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Autore: Cosmopolita    08/04/2013    6 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
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1986, Londra
 
-Dottor Kirkland?- l’infermiera lanciò un’occhiata accattivante a Ian; non nascondeva che il ragazzo, molto giovane per essere un chirurgo di fama abbastanza entusiasta all’interno dell’ospedale, fosse anche un bellissimo uomo
-Mi dica. – rispose lui con un tono poco amichevole. Quel giorno non era affatto di buon umore; sua moglie Yvonne e lui avevano litigato con una foga peggiore delle precedenti.La donna, messa in difficoltà dall’austerità con cui il dottore le si era rivolto, balbettò piena di incertezza qualcosa come “Il dottor Smith le vuole parlare”.Egli parve divenire più sereno, ma questo non fu una sorpresa per lei: né il signor David Smith, né Ian Kirkland nascondevano la profonda amicizia e ammirazione che uno nutriva per l’altro. Erano proprio una bella squadra.
-Certo, lo raggiungo subito. – capì di aver utilizzato un tono troppo secco con lei, prima. Era una ragazza, forse di poco più vecchia di lui di due o tre anni e per certi versi, i suoi lineamenti gli ricordavano quelli di suo moglie; forse era per questo che si era comportato in modo così insensibile con lei.
Lesse il nome sulla sua targhetta: Camille. Lo appuntò , l’indomani le avrebbe spedito dei fiori a suo nome come segno di scusa.
David era di poco lontano da dove si trovava; erano talmente uniti e talmente simili nelle idee, che alla fine avevano frequentato la stessa università e casualmente, li avevano entrambi accettati all’ospedale di Londra. Certo, per quel momento non erano dottori a tutti gli effetti, mancavano ad entrambi pochi esami per conseguire la specializzazione, ma ambedue si erano distinti per competenza ed intraprendenza. L’unica differenza tra loro due era che lui si stava specializzando in chirurgia, il suo migliore amico invece voleva diventare psichiatra.
Lo trovò all’entrata della sala operatoria, lo stava attendendo a braccia conserte e non appena lo vide, gli sorrise alzando una mano in segno di saluto
–Ave, Kirkland. –
-Ciao, Dave. – Ad una prima occhiata capì subito che c’era qualcosa nel ragazzo che non andava; il sorriso che gli aveva rivolto era stentato e tremava impercettibilmente. Sulle prime, in ogni caso, fece finta di nulla; pensò soltanto che alla fine della loro chiacchierata gli avrebbe suggerito un paio di medicine da assumere contro l’influenza -C’è…qualcosa che devi dirmi?- gli domandò sospettoso dopo che rimasero almeno un minuto buono in silenzio. Trasalì leggermente –Cosa? Ah, già… ti ho mandato Camille… brava  ragazza, vero?-
Stava divagando e questo non prometteva nulla di buono –Mi ripeto: c’è qualcosa che devi dirmi?- a differenza dell’amico, il suo tono non era farfugliante, ma fermo, più vicino alla difensiva –Altrimenti torno a casa. –
-... A proposito!- quasi urlò l’altro, come se avesse voluto attirare la sua attenzione –Come va con la tua signora?–
Abbassò lo sguardo; si sentì pungolato nel profondo. Tutto ciò che aveva a che fare con sua moglie in quel periodo era tabù –Non ci parliamo, perciò…- fece per andarsene, ma sentì la mano di David poggiarsi sulla sua spalla.
Si poteva sapere cosa diamine gli era preso quel giorno? Che fosse colpa della pseudo febbre? -No, aspetta, non andartene. Io devo parlarti. –
-E’ da un secolo che aspetto che tu mi dica questa fantomatica cosa, puoi darti una mossa?- E, beh, si era tirato la zappa sui piedi tirando fuori il discorso su Yvonne, David lo aveva capito troppo tardi. Inoltre, Ian non era il tipo con cui scherzare, lui reagiva subito nel peggiore dei modi.
In un primo momento si pentì di averlo fato chiamare, ma tanto il danno l’aveva già commesso
-Amico, sono nei guai… -.
Era stralunato; aveva il viso pallido e il sudore freddo e il suo amico si stava cominciando a preoccupare
Mi sono innamorato–
Kirkland scoppiò a ridere in maniera sprezzante –Davvero…tutto qui?- anche se non voleva darlo a vedere, si era tranquillizzato; quel sempliciotto si preoccupava sempre per delle stronzate. Tuttavia, lo psichiatra divenne ancora più pallido
–Non è questo il punto. – si morse un labbro ed intrecciò le dita, successivamente lo guardò negli occhi –Il fatto è che…- sospirò con gravezza –Mi sono innamorato di te–
 
Fermo.
 
