Il
commissario Giulia Ferrando stava beatamente ronfando nel suo letto,
collocato
nell’ appartamento numero 19 di via Garibaldi 10, quando il
telefono sul
comodino iniziò a squillare. Il commissario si
svegliò di soprassalto e afferrò
la cornetta.
-Pronto?-
farfugliò.
La voce che le rispose era
agitata: -Buongiorno commissario, deve venire immediatamente in
commissariato.
Hanno rubato l’Autoritratto in
età
avanzata di Leonardo da Vinci, quello della Biblioteca
Reale!-.
-E allora? Oggi non sono in
servizio- rispose Giulia con voce assonnata, avendo solo una vaga idea
di ciò
che fosse l’Autoritratto in
età avanzata
del da Vinci.
-Da adesso
lo è. Il Gran Capo, il
questore cioè, la vuole qui subito, dice che
c’è bisogno di lei- rispose
l’altro.
-Va bene, arrivo- rispose. “Che sfiga”
pensò “ho un giorno libero dopo mesi di corse
dietro al maniaco che faceva il samurai tagliando teste e facendo
Harakiri a
destra e a manca, e Napo Orso Capo mi chiama lo stesso”. Napo
Orso Capo, come
il personaggio dei cartoni animati, era il soprannome che
l’intero commissariato
aveva affibbiato al questore, che aveva effettivamente
l’aspetto di un orso e
comandava tutti a bacchetta. “Però non
è un hippie” si disse. Si alzò a fatica
dal letto e si fece una doccia, cantando una canzone inventata sul
momento dal
titolo Ucciderò il questore
sulle
note di Imagine di John
Lennon.“Come
significato calza a pennello” pensò con un
sorriso. Poi si vestì e scese in
strada, raggiunse il garage da cui prese la sua Mito rosso fuoco, e
partì verso
il commissariato. Appena arrivata, fu immediatamente raggiunta da un
poliziotto
di nome Giulio Ronco, che tutti chiamavano San Crispino, il quale la
salutò e
iniziò subito a raccontare tutto d’un fiato
cos’era successo: -Stamane è
arrivato un tizio di nome Omar Ben-David, un omone israeliano sulla
trentina un
po’ stupido, insieme ad una storica dