Capitolo
10
Braccata
Ambrosie
scosse la testa bionda; il suo sguardo si posò distratto sul sole
nascente.
Si
morse il labbro con fare pensoso: il suo primo, per così dire, “incarico” di una
certa rilevanza era stato condotto a termine senza alcun apparente intralcio e,
fra non molto, la sottile alchimia delle parole che lei e suo fratello si erano
ingegnati a trasferire sulla carta, avrebbe dato il suo contributo alla causa
iniettando a piccole dosi nella coscienza del popolo la consapevolezza e la
speranza che resistere al tiranno non era più un’illusione sepolta nel grigiore
degli anni.
In
realtà, ancor prima di virtuosismi dialettici atti a persuadere la gente ad
abbracciare astratte idee di libertà, erano stati la penuria di cibo ed il
vertiginoso ammontare delle imposte a scuotere la popolazione facendo leva sulla
paura di una carestia imminente.
Allarmato
dal fioco ma sempre costante dilagare delle proteste, il duca du Lac si era
premurato di far arrestare a titolo d’esempio alcuni fra i presunti istigatori
degli sporadici tumulti e di porre la città sotto presidio
armato.
La
situazione era ferma ad un punto di stallo: entrambi i contendenti, da una parte
il popolo e dall’altra il tiranno, temporeggiavano in un eterno
aut-aut.
Ambrosie
era fermamente convinta che buona parte dei mali che affliggevano gli uomini
fosse imputabile all’avidità di coloro che, traendo quasi necessariamente il
proprio benessere dal sangue e dalle lacrime altrui, esasperavano le naturali
difficoltà che la vita presenta. Il duca non rappresentava un’eccezione alla
categoria, ma la ragazza rammentava che spesso non era soltanto la sete di
potere ed il logorio di un dominio ingiusto a rendere gli uomini spietati
soverchiatori, ma persino la quotidiana lotta per la sopravvivenza in un tessuto
sociale incerto e la stanchezza di chi ha sempre vissuto sotto il giogo di
qualcun altro.
Tutto
questo, si domandava Ambrosie, aveva direttamente a che fare con lei? Ogni
giorno che passava, sentiva sempre più incostante e precario, come un abito
troppo stretto, quel posto che con fatica si era ritagliata a Noir Trésor, e la
sua mente vagava nel dubbio se quella realtà nella quale si stava
prepotentemente ingerendo le appartenesse veramente.
Tutto
sembrava assurdo e privo di qualsiasi connotazione logica: dalla certezza sempre
più fragile che questo facesse effettivamente parte della sua vita era ormai
scaturito un dubbio costante che minava i suoi fragili equilibri. Non era sicura
che Noir Trésor le appartenesse, e non era più un evento raro, oramai, percepire
ogni accezione della realtà che la circondava come fuori di lei.
Era
credibile, almeno ai suoi stessi occhi, che il suo arrivo e la sua permanenza in
città fossero stati del tutto casuali e disinteressati, motivati soltanto da
semplice afflato umanitario e da un evanescente amore per la libertà? A dire la
verità, Ambrosie temeva che da un momento all’altro il suo io gettasse la
maschera, rivelandole che il suo strenuo prodigarsi era stato soltanto frutto di
un egoistico desiderio di autoaffermazione accortamente dissimulato dietro una
facciata di millantato altruismo.
Lei
e suo fratello erano soltanto due ragazzi che, quasi per partito preso, avevano
deciso di porsi contro una realtà deludente uccidendo simbolicamente la figura
immaginaria del “tiranno” che imbrigliava i loro slanci e sulla quale
riversavano ogni frustrazione.
Che
cosa aveva a che fare la mediocrità della sua vita con i problemi di un popolo
che moriva di fame e al quale lei non apparteneva né per nascita né per
mentalità? Le sue passioni sembravano non convergere in alcun punto in comune:
eppure, la policromia del suo animo, spezzata e distorta da contraddittorie
aspirazioni, si rispecchiava idealmente nei bisogni e nelle esigenze di un
popolo angariato da un potere arbitrario.
Il
suo io si disgregava, e da quelle mille frammentazioni scaturiva il denominatore
comune delle tendenze più inconciliabili: Ambrosie vedeva se stessa negli occhi
di tutti coloro che bramavano senza poter raccogliere l’oggetto di un desiderio
sempre più divampante e vitale.
In
secondo luogo, Ambrosie desiderava quasi con prepotenza essere testimone dei
cambiamenti che lentamente si profilavano. Di più: adoperandosi in prima
persona, lei stessa sarebbe stata complice ed artefice.
Ma
ora, improvvisamente, il sistema precario sul quale, giorno dopo giorno, si era
convinta di aver sommariamente stabilito le sue priorità, stava crollando tra le
sue mani come un castello di carte.
Gli
occhi chiusi e privi di vita di un uomo che, per un certo periodo, aveva
collaborato con loro, Lucien, le avevano impietosamente rivelato quanto
astratta, inutile e nociva fosse stata la loro decantata missione; e tutto, per
Ambrosie, era evaporato dinnanzi ai suoi occhi come un ameno inganno sul quale,
per un breve periodo, era stato piacevole far affidamento. Le loro false
speranze erano state utili soltanto ad uccidere uno di loro: forse non il primo, forse neppure
l’ultimo. La responsabilità della morte di Lucien era imputabile in piccola
parte ad ognuno di loro.
Tutti
avevano dato il loro inconsapevole contributo alla disgrazia che si era
consumata sotto i loro occhi impotenti: a causa della leggerezza e della
vanagloria di un drappello di ragazzi immaturi ed avventati, Auguste aveva perso
Lucien. Il solo pensiero era sufficiente a farle tremare i polsi, in un eccesso
di dolore e frustrazione.
Aveva
sempre ammirato in silenzio la lucidità di Lucien ed il coraggio di Auguste. Le
loro esistenze erano state stravolte e traumatizzate dall’arrivo del duca du
Lac: il loro spirito di ribellione e le loro odierne aspirazioni poggiavano su
basi concrete e contavano su una precisa ragione insita nella
realtà.
Lei
era soltanto una comparsa, una fanciulla riottosa che, quasi senza riflettere,
aveva deciso di abbracciare una causa e di impugnare la bandiera del ribelle.
Sospirò: non sarebbe mai stata come loro. La coerenza di pensiero e d’azione era
un’ancora di salvezza che non faceva altro che ricercare, ma che le appariva
distante come un miraggio; e più la inseguiva, più finiva per inciampare sui
suoi stessi passi.
Lucien
aveva combattuto la sua battaglia
nella sua terra e ne aveva pagato il
prezzo per tutti. Auguste – così forte che, fino a quel momento, nulla le era
parso in grado di scalfirlo –, non riuscendo più a soffocare il dolore dentro di
sé, spinto quasi sull’orlo della follia, le aveva confessato fra le lacrime la
disperazione di aver perso l’unica persona che amava.
E
tutto era finito lì.
Dopo
quel che era accaduto – quasi un monito funesto –, la sua mente si era
prontamente riaccesa al pensiero della missione che stava accingendosi a portare
a termine, inebriata dalla speranza di successo. Si era infilata di soppiatto
alla stamperia, come da copione, e aveva adempiuto con disinvoltura al proprio
compito, quasi non fosse mai accaduto nulla.
Niente
l’aveva fermata o dissuasa dal suo proposito; niente era stato in grado di
spegnere la sua ingannevole eccitazione e distoglierla dalle sue velleità. Se
solo per un istante avesse ragionato con mente lucida, avrebbe rinunciato,
almeno in una simile contingenza, ad agire di testa sua e si sarebbe
decorosamente ritirata nella sua dimora a leccarsi una ferita ben più
profonda.
Per
rendersi dolorosamente conto di quanto fatuo ed irragionevole fosse il suo
attaccamento alla causa, le era sufficiente riflettere su quanto la paura
dell’assassino in circolazione e il dolore per la morte di uno dei ribelli si
fossero dissipati come neve sotto i primi raggi primaverili, quando Raphäel
Lemoine era comparso improvvisamente al suo fianco.
Cosa
sei, Ambrosie? Cosa sei? Non sei ancora pronta a combattere, eppure vuoi
assumerti con leggerezza fardelli più grossi di te. Se davvero fossi abbastanza
matura, riusciresti a fermarti un istante e riflettere: sono più importanti i
tuoi avventati disegni dal dubbio esito o il fatto che uno di voi è morto in
circostanze ambigue? La morte, almeno il suo pensiero, dovrebbe bastare a farti
ritornare per un istante sui tuoi passi.
Raphäel
era una delle fragili motivazioni che, come una goccia d’acqua che scava la
roccia, aveva fatto inconsapevolmente maturare in lei la decisione definitiva di
accettare la propria sfida e addentrarsi nel complesso tessuto di Noir
Trésor.
Raphäel
l’aveva trascinata di soppiatto in un angolo e le aveva domandato per quale
motivo si arrischiava a quell’ora tarda della notte. Non era normale e nemmeno
prudente, da parte sua, girovagare per le strade a notte
inoltrata.
Quasi
si era pentita, quando, presa dal timore e dallo sgomento, gli si era rivoltata
contro come una gatta selvatica.
Potrei
chiederti la stessa cosa, Raphäel. A qualche isolato di distanza, un uomo è
appena stato ucciso. Nel momento in cui nessuno può dirsi totalmente al sicuro,
né in casa propria né fuori, non trovi nulla di più costruttivo da fare che
terrorizzare il raro, incauto passante?
* *
*
-
Calma, Ambrosie. Ho visto, ero presente a quel che è accaduto. Quando è arrivata
la polizia, ho preferito allontanarmi per non essere costretto a rispondere a
domande imbarazzanti circa la mia presenza. Tutti ci stavamo recando da Lucien
per uno dei nostri incontri. Concorderai con me che le autorità, è tanto meglio
per tutti restino all’oscuro sulla natura delle nostre
riunioni.
Palesemente
scosso, Raphäel si ravviò nervosamente i ciuffi scomposti.
Ambrosie
lasciò scorrere con noncuranza il suo sguardo, lungo inesauribili istanti, sulla
figura alta del ragazzo che le stava accanto, quasi tentasse di nutrisse il suo
animo di un nettare dolcissimo.
Era
strano, eppure, non fu capace di impedire ai suoi occhi di soffermarsi tanto a
lungo su dettagli apparentemente così marginali.
Il
corpo sottile del ragazzo avrebbe fatto pensare ad un osservatore distratto che
si sarebbe spezzato da un momento all’altro; eppure, mai come in quel momento
Raphäel le era parso così solido e rassicurante. Il suo incarnato candido pareva
risplendere di una luce cristallina sotto il freddo chiarore dei
lampioni.
Il
suo sguardo indugiò sul volto affusolato del ragazzo, seguendo il profilo della
fronte spaziosa che s’inarcava lievemente in prossimità dell’attaccatura dei
capelli. Lunghi e folti riccioli scuri gli ricadevano sulle spalle, legati con
noncuranza. Gli occhi, due ferite affilate che sembravano scavare in profondità
il volto niveo, la fissavano con spontanea indiscrezione, quasi desiderassero
disarmarla.
-
Sei sicura che Madame Bertie abbia ancora intenzione di prendersi a cuore i
nostri “giochetti” senza secondi fini?
Era
stato Raphäel ad interrompere finalmente quel lungo ed ingombrante silenzio.
Aveva preso a camminare al suo fianco, scortandola compitamente lungo il suo
percorso.
Ambrosie
lo ringraziò mentalmente per aver infranto la barriera d’insidioso, sottile
imbarazzo che per una lunga manciata di secondi si era frapposta tra loro,
impegnati a studiarsi e a scrutarsi a vicenda.
-
La faccenda è più complicata di quanto possa immaginare. Sembrava semplice,
all’inizio. Era un gioco – riprese la ragazza, assorta – “Giocavamo” a fare i
ribelli. Giocavamo ad un gioco che credevamo di conoscere e che eravamo quasi
certi di poter vincere. Ora ci siamo dentro fino al collo, e le regole non sono
più tanto facili da comprendere, perché mutano a seconda del nemico che ci
troviamo di fronte. Nemico che non sempre sappiamo riconoscere in
tempo.
-
Pensi che una reazione del duca abbia a che fare con… la morte di Lucien? –
Raphäel pareva voler sondare prudentemente il terreno.
-
Non lo so, Raphäel. Procedo a tentativi. È la sola risposta che mi sia venuta in
mente. Se ne escludessimo l’eventualità, saremmo costretti, d’ora in avanti, a
dubitare costantemente gli uni degli altri.