Era come se tutto fosse rimasto fermo, sospeso in aria, nel preciso istante in cui lui aveva sputato tutto d’un fiato quella frase. Silenzio tomba.
 
Sembrava che perfino gli altri dipendenti dell’ospedale, dottori, infermieri, perfino i pazienti, si fossero fermati a fissarlo. E Ian…lui lo guardò con gli occhi vuoti, la bocca orribilmente inespressiva; sembrava stesse per svenire o, probabilmente sarebbe stato meglio, che gli stesse per sputare in faccia.
 
Le sue fisionomie si erano indurite, il che gli conferivano un’aria ancora più terribile del solito. Deglutì agitato; aveva capito solo in quell’istante di aver buttato alle ortiche anni ed anni di amicizia
 
-Ian!- esclamò con spavento. Lo prese per il camice e lo strattonò, ma quello non si mosse –Ti prego, Ian, di’ qualcosa! Di’ che sono uno stupido, per favore!– La reazione del suo amico fu peggio di quello che si aspettò. Non disse nulla; avrebbe preferito che gli tirasse un pugno in pieno stomaco, ma non lo fece. Si limitò a spintonarlo via con brutalità e se ne andò senza aggiungere nulla a quella breve conversazione -Ian, ti prego!- lo implorò seguendolo
-Non abbiamo nulla da dirci. – concluse freddamente, voltandogli le spalle.
Definitivamente.
 
 
 
In un primo momento, la voce tesa di suo fratello  gli ricordò quella di David e questo non poteva sopportarlo.
Teoricamente... un po’ c’era da aspettarselo; anche la sera prima aveva pensato in un’ipotesi del tutto utopica e scherzosa, che il francese e suo fratello non fossero “colleghi”. Insomma, la storia dell’amante che va ad incontrare l’amato la sera l’aveva sentita talmente tante volte che ormai sembrava una prassi comune a tutti. Addirittura Yvonne, poco prima del divorzio, portava la sua nuova fiamma (“quella migliore” la chiamava lei) a casa loro, quando lui faceva i turni di notte. Ma un conto era immaginare un fatto simile e riderci sopra, scoprire che quel pensiero si trattava anche della verità, oltre che surreale,  gli apparve di cattivissimo gusto.
Era esattamente come ritrovarsi dentro un flashback, riportato indietro di un anno prima; la situazione era più o meno la stessa così come l’atmosfera: come se tutto quanto si fosse congelato.
Nessuno riusciva più a sentire cosa dicesse la televisione, nessuno riusciva a percepire cosa aveva intorno a sé. In mente, avevano solo una frase:
 
“Io e Francis, stiamo assieme”.
 
