Videogiochi > Final Fantasy X-2
Segui la storia  |       
Autore: past_zonk    09/04/2013    3 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
TU CREDEVI MI FOSSI SCORDATA DI FARTI UN REGALO PER IL COMPLEANNO?
O che non ti facessi niente?
Eh no, Michi, eeeeh no, non potevo non pubblicartela oggi, non potevo, e anche se sono giusto in tempo (le 22.41), penso valga lo stesso. Per iniziare un nuovo anno d'età al massimo e nella maniera più fangirl possibile, eh?
Notata la icon di Jecht qui? Tutta per te!
Insomma, forse questo capitolo è OOC, forse è troppo fluff, forse è una grossa e grassa sega mentale, però è dedicato a te (come tutta la storia, ma dai!), ed è questo che conta.
Nothing else.
Ti  voglio bene, davvero.
Per tutte le chiacchierate.
Per essere me.
Per amare Jecht.
<3
Augurissimi, elfetta!
Silvia.







 


Jumpin’ in a dream – capitolo ottavo.
Memory of the lightwaves.

 
 
 
Quella notte, nella stanza poco illuminata della locanda, Rikku non riusciva a prendere sonno.
Era stesa, supina, l’avambraccio a coprire la fronte, e cercava di concentrarsi sul russare di Jecht per cercare di ingannare la sua mente e non pensare a quello che stava pensando da quel pomeriggio, ininterrottamente.
Auron.
L’aveva.
Baciata.
Ridacchiò tra sé al ripresentarsi del pensiero. Il cuore le salì in gola, come se fosse una cena pesante rimasta sullo stomaco. Per Rikku essere innamorata era come avere il sistema digestivo gravemente danneggiato.
Auron l’aveva baciata.
Eccolo che ritornava! Rikku ridacchiò ancora e si coprì gli occhi con le dita, alzando le gambe in alto.
Era impazzita, certo, ma le sensazioni erano ancora vivissime: era come se il tempo si fosse fermato, da quel pomeriggio. Se chiudeva gli occhi sentiva ancora le labbra di Auron sulle sue, e allora il sangue le scorreva al contrario nelle vene e lo stomaco le si contorceva. E poi c’era anche l’elemento sghignazzante: ogni volta che ci pensava, non poteva fare a meno di scoppiare a ridere da sola.
Che fosse l’inizio di un rimbambinimento definitivo?
Insomma, Auron l’aveva baciata!
Strinse le labbra così forte da farsi male, ma non poteva permettersi di ridere. Non lì, almeno, con Jecht addormentato nel letto affianco.
In effetti, ora che ci pensava, non era di solito accoppiata con Auron in stanza? (lo stesso Auron che quel pomeriggio l’aveva baciata, signori!)
“OK BIONDINA UN ALTRO SGHIGNAZZIO E GIURO CHE TI FACCIO DORMIRE NELLA VASCA!”
Rikku saltò dalla paura, squittendo e spalancando gli occhi su un irritato Jecht.
“S-scusa” disse piano, prima di rigirarsi nel lenzuolo e dare le spalle all’uomo. Doveva dormire. DOVEVA. DORMIRE.
“Ehi, pensi forse di scampartela?”
Rikku fece finta di dormire, modulando il respiro in maniera più pesante, ma in realtà aveva gli occhi spalancati sul muro chiaro della camera.
“Uhmpf, vorresti ingannarmi? Si vede proprio che non ti senti quando dormi” disse il blitzer.
“Cosa intendi?!” Rikku saltò a sedersi e si voltò subito verso il letto di Jecht.
“Beh, voglio dire che di solito di notte…russi
“Stai mentendo!” Rikku lo additò con sguardo terrorizzato “stai mentendo!”
L’uomo rise forte.
“Macchè!”
“Non hai mai dormito con me, non puoi saperlo! Volevi solo farmi girare!”
“Si da il caso, biondina dall’IQ imponente, che un certo sterminatore di allegria me l’abbia riferito”
Rikku ridacchiò spaventata, la faccia in realtà una maschera di terrore “No…non è possibile”
Fu come se un alone bluastro avesse invaso la sua parte di stanza. Abbassò la testa, mormorando qualcosa fra sé e deprimendosi.
“Allora! Mi dici che cacchio hai da ridacchiare da tre quarti d’ora?” investigò il moro, avvicinandosi, curioso.
“Russare…io…lui…ha detto…io…russare…” Rikku continuava imperterrita la sua tattica di auto-convincimento depresso.
Jecht sbuffò impaziente “Senti, palla di treccine eretica, mi hai svegliato da un sogno stupendo, ed ora mi devi delle spiegazioni”
Rikku parve riprendersi “Spiegazioni? Cosa? Non ho fatto niente di male!” urlò, visionaria.
Davvero, poteva anche candidarsi a Miss rimbambita dell’anno.
Perché doveva farle quell’effetto, quell'idiota? Quasi le veniva voglia di ringhiare dall’irritazione.
“Ahhh!” Jecht rimase in silenzio e la osservò  con faccia eloquente, come una vecchia zia pettegola. 
“Jecht”
“Rikku”
“Sul serio”
L’uomo alzò le mani, il volto che cercava di sopprimere un ghigno “Sul serio” ripeté.
Rikku sospirò.
“È Auron, vero?”
Gli occhi di Rikku distolsero lo sguardo.
No, non farlo! Distogliere lo sguardo è come assentire, stupida!
“Ok, lo prendo come un sì” ecco! “Vuota il sacco.”
“Jecht…” disse Rikku, guardandolo profondamente negli occhi. Non è che non si fidasse di lui, anzi, un mese e più di convivenza forzata e di sangue condiviso combattendo li aveva fatti avvicinare, ma…ma, ecco, no. Non poteva permettere che quella storia uscisse. Sarebbe stato come tradire la fiducia di Auron – quel piccolo pezzetto di fiducia che aveva guadagnato con sudore e lacrime; perché Rikku l’avrebbe difesa con artigli e zanne, quella piccola stilla di fiducia che Auron le aveva concesso. E sarebbe cresciuta, da seme ad albero vigoroso, ne era certa. Perché quando il sangue di due persone scorre vicino, non c’è altra alternativa che fidarsi, fidarsi, fidarsi completamente; Rikku lo sapeva. Quando si combatte schiena contro schiena, si maledicono le stesse ferite, quando si ha un nemico comune, le diversità si dissolvono, si sgretolano.
Lo sentiva, in battaglia. Era come se ognuno affidasse la propria vita nelle mani dell’altro. Lei, Auron, Jecht, Braska…
“Rikku” lo sguardo di Jecht era serio, serissimo “Rikku, non dirò niente”
“Perché lo vuoi sapere?” chiese lei.
“Per aiutarti, darti consiglio, niente più” sorrise l’uomo.
Rikku rispose al sorriso stirando anch’ella le labbra.  Poi si gettò in un’accurata cronaca dei fatti successi quel pomeriggio.
Doveva ammetterlo, il cuore le si alleggerì, parlando.
Poco prima di addormentarsi, però, ripensò ai patti stretti con Braska. Sarebbe dovuta rimanere lì alla Piana... Nessuno a parte Auron aveva fatto cenno alla questione, né Braska le aveva chiesto di diventare sua guardiana... Rikku era decisamente confusa. Forse il giorno dopo le cose si sarebbero chiarite. Ma cosa avrebbe fatto, nel caso Braska avesse deciso di congedarsi e lasciarla lì? 
Rikku si strinse nel lenzuolo e cercò di riposare. I tuoni della piana non furono gli unici a scuoterle l'animo quella notte. 
 
