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Autore: Clairestory    07/04/2013    0 recensioni
"Silvia ricordava che quando la porta della classe si apriva, lei era intenta ad annerire gli spazi bianchi delle lettere del libro di matematica, annoiata. In quell’istante alzò lo sguardo e vide comparire, vicino alla cattedra, un ragazzino biondo. Era inspiegabilmente vestito molto elegante, aveva un completo maschile forse un po’ troppo corto per lui. Sì, perché era altissimo. Silvia lo squadrò, sperando che lui non se ne accorgesse. Sembrava a disagio, forse, pensò Silvia, si vergognava perché era accompagnato da sua madre, una presenza immancabile. Non sembrava particolarmente felice o impaurito, Silvia indovinò che, nonostante cercasse di nasconderlo, si sentiva un pesce fuor d’acqua. Gli occhi del ragazzo, stranamente scuri, evitavano lo sguardo della professoressa, che spostava la sua attenzione dalla classe al nuovo arrivato ogni pochi secondi"
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno in cui si erano conosciuti era un mercoledì. Silvia lo ricordava come se fosse ieri. Era un mercoledì piovoso, e fuori dalla finestra della classe si potevano vedere gli alberi che lasciavano inesorabilmente cadere le loro foglie morte. Il cortile ghiaioso era diventato un pantano colloso di fango e sassolini. Una stracciatella di pioggia. Silvia vedeva tutto questo dalla finestra, quel giorno. Veniva sempre messa infondo all’aula, lei, vicino all’ultima finestra sulla sinistra. Non che quel posto a sedere le piacesse particolarmente, ma di certo aveva i suoi vantaggi. Sotto il davanzale della finestra, infatti, c’era un termosifone che in inverno era sempre acceso, e questo era piacevole. Un’altra ragione per la quale valeva la pena di stare infondo alla stanza era che aveva ottimi nascondigli per i bigliettini, e durante i compiti in classe potevi andare avanti a copiature anche per tutto l’anno: tanto nessuno sen’accorgeva mai. Silvia non aveva un compagno di banco. Accanto a lei non voleva mai stare nessuno, perché Silvia non era un tipo particolarmente interessante, agli occhi dei compagni di classe. Molto meglio Marta o Roberta o Lavinia o Ginevra per loro, senza dubbio. “Ma certo”, si diceva sempre Silvia“è ovvio: loro sono solo delle oche”.                        Silvia non era quel che si dice una ragazzina antipatica. Era molto timida, questo sì, ma certamente non antipatica. Silvia non era un’oca. E per dimostrarlo era pronta a fare di tutto, anche passare la vita intera relegata in un banco infondo all’aula. Silvia aveva sempre detestato le oche. Per loro era tutto facile, e la vita era solamente un gioco da sfruttare, i maschi dei bambocci da intenerire con una coscia troppo scoperta, le ragazze non-oche solo delle perditempo da lasciare a se stesse. Silvia, però, era contenta di essere se stessa. Certo, c’erano delle cose di se che non le piacevano, ma almeno aveva un cervello, e sapeva come usarlo. Non si considerava particolarmente carina: le piacevano i suoi occhi verdi, e anche i capelli, rossi e lunghi,  le davano quell’aria tranquilla e, se non bella, almeno particolare. Non era alta, non era nemmeno magra. Era robusta, ma non se ne vergognava. Le uniche cose che non la facevano felice erano il colore della pelle, estremamente bianca e, in alcuni punti, ricoperta da lentiggini fittissime e i piedi, secondo lei troppo lunghi rispetto al resto del corpo. Quel giorno, quel famoso mercoledì, Silvia ricordava di avere indosso la felpa rosa, con la bandiera dell’America stampata sopra, un paio di jeans e le sue immancabili Converse blu scure.
Silvia ricordava che quando la porta della classe si apriva, lei era intenta ad annerire gli spazi bianchi delle lettere del libro di matematica, annoiata. In quell’istante alzò lo sguardo e vide comparire, vicino alla cattedra, un ragazzino biondo. Era inspiegabilmente vestito molto elegante, aveva un completo maschile forse un po’ troppo corto per lui. Sì, perché era altissimo. Silvia lo squadrò, sperando che lui non se ne accorgesse. Sembrava a disagio, forse, pensò Silvia, si vergognava perché era accompagnato da sua madre, una presenza immancabile. Non sembrava particolarmente felice o impaurito, Silvia indovinò che, nonostante cercasse di nasconderlo, si sentiva un pesce fuor d’acqua. Gli occhi del ragazzo, stranamente scuri, evitavano lo sguardo della professoressa, che spostava la sua attenzione dalla classe al nuovo arrivato ogni pochi secondi. Poi iniziò a dire: - Ragazzi, questo è Guido. È il vostro nuovo compagno di classe, accoglietelo come si deve - . Senza aggiungere altro, invitò Guido a sedersi vicino a Giuditta, al primo banco. Il posto vicino a Giuditta era sempre, perennemente vuoto, e non c’era bisogno di chiedersi il perché. Il fatto era che Giuditta si comportava in modo molto strano per una ragazzina di terza media. Spesso si contorceva sulla sedia, muovendo le sue braccia ossute come se stesse cercando di afferrare le parole dei suoi compagni. A volte, poi, capitava che mentre la professoressa si assentasse dalla classe per rispondere al telefono, per esempio, Giuditta lasciasse vuota la sedia e si stendesse per terra, senza preoccuparsi minimamente dei suoi vestiti, e strisciando per terra come un serpente per tutta la classe, facendo sì che alla sua maglietta rimanessero attaccati grossi grani di polvere, riccioli di gomma, pezzetti di intonaco appena staccatisi dal muro e moscerini deceduti vicino alla finestra e caduti poi in terra durante la notte. Nessuno si curava di questi comportamenti strani, né i compagni, né tantomeno le professoresse, che, se potevano, la pregavano anche di accomodarsi fuori dalla classe. Silvia, durante i tre anni, aveva assistito all’evoluzione di quei modi di fare, che non avevano nulla di umano, e aveva capito che Giuditta, con quei suoi comportamenti, estraniava i suoi sentimenti e i suoi istinti più profondi, somiglianti più a quelli degli animali che ai normali comportamenti della gente civile. Giuditta era una reietta, nessuno la voleva mai. Ed era strano che la professoressa avesse fatto accomodare Guido accanto a lei. Forse, pensò Silvia, tra poco avrebbero cambiato i posti. O forse, e questo era più probabile, se Guido era stato messo accanto a Giuditta, un motivo c’era. E Silvia si ripromise di scoprirlo al più presto.

  
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