Arthur scrutò attentamente le espressioni dei suoi fratelli e di primo impulso, egli desiderò di non avere mai detto nulla; il viso di quei due esprimeva perfettamente l'impatto negativo delle sue parole.
Hannah, semplicemente, sembrava una maschera di cera piuttosto brutta: pallida, con gli occhi sbarrati, bocca aperta, come se  volesse dir qualcosa, ma non ne avesse il coraggio. Ian invece, aveva impresso nel volto la stessa espressione indecifrabile che aveva da quando era entrato in casa e non si comprendeva cosa provasse di preciso in quel momento. Una cosa era certa, sarebbe stato il momento più opportuno per far riaffiorare l’odio ancestrale che entrambi i due fratelli provavano reciprocamente.
Se l’era aspettata una reazione di quel tenore sin dal principio, ormai si era talmente tanto preparato a quell’evenienza che non ne provava più vergogna, al contrario, era come se con il dire tutto quanto ai fratelli si era tolto di dosso quell’onere che lo soffocava da tanto tempo
-Sentite, - intervenne ad un certo punto Francis con una certa cautela, interrompendo quel silenzio imbarazzante e opprimente che stava perdurando già da troppo tempo –Non vi chiediamo di accettarlo subito, so che è faticoso, ma…cercate almeno di comprendere. –
-Comprendere?- tutto d’un tratto, le emozioni che Ian sembrava avesse celato riemersero e furono ancora più agghiaccianti di quelle che suo fratello aveva auspicato. Era talmente infuriato da aver assunto un colorito porpora sulle guance –Come credi che si riesca a comprendere una roba del genere!-Guardò Arthur con disgusto –L’avevo immaginato. Fin da quando vi ho visti, ho capito che c’era qualcosa che non andava… voi… voi siete– avrebbe voluto aggiungere “Siete come David”, ma non ci riuscì a terminare la frase in quel modo.David, Yvonne, adesso Arthur…possibile che si fossero tutti messi d’accordo per rovinarlo psicologicamente?
-Sai come la prenderà nostra madre?- continuò con il suo tono di biasimo.
Arthur era senza parole.
 –N… non andrai forse a dirglielo?-
-Sei pazzo, è ovvio che non glielo diremo! Vuoi farla morire prima del tempo? - intervenne Hannah con il tono più duro che le aveva mai sentito emettere. Era abituato a vederla irritata, nervosa, ma di solito la sua rabbia gli suscitava ilarità: i suoi sfoghi erano sempre uno spasso da vedere. In quel momento però, non aveva per niente voglia di ridere .
Non l’aveva mai vista in quello stato; delusa, frustrata… la sua durezza era dovuta principalmente per quello. Lei non sembrava sdegnata come il maggiore, quanto piuttosto sconvolta. Era come se non ci volesse credere.
-Non avrei dovuto dirvelo!- sbottò Arthur, ancora più irritato dei fratelli –Lo sapevo che avreste reagito così, lo sapevo–
-Come cavolo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?-
L’inglese fulminò la sorella con un’occhiata velenosa –Credi che l’abbia scelto io? Magari per farvi un dispetto!?–
-Saresti capace!- La loro breve discussione tuttavia, fu interrotta da un gesto. Un semplicissimo gesto che era durato pochi secondi e che, nondimeno, aveva fatto tacere tutti.
Ian, con uno scatto repentino, si era alzato dal divano e con una tempestività innaturale, aprì la porta e se ne andò. Così, senza aggiungere nulla, senza dire niente di clamoroso. Semplicemente, era andato via.
 
 
 