 
Braska bussò alla porta di Jecht e Rikku che era l’alba.
Rikku aprì la porta assonnata e salutò con un piccolo sorriso l'invocatore. Braska sporse la testa oltre la porta, a osservare Jecht. L'uomo di Zanarkand dormiva scomposto, come se avesse combattuto una guerra con i suoi cuscini. Rikku seguì lo sguardo di Braska.
"Non preoccuparti, gli faccio far presto," affermò.
"In realtà, Rikku, ero venuto a parlarti di una cosa." 
L'invocatore pareva nervoso, triste. Rikku sorrise malinconica "Braska..." 
"Vuoi continuare il viaggio con noi?" 
"Braska..." Rikku era decisamente stupita.
"Lo so... è un peso e una responsabilità, ma non posso ignorare l'importanza che la tua presenza ha avuto per noi ultimamente. Mi spiace doverti costringere a una scelta invece che lasciarti libera fra il tuo popolo."
"Braska!" 
L'uomo non le lasciava il tempo di rispondere. Rikku avrebbe voluto urlare mille sì, ma l'invocatore continuava come un treno in corsa!
"Inoltre... se tu decidessi di continuare come mia guardiana non so se sarebbe consono diffondere la notizia e presentarti ufficialmente in quanto tale... dovrò pensare a un modo nel caso, e sicuramente un po' alla volta tutti si convinceranno del tuo valore, ma per ora non saprei proprio come spiegare al tempio, quindi dovrai insomma... nascondere... per un po'... le tue radici..."
"BRASKA! ACCETTO! E' UN ONORE! SMETTILA DI CIARLARE!" 
Non le importava cosa avrebbe pensato Auron, né cosa le aveva suggerito di fare. Questa era la sua storia, ora! 
Rikku strinse forte l'uomo in un abbraccio, Braska si irrigidì, ma sorrise. 
Jecht, seduto e scapigliato dal suo letto lanciò una scarpa di tela verso i due "Porco Blitzball!!"