-
Hai mai pensato che tra noi ci sia un traditore? Una spia? – insinuò Raphäel,
tagliente.
-
Che sciocchezze… – Ambrosie affrettò il passo, superando il ragazzo – Chiunque
sia stato e qualunque sia stato il motivo che l’ha spinto a farlo, di certo per
l’assassino sarebbe vantaggioso riuscire a seminare fra noi il morbo del
sospetto e della sfiducia. Beh, credo di poter fugare ogni dubbio: Auguste è
giunto per primo da Lucien e, credimi, ho ottimi motivi per non considerare
nemmeno per un istante l’ipotesi che ci abbia mentito. Ho incontrato Dorian
lungo la strada. Fernand era ancora a casa, quando sono uscita, e ci ha
raggiunti subito dopo. Non potrei sospettare di nessuno di loro, e in nessun
caso.
Raphäel
annuì pensieroso, mentre arcane congetture si scontravano con la logica del
resoconto della ragazza.
-
Perché hai scelto di portare avanti questa causa nonostante tutto,
Ambrosie?
Come?
La
domanda a bruciapelo colpì la ragazza come il fulmine che annuncia la
tempesta.
Era
uno degli aspetti di Raphäel che maggiormente la infastidiva e, nello stesso
tempo, la attraeva e la inquietava: sapeva sempre, misteriosamente, quale tasto
premere, quale corda far vibrare per persuaderla, per far vacillare le sue
certezze o sondare il suo animo impenetrabile. Raphäel aveva un difetto:
riusciva a penetrare la sua corazza. Con lui, la maschera era destinata a
crollarle dal volto ed infrangersi al suolo.
Un
gran brutto difetto, Raphäel, grazie al quale, giorno dopo giorno, mi
hai conquistato.
Che
cosa avrebbe dovuto dire? Che, salvo i ribelli e tutto ciò che concerneva loro,
Ambrosie non esisteva, era pura ombra evanescente? Che il prodigarsi per una
causa forse persa in partenza fosse l’unica cosa in grado di riaccenderle il
cuore, di renderla viva, di tradurre la sua stessa esistenza, ai suoi occhi, in
qualcosa di più completa e degno di essere vissuto fino in fondo; che tutto
questo per lei rappresentava una speranza ed un motivo per restare in piedi e
che, solo procedendo verso un preciso scopo, la sua vita acquisiva un senso,
impedendole di smarrirsi?
Ci
sono tante contraddizioni in me: io stessa ne sono consapevole. Non di rado è
accaduto che le azioni più nobili prendessero avvio da motivazioni personali non
necessariamente sublimi e volte ad un bene comune. Non m’importa molto, in fin
dei conti, come e perché è iniziato tutto questo; ora m’interessa soltanto
andare fino in fondo e lasciarmi alle spalle questa notte
maledetta.
Fissò
lo sguardo verso le stelle sopra di sé, riuscendo finalmente a distogliere lo
sguardo da Raphäel. Prese un po’ di tempo nel tentativo di eludere la domanda
che le era stata rivolta senza alcun preavviso.
Il
solo fatto che Raphäel camminasse e respirasse ad un palmo da lei era
sufficiente a renderla tesa come la corda di un violino.
La
sua mente girava a vuoto intorno all’ostacolo: la verità era che aveva paura, e
non le bruciava tanto ammetterlo, quanto focalizzarne il vero motivo. Raphäel le
gettava addosso un’ansia che la ragazza poteva spiegarsi solo alla luce del
fatto che l’unico timore che in quell’istante la attraversava era che lui non
fosse suo.
Cosa
significa aver vissuto parte della tua esistenza svincolandoti con fierezza da
qualunque condizione abbia minato la tua libertà, e poi renderti conto che
esiste al mondo una persona, una realtà, un’accezione in grado di esercitare un
tale potere su di te; e che più la vorresti fuggire, più risenti
dell’attrazione, come il metallo e la calamita?
Probabilmente,
non accuserei le conseguenze del mio desiderio, se soltanto avvicinarsi al fuoco
non comportasse necessariamente bruciarsi. Riuscirei persino ad ignorare le mie
sensazioni, se mi fosse possibile concepire unicamente Raphäel come un semplice
compagno, complice o alleato. Ma non è nulla di tutto questo, e la distanza mi
fa più paura del saperlo vicino.
