Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Eryca    10/04/2013    3 recensioni
Succede ancora, a volte, che esco in balcone, nelle notti in cui il caldo sembra voler sciogliere ogni cosa, e osservo l’orizzonte sopra il mare blu.
Ed è in quelle notti – le notti infinite, le chiamavamo – che chiudo gli occhi.
Chiudo gli occhi e le sue mani sono su di me.
Chiudo gli occhi e bevo una birra insieme a Tom.
Chiudo gli occhi e sfreccio, sfreccio per le strade asfaltate.
Chiudo gli occhi e sono senza limiti.
Chiudo gli occhi e vivo.

***
1969.
Adam non è altro che un neo diplomato, quando La Dea Danzante gli appare davanti agli occhi come un'allucinazione. Il giovane ragazzo viene velocemente trascinato in un mondo stupefacente, fatto di poesie, musica e libertà, dove tutto è lecito e nulla è legge.
Mentre entra a far parte di un gruppo di strampalati ribelli, Adam si farà insegnare dalla sua Dea il significato delle parole vivere e amare.
Ed imparerà ad andare oltre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

4.

Oceano

 

 




Image and video hosting by TinyPic

 

La guardai.

Una volta.

Due volte.

Mille volte.

La guardai e tutto il mondo sembrò svanire, perché non si poteva – non si doveva – avere occhi come i suoi: blu, blu come l’oceano, l’oceano immenso, l’oceano che si fonde con il cielo, l’oceano che sa essere impetuoso, pericoloso, ma anche accogliente e rilassante.

E... lei aveva occhi come l’oceano.

Lei era l’oceano: impetuosa e affascinante.

Camminava al mio fianco, ancora una volta, mentre il vento si faceva più forte e alzava la polvere delle strade, inducendomi a chiudere gli occhi. Il sole stava sbadigliando, segno che di lì a poco ci avrebbe dato il suo commiato per cedere il posto alla luna, che avrebbe timbrato il cartellino di inizio turno.

Avevo passato l’intera giornata cantando e ballando insieme ad un gruppo di strambi personaggi, della quale ancora non riuscivo a farmi un’idea: erano un’incognita per me, proprio come la mia dea; d’altronde non li conoscevo che da un giorno appena.

Guardai la mia Musa – Mille e una volta – lasciando che i miei occhi perdessero tempo ad osservare i suoi zigomi alti, le sue labbra così carnose, la sua pelle rosea. Mi chiedevo se fosse una strega, in realtà, perché non era possibile che pendessi dalle sue labbra in quel modo, dopo appena una notte e una giornata. Suonava stonato.

Come potevo guardare in quel modo una donna, quando avevo sempre usato le ragazze come un metodo piacevole per svuotarmi le palle? Suonava stonato.

La sua gonna rossa era impolverata al fondo per il troppo strascicare a terra e la sua maglietta larga era delle più squallide che avessi mai visto: una ragazza qualsiasi, in poche parole, con indosso quei vestiti, sarebbe sembrata una barbona, eppure lei pareva una sinuosa, incantevole sirena.

Forse era a causa della sua bellezza ultraterrena, oppure per colpa della sua tendenza ad essere sempre così spontanea, così libera, ma non riuscivo a smettere di guardarla, di starle vicino. Era la mia Terra e io la sua Luna, costretto ad orbitare intorno a lei.

Ricordo precisamente come, in quei primi giorni insieme a lei, mi domandavo incessantemente qual era il motivo per cui non riuscivo a starle lontano, nonostante non la conoscessi affatto. Ero sconcertato, sconvolto e pretendevo risposte.

«Suoni bene la chitarra» disse d’un tratto la Musa, interrompendo i miei pensieri filosofici. Non sorrideva, questa volta, ma i suoi occhi scintillavano, come sempre. Tirai un calcio ad un sassolino e lo vidi rotolare fino ad un idrante, che gli bloccò la via.

«In compenso sono stonato come una campana!» Sentì subito il suono della sua risata fare eco alla mia, mentre il crepuscolo si faceva avanti.

