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Autore: Bombay    29/08/2004    6 recensioni
Non ho mai avuto problemi a svolgere il mio lavoro. Però quella volta esitai.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Etrom

Genere: drammatico, sovrannaturale, romantico

Tipo: one shot

Personaggi: Thomas Anthony Ford, Etrom

Coppia: yaoi

Pairing: EtromXThomas

Rating: PG-17, arancione

Avvertimenti: slice of life, angst, tematiche delicate, death-fic

PoV: prima persona

Disclaimers: i personaggi sono frutto della mia fantasia, personaggi ed eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Etrom

 

Non ho mai avuto problemi a svolgere il mio lavoro. Quella volta esitai.

 

Sono passati molti anni da quel giorno, eppure soffro ancora.

Io che dovrei essere insensibile e, soprattutto imparziale, mi sono lasciato travolgere dai sentimenti.

Significa questo essere innamorati? Vivere e struggersi nel ricordo di una persona che non c’è più? Che ha lasciato questo mondo con il volto e l’animo sereno di chi comprende ed accetta il suo destino, non con rassegnazione, ma con la tranquillità di chi conclude un viaggio?

Il vento mi scompiglia i capelli, ricordo quel giorno come fosse ora.

 

Dovevo svolgere il mio incarico, come sempre: arrivavo e conducevo il soggetto designato via con me.

Lo avevo fatto sempre, per lunghi anni, senza ripensamenti o intoppi.

Quella volta dovevo portare con me un ragazzo, il quale non aveva ancora compiuto vent’anni, ma l’età non mi ha mai condizionato, ho accompagnato con me bambini appena nati e con loro, a volte, madri molto giovani.

 

Era una bellissima giornata di sole, nel parco molte persone trascorrevano in modo diverso quel sabato pomeriggio: intere famiglie, gruppi di ragazzi che giocavano a pallone, madri che portavano a spasso i loro bambini, giovani che si allenavano, coppie di innamorati che passeggiavano tenendosi per mano. Un giorno qualunque, in una città qualunque.

Un ragazzo correva, solo, sulla pista adibita alla corsa, quando si fermò a prendere fiato. Si tolse gli occhiali dalla leggera montatura e si passò la maglietta sul viso detergendosi il sudore.

Alto, forse un po’ troppo magro, i capelli corvini portati un po’ lunghi. Mi avvicinai a lui con passo deciso. Subito si accorse di me, mi osservò sorridendo.

In quel momento, in un solo istante, compresi di aver perso me stesso, perduto in quegli occhi neri e profondi, per sempre.

“Ci conosciamo?” mi chiese.

“No.”

Non potevo esitare, dovevo portare a termine il mio dovere, subito!

Si portò una mano alla fronte piegandosi in avanti, ed io, istintivamente, lo sostenni.

“Tutto bene?” domandai, sapendo bene che non era così. Chi meglio di me poteva comprendere?

“Sì, ora passa” mi rassicurò con voce flebile, ma sicura.

Lo feci sedere sull’erba ed andai a prendere dell’acqua. Perché stavo facendo tutto ciò? Mi interrogai, ma non seppi subito darmi una risposta o, forse, non volli.

“Grazie. Da qualche giorno mi vengono degli improvvisi mal di testa e violenti capogiri. Devo decidermi ad andare dal medico” spiegò, con la confidenza che si riserva ad un amico di lunga data.

“Come ti chiami?” domandai anche se possedevo molte informazioni lui.

“Thomas Anthony Ford e tu?”

Aprii la bocca per rispondere poi la richiusi, Thomas reclinò il viso di lato in attesa.

“Etrom” mormorai quasi con timore. Nessuno, fino ad ora, mi aveva mai posto questa domanda.

“Etrom? Che razza di nome è?”

“Un nome come un altro” ribadii ridendo. Quel giorno non lo portai con me.

 

Il mattino seguente lo incontrai ancora, deciso e risoluto a portare a termine il mio incarico, ma non lo feci e nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora. Continuavo a rimandare, perché?

Più lo conoscevo e più… non sapevo cosa pensare, cosa fare, come comportarmi. Ero confuso e inquieto.

 

Passò così un mese nel corso del quale ci incontrammo quasi tutti i giorni. Thomas era espansivo e dolce, mi raccontava di sé, della sua famiglia, degli studi e dei progetti futuri.

Io, invece, creavo menzogne su menzogne di un passato fittizio, di legami mai esistiti.

 

Ci frequentammo, ci conoscemmo, ci innamorammo.