Lei
stessa si rendeva conto che, alla presenza di Raphäel, la sua inquietudine
diveniva tangibile: il controllo che la ragione esercitava su di lei doveva
essere costantemente ricercato e quasi forzato, poiché la sua mente si smarriva
altrove. Ogni sua percezione era tanto amplificata da rendere instabili i suoi
stati d’animo: lo spavento derivante dall’essersi trovata, per un istante,
ghermita da un assalitore senza volto ed il successivo sollievo avevano prodotto
in lei uno scatto quasi rabbioso; ora, la vicinanza di Raphäel quasi le impediva
di formulare pensieri coerenti e di trovare una via di fuga in quel vicolo cieco
in cui la loro discussione si era arenata.
Chi
sei, in realtà, Raphäel?
Non
erano chiari neppure i rapporti che univano Raphäel ai ribelli. Sapeva che, come
Auguste, anche Raphäel era guardato con sospetto dal duca e dai suoi
fedelissimi, i quali vedevano in lui un potenziale agitatore. E che collaborava
con una setta sovversiva, la quale operava in città con gran segretezza e con
un’organizzazione così capillare da rendere oltremodo arduo carpire informazioni
in proposito.
Sapeva,
inoltre, che da qualche tempo Auguste accarezzava l’iniziativa di avvicinarsi a
questo misterioso e ben più esteso movimento rivoluzionario. Ambrosie non aveva
potuto che guardare di buon occhio all’idea, benché le opinioni in proposito
fossero state quanto più divergenti. Lucien si era dichiarato favorevole, almeno
inizialmente, pur sostenendo quanto fosse necessario procedere con la massima
discrezione e ritenendo a maggior ragione che piccoli gruppi operanti su diversi
fronti per lo stesso obiettivo risultassero meno controllabili da parte del
duca. Per contro, coalizzarsi in un’unica, importante congrega a livello
cittadino e non più privato avrebbe comportato maggiori rischi nell’essere
identificati. Fernand si era opposto con veemenza all’iniziativa, asserendo
senza parafrasi che sarebbe stato più conveniente per loro affidarsi al demonio
in persona, piuttosto che a Raphäel Lemoine. Persino Dorian le era parso
piuttosto refrattario all’idea; tuttavia, a differenza di Fernand, sembrava
nutrire per Raphäel un’ammirazione più che notevole.
Auguste
aveva cercato astutamente di portare Raphäel dalla propria parte; il ragazzo,
dal canto suo, aveva sempre offerto generosamente la propria collaborazione,
restando però sul vago riguardo alle proprie iniziative. In seguito, il
comportamento ambiguo di Raphäel aveva esacerbato l’animo di Fernand, il quale
aveva finito per scagliarsi contro Auguste, colpevole, a suo avviso, di aver
posto la propria congrega in posizione subalterna rispetto a Raphäel; e la
discussione che ne era conseguita per poco non era degenerata in una vera e
propria lite.
Ambrosie
non riteneva corretto sfruttare il proprio innegabile ascendente su Raphäel per
estorcergli informazioni: stranamente, sin da principio il ragazzo le era parso
disponibile a parlarle spontaneamente circa alcuni suoi progetti, ritenendola
non a torto una persona discreta.
-
Le tre – mormorò asciutta, intenta ad osservare la torre dell’orologio che
svettava in uno scorcio della piazza, sovrastando gli alti edifici che ne
impedivano la completa visuale – Madame Bertie ci friggerà
vivi!
La
stamperia clandestina, situata in una via secondaria, era stata ricavata nel
retrobottega di una modesta caffetteria nella quale ogni mattino si procedeva
alla vendita autorizzata della gazzetta e, di tanto in tanto, alla
distribuzione, rigorosamente sottobanco, di scritti satirici volti ad attaccare
il potere politico con modalità non sempre tra le più velate. Era “Madame” ad
occuparsi di coordinare i lavori e finanziare il progetto.
Al
loro ingresso, Ambrosie e Raphäel furono accolti dalla voce acuta ed isterica
della donna.
-
Avete tempo due ore. Due ore! Dopodiché, quel che si farà in tempo a stampare,
sarà stampato, e arrivederci a tutti. Avete aperto bene le orecchie, voialtri,
imbrattacarte e mangiapane a tradimento?