Avevo notato che May era una tizia di poche parole, così non mi stupì quando non cercò di prolungare la nostra conversazione; semplicemente, parlava quando aveva realmente qualcosa da dire, altrimenti stava zitta. È una cosa che le invidio tutt’ora.

In quei due giorni passati insieme alla mia Musa avevo dimenticato di essere un giovane giocatore di baseball appena diplomato, circondato da sempre da ragazze belle quanto spente, ben voluto dai genitori. Mi ero lasciato alle spalle, per quella notte e quella giornata, tutte le finzioni e le ipocrisie che la mia vita comprendeva, lo stress e il dover sempre essere ristretto in una serie di regole imposte dal potente.

Avevo lasciato sì che la vita andasse come doveva andare, divertendomi, abbandonandomi, facendomi trasportare dalla follia sensuale di una donna bellissima.

Una donna bellissima che canticchiava tra sé e sé, mentre camminava al mio fianco.

Arrivammo di fronte alla villetta, che era poi la mia casa dell’epoca, e l’ansia di dover affrontare i miei genitori si fece sentire, inducendomi a mangiucchiarmi le unghie.

«Nervoso?» Rimasi stupito, quella volta, dal fatto che May si fosse subito accorta del mio stato d’animo. Imparai, con il tempo, che la Musa sapeva leggere attentamente le altre persone, perché era una grande osservatrice.

«Mia madre sarà furiosa...» dissi, più a me stesso che a lei, guardando la villa. In effetti, l’idea di dover subire l’ira funesta di Lauren Williams non mi allettava.

Posai i miei occhi su di lei e la trovai intenta a fissare la mia casa con un’attenzione che non avrei potuto avere neanche durante le lezioni del professor K.

Sapevo che avremmo dovuto separarci, arrivato quel momento, ma non avevo alcuna intenzione di lasciarla andare. Ne volevo ancora, ancora, ne volevo di più.

 

Resta con me, O Musa

Cullami

Amami

Tienimi con te

 

«Me ne vado, allora. Questo non è posto per me» sentenziò infine, un sorriso amaro sulle sue labbra. Si voltò, la mano alzata in segno di saluto, e fece per prendere il viale per tornare dai suoi amici vagabondi.

Se se ne fosse andata in quel modo, sapevo che non l’avrei rivista mai più.

Se se ne fosse andata in quel modo, sapevo che non avrei più potuto danzare con lei.

Se se ne fosse andata in quel modo, sapevo che sarei morto.

«May!» urlai, rincorrendola. La vidi voltarsi, per nulla stupita, quando la raggiunsi e mi fermai davanti a lei.

Occhi come l’oceano.

Non disse nulla, sapeva bene che non era il suo momento di parlare, ma il mio. Rimase ferma, l’espressione seria, mentre rimase in attesa. Gli occhi fissi nei miei.

«Perché me?» domandai infine, non riuscendo più a resistere all’impulso di sapere.

 

Perché sei venuta da me, con tutti gli uomini attraenti che ti circondavano, O Musa?

Perché hai scelto di danzare nel mare con me, O Musa?

Perché hai camminato mano nella mano per le vie della Sirena con me, O Musa?

Perché?

 

Mi sorrise, la mia dea. Mi posò una mano sulla guancia e, quando sentii le sue piccole dita posarsi sulla mia pelle, chiusi gli occhi, godendomi la sensazione.

«Perché, l’altra sera, vidi molti occhi puntati su di me.» La sua voce era alito fresco sul mio viso. «Erano occhi bramosi, volevano il mio corpo, volevano scoparmi con passione, con rabbia, con foga.» L’immagine di un porco qualsiasi che faceva sesso con la mia dea mi provocò un senso di gelosia enorme, che dovetti reprimere a forza quando lei riprese a parlare. «Ma poi, ho visto due occhietti vispi che mi osservavano con vero interesse, stupore, confusione. Quegli occhi erano realmente attirati da me, non dall’idea di portarmi a letto.»