 

Non potevo credere a quello che stava accadendo, mi sembrava un sogno, ma ero ben conscio che, tutto ciò, non poteva perdurare, dovevo mettere fine alla nostra relazione; non potevo oppormi a Destino, non potevo indugiare ancora, non mi sarebbe stato permesso, già troppo spesso ero venuto meno al mio dovere, qualcun altro avrebbe svolto questa incombenza.

Non potevo permetterlo. Dovevo essere io, io soltanto a condurlo via.

 

Quella sera cenammo insieme, a casa di Thomas. Mi aveva invitato poiché che i suoi genitori erano fuori città per tutto il fine settimana. Aveva cucinato per me.

Finito di sistemare la cucina, Thomas mi baciò e mi condusse nella sua stanza al piano superiore.

Lo baciai, rimandando ancora una volta la mia missione.

Ci amammo quella notte, fino al mattino, ci fermammo solo quando i nostri sensi ed in nostri corpi furono appagati.

Quella notte conobbi l’essenza della felicità, dell’amore, della vita.

Sì, mentre i nostri corpi si univano e si fondevano in un unico essere, un’unica anima ed un’unica mente, sentii la vita palpitare in me, in lui più forte e luminosa che mai.

Fu un’esperienza nuova, violenta, travolgente: irripetibile.

 

Però, più si approssimava l’alba, più sentivo dilagare dentro di me l’angoscia. Dovevo dirgli la verità, lo avevo ingannato troppo a lungo. Sapevo che, nel momento stesso in cui gli avessi rivelato la verità, lo avrei perduto per sempre.

“Thomas, ti devo dire una cosa importante” iniziai, la mia voce risuonò tremante ed insicura alle mie stesse orecchie.

I suoi occhi neri si fecero attenti e curiosi.

“Ti ho mentito.”

“Non mi ami?” domandò allarmato. Era questo, dunque, ciò che temeva di più.

“Sì, più di me stesso, questa è l’unica verità che ti ho detto, ma è giusto che tu sappia chi sono in realtà.”

“So chi sei” mormorò sorridendo dolcemente, lasciandomi senza parole, sistemandosi sopra di me.

“Non sai quello che dici” mormorai, eppure lessi nei suoi occhi scuri che conosceva la verità da molto tempo, forse fin dal primo giorno.

“Etrom non è il tuo vero nome, tu sei…”

Posai le dita sulle labbra. No! Non ero pronto. Lo sarei mai stato?

“Non dirlo!” gridai “Non dirlo altrimenti…” lo ammonii disperato, ma Thomas scostò la mia mano dal suo viso posandola sul petto all’altezza del cuore che pulsava lento e regolare.

“Morirò” concluse, con una calma ed una serenità che mi raggelò. Le lacrime mi salirono agli occhi e piansi.

Piansi per la prima volta nella mia lunga e solitaria esistenza.

Mi asciugò le lacrime con le labbra, infine mi baciò con dolcezza racchiudendo in quel gesto tutto l’amore che provava per me.

“Sai, sono stato dal medico, due settimane fa, mi ha diagnosticato un tumore al cervello. Secondo lui è un miracolo che sia ancora vivo. Non c’è molto da fare, un intervento è impossibile e le cure mi allungherebbero la vita, ma non di molto, soffrendo…”

Mi scostò i capelli scuri dal viso.

“Facciamo l’amore un’ultima volta.”

Non seppi dirgli no. Così ci unimmo in un amplesso lungo, travolgente, colmo di passione, tristezza, amore, dolore.

“Sono felice di averti conosciuto” mormorò accarezzandomi le labbra con le dita.

“Non ho paura di morire, perché sei tu a condurmi via.”

Scossi la testa, mai incarico fu per me così penoso ed ingiusto, ma ero già venuto meno ai miei ordini troppo a lungo, dovevo essere imparziale, ma con lui mi era impossibile.

“Ti amo, Morte…” alitò sulla mia bocca.

Sentii la vita scivolare via dalle sue membra, la sua anima scorrermi tra le dita come sabbia dorata.

Rimasi ore a piangere con il corpo esanime di Thomas stretto al petto, ripetendo il suo nome e quanto lo amavo.

 

Venni rimproverato e punito da Destino per la mia negligenza, ma non mi importava, se mi avesse condannato all’oblio eterno ne sarei stato più che felice, ma così non fu.

La mia punizione è questa: continuare a esistere, ricordare, soffrire… amare.

Solo questo mi resta.

Solo questo per l’eternità.

Ho conosciuto l’amore, l’ho vissuto intensamente e l’ho perduto.

Ogni anno vengo in questo cimitero, davanti alla lapide che porta inciso il nome dell’uomo che ho amato ed amo ancora. Il solo.

 

Thomas A. Ford

15 dicembre 1985 - 15 maggio 2004

   
 
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