 
Arthur inseguì il fratello per tutte le scale, fino a che non riuscì a raggiungerlo appena fuori dal cortile.
 Non gli importava se, come Francis gli aveva fatto notare pochi secondi prima che uscisse fuori, quello avrebbe reagito ulteriormente male.
 D’impulso, lo afferrò con violenza per una spalla, tutto il rancore che serbava verso di lui riaffiorò all'istante, e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
Gli occhi del fratello lo fissarono densi di disprezzo -Si può sapere che ti è preso?- domandò con irruenza. Era la domanda più illogica che avrebbe potuto fargli; era ovvio cosa gli fosse preso, giusto? Gli faceva schifo stare lì, gli faceva schifo guardarlo.
La risposta era talmente semplice, che bastava intuirla da sé.
Come replica, l’altro digrignò i denti, tese le mani e lo spinse il più lontano possibile da lui.
Ian reagiva sempre allo stesso modo, fin da piccolo, usando le mani. Non aveva smesso neanche da adulto, a quanto pareva –Non provare a toccarmi, hai capito?- gli urlò con tono dispotico. Ma lui, seppure riconoscesse che insistere sarebbe stato come cercare di disinnescare una mina, non mollò. Al contrario, i modi rudi del fratello lo spinsero ancora a reagire.
Era stufo di farsi continuamente da parte e adattarsi alle decisioni della sua famiglia: per una volta avrebbe fatto valere le sue ragioni, com’era giusto che fosse –Posso dirti cosa penso di te? Sei un coglione. –
Ian spalancò gli occhi, probabilmente non se l’aspettava un’uscita simile da parte del fratellino, che in un certo senso si era sempre tenuto a debita distanza da lui
-Sì…- continuò –Che t’importa di chi mi piace e di chi frequento? E’ un problema mio, non tuo. –Ian lo guardò furente.
Si avvicinò a lui, le iridi quasi dardeggiavano dalla rabbia, le mani cominciarono a pizzicargli per il nervoso. Non tollerava un simile atteggiamento nei suoi confronti da parte di nessuno, special modo da parte di suo fratello –Non permetterti più a parlarmi così. –
-Io ti parlo come mi pare e piace. –
Ian, d’istinto, ribatté così come era solito reagire; la sua mano colpì la guancia di Arthur con talmente tanta violenza che si sentì perfino il rumore secco dell’impatto.
Tuttavia l’altro non rimase fermo e passivo come quando erano piccoli. Ora Arthur era un uomo, forte e prestante tanto quanto lui, e quei comportamenti dispotici da parte sua non li reggeva più come una volta. Non curandosi minimamente del dolore, strinse la mano destra a pugno e rispose con un colpo allo stomaco. Era ben assestato a tal punto che lo stesso Ian, quello che da piccolo aveva frequentato un corso di boxe e aveva usato il fratello minore come punchingball, fece fatica a reggersi in piedi
- Osa ancora toccarmi e giuro che ti colpisco ancora più forte. – non gli importava se qualcuno li avesse visti o sentiti, pazienza, lo avrebbero preso per un rissoso e un violento. Quello che gli premeva di più era di far capire a quell’imbecille che lui era un uomo tanto quanto lui “Mi so battere meglio di te, che ti credi, stronzo!”.
La reazione di Ian fu più inaspettata della sua: poggiò la testa sulla spalla del fratello e non fece più nulla. Per un attimo, l’inglese sospettò con non poco timore che fosse svenuto, invece dopo un po’ lo sentì singhiozzare.
Incredibile!
Stava piangendo come non aveva mai fatto in vita sua, quasi identico ad un bambino.
Arthur cominciò a non capirci più niente
La situazione era assurda; cinque minuti prima si erano insultati, erano stati ad un passo dal picchiarsi, ed ora invece, se lo era ritrovato a singhiozzare sulla sua spalla. In preda alla confusione, l’unica cosa plausibile che gli venne in mente fu cingergli le spalle e battere la mano sulla sua schiena.
Non si era mai sentito così imbarazzato e impotente come in quel momento, mai così impietosito nei confronti suoi, di Ian. Men che meno avrebbe dovuto esserlo in quella circostanza, dato che poco tempo prima il maggiore stava inveendo contro di lui e, viceversa, lui stava cercando di preservarsi in tutti i modi possibili; la vita, evidentemente, giocava brutti scherzi più volte di quanto pensasse
-Non è giusto, cazzo, non è giusto!- stava mugolando intanto Ian, adirato piuttosto che triste, con il viso ancora poggiato sull’incavo della spalla di Arthur –Non puoi avere tutto che ti pare!-
-Ma che stai dicendo?-
Cominciò ad avanzare nella sua testa l’ipotesi che fosse uscito fuori di testa, la cosa era abbastanza plausibile.
Ian alzò lo sguardo e per la prima volta Arthur si rese conto che non l’aveva mai guardato davvero. Si accorse, come assurda fatalità del destino, che loro due non si somigliavano per nulla, se non per gli occhi
-Io e Yvonne ci provavamo da mesi. Mesi, capito? Io non lo volevo, ma lei si stava allontanando e credevo fosse per questo motivo. Perciò ho pensato, proviamoci! – stava delirando, non capiva a cosa si riferisse –Dopo cinque mesi ci siamo preoccupati. Com’era possibile? Lo facevamo tutte le sere, cavolo tutte le santissime sere! Sembrava un dovere, più che un piacere. Lei ha insistito perché andassimo da un medico.-