Aprii gli occhi ed incontrai il suo sguardo commosso. Il suo viso era così vicino al mio che se solo avessi voluto avrei potuto baciarla senza sporgermi troppo; le sue labbra erano lì, perfette, pronte ad essere succhiate e leccate da me.

Ma rimasi fermo, a fissare quell’oceano blu.

«Te, perché non sei passato dietro di me palpandomi il culo senza ritegno, ma mi hai ammirata da lontano.»

Vicini, vicini. Eravamo troppo vicini e le parole stavano diventando troppo per me. E le sue labbra erano lì, per me. E io mi stavo perdendo, perdendo il quel mare blu.

E allora non ce la feci più.

Mi sporsi – un millimetro solo.

E la baciai.

Sfiorai le sue labbra con le mie, senza pretese, in un lievissimo contatto, per poi staccarmi con lentezza. Quel suo oceano blu scintillò per un attimo, per poi essere lei a prendere nuovamente l’iniziativa e fare incontrare nuovamente le nostre labbra. Mi abbandonai a quel bacio, lasciando che i suoi denti mordessero dolcemente il labbro inferiore, in una dolcissima tortura. Le misi una mano sul fianco, facendola aderire di più al mio corpo, che bramava il suo calore, la sua pelle. Sentii le sue mani allacciarsi dietro al mio collo e, di fronte ad un simile coinvolgimento da parte sua, la passione scoppiò in me, inducendomi a baciarle il collo, le guance, la mandibola. Le morsi il lobo dell’orecchio e la sentii ridacchiare sul mio collo.

Di nuovo bocche, labbra, lingue.

E non mi importava se ero nel vialetto dove abitavo, se i miei vicini avrebbero spifferato tutto a mia madre o che, molto più probabilmente, era la mia stessa mamma che mi stava fissando dalle finestre di casa mia. Non mi importava, perché la mia Musa mi stava baciando il collo e il suo collo aderiva perfettamente al mio, come se fossimo due pezzi combacianti di un puzzle.

Quello, lo considerai il nostro primo bacio. La mia memoria lo ha rinchiuso in un cassetto ermetico, a differenza di quello dato sotto l’effetto dell’acido, che è solamente un ricordo sfumato.

Si allontanò, facendo sì che le nostre labbra si staccassero e io, per un istante solo – oh Dio, certe sensazioni non potranno mai essere dimenticate -, pensai che sarei potuto morire.

 

Baciami ancora, O Musa

Baciami ancora

E io morirò.

 

«Dimmi che non sparirai.» Dissi quelle esatte parole, incatenando i suoi occhi nei miei, pregandola disperatamente di non svanire nel nulla, di non dissolversi come un sogno, perché avevo la necessità di quell’oltre nella mia pacata esistenza.

Sorrise, la mia Musa, ed una tenera fossetta comparve nella sua guancia sinistra.

«Sarai tu a dovermi venire a cercare, bambino.»

Se qualsiasi altra persona mi avesse affibbiato un nomignolo come “bambino”, probabilmente sarei andato su tutte le furie, ma detto da lei aveva un suono dolcissimo e per niente canzonatorio. Ancora adesso, infatti, quell’appellativo mi rimanda a lei ed ogni volta che sento una persona usare il termine, il mio cuore fa un balzo.

La guardai e pensai che avrei potuto cercare per tutta la vita le sue guance rosee, i suoi capelli di seta, i suoi occhi d’oceano, la sua fossetta dolcissima.

L’avrei cercata, su questo non c’erano dubbi.

Si sporse nuovamente e mi posò un lieve bacio sulla guancia, poi prese ad indietreggiare senza mai staccare gli occhi dai miei, il sorriso appena accennato sulle labbra.

«A presto, piccolo Adam.»

 

A presto, mia dolcissima Musa.

 

*

 

 

 

Non appena misi piede in casa, venni investito da un tornado inferocito e senza pietà, che mi diede il benvenuto con un sonoro schiaffo in faccia.