Il
viso incipriato si corrugò in una smorfia indecifrabile, quando i suoi occhi
ebbero messo a fuoco i due nuovi arrivati. Ambrosie la vide distintamente
modellare il volto rugoso in un sorriso sarcastico, impegnata com’era a
trattenere fra i denti una nuova, stizzita sequela d’improperi all’indirizzo dei
suoi indolenti collaboratori. Madame Bertie era una donna oltremodo stravagante
dalla loquela sofisticata capace di saltare con disinvoltura dalla più aulica
declamazione alle imprecazioni più fantasiose.
- È
completamente squilibrata – mormorò Raphäel con il solo labiale, curandosi bene
che “Madame” non lo udisse.
-
Mademoiselle Ambrosie! – la donna la soppesò con un sorriso ipocrita che faceva
rassomigliare la sua faccia ad una grottesca maschera di gesso – Di quale
sordida eresia brami rendermi scellerata complice e sostenitrice, quest’oggi?
Razza illegittima di Giuda, ah, maledetti ragazzacci! Nulla si salva, ormai,
dalle vostre dannate penne. È restato forse qualcosa che per voi sia sacro ed
inviolabile? Sciocchezze! E chissà cosa direbbe di voi il duca, se giungesse a
sapere come ricambiate la sua grandezza d'animo? Ah,
disgraziati!
Ambrosie
le porse gli articoli, mentre un sorriso obliquo che cercava di sembrare
spavaldo le affiorò sul volto pallido.
“Madame”
seguitò a recitare fino alla nausea le solite, beffarde invettive sui giovani
“dissacratori”, ponendo l’accento, con una sorta di malcelato orgoglio, su
quanto lei stessa fosse la principale artefice ed ispiratrice del progetto e su
quanto parteggiasse apertamente per gli oppositori del
duca.
La
donna arpionò senza cerimonie il polso di Ambrosie, attanagliandolo tra le dita
scheletriche.
- E
voi che diavolo ci fate qua, monsieur Lemoine? Non vi hanno ancora chiuso in
gabbia? – proruppe, mordace – Avete accompagnato la signorina, capisco. Beh,
v’istruirò sulla pressoché totale vanità delle vostre gesta, mio baldo figliolo:
a costei basterebbe aprire bocca e mettere in movimento la sua forcuta e
velenosa lingua per atterrire un’intera banda di briganti.
Ambrosie
e Raphäel si scambiarono uno sguardo d’ironica
rassegnazione.
-
Continuate a far lavorare gli artigli, voialtri! E poche chiacchiere – ringhiò
la donna, rimbeccando sguaiatamente i lavoratori distratti – Vado a meditare
sull’inutilità della compilazione di un nuovo “poema”.
“Madame”
la trascinò con sé in un angolo della stanza. La ragazza la udì mormorare tra sé
ingiurie confuse verso la categoria maschile.
-
Uomini: credono che ogni dama abbia bisogno di un cavaliere con la spada? Razza
di Giuda!
Inforcò
gli occhiali, scorse scrupolosamente il manoscritto, confutando e polemizzando
di tanto in tanto e, solo quando ritenne soddisfacente il risultato, finalmente
la strega la licenziò con modi spicci.
Raphäel
sembrava essersi dileguato, mentre era stata impegnata a discutere con “Madame”.
Le venne incontro trafelato, in capo a qualche minuto, ed insieme ripresero la
via di casa.
* *
*
Ora,
ripensando all’ardire di quella notte, Ambrosie si sentiva rabbrividire. Un
omicidio che, quasi certamente, racchiudeva qualche raccapricciante segreto, si
era consumato soltanto poche ore prima; tutti, compresa la loro stessa
organizzazione, erano in pericolo. Raphäel l’aveva gentilmente scortata durante
tutto il percorso fino alla stamperia e, da lì, fin sulla porta di casa. Era
stata una fortuna, ora che ci pensava. Fortuna, già: se soltanto il suo cortese
accompagnatore non si fosse chiamato Raphäel Lemoine; se soltanto nella loro
vicinanza non vi fosse insito un rischio ben più oscuro ed
inafferrabile.
Pazza:
non riesci che a pensare a te stessa ed alle tue dannate ossessioni.