Forse Arthur stava cominciando a capire quale fosse il problema di suo fratello
–Non posso avere bambini. Io non posso avere bambini: “Sua moglie è fertilissima, ma lei signor Kirkland…”. Quando mi ha detto così, ho realizzato che lo desideravo, forse anche di più di quanto non lo volesse quella stronza di Yvonne. Volevo quel bambino, ma il problema era che non potevo averlo… e mi ha lasciato per questo, capisci?-
Per la prima volta in vita sua, Arthur provò per suo fratello un sentimento diverso da quello che gli riservava di solito. Lo aveva sempre odiato senza una ragione precisa; perché lo maltrattava, perché gli soffiava le ragazze che piacevano anche a lui, oppure semplicemente perché i suoi genitori lo preferivano. Adesso invece, era mosso da una sensazione di compassione, tenerezza. Per un momento provò ad immaginare come sarebbe stata la sua vita senza Alfred e Matthew e si sentì stringere il cuore. Capiva come doveva sentirsi.
 -Mi…dispiace. – usò un tono freddo, come se lo stesse dicendo perché era educazione rispondere in quel modo.
Ian lo guardò con odio –Lo so che non te ne frega un cazzo. Tanto, tu li hai già…è questo che mi fa imbestialire; tu li hai! Hai due bambini e il bello è che non li volevi. Non li volevi allo stesso modo in cui li voglio io…Ti è capitato per puro caso, lo hai fatto una volta e hai beccato l’occasione giusta. – il suo tono era sprezzante, disgustato, ma i suoi modi disperati, quasi isterici, commossero l’inglese ancora di più –E per di più ami un uomo. Non li dovresti avere proprio quei bambini!-
-E perché mai?- lo interruppe. Di colpo, tutta la sua intenerimento sparì e riaffiorò di nuovo l’irritazione; non avrebbe dovuto dire una cosa di così cattivo gusto
-Non fare l’idiota, per favore!- Anche lui aveva ripreso la sua solita cadenza violenta -Due uomini non possono avere figli, non lo dico mica io. Saresti stato sterile come me e probabilmente non me la sarei presa, e invece… stai con quell’idiota francese e per di più hai due figli. Non puoi avere tutto quello che ti pare!-
Era invidioso di lui! Ian, che era ricco, aveva un lavoro redditizio ed era amato dall’intera famiglia Kirkland, provava gelosia per lui, Arthur, che era povero e malvisto da tutti quanti i propri famigliari
-Sono patetico, vero?-
-Un po’…-
L’uomo sospirò rassegnato e rispose con durezza –Lo so- poi aggiunse –Non lo sa nessuno… E’ strano che tra tutti quanti io lo abbia proprio confessato a un idiota come te–
Arthur lo fulminò con lo sguardo. A pensarci bene, anche lui aveva rivelato il segreto più imbarazzante e difficile della sua vita a due decerebrati
-Per questo sei qui? Per dimenticare? Non è da te scappare di fronte alle situazioni più complesse.- lo biasimò con il tono di voce più critico che potesse avere. Ian, contrariamente a come si era aspettato, sorrise con strafottenza. Aveva gli occhi ancora rossi e gonfi –Può darsi che sia così. In fondo, anche tu sei fuggito come un vigliacco–
-Non sono fuggito– obiettò contrariato –Io mi sono semplicemente allontanato da voi. Volevo essere libero dalla vostra presenza–
L’altro fece spallucce –E’ più o meno la stessa cosa. E poi se proprio vogliamo metterla così, anche io voglio essere libero-
Arthur, in un certo senso, capiva il suo stato d’animo e ciò lo trovava un po’ strano da parte sua, visto che non aveva mai avuto tanta empatia verso suo fratello. Lo comprendeva perché era esattamente così che si era sentito lui quando aveva lasciato l’Inghilterra; in vita sua aveva sempre avuto la brutta sensazione di essere rimasto imprigionato e l’ebbrezza della libertà, il suo richiamo irresistibile, era stato troppo forte. Quello non era fuggire come un vigliacco e lui questo non lo metteva in dubbio.
Si accorse solo in quel momento che, andando avanti con il discorso, entrambi si erano completamente scordati della ragione per cui si trovavano faccia a faccia
–Sai- fece un sospiro –Non ho mai avuto bisogno della tua commiserazione, ma non so perché…ho paura che non accetterai mai quello che sono. – si sedette sul selciato ruvido incurante del fatto che il pietrisco del cortile era un terreno troppo scomodo a cui non era abituato.
 Ian, stranamente, lo imitò.
Entrambi guardavano l’orizzonte -Intendi il fatto di essere checca?- domandò con una punta di disprezzo Ian –Forse.-
Rimasero in silenzio, senza dirsi nulla. Era un epilogo un po’ strano, quello.
Di certo nessuno dei due si sarebbe aspettato che la notizia di Arthur e Francis avesse portato a quella circostanza, a loro due che ammiravano il tramonto come due soggetti che non avevano più parole da scambiarsi.
-L’amicizia tra me e David è finita proprio per questo, - riprese a parlare dopo un po’ e Arthur sentì il suo sguardo sopra di lui –Non so se ho sbagliato io o è sbagliato lui. Ma una cosa è certa: è finito tutto.-
Non seppe mai interpretare quella risposta.
 