«Dove sei stato, brutto fetente?» Lauren Williams aveva uno strano concetto di termini offensivi e brutto fetente deteneva uno dei posti più alti nella sua classifica degli insulti; l’unica volta che l’avevo sentita pronunciare una vera parolaccia era stato quando mio padre era tornato a casa ubriaco, dopo la festa dei coscritti.

Se c’era una cosa che mi faceva paura, quella era mia madre arrabbiata.

«Ti sembra normale, il tuo comportamento? Sparisci per due giorni! Non una chiamata, non un biglietto! Potevi inviare un piccione viaggiatore, sarebbe stato meglio di questo silenzio! Stavo quasi per andare alla polizia! Che cos’hai in quel tuo cervello da canarino?»

Dovetti trattenermi dal ridere, perché – ammettiamolo – vedere mia mamma rossa in viso, urlarmi contro che potevo inviare un piccione viaggiatore non era un evento quotidiano. Comunque, cercai di assumere un’espressione desolata e sottomessa, che potesse far credere ad Adolf Hitler – soprannome affibbiato a mia mamma da me e Tyler – di avere almeno un po’ di senso di colpa. Mi ricordo perfettamente come, mentre la donna continuasse con la sua ramanzina, la mia mente volasse all’immagine della bocca di May sulla mia.
Le sue labbra, il suo profumo...

«Adam Williams, mi stai ascoltando?» Non appena vide la mia espressione sognante, fece un gesto con la mano, come per scacciare una mosca. «Ma cosa perdo tempo a blaterare con te, che nemmeno mi stai ascoltando. Fila in camera tua, tacchino!»

Tacchino occupava il numero tre nella Hit Parade degli insulti coniati da mia madre ed era, in effetti, uno dei più insensati e idioti.

Senza degnarla di una scusa o una risposta, mi affrettai verso camera mia, dove aprii la porta con foga, solo per gettarmi sul letto e prendere a fissare il soffitto. Il poster dei Doors – il gruppo che dominava le classifiche dell’epoca – mi osservava a sua volta e io rimasi così per tutta la sera, senza fare nulla di concreto.

Rimasi sdraiato, le scarpe ancora addosso, pensando.

Pensando alla mia dea e al suo sguardo delizioso mentre mi intimava di andare a cercarla.

Sorrisi a Jim Morrison e mi dissi che avrei chiamato Tyler per rimandare la partita a basket che avevamo programmato con i ragazzi.

Dovevo cercare la mia Musa.

 

Ti cercherò, mia dolcissima Dea

Ti cercherò oltre il tempo

Oltre i confini dell’impossibile

 

Ed ero disposto a tutto pur di trovarla.

 

 

*

 

Angolo Eryca

 

Ta-dan! Ecco a voi un nuovo capitolo fresco di beta reading (grazie Vì, cara).

Come vedete i personaggi iniziano a comunicare ed è qui che devo fare due piccole puntualizzazioni: Adam e May avranno sempre un modo tutto loro, speciale, di interagire e rapportarsi; non sentirete mai i soliti discorsi perditempo che si fanno tra le persone comuni, perché loro non sono persone comuni. Sarà un po’ particolare :D

Ah, una cosa che (dio! com’è possibile?!) ho dimenticato di dirvi sin da subito ed è decisamente essenziale (perdonatemi, ma sono la persona più sbadata del mondo): il titolo della storia, Over, non è dato a caso, ma significa letteralmente “Oltre”, perché sarà proprio il succo dell’intero racconto, ciò che Adam imparerà a fare, ovvero andare oltre.

Ah, sì, il ragazzo che vedete nella foto è Alex Pettyfer (*-*) che impersoni fica il mio Adam. (La ragazza che avete visto nel primo capitolo invece è Rose Huntington-Whiteley ed è la mia May.

Direi che è tutto, mi sono dilungata abbastanza. xD

Questa storia è scritta con amore e necessita lettori e pareri, quindi se ci siete (Ehilà-aaa?) fatevi sentire :-*

 

Una cascata di baci,

la vostra Eryca.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Eryca