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Autore: Hati    09/04/2013    1 recensioni
«Mio padre David Brennan e mia madre Karen McBridge Brennan hanno avuto una sola figlia, Enid Brennan. È nata il 5 Aprile del 2000, in piena notte...» mormorò con la medesima, sofferta convinzione: «Io non sono nata. Io non esisto più.» finì soffocando un singhiozzo: «Ora, capisci?»
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Piccolo edit del capitolo. 'Ehi, ma dove sono tutti gli altri?' domanda il lettore indispettito. Arrivano col prossimo capitolo, muovere Dilys è stato un po' ostico e mi sono presa il lusso di ben due capitoli. Ringrazio chiunque legga e anche chi avrà la gentilezza di lasciare un commento.
Spero che la storia possa divertirvi.


Indizi nel vuoto

   Dilys Brennan non difettava di spirito pratico: si era equipaggiata con uno zaino robusto in cui aveva piegato cinque paia di slip e reggiseni femminili, tre magliette di cotone leggero a maniche lunghe, un cardigan e un maglione dolcevita, c'erano anche due paia di jeans e una tuta semplice che avrebbe potuto usare come pigiama; i libri erano stati adagiati sul fondo insieme a un quadernetto a quadretti e a uno stazzonato astuccio rosa, coperto di dediche tipicamente adolescenziali per Dilys, anzi per 'Lys' come la chiamavano i compagni di classe.
Sherlock svuotò il contenuto delle tasche, la ragazza aveva preso un chiodo arrugginito da usare per difesa ma l'aveva come dimenticato fra gli scontrini, non trovò neppure il telefono cellulare ma soltanto un ipod scarico.
In bagno, l'acqua stava ancora scorrendo e Sherlock immaginò di avere abbastanza tempo per una ricerca veloce: rimise tutto in ordine, tranne le ricevute che appoggiò sulla scrivania vicino al computer portatile, si sedette con un'idea precisa.
Sherlock spostò l'attenzione sugli acquisti della ragazza: il primo risaliva a quattro giorni addietro, si trattava di una bottiglietta d'acqua naturale e di una barretta energetica, da quel momento sembrava essersi nutriva unicamente di toast accompagnati a bevande calde. Doveva aver risparmiato per acquistare i biglietti ferroviari, quindi si era accontentata dell'acqua potabile alle fontanelle e dei dolcetti alle macchinette automatiche nelle stazioni, nelle cui caffetterie consumava i pasti.
In quei quattro giorni, si era mostrata acculata nelle finanze e discreta nel restare in luoghi mediamente affollati ove passare inosservata; non aveva mai speso una sterlina dopo le dieci di sera, onde evitare che una cameriera annoiata magari con una figlia della sua stessa età potesse ricordarsi l'incontro, non faceva colazione prima delle sette del mattino per la medesima ragione. Era un comportamento maturo per una quindicenne.
La sua ipotesi sembrava prendere corpo, accantonò i pezzi di carta per cercare altrove, perché tanti accorgimenti potevano soltanto significare che Dilys fosse cercata ardentemente da qualcuno eppure nessuno aveva denunciato alla polizia la sua essenza e nessuna delle ventuno minorenni scomparse durante la settimana le somigliava; Dilys Brennan non era iscritta nei tre principali istituti superiori di Bristol, né aveva un profilo su Facebook o un account di Twitter.
Sapeva di aver compiuto un'osservazione superficiale, frettolosa eppure si sentì punto sul vivo, se non deluso era insoddisfatto.
'Ha mentito.' concluse, massaggiandosi il mento: 'Ha mentito, senza che io me ne accorgessi?'
La prospettiva lo fece irrigidire sulla sedia; non poteva sopportarlo perché c'era una differenza abissale fra gli intrighi di Irene Adler e le bugie di una ragazzina spaventata, anche se tanto intimorita non gli era sembrata, perché desiderava avere più tempo a disposizione per analizzare la situazione ma lei aveva spento il fon chiesto in prestito e stava ritornando nello studio.