 
 
Un mese dopo,
 
Più li guardava, più Hannah non capiva come fossero arrivati quei due a quel punto. Confessava, tra sé e sé, che quella situazione le faceva schifo.
Un po’ aveva sperato che Ian avesse reagito con più intransigenza alla notizia che loro fratello era gay, ora le dispiaceva un po’ di essere colei che aveva meno metabolizzato la faccenda -Non eravate costretti ad accompagnarmi all’aeroporto. – disse con un tono apatico
-Ma, zia Ann, dovevamo salutarti per bene!- gli fece notare Alfred, seduto vicino a lei, un po’ offeso dall’antipatia che stava dimostrando la zia.
Lei lo guardò e gli spettinò i capelli con una mano –Cerca di non diventare come tuo padre. – scoccò un’occhiata maligna verso Arthur, che in quel momento stava guidando. Francis, accanto a lui poggiò una mano sopra la sua spalla, quasi avesse voluto dirgli “Non farci caso”.
Arrivare all’aeroporto non fu difficile.
-Salutami tutti. – le disse addio Arthur con freddezza, prima che la sorella entrasse per fare il check in
-Controlla Ian, piuttosto. – gli fece eco lei –E non cominciare a metterti il rossetto. –
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo –Sono solo stupidi cliché– aveva un tono di voce talmente risentito che, nonostante non approvasse la sua omosessualità, Hannah sorrise
-Saranno anche stupidi cliché, ma io dico sul serio. – con la coda dell’occhio guardò Francis, che intanto era rimasto con i bambini ad una distanza piuttosto lunga da loro. Era per donargli un momento da soli, l’aveva capito.
-Non è poi così male. – aggiunse controvoglia, riferendosi al francese –Peccato che…- guardò il fratello, il resto della frase era più che eloquente
“Non posso accettarlo perché tu sei mio fratello. Eri qualcuno da ammirare, per me, adesso ai miei occhi sei semplicemente scaduto” avrebbe voluto confessargli questo, ma detto così le sembrava troppo stupido. Anche quella volta, l’ultima cosa che aveva detto ad Arthur, era stata una cattiveria
“Ricordati di potare i cespuglietti”, “Non cominciare a metterti il rossetto”.
Lei era fatta così, non era un mistero per nessuno.
-Un po’ mi mancherà. – confessò Matthew quando la figura della zia Hannah scomparve definitivamente
 -Già, diceva cose simpatiche a volte- aggiunse Alfred.
 Francis invece non disse nulla, si limitò semplicemente a stringergli la mano e a sussurrargli ad un orecchio –Dai, torniamo a casa. -



 
 
 
 
 
Ok, ragazzi, questo è il penultimo capitolo. Non ci posso credere, il prossimo è l’ultimo. Un solo capitolo e questa fic è finita…oddio è surreale 0_0
Ringrazio coloro che hanno letto e leggeranno. Chi mi ha amato e chi mi ha odiato per questo. Alla Alice, che ci ha scritto una parodia sopra (“Are you really sure that this is our father?”) e che mi ha consigliato tanti spin of che potrei fare. Tutti quelli che hanno messo questa storia tra le seguite/ricordate/preferite/tutte e tre le cose. A chi l’ha recensita. Alla mia beta che non ringrazierò mai abbastanza, temo e ai Pink Floyd, perché a volte sono stati molto più di aiuto loro che il mio cervello!
Detto questo…ci vediamo per l’ultimo capitolo, se volete :D
A presto,
Cosmopolita
   
 
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