Se
l’assassino fosse stato ancora in giro, ognuno di loro, quella notte, gli
avrebbe generosamente offerto su un piatto d’argento la possibilità di eliminare
il secondo ribelle della serata: lei o Raphäel; forse Dorian o Auguste o,
magari, Fernand.
Non
aveva avuto alcuna esitazione a penetrare nelle tenebre di Noir Trésor in una
notte come quella. Ora, il semplice stare alla finestra della sua dimora la
rendeva nervosa: tremava e non riusciva a spiegarsene il motivo. Si sentiva
stranamente osservata, braccata, eppure sapeva che non poteva esserci nessuno in
casa, ad eccezione sua e di suo fratello.
Anche
Lucien, forse, ha pensato questo.
Ambrosie
cercò di scacciare dalla mente certe insensate suggestioni, quando un tonfo –
forse una porta che si chiudeva, forse un oggetto caduto accidentalmente – la
fece trasalire. Il cuore le si fermò per un attimo, per poi riprendere a
martellarle nel petto con un ritmo sempre più incalzante.
Stai
calma. Non è nulla. Non può esserci nessuno. Nessuno!
Dov’era
Fernand?
Ora che il pensiero l’aveva sfiorata, rammentò di non averlo visto né sentito,
dopo che la via del ritorno per loro si era divisa al quadrivio presso la
piazza.
Calma,
Ambrosie. Cerca di mantenere per un attimo la calma e di
ragionare.
Già,
ragionare: non è facile, quando la paura ha ormai preso il sopravvento su di te,
congelando sul nascere ogni facoltà intellettiva. E se è vero che il terrore può
uccidere, in questo momento la tua mano brandisce nientemeno che un
pugnale.
Raphäel
era con me: non può essergli accaduto nulla, sempre che il probabile assassino
non si sia arrischiato ad aggredirlo nel breve tragitto che divide le nostre
dimore.
Dorian
era con mio fratello, ma, per il resto, nulla mi vieta di pensare
che…
No,
è assurdo. Dovrei pensare a trarre deduzioni logiche, non perdere la
testa.
Fernand
respira nella stanza a fianco…
Chi
mi garantisce che respira ancora?
Eppure,
Raphäel era con me. Con mio fratello vi era Dorian. Soltanto Auguste ha
preferito stare da solo, e spero vivamente che non gli sia accaduto nulla; né a
lui né a nessun altro.
Gli
occhi vigili e dilatati per la paura, le membra tese e lo stiletto in pugno,
Ambrosie si avvicinò con circospezione alla stanza nella quale riposava suo
fratello.
Sono
fortunata che casa mia sia piccola e che possa controllarla agevolmente con uno
sguardo. Se mi fossi trovata in spazi più ampi, ora avrei già
gridato.
Inspirò
l’aria troppo immobile intorno a sé e batté qualche debole colpo alla porta con
il dorso della mano.
-
Fernand! Sei in casa? – la voce le uscì dalle labbra roca e
spezzata.
Nessuno
rispose. L’aria intorno a lei era troppo rarefatta ed evanescente e non rendeva
il suo respiro più agevole. Un sibilo incessante le punse le
orecchie.
Troppo
silenzio. Troppa calma. Tutto troppo immobile per sembrare…
Naturale.
-
Fernand!
La
ragazza girò la maniglia con uno strattone e spalancò la porta. Una lieve,
insolita folata di vento la fece sussultare atterrita.
Un
istante dopo si riscosse.
Dannati
spifferi! Lo sapevo: doveva esserci una spiegazione logica. Terrorizzata da
semplici correnti d’aria che hanno fatto sbattere una porta o qualche imposta o
chissà cos’altro.
Con
cautela, la ragazza mollò la presa sulla maniglia dietro di sé, sospingendola
lievemente. La porta sbatté alle sue spalle.
Avevo
ragione? Nulla di cui temere.
Eppure,
Ambrosie non riusciva a dissipare la tensione che ancora avvertiva intorno a sé.
La stanza pareva come più grande rispetto al solito, gli spazi dilatati.
L’ambiente circostante stava letteralmente sfuggendo al suo
controllo.
Sto
impazzendo,
ammise. Sto semplicemente
impazzendo. Sono
questi i princìpi della follia?