Sherlock abbassò lo schermo del portatile, alzò la testa per focalizzarsi sulla ragazza, ora immobile sulla soglia come in silente attesa: calzava delle ballerine lucide dello sgargiante verde menta della felpa che indossava sopra a dei semplici jeans, i capelli rossi avevano dei brillanti riflessi dorati e la carnagione era pallida, aveva le mani coperte da leggeri guanti di raso color cipria. Non ritenne opportuno spezzare il silenzio, infatti, fu lei a prendere la parola con la sua voce armoniosa, d'una dolcezza che suonava spontanea.
«Ho dovuto lasciare alcune cose in bagno, ma lo libererò presto.» disse, come a volersi scusare.
Sherlock abbozzò con un semplice cenno del capo, tentò di vedere il torbido negli occhi grigi della sconosciuta, invano.
«Ti ringrazio.» proseguì, piegò gli angoli della bocca in un sorriso lieve: «Sei stato il primo a offrirmi un po' di aiuto.»
Sherlock chiude i pugni davanti alle labbra, così che potesse confrontarsi solamente col suo sguardo: «Sono la prima persona da cui l'hai cercato.» ribatté con durezza: «Mi hai riconosciuto al bar, mi hai seguito in strada.»
La giovane era perplessa, restò vicino allo stipite con le braccia lungo i fianchi: «Ti sbagli.» rilevò calma, non era offesa: «Ho detto che andare alla Polizia sarebbe stata una perdita di tempo, ma non volevo che ti sentissi in dovere di darmi una mano. Se ricordo bene, non sei neppure un esempio di altruismo!» esclamò facendo scattare le sopracciglia.
Sherlock esitò per un secondo, colpito più di quanto avesse immaginato da quella frase sferzante, lei se ne accorse, se ne pentì.
«Scusami.» mormorò, intrecciò le dita all'altezza del grembo: «Io sono in debito e tu hai tutte le ragioni del mondo per... Dubitare.»
Non c'era alcun artificio, nessuna sfumatura ambigua, nessuna titubanza dettata da un turbamento, era sincera.
Sherlock non si fece commuovere, allargò le mani in un gesto teatrale: «Se vuoi un aiuto reale, gioca a carte scoperte. Ti va?» era una richiesta retorica, lei fece un profondo respiro: «Levati i guanti.» le ingiunse.
«Se mi rifiutassi?» temporeggiò, finalmente la vide mostrare un'incrinatura.
«Ti pregherei di uscire da questa casa.» ribatté freddamente lui: «Non amo essere preso in giro.»
Lei abbassò le palpebre, come se fosse sul punto di spezzarsi completamente: «Io non ti ho preso in giro.» obiettò stremata.
«Dimostralo.» le ingiunse perentorio, senza darle un segno di consolazione, perché più vulnerabile sarebbe stata più semplice sarebbe stato estrapolare la verità dalle sue mezze affermazioni.
Lei sollevò l'indice destro indicando il computer: «Non troverai le prove.» disse con un sospiro che sembrò svuotarla di ogni emozione.
«Dimostralo.» ripeté Sherlock, anche se era tutt'altro che annoiato, finse il contrario.
«Io sono Dilys Brennan.» affermò decisa, alzando la testa, raddrizzando le spalle con una sorta di orgoglio: «Sono nata il 24 Gennaio 1998 a Wicklow Town, in Irlanda. Sono stata battezzata secondo il rito cattolico il 12 Febbario 1998: la madrina era la migliore amica della mamma e suo marito. Mi sono trasferita a Bristol nel Marzo del 2005. Studio alla  St Bede's CatholicCollege.» concluse senza esitazioni, osservandolo non con sfida ma con dignità.
«Non risulti iscritta, né ritirata alla  St Bede's CatholicCollege.» valutò Sherlock, non aveva ancora controllato gli istituti religiosi ma questo lei non poteva saperlo.
Dilys sbatte le ciglia, per un attimo credette stesse per piangere ma non sembrava avere più lacrime da versare, deglutì come se parlare fosse un impegno superiore alle sue forze: «Ho la testa in fiamme.» sussurrò piano, sfiorandosi la fronte.
Sherlock fu sul punto di offrirle qualcosa di più sostanzioso di un tea, ma Dilys fece ricadere il braccio con un movimento d'abbandono, tornando a lui.
«Mio padre, David Brennan e mia madre, Karen McBridge Brennan hanno una sola figlia che si chiama Enid Brennan; lei è nata il 5 Aprile del 2000... In piena notte.» mormorò con la medesima sofferta convinzione: «Io non sono nata. Io non esisto più.» finì soffocando un singhiozzo: «Ora, capisci?»

  
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