Fecero colazione tutti insieme. Rikku scrutava Auron in silenzio, chiedendosi se fosse furioso con lei. 
Passò l'intero pasto a fare così, spaventata. 
Poi Auron la guardò negli occhi "Fra guardiani non ci si dovrebbe tenere all'oscuro di cose. Hai qualche problema?"
Rikku sorrise il più grande dei suoi sorrisi. Fece di no con la testa. 
Auron alzò l'angolo delle sue labbra, e continuò a mangiare la sua zuppa.

Gli occhi di tutti si fermarono con nostalgia sulla locanda, prima di avviarsi.
C’era nell’aria una malinconia profonda; si rifletteva negli occhi di tutti e quattro. Braska osservava tutto quasi con voracità, incamerando dentro sé le immagini di quell’alba che non si vedeva, coperta dalle nuvole perenni della Piana, ora di un colore leggermente più chiaro. Negli occhi di Auron c’era solo Braska; la paura di perderlo, il senso di colpa al pensiero di star conducendo il suo migliore amico in una morte quasi certa.
Jecht sembrava stesse pensando a casa sua, malinconia nei suoi tratti.
Mentre la pioggia bagnava gli abiti e i capelli dei pellegrini, la nostalgia metteva un sigillo sui loro cuori.
Rikku conosceva bene quella sensazione. Era la stessa che si spianava sui loro spiriti durante il primo pellegrinaggio, quando Yuna osservava cieli e terre che non sarebbe più stata in grado di vedere.
Per la prima volta da quando era stata catapultata in quella dimensione, Rikku pensò a cosa stava andando in contro.
Era tutto più grande di quanto pensasse: non si trattava solo di lei ed Auron, oppure delle sue piccole tragedie personali, ma di qualcosa di molto più grande e pericoloso…si trattava di Braska. Del pellegrinaggio. Rikku avrebbe dovuto affrontare un altro viaggio verso la morte, avrebbe dovuto combattere di nuovo contro gli stessi malsani ideali che già una volta – insieme a Tidus, a Yuna, a lui – aveva cercato di fermare, di abbattere. Si chiese se forse ne sarebbe uscita annichilita per davvero, questa volta.
Deglutì, e comincio a camminare nella pioggia.
Auron era impacciatamente al suo fianco.
 
 
 