Avvertì
qualcosa frusciare sotto i suoi piedi. Fogli: le bozze di suo fratello sparse
sul pavimento. Un catino d’acqua rovesciato. Di fronte a sé, il letto
sfatto.
Non
di nuovo. No!
Fernand
era pallido, ed il suo petto si alzava e si abbassava impercettibilmente sotto
la camicia stropicciata.
Ambrosie
lo afferrò e lo scosse energicamente. Il sollievo le invase il cuore come un
balsamo refrigerante, quando due occhi di cobalto si spalancarono assenti,
fissandosi nei suoi.
-
Ambrosie, che diavolo… – riuscì a biascicare il ragazzo, sbattendo le palpebre
ed abituandosi gradualmente alla luce.
-
Fernand, stai bene?
-
Uh?
Lentamente,
Fernand si tirò su a sedere e si massaggiò le tempie.
-
Stai calma, Ambrosie. È tutto a posto. Non so cosa ti abbia spaventata tanto, ma
non è successo nulla.
-
Oh, dei! – la ragazza sedette al fianco del fratello, respirando profondamente e
cercando di riprendere il controllo di sé.
-
Ti sei soltanto lasciata impressionare, tutto qui; e non sei la
sola.
-
Potevi degnarti di rispondere.
-
Devo aver perso i sensi per qualche istante. Mi sono alzato pochi minuti fa e,
mentre mi lavavo la faccia, devo aver avuto un capogiro o qualcosa del genere.
Ho fatto in tempo a raggiungere il letto e sdraiarmi.
-
Come ti senti, adesso? – gli domandò Ambrosie, aiutandolo a distendersi di
nuovo.
-
Non so – Fernand scosse il capo, confuso – Soltanto un po’
debole.
-
Devo preoccuparmi? – la ragazza gli sfiorò la fronte con le labbra – Non sei
caldo, per fortuna.
-
“Madame” ha sollevato questioni come sempre? – cambiò repentinamente discorso
Fernand.
-
Non mi ha trattenuta molto a lungo. Sembrava relativamente tranquilla, rispetto
al solito – Ambrosie controllò l’ora – Se siamo fortunati, in questo momento gli
opuscoli dovrebbero già essere in giro.
La
ragazza mosse lo sguardo, soprappensiero. Infine, decise saggiamente di omettere
il dettaglio di chi era con lei. Al
solo pensiero che Raphäel avesse avuto la possibilità di infilare il naso nei
loro affari, Fernand sarebbe saltato su come un gatto
arruffato.
Non
era sicuramente la situazione adatta. Era meglio, per il momento, che Fernand se
ne stesse tranquillo. Avrebbe avuto tempo a sufficienza, in seguito, per
litigare con suo fratello riguardo Raphäel.
-
Cerca di riposare, Fernand – gli ingiunse con dolcezza – Potevi almeno
chiamarmi, se ti sei accorto di non stare bene.
-
Non era necessario disturbarti solo per questo, Ambrosie.
-
Già… Razza di sciagurato!
La
ragazza incrociò le braccia sul seno, mentre un finto broncio le affiorava sulle
labbra.
Grazie
al cielo è tutto a posto, almeno stavolta. Voglio solo che Fernand stia bene:
soltanto questo.
Il
mio cantuccio:
Buonasera,
lettori di NT!
Comincio
subito a ringraziare quanti ancora seguono il mio racconto con passione, nuovi e
vecchi lettori (le new-entry sono sempre ben accette!), nonché quanti, di
recente, hanno inserito “Noir Trésor” fra i loro
Preferiti.
Vi
ringrazio tutti, commentatori e lettori ancora “nell’ombra”, con particolare
riferimento a:
Monella,
la quale non mi fa mai mancare il suo impagabile appoggio. Ti ringrazio
tantissimo, tesoro… Spero che il decimo capitolo sia di tuo
gradimento!
Kathlyne:
che bello, una new-entry! Inutile dire che la tua recensione mi ha fatto
incredibilmente piacere! Lieta che la mia fiction ti stia piacendo e sia di tuo
gusto. Mi raccomando, continua a seguire NT!^^
Alla
prossima, augurandomi che questo capitolo, causa impegni universitari, non sia
un pochino “frammentato” fra i vari “sbalzi di stesura”.
A
presto!^^