» gli rispose.
«Sono felice di essere riuscito a fermarlo.» continuò quello. «In effetti non tutti reagiscono alla stessa maniera ad un messaggio telepatico inviato con la magia, ma fortunatamente, il nostro amico qui ha pensato bene di fermarsi.» indicò il Tiefling con un cenno della testa ed un sorriso.
«Siete stato voi a farlo fermare? Pare proprio che io vi debba un favore!» esclamò il chierico, sorridendo a sua volta. «E lo dovrei anche a te, se non avessi confessato di volermi rubare la pergamena, amica mia.» aggiunse, voltandosi verso la Githyanki.
«Ma se ti ho aiutato a recuperarla!» protestò lei.
«Infatti. Non ti ho ancora denunciata per tentato furto, no? Quindi ringrazia e consideriamoci pari.» disse.
«Bella roba…» brontolò la giovane.
Il Tiefling pensò bene di approfittare della distrazione del chierico e della Githyanki per filarsela, ma questa lo agguantò all’ultimo momento per un lembo del mantello e lo buttò a terra.
«Tu non vai da nessuna parte, demone.» gli disse Kubrick. «Adesso chiamo le guardie e ti lascio in pasto a loro, con tanti saluti.»
«Non sono un demone!» ringhiò di nuovo il Tiefling, con voce minacciosa, mentre guardava con rabbia prima la Githyanki che lo teneva per il mantello, poi il chierico davanti a lui.
«Che diamine succede, qui?» chiese una quinta persona. Si trattava niente meno che di Kaim Argonar, capitano della guardia cittadina e membro di spicco della società di Bellingsohne. Egli era infatti il fratello minore di Abel Argonar, attuale principe della città, la cui famiglia deteneva, almeno a livello formale, il potere. Kaim era da tutti considerato un personaggio promettente, si era infatti mostrato a favore della giustizia e del bene del popolo prima di tutto, cominciando a contrastare con la sua opera, in maniera completamente legale, l’azione accentratrice della chiesa di Pelor. Se mai ci sarebbe stato qualcuno in grado di rimettere Bellingsohne in mano ai suoi abitanti, quello era Kaim Argonar. Si trattava di un giovane dall’aspetto gagliardo, con lunghi capelli corvini e vivaci occhi azzurri che non nascondevano una grande intelligenza. «Allora?» chiese ancora, rivolgendosi al chierico.
«Questo bastardo ha cercato di derubarmi!» esclamò Kubrick, indicando il Tiefling. «Sono Stanislaus Kubrick, il chierico di Kord convocato da Sohnnor.» aggiunse, sventolandogli la pergamena davanti al naso. «Esigo quantomeno la pena capitale.»
Il Tiefling, alle sue spalle, brontolò qualche parola ingiuriosa. La Githyanki si tirò nuovamente il cappuccio sul volto, mentre il nano continuava ad osservare tutti con un indecifrabile sorriso sulle labbra.
«Ah, Sir Kubrick! Certo, mi hanno detto del vostro arrivo!» esclamò Kaim. «Ma dovevate essere solo, chi sono queste persone?» il chierico si voltò e vide che la Githyanki gli stava rivolgendo, da sotto al cappuccio, uno sguardo di supplica. Non sapeva ancora se poteva fidarsi di lei, ma decise di provarci.
«La signorina incappucciata, lì, è la mia guardia del corpo. Non va da nessuna parte se non ci vado io.» disse quindi. «Il demone, invece, è un ladruncolo che ha tentato di derubare la persona sbagliata. Il nano passava di qui.»
«Beh, sono desolato, ma temo che dovremo occuparci di lui più tardi. La situazione è abbastanza critica e Sohnnor ha espresso la necessità di radunare al più presto un gruppo di mercenari da affiancarvi nell’adempimento della vostra missione.» disse Kaim. «Dovrete seguirmi tutti e quattro al cospetto di Sohnnor, poi decideremo chi deve essere punito e chi no.»
Nonostante le proteste del chierico al riguardo delle strane procedure che avevano in città per punire i ladri, Kaim non volle sentire ragioni ed i quattro furono circondati dal piccolo drappello di guardie che accompagnava Kaim. Perplesso e lievemente irritato per non essere riuscito a concedersi il meritato riposo, Kubrick si rivolse alla Githyanki.
«Ora che ti ho evitato di finire in mano alle guardie e che mi devi un altro favore, farai meglio a collaborare con me.» le disse stottovoce. «Niente scherzi.»
«D’accordo.» rispose lei.
«Non ho ancora sentito un nome, ragazza demone.»
«Mi chiamo Ginshath Zorah Nar Rayah, vengo dal Piano Astrale. E non sono un demone, sono una Githyanki.»
«Troppo difficile da ricordare, penso che ti chiamerò solo Gin.» concluse il chierico. «Tu puoi chiamarmi Sir Kubrick.»
«Anche perché chiamarti Stan non mi sembra il massimo.» convenne Gin, con una risatina. «Non hai la faccia da Stan. E neanche i modi da chierico, a dirla tutta.»
«Beh, diciamo che sono speciale.» le rispose lui, con un sorriso indecifrabile, che, insieme a quelle parole, le ricordò maledettamente il suo maestro, strappandole un sospiro amaro.
La strada per arrivare alla cattedrale fu piuttosto lunga, perché la locanda in cui Kubrick si era fermato era proprio nella periferia della città e così, mentre camminavano in silenzio, scortati da guardie altrettanto silenziose, i quattro ebbero modo di osservare meglio la città in cui si trovavano. Lasciatisi la periferia alle spalle e, con essa i rioni fitti di basse case dalle finestre scure, si ritrovarono nei quartieri più benestanti, dove alte case dalle facciate linde rilucevano nel chiarore della luna piena. Ovunque, sulle porte, sugli architravi, sulle insegne dei negozi e anche dipinti su certe facciate, c’erano emblemi in foggia di sole, simbolo di Pelor e, evidentemente, feticci protettivi sui quali nessuno pareva lesinare.
«Diamine, mi viene il voltastomaco a vedere tutta questa fede sbandierata in giro.» brontolò il ladro. Gin rise.
«Da dove vengo io, la nostra regina è anche la sola divinità in cui siamo autorizzati a credere.» gli disse. «Se non credi in lei ti uccidono. Penso che qui, almeno, la gente creda in Pelor perché il suo culto ha fatto qualcosa di buono.»
«Bah.» tagliò corto il Tiefling, senza suonare minimamente impressionato.
«Fino ad un certo punto.» s’intromise il giovane Argonar. «Sì, ha tirato fuori Bellingsohnne dalla polvere in cui i giganti l’avevano sbattuta, ma a che prezzo? Le persone lasciano fare tutto quanto alla chiesa. Non sono più in grado di prendere una decisone, se la chiesa di Pelor non dà prima il suo parere. Sono diventati tutti una massa di pecore rammollite.» Sentendo un tale discorso, Kubrick fischiò.
«E lasciano a capo della guardia cittadina uno con delle tendenze anticlericali così palesi?» gli chiese. «Non mi sembrano molto intelligenti.»
«Non possono fare altrimenti.» gli rispose Kaim, con tono divertito. «Dopotutto sono il fratello del principe reggente e, almeno a livello ufficiale, conto comunque qualcosa. Non potevano certo farmi sparire, perciò, per il momento, mi lasciano stare.»
«La situazione è peggio di come me l’ero figurata.» osservò Gin, confrontando le parole del giovane con quello che le aveva detto il suo maestro.
«Ecco, siamo arrivati.» li interruppe Kaim. Davanti a loro si stagliava una maestosa costruzione di pietra talmente bianca che pareva brillare di luce propria anche nel buio della notte. La cattedrale si ergeva su di un promontorio roccioso, staccato dal resto della città da un profondo crepaccio, simile al segno lasciato dal colpo di una gigantesca ascia. Un ponte ad archi, anch’esso di pietra bianca, univa la strada su cui si trovavano al sagrato della cattedrale al di là del crepaccio. Numerosi lampioni di ferro battuto, anch’essi in foggia di sole, illuminavano la via. Mentre attraversava il ponte, Gin lanciò uno sguardo incuriosito al crepaccio sottostante, nel tentativo di vederne il fondo, ma ciò che colse furono solo tenebre.
«Sembra bello profondo, eh?» commentò il chierico, notando la sua curiosità.
«Nessuno sa dove finisca.» disse il nano, che fino a quel momento era stato in silenzio. «Pare che sia veramente senza fondo.»
«Siete del posto, mastro nano?» gli chiese Kubrick.
«Sì, ho vissuto qui abbastanza tempo da potermi definire “uno del posto”.» gli rispose lui.
«Mi scuso per avervi coinvolto in questa faccenda.» disse il chierico. «E penso che non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi aiutato a recuperare la mia pergamena.»
«Non c’è problema. In fin dei conti vi ho seguito più per curiosità che per altro, ammetto che volevo vedere come sarebbe finito l’inseguimento. E comunque, un’udienza dalla massima personalità di Bellingsohnne è un interessante diversivo a quella che altrimenti sarebbe stata una serata piuttosto noiosa.» disse, senza mai perdere il suo enigmatico sorriso. Kubrick rise.
«Siete uno che si fa pochi problemi, vedo!»
Tuttavia non poté finire il discorso, perché i grandi battenti della cattedrale erano stati aperti e Kaim aveva fatto loro segno di entrare, conducendoli in una grandissima anticamera. Come l’esterno della cattedrale era imponente e sfarzoso, così anche l’interno era un tripudio di pietra bianca finemente scolpita, di oro e stucchi preziosi, di splendidi bracieri alti quanto un uomo in cui ardevano fiamme vigorose e di elaborati lampadari su quali ardevano centinaia di candele. Un morbido tappeto color crema si stendeva sotto ai loro piedi lungo tutta la navata in cui si trovavano, fino ad una scala di marmo bianco ai lati della quale si ergevano numerose effigi del dio Pelor. Slanciate colonne di marmo, che sembravano sparire in alto, nella volta in cui brillava una soffusa luce dorata, dividevano la navata in tre sezioni, due delle quali erano occupate da file e file di panche di legno scuro.
«Restate qui.» intimò Kaim al gruppo, facendo poi cenno alle guardie di seguirlo. Due rimasero a controllare che nessuno se ne andasse, mentre le altre andarono con Kaim, che attraversò la navata centrale con passo sicuro e scomparve su per la grande scalinata di marmo.
«Continuo a chiedermi che diamine voglia Sohnnor da voialtri.» disse Kubrick, mentre osservava la cattedrale con occhio critico. Nulla in quel posto gli ricordava quello che era solitamente abituato a chiamare “luogo di culto”, ma sapeva che la chiesa di Kord era di gusti molto più spartani rispetto alla chiesa di Pelor, perciò trattenne i commenti poco simpatici che gli erano venuti in mente riguardo all’opulenza in cui la cattedrale era immersa. «Il messaggio che ho ricevuto diceva chiaramente che il compito sarebbe stato affidato soltanto a me, eppure ora pare che anche un ladruncolo qualsiasi possa avere udienza presso un personaggio di spicco del genere…»
«Non sai con chi hai a che fare.» disse il Tefling, suonando minaccioso.
«E non mi interessa.» gli rispose il chierico. «Non stavo parlando con te, demone.»
Il Tiefling strinse i pugni e parve sul punto di reagire male, ma dopo un momento di tensione, preferì non raccogliere la provocazione. Era più interessato a studiare l’architettura della cattedrale e il gran numero di suppellettili preziose che la adornava.
«Cerchiamo di stare calmi, d’accordo?» intimò una delle due guardie, dando una spinta con la lancia al Tiefling. «Vi è concesso il privilegio di parlare con Sohnnor, dovete esserne degni.»
Dopo qualche minuto, Kaim ritornò, accompagnato da un chierico di Pelor. Si trattava di un uomo di mezz’età, vestito di una tunica bianca su cui spiccava un elegante ricamo dorato. Stringeva un grosso tomo sotto al braccio e pareva visibilmente contrariato.
«Siete in ritardo.» disse a Kubrick. «Sua Eccellenza vi aspettava per la prima serata, è molto stanco e non potrà concedervi udienza a lungo.» parlava con voce nervosa e lanciava continuamente occhiate sospettose ai compagni del chierico di Kord. Fece cenno ai quattro di seguirlo e, con passi frettolosi, li condusse su per la grande scalinata di marmo, facendoli fermare giusto a metà. In cima ad essa fu scostata una grande cortina di seta dorata e una figura si fece lentamente avanti. Il chierico di mezz’età risalì gli ultimi gradini e, profondendosi in grandi inchini, porse il braccio a quello che si rivelò essere un uomo esile, coperto interamente di fasciature. I paramenti religiosi ed i tessuti pregiati di cui era vestito non potevano nulla contro l’aura di profonda sofferenza che emanava. Anche il suo volto era bendato, di esso s’intravedevano soltanto le labbra bruciate, mentre qualche ciocca di capelli color cenere spuntava, rada, fra le bende che gli stringevano il capo. Oltre che al braccio del suo attendente, l’uomo si appoggiava ad un bastone dal pomo dorato.
«Inchinatevi al cospetto di Sua Eccellenza Sohnnor, capo della Chiesa di Pelor e detentore della parola del dio.» intimò l’attendente, secco.
Gin fu presa dalla repulsione, ma Kubrick fu più veloce e riuscì ad afferrarla per un polso e a lanciarle un’occhiata eloquente. Era chiaro che quell’ombra di uomo era quello che rimaneva di Sohnnor dopo lo scontro che aveva avuto con i seguaci di Rallaster. Una qualsiasi mancanza di rispetto nei suoi confronti sarebbe stata imperdonabile. La giovane Githyanki strinse i pugni e, da sotto al cappuccio, sospirò, mentre s’inchinava. Kubrick lanciò un veloce sguardo alle sue spalle, per controllare che il nano ed il Tefling non gli facessero fare brutte figure e, una volta constatato che entrambi erano già chini in silenzio, salì un gradino e a sua volta si inchinò.
«Vi porgo i miei omaggi, Eccellenza.» disse cerimoniosamente. «Mi scuso per l’ora tarda, ma sono certo che sarete già stato informato del fatto che ho avuto alcuni “contrattempi”.»
Le labbra dell’uomo si mossero e il suono che ne uscì fu una voce stentata e flebile, interrotta più volte nei momenti in cui Sohnnor si fermava a riprendere fiato.
«Siate voi tutti i benvenuti nella mia chiesa. Ringrazio la chiesa di Kord per aver risposto al mio appello in queste ore così buie.» Sohnnor fece un cenno con una mano e il suo attendente prese la parola.
«Sua Eccellenza vuole che recuperiate un manufatto importante per la nostra chiesa.» disse l’uomo. «E per questo, nella sua grande magnanimità, è disposto a concedere la grazia al ladro che vi portate al seguito, nonché una bolla di raccomandazione per lo stregone che vi accompagna.»
Sorpreso, Kubrick si voltò verso il nano. «Uno stregone?» gli chiese.
«Beh, non proprio.» gli rispose questo, mentre si toglieva l’elmo. Una luce lo avvolse e, magicamente, le sue fattezze cambiarono da quelle di un irsuto nano dalla barba rossa in quelle di uno gnomo minuto, con scuri occhi irridenti e il mento ornato da un pizzetto a punta. La sua zazzera nera era ornata qua e là da qualche capello argenteo, il cui colore s’intonava perfettamente con quello della fibbia a forma di usignolo che gli chiudeva il mantello sopra alla cappa scura che nascondeva completamente il suo fisico. «Quasi uno stregone.» disse, sorridendo.
«Sua Eccellenza sa che siete stato cacciato dall’Accademia perché non eravate dotato per la magia, Sir Gimble Trickster.» continuò l’attendente, rivolto allo gnomo. «Tuttavia, se aiuterete il qui presente Sir Kubrick, s’impegnerà a farvi riammettere presso l’Accademia ed a concedervi un ruolo di tutto rispetto.»
«Non ne ho bisogno, Vi ringrazio, Eccellenza.» disse lo gnomo, chinando il capo. «In questi anni fuori dall’Accademia ho trovato il mio posto ed ho imparato ad imbrigliare la magia a modo mio. Nulla mi manca di quella vita così rigorosa e piena di protocolli.»
«Tuttavia non potete lasciare Sir Kubrick da solo.» insisté l’attendente. «La missione è troppo pericolosa, anche per un uomo tanto valoroso quanto la chiesa di Kord ci ha assicurato che egli sia.»
«C’è qualcosa che desideri, mastro gnomo?» gli chiese Kubrick. «Posso impegnarmi a fartelo avere, se mi vorrai concedere il tuo aiuto.»
«Io desidero solamente la pace.» gli rispose Gimble. «Ma sono ugualmente disposto ad aiutarti.» aggiunse, per rassicurare l’uomo, che era rimasto interdetto dalla sua risposta.
«Ottimo!» continuò l’attendente, tagliando corto. «Per il ladro, invece, c’è la grazia, in cambio del suo contributo alla missione.»
«Non voglio nessuna grazia.» rifiutò il Tiefling.
«Porta rispetto a Sua Eccellenza!» tuonò l’attendente. «Se non obbedirai, allora, sarà la pena capitale!»
«Un momento!» lo interruppe Kubrick. «Prima, quando ho parlato di pena capitale, forse ho esagerato. Mi ha solo rubato una pergamena, non mi sembra il caso di esagerare a questo livello!»
«Credi che sia solo per quello che ho fatto a te?» gli domandò il ladro, con una risatina sprezzante. «Si vede proprio che sei straniero.»
«Quello che state definendo un comune “ladruncolo”, Sir Kubrick, è un pericoloso criminale, che da tempo stiamo cercando di catturare. Si fa chiamare con molti nomi ed è all’opera in città da tempo immemore.» spiegò allora l’attendente, con la voce che tradiva il disprezzo per il Tiefling. «Oltre che di furto, è accusato di truffa, contrabbando, gioco d’azzardo, omicidio e atti contro la pubblica religione.»
«Ah, complimenti…!» esclamò Kubrick, con una risatina. «Sei un criminale incallito e ti fai fregare da due stranieri, bravo. Se sei così scarso puoi anche andare a farti un giro. Non abbiamo bisogno di te.»
«Non voglio nessuna grazia.» insisté il Tiefling, impassibile. Ritto in piedi, gli occhi ridotti a due fessure, guardava Sohnnor e l’attendente con fiera aria di sfida. «Tuttavia, i miei servigi si possono comprare. Con l’oro.» disse.
«Allora siamo a posto!» tagliò corto Kubrick, che pareva seccato dal suo comportamento. Frugò nella bisaccia che aveva in cintura, prese alcune monete d’oro e le tirò al Tiefling. «Prendi queste come acconto e adesso stai zitto, d’accordo?»
«Se mi fosse possibile avanzare una pretesa, Eccellenza, vorrei chiedere anch’io qualcosa come pagamento per il mio supporto.» s’intromise Gin. «Si dà il caso che io sia sulle tracce di un manufatto rubato dalla Cerchia Interna…»
«Non annoiate Sua Eccellenza con inutili richieste!» la zittì l’attendente. «Da ciò che ci è stato detto, voi non siete altro che la guardia del corpo di Sir Kubrick, non siete nella posizione di richiedere nulla.»
«Tante grazie.» ringhiò Gin, rivolta al chierico, che per tutta risposta si strinse nelle spalle e cercò, senza riuscirci troppo, di non farsi sfuggire una risatina.
«Bene. Ora che abbiamo messo insieme una squadra…» esordì Kubrick, guardando con aria poco convinta i suoi nuovi compagni «Penso che sia il momento di spiegarci quale sia il nostro compito.»
Sohnnor mormorò qualcosa, che fu quasi impossibile da capire. L’attendente lo ripeté quindi con voce squillante. «Non lontano dalla città, a circa sei ore di viaggio, oltre il confine con le terre dei Giganti, c’è un luogo sacro, nascosto nel fianco di una montagna, in cui è custodito il manufatto che dovete recuperare.» spiegò. «Pare che vi si acceda tramite un labirinto di catacombe piene di insidie, ma non abbiamo mai avuto modo di confermare ciò che sappiamo: nessuno dei nostri esploratori è mai tornato indietro vivo per raccontarlo.»
«Grandioso.» fu il commento a mezza voce del Tiefling. «Chi me lo fa fare? Sarà meglio che mi paghiate almeno il doppio di quello che già stavate pensando, perché non correrò rischi se non in cambio di una bella somma.»
«Avrai l’oro che vuoi.» lo zittì Kubrick, tirandogli addosso un’altra moneta d’oro. «Eccellenza, è tutto qui ciò che sapete dirmi?» chiese poi, rivolto a Sohnnor. «Che aspetto ha ciò che stiamo cercando? E non esistono mappe delle catacombe che dovremo attraversare?»
«State cercando il Black Sunshine.» gli rispose l’attendente, per non far affaticare Sohnnor. «È una sfera in grado di generare oscurità. Più o meno come una torcia, ma funziona al contrario: assorbe luce anziché crearla.»
«Ma come facciamo a trovarla, in mezzo al buio che crea?» obiettò Gin, a cui sembrava tanto che stessero per mandare lei e i suoi compagni improvvisati allo sbaraglio.
«Vi daremo una coperta con cui coprirla. È di un materiale speciale, in grado di bloccare l’oscurità generata dal Black Sunshine. Non dovete fare altro che usarla per portarcelo.» disse l’attendente, come se fosse stata la cosa più semplice del mondo.
«Ma non avevate parlato di insidie sconosciute?» fu il turno di Gimble di protestare. «Non avete null’altro da darci per facilitarci il compito?»
«La chiesa di Pelor ha dovuto far fronte ad una grossa crisi, di recente.» disse l’attendente, torcendosi le mani con aria innervosita. «Le nostre casse sono vuote, a parte un piccolo trasporto ed una guida per l’imboccatura delle catacombe, non possiamo fornirvi altro.»
«Ma… neanche armi, o pergamene protettive? Nulla?» chiese Kubrick.
«Via, Sua Eccellenza è stanco e preoccupato, teme che il Black Sunshine possa cadere in mani sbagliate… non angustiatelo oltre. Confidiamo che le vostre abilità basteranno a recuperare il prezioso manufatto.» la voce dell’attendente suonava sempre più innervosita e, nel contempo, Kubrick era sempre più stizzito. Non fece in tempo a dire un altro “ma”, che Kaim e le guardie ricomparvero per riaccompagnarli fuori dalla cattedrale.
«Non ho mai visto tanta ipocrisia tutta nello stesso posto.» sbottò il Tiefling, una volta che fu rimasto solo con i suoi tre nuovi compagni.
«Su questo mi trovo costretto a darti ragione.» disse il chierico. «Senti, visto che pare che dovremo lavorare insieme, tanto vale che tu ci dica il tuo nome. È inutile fare tanto il sostenuto, sei finito nella nostra stessa merda.»
«Ma parlano tutti come lui, i chierici di Kord?» chiese Gin a Gimble, il quale le rispose con una stretta di spalle ed uno sguardo perplesso.
«Potete chiamarmi Xarabas.» disse il Tiefling. «E credo che dovremmo cominciare a discutere del mio prezzo.»
«Senti, già ho da tener dietro ad una squadra quando inizialmente pareva che fossi in missione da solo.» sbottò Kubrick, che era uscito dalla cattedrale decisamente seccato dalla piega che le cose avevano preso. Ci mancava solo che quel tizio con le corna che gli avevano messo al seguito cominciasse a scocciare per avere dei soldi. «Non mi scocciare troppo, facciamo che ti puoi tenere tutto il bottino che troverai, puoi anche perquisire i cadaveri, o profanare delle tombe, non mi importa, basta che tu non sia d’intralcio. Prendi quello che vuoi e cerca di renderti utile quando avremo bisogno di te.»
«Non credo che mi basti.» insisté il Tiefling.
«Non sono io che ti devo pagare! Lo vuoi capire?» l’avventura non era ancora cominciata e già il chierico stava perdendo la pazienza. «Vai a rompere a Sohnnor, d’accordo? Vallo a dire a lui che vuoi dei maledetti soldi. Per quello che riguarda me, puoi prenderti anche la mia parte del bottino, se mai ce ne sarà. Basta che tu non rompa.»
Xarabas sbuffò, era evidente che non sarebbe riuscito a scucire molto altro al chierico, almeno con i metodi tradizionali. Decise di restare con la squadra almeno finché non avessero recuperato il Black Sunshine, che in effetti pareva un artefatto di valore. Chissà a quanto sarebbe riuscito a venderlo al mercato nero? Sohnnor, la chiesa di Pelor e quello strano chierico che parlava come uno scaricatore di porto potevano sognarsi di tenersi la sfera. Sarebbe stata quella il suo pagamento, avrebbe solo dovuto aspettare il momento giusto per appropriarsene. Si scostò un ciuffo di capelli scuri dagli occhi e tese la mano all’uomo.
«D’accordo, allora.» disse, con aria incoraggiante. «Consideriamoci alleati fino a prossimo ordine.»
Dubbioso, il chierico gliela strinse. Non aveva molta scelta, in fondo. Era stato mandato da Morwick con l’ordine di obbedire alla lettera a tutto quello che la chiesa di Pelor gli avrebbe ordinato e, purtroppo, collaborare con quei compagni di squadra recuperati al momento era uno degli ordini a cui non poteva disobbedire. Con un sospiro, fece cenno ai compagni di ritornare alla locanda in cui aveva avuto luogo il loro strano incontro. Sarebbero partiti l’indomani con i cavalli che Sohnnor aveva fatto mettere a loro disposizione.

  
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