“Rikku! Sulla destra, granate sul fianco. Jecht, haste! Braska in back line, presto!”
“Auron! Ho ancora MP, posso combattere!”
“IN BACK LINE HO DETTO!”
“Ed io?” chiese Jecht.
“Occupati di quell’occhio maledetto!” disse Auron, rivolgendosi all’occhio volante, e sapendo che Jecht l’avrebbe potuto buttare giù con soli pochi colpi.
Rikku lanciò due granate sul fianco destro del dragone che gli abitanti della Piana chiamavano Kusarik. Era una razza molto diffusa da quelle zone, ma non per questo meno temibile. Quest’esemplare, poi, era maturo abbastanza da riuscire a bloccare loro la strada.
Auron caricò con uno dei suoi attacchi antiscutum sul mostro scatenato. La spada sfiorò il fianco del drago, ma subito un colpo di coda fece rimbalzare il ragazzo all’indietro.
Il guerriero sbatté la testa sul duro suolo della Piana.
“Auron!” urlò concitata l’albhed, prima di frugare nel suo zainetto e lanciare una pozione sul ragazzo.
Auron annuì verso di lei, in qualche modo grato. Poi si rialzò.
“Auron, distrailo frontalmente mentre io l’acceco!” suggerì Rikku, mostrando al ragazzo una blindogranata.
Con molto stupore della ragazza, il guerriero annuì e cominciò a mettere il piano in azione, concentrando per un attimo la sua energia.
Quando si lanciò verso il dragone, schivando molti dei suoi colpi grazie al ciondolo di Rikku (che gli applicava una velocità tale da schivare qualsiasi cosa, tranne colpi frontali e impossibili da sfuggire), riuscì a colpirlo sul fianco.
Proprio mentre il dragone gemette, Rikku lanciò la blindogranata. Era finita.
Auron scagliò i colpi finali con la sua solita maestria.
Rikku si accovacciò, stanca, tenendosi le ginocchia tra le braccia e sospirando forte, zuppa di pioggia. Un tuono la fece rialzare.
Proprio mentre Jecht urlava vittoria, altri ruggiti scossero l’aria.
Erano altri dragoni.
“Cazzo” sibilò Auron.
Ne erano due: li accerchiarono, e sembravano anche abbastanza irritati.
“Secondo me son parenti a quello stecchito!” urlò Rikku, lanciando uno sguardo preoccupato ad Auron.
Il ragazzo gettò la testa all’indietro, sospirando vistosamente. Poi si alzò in piedi, con la sua spada, e si lanciò spavaldamente verso i due kusarik.
“Auron!”
Fu veloce. I suoi movimenti rasentavano la perfezione, tagliavano l’aria, sibilavano.
Auron stringeva l’elsa come per tenersi cara la vita.
Auron danzava, non combatteva.
Schivò i colpi di coda di uno, accovacciandosi e lanciando in aria la katana, che poi recuperò giusto in tempo per infilzare il mostro nell’addome.
Braska lanciò un protect al guerriero, Jecht lo velocizzò.
Nonostante il colpo all’addome, il mostro era in piedi, e pareva avere ancora intenzione di combattere fino alla fine. Auron si fermò un attimo, come se stesse pensando, si deterse il sudore dalla fronte e sospirò; fu in quel minuscolo lasso di tempo che Rikku fu capace di prevedere l’attacco del nemico, e si lanciò addosso ad Auron, spostandolo dalla traiettoria dell’attacco e salvandogli quasi la vita.
Non poté negare d’essersi sentita un tantino delusa; l’Auron che conosceva lei non avrebbe mai fatto un tale passo falso sul campo di combattimento. Non avrebbe perso la sua freddezza, e soprattutto non si sarebbe fermato a sospirare. Forse, però, era anche vero che l’Auron che conosceva lei era quello forgiato da molti dolori, primo fra tutti la morte di Braska, e l’ineluttabile verità: Jecht era Sin, e lui doveva sconfiggerlo. Era un Auron esperto, che non aveva nient'altro che il combattimento.
Rikku ingoiò un nodo alla gola e fece finta di nulla quando il ragazzo borbottò un ‘non ce n’era bisogno’. Pensò fosse stato solo un po’ sbadato.
Il resto continuò come previsto.
 
 
Erano tutti stufi della pioggia. Per questo, quando in lontananza cominciarono a scorgersi i bagliori del Bosco di Macalania, fu come se un generale senso di sollievo fosse precipitato sul gruppo. Rikku si stiracchiò, sentendo un mal di schiena insolito, dovuto probabilmente all’umidità perenne di quel posto demoniaco.
“Ehi, c’è qualcuno sotto quella torre!” esclamò, guardando prima in direzione della torre parafulmini, e poi verso Braska.
“È una donna” disse Auron, strizzando gli occhi. Sembrava stanco.
“Forse s’è persa” fece spallucce Jecht.
“C’è solo un modo per scoprirlo”
“Non potremmo continuare dritto per Macalania? Abbiamo procrastinato abbastanza” disse con aria perentoria il giovane monaco vestito di rosso.
“Auron, sai bene che il mio scopo non è solo quello di raggiungere Zanarkand, quanto quello di infondere speranza negli altri. È un pellegrinaggio per il bene, e non bisogna ignorare alcuna occasione per aiutare il prossimo”
“Ti potrebbero far beato, zietto!” esclamò ridacchiando Rikku.
Braska alzò un sopracciglio interrogativo verso la ragazza, non capendo quell’appellativo improvviso.
“Oh, ehm, ecco, è slang. Sai, bella zio, come butta? Cose così”
“Anche quella zucchina pensante di mio figlio usa queste espressioni. Non so a cosa servano, ma di certo non vi rendono più interessanti” esclamò Jecht, particolarmente irritato. Rikku sbuffò.
“Sarai figo te” mugugnò.
Gippal, lui si che era informato su quel genere di cose, mica lei.
Braska aumentò il passo, tutti lo seguirono.
Sotto la torre parafulmine c’era la donna che Rikku aveva individuato; aveva i capelli legati in due crocchie ai lati delle orecchie, una lunga veste verde in puro stile yevonita che quasi si bagnava toccando terra, e uno sguardo spaurito. Rikku ebbe la sensazione di averla già vista da qualche parte.
Quando si avvicinarono definitivamente, capì di non essersi sbagliata.
L’impulso di balbettare il suo nome era tanto, certo, ma Rikku dovette reprimerlo: la donna si sarebbe sicuramente accorta di non conoscerla, e sarebbe stato un grosso rischio, visto anche che Jecht sospettava qualcosa. O forse addirittura sapeva che lei, come lui, non apparteneva a quella dimensione. L’uomo si dimostrava più stupido di quanto in realtà fosse.
“Salve, sono l’invocatore Braska da Besaid”.
La donna spalancò gli occhi per un attimo, poi si chinò in una riverenza, eseguendo il saluto yevonita. Rikku l’aveva sempre trovato molto elegante.
“Sono anch’io un’invocatrice. Vengo da un paesino nella contea limitrofa a Bevelle, il mio nome è Belgemine”
Braska eseguì anche lui la riverenza “Se posso, perché sei qui sola? Dove sono i tuoi guardiani?”
Belgemine si morse un labbro, preoccupata “Li ho persi”
Auron parve scuotersi “Persi? Quale guardiano si permette di perdere di vista la propria invocatrice?”
Belgemine arrossì. Rikku alzò il suo sopracciglio immaginario, non potendo in quella situazione.
“Vi offro i miei servigi” disse Auron, facendo la riverenza e presentandosi.
Sul serio, cosa aveva da essere così gentile? PFF.
Belgemine sorrise per un attimo.
“Loro sono i miei guardiani. Jecht e Auron” Belgemine portò d’istinto lo sguardo verso Rikku, perplessa. Poi notò le sue iridi, e volse lontano i suoi occhi, l’espressione indurita mentre Braska ridacchiava un po' nervoso “Lei è Rikku, viaggia con noi”.
Rikku si sentì leggermente irritata, ma accettò la definizione. Belgemine l'aveva guardata fissa negli occhi. Rikku avrebbe dovuto usare gli occhiali...
In ogni caso non riuscì a frenare l'irritazione! Lei non era una che viaggiava con loro, lei era loro amica, li aveva aiutati, in quel mese lungo, li aveva sostenuti. AVEVA SALVATO AURON DA UN DRAGONE BLU, CAZZO!
E l'aveva baciato, per inciso.
Questa volta però non ridacchiò.
Quella Belgemine non poteva certo arrivare, presentarsi, e squadrarla così…Belgemine…Belgemine era insopportabile, anche se l'aveva incontrata solo da qualche minuto; era bastato uno sguardo. Stava continuando a parlare con Braska, un espressione patetica mentre elogiava la virtù di quelle persone che avevano il coraggio di donarsi per il bene, di loro, gli invocatori, che morivano come animali al macello senza risolvere davvero qualcosa. Parlarono. Dieci minuti. Un quarto d'ora. Mezz'ora.
YEVON!
Rikku contemplò l’idea di tirarle quelle due crocchie per alcuni minuti, poi però immaginò la reazione di Auron e accatastò l’idea nella scatola delle idee malsane da non perseguire.
Le ricordava più Shelinda; quasi non sembrava la stessa invocatrice austera che sfidava Yuna a duello constatando la sua forza e dandole consigli.
Ora era irritante.
Forse…forse il vivere da non trapassati rendeva tutti un po’ più duri di spirito…
Come Auron (anche se il paragone non le sembrò molto accurato, dal momento che l’Auron giovane, aveva scoperto, era quasi più rigido di quello che aveva passato dieci anni a vagare per Zanarkand…)
Rikku si corrucciò.
Ora tutti erano sotto la torre parafulmini, ma lei s’era allontanata a riflettere per un po’, sotto la pioggia. Le faceva male la testa.
“Rikku?” la voce di Auron la chiamò. Era lì vicino, sotto la pioggia con lei. Braska e Jecht, invece, erano ancora a parlare con l’invocatrice…
“Cosa c’è?” chiese il ragazzo.
“Mh, nulla”
“Vieni al riparo”
“Non dirmi che ti stai preoccupando per me” bofonchiò l’albhed, più annoiata di quanto si addicesse alla sua personalità.
“Non abbiamo bisogno di malati da portarci dietro…” si giustificò il guerriero.
“Ah, già, io non sono una preziosa invocatrice”
“Che hai?”
“Niente” disse mettendo il broncio, a dimostrazione del contrario.
Auron sbuffò “Non sarai mica gelosa”
“Hai visto come mi ha guardata, no?” disse Rikku, colpita ancora una volta nel suo orgoglio albhed.
Auron parve oscurarsi per un istante, lei invece continuò ad osservare la pioggia, sentendo il calore di Auron vicino a sé.
“E comunque sei stato più gentile con lei in due minuti che con me per un mese intero…” aggiunse poi, a voce bassissima.
Era gelosia? Davvero? Un bacio aveva cambiato così tanto tra loro?
“Ah, quindi è questo che ti turba” Auron ridacchiò.
Come faceva ad essere così a suo agio? A Rikku pizzicavano le guance ogni volta che lui s’avvicinava, dopo quel pomeriggio. Forse per lui contava così poco che davvero non se ne ricordava più…
“Cos’hai da essere allegro quando io non lo sono?”
“Nulla” disse lui con un sorriso.
Ma cos’era, la sagra dell’OOCness? Rikku l’aveva sempre detto, doveva finirla di leggere fan fiction dal computer di bordo dell’aereonave. Peggioravano le sue condizioni mentali.
E poi, per tutti gli Shoopuf, da quando in qua Auron FLIRTAVA? Cos'era successo? Era in una mega fanfic AU infiocchettata da avvertimenti sul fluff e cartelli con su scritto "Attenzione, tra dieci miglia lago di OOCness"?
Non sono gelosa”
“E cosa allora?”
“Irritata” un silenzio si cementificò fra loro.
“Bene. Vieni sotto la torre”
“Mh”
Il ragazzo si allontanò.
Un tuono brandì l’aria.
Rikku era stufa di quella dannatissima pioggia…
 
 
Notizia felicissima: Belgemine avrebbe continuato con loro fino a Macalania, dove si sarebbe ricongiunta con i suoi guardiani. Aveva mandato Valefor in ricognizione, e così aveva avvertito con un bigliettino i suoi compagni di squadra, dicendo loro di aspettarla lì.
 “Non poteva montare il dannatissimo eone fino al bosco?” borbottò Rikku a Jecht, che era rimasto dietro con lei.
Guardava la schiena di Auron, che parlava cordialmente con la suddetta invocatrice, mentre Braska era in qualche modo pensieroso. Guardava la sua schiena, e se avesse avuto degli spilli ed una bambolina voodoo l’avrebbe infilzata.
Jecht ridacchiò “Beh, evidentemente non voleva”
Rikku ringhiò.
“Fatti valere, biondina”
“Cosa posso fare?”
“Offrigli di meglio”
L’albhed alzò gli occhi verso Jecht, spalancandoli “Tu sei un folle” boccheggiò.
“Un folle realistico!”
Le ore di cammino continuarono in silenzio.
Purtroppo non sarebbero riusciti a raggiungere il Bosco in tempo per il calare della notte, e così si sarebbero dovuti accampare e dormire, il tutto portandosi dietro l’invocatrice.
Ora Rikku camminava a passo sostenuto, affianco a Braska, osservando con la coda dell’occhio Belgemine che stava discutendo con Jecht – una discussione abbastanza unilaterale, doveva dire, visto che praticamente lei annuiva solo all’ingente numero di informazioni che l’uomo stava cercando di trasmetterle.
Auron era silenzioso, sembrava sul serio stanco.
Rikku non volle disturbarlo, così non fece niente se non sorridergli calda quando lui si voltò a guardarla.
Quando evidentemente Belgemine si fu arresa dall’ascoltare Jecht, ritornò a parlare con Auron.
“Auron, posso chiederti una cosa?” fece ad un tratto, lei.
“Certo, milady”
Belgemine fece per abbassare la voce. Evidentemente non aveva messo in conto l’udito da ladro di Rikku che, facendo finta di essere impegnata a giocherellare con Jecht, in realtà ascoltava tutto.
“Perché avete con voi…beh, sì…” si interruppe un attimo e guardò nella direzione di Rikku, che si fece trovare a ridacchiare, colpendo sulla testa il moro “…un’infedele albhed?”
Auron parve irrigidirsi un attimo.
A Rikku salì la bile in bocca.
Quando Auron rispose “È di passaggio...”, Rikku strinse i denti.
Jecht fu l’unico a vedere la sua espressione dolorante e, con una falsa risata, la abbracciò, sussurrandole nell’orecchio qualcosa come ‘non lo pensa davvero, no, non lo fa’, e sentendola bestemmiare sottovoce.
 
Due ore dopo Braska disse a tutti di fermarsi.
Era stanco, bagnato fradicio, e avevano tutti bisogno di dormire, dopotutto. Rikku, che non aveva riferito parola dopo quella raccapricciante scena, accettò di dividere la tenda con Belgemine solo per Braska, e per non causare troppi problemi, cosa che avrebbe solo avvalorato i pregiudizi di quell’ipocrita invocatrice.
Davvero non si spiegava come fosse possibile cambiare così tanto nella vita. Chissà se anche lei sarebbe cambiata, un giorno. Forse più tenebrosa, con un paio di occhiali da sole scuri e un kimono rosso…
Ridacchiò mentalmente al pensiero.
Montarono le tende sotto una torre parafulmine, e Rikku accese un bislacco debole fuoco per abbrustolire qualcosa dalle loro conserve di carne secca. Fu una cena più silenziosa del solito.
Forse era per lo stato mogio dell’albhed, o per la presenza di Belgemine, ma nessuno comunque parlò o cercò di fare conversazione (a meno che Jecht che raccontava storie alla sua carne allo spiedo valesse come dimostrazione di ‘conversazione’).
Rikku si alzò appena finito.
“Sono molto stanca, vado a dormire. Il mio turno di guardia?”
Auron si voltò verso di lei, impacciato “Stanotte è con me. È l’ultimo turno prima dell’alba. Vengo a svegliarti io”.
Braska aveva insistito che lei non partecipasse alla guardia notturna, ma Rikku era ben decisa ad aiutarli, e così lo aveva convinto, passando le notti al freddo accanto al fuoco. Di solito era sempre il turno con Jecht; l’aveva chiesto tanto per dimostrare a Belgemine che lei non era un inutile infedele albhed. Jecht voltò lo sguardo verso Auron. Evidentemente non sapeva di questo cambio improvviso dei turni.
Chissà perché Auron li aveva cambiati…
Forse le doveva parlare.
Quando Rikku si stese sul suo pagliericcio, non riusciva a pensare ad altro che al turno di più tardi.
Sospirò forte e cercò di prendere sonno. Chiuse gli occhi, e quando sentì Auron accompagnare l’invocatrice alla tenda, digrignò i denti dall’irritazione. Forse era davvero gelosa.
Belgemine entrò e Rikku aprì gli occhi, senza sorriderle né salutarla, per poi rigirarsi nel giaciglio. Si coprì fino alla testa con la coperta troppo leggera e si costrinse a prendere sonno.
 
Un albero si stagliava in mezzo al nulla.
Era tutto bianco, accecante, statico, e Rikku non lo sopportava. Al centro di questo bianco latteo, l’albero. La corteccia violastra pareva assai vecchia, e la sua chioma era di un verde molto smorto.
Rikku sapeva che era un sogno.
Mentre camminava nel bianco, aveva paura.
Ma di cosa? Non riusciva a capire…
Seduto alla base dell’albero c’è Auron, con la cicatrice ed il resto, il vecchio Auron saggio e silenzioso, e lei non sa cosa dire. Si avvicina prima con aria casuale, poi – dopo un’eternità – gli si siede affianco e comincia a contare le foglie scure dell’albero.
Solo quando è arrivata a venti foglie, lui pare volerle dire qualcosa, ma non apre bocca. Forse non può.
È allora che Rikku capisce di cosa ha paura.
Di ritornare alla sua vita. Di lasciare Braska, Jecht, il suo giovane Auron…è allora che Rikku capisce di essere perduta, forse morta, forse affogata quella notte a Besaid, forse impazzita.
È per questo che si agita, e urla il suo nome, forte, a polmoni pieni, nel buio denso della notte.
 
“Rikku!”
Un paio di braccia la scossero.
“Rikku, svegliati è un sogno, Rikku!”
La ragazza albhed aprì velocemente gli occhi, annaspando per l'aria e gettando le braccia in avanti. Tremava.
Forte.
Singhiozzava.
Quando percepì un petto avvolgerla, inspirò forte, ed era solo Auron che sentiva. Auron che permeava tutto, Auron lì con lei.
“Auron…”
Il suo odore di menta leggera, di sudore, di metallo, di sangue e sakè e polvere e fiori di campo.
Respirò in silenzio per alcuni minuti, Auron immobile, poi sentì qualcuno avvicinarsi “Sir Auron, c’è qualche problema?”
Belgemine.
Rikku aggrappò forte fra le dita la stoffa del copricapo rosso del ragazzo, le nocche che si sbiancavano.
“No, Lady Belgemine, tornate pure a dormire”
Rikku si rilassò di nuovo, ma non accennava di voler interrompere quell’abbraccio. Il cuore le batteva troppo, troppo forte in petto, e annaspava ancora un po’ per respirare.
Il sudore freddo ancora le copriva leggermente la fronte.
Ansia, ecco cos’era.
Era terrorizzata.
Non...non voleva lasciarlo andare.
Chissà cosa aveva urlato...
“Rikku” le sussurrò Auron a pochi centimetri dall’orecchio, permettendo solo a lei di sentirla. Sentì le sue labbra accanto al lobo e, nella confusione del panico, un po’ di malizia affiorò comunque “Che succede?”
La ragazza si fece ancora più piccola fra le sue braccia.
Lui era accasciato affianco a lei, il respiro corto. Forse aveva corso.
“P-possiamo…” la voce le si bloccò in gola.
Non aveva senso sentirsi così male ora, cosa le prendeva? Per un attimo pensò anche di star fingendo, per dare una sorta di schiaffo morale all’invocatrice.
“Cosa?” un altro dei suoi respiri caldi sul collo la fece rabbrividire.
“Andare fuori?”
Il guerriero annuì e, prima che lei potesse cercare di alzarsi, la issò e la prese tra le braccia.
Doveva aver urlato davvero forte, e per alcuni minuti. Ed ora, in effetti, si sentiva debolissima, immaginava fosse pallida e dovesse sembrare terribilmente spaventata.
Auron la teneva fermamente, e lei non aveva per un attimo lasciato quel pezzo di stoffa sul suo petto. Mentre uscirono nell’aria della Piana, Rikku sentì Auron annuire a quelli che dovevano essere Jecht e Braska, che mormorarono qualcosa prima di tornare nella loro tenda.
Si sentiva così al caldo e protetta…
Auron camminò fino all’altro lato della torre parafulmini.
“Rikku” il petto rombò mentre la voce intonava il suo nome.
La ragazza annuì, e si mosse, facendo cenno di metterla a terra. Il ragazzo obbedì.
Rikku poggiò i piedi nudi per terra, sentì freddo, si guardò intorno. La pioggia continuava a cadere, come sempre, ormai.
Auron spiegò una coperta accanto alla torre e si sedette. Rikku si accasciò il quanto più vicino a lui e rimase in silenzio.
“Urlavi il mio nome” disse dopo un po’ il ragazzo "E...altre cose..."
“Lo so…” non gli chiese che cosa.
Sospirò forte e si passò una mano tra i capelli. Sembrava…incerto.
“Rikku…n-non so cosa stia…”
“Niente, Auron, non sta succedendo niente. Hai un pellegrinaggio da portare avanti. Era solo un incubo, tutto qui”
Un paio di occhi color brace si fissarono nei suoi.
“Non intendevo quello”
Si voltò dall’altra parte.
Sembrava confuso, impacciato.
Entrambi guardarono il cielo della Piana per molto, tanto tempo. Il silenzio regnava fra loro, spezzato da qualche tuono, dalla pioggia e dal vento.
Da qualche singhiozzo che ancora la scuoteva.
Poi Rikku si avvicinò un po’ di più, e Auron alzò il braccio, e sempre con lo stesso silenzio e la stessa religiosità, Rikku poggiò la testa sul suo petto e si raggomitolò contro lui.
Non era molto.
Non sapeva perché la stava consolando così.
Non aveva aggiunto una parola.
Però, quando l’alba fiorì, anche se non si vedeva molto, coperta com'era da quel cielo grigio, lui la attrasse a sé, tremò per un secondo, e poi le posò un bacio sulle labbra. Leggero, impalpabile, fraterno, quasi.
E lei rimase immobile; labbra di marmo fredde, ma come quelle di certe sculture che sembrano pietra incarnata, morbide sempre e comunque. Soffici, erano soffici mentre quelle del ragazzo premevano distrattamente, facendo scontrare i loro nasi.
Non chiusero gli occhi, no, anzi, si fissarono, palpebre semichiuse che lasciavano intravedere le pupille perse in un mare di emozioni. Quelle di Rikku ancora un po' acquosi.
Non sapeva perché Auron l’avesse fatto. Forse perché l’aveva sentita piangere silenziosamente mentre era poggiata contro di lui, forse perché i guerrieri avevano sempre quella specie di fiuto per la paura spacciata. Forse perché gli faceva pena.
L’unica cosa che seppe, era che non la lasciò andare alla deriva, e che ogni volta che un singhiozzo le scuoteva la cassa toracica – per la troppa paura di doverlo lasciare – premeva le sue labbra contro una sua tempia, e respirava affianco a lei.






 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy X-2 / Vai alla pagina dell'autore: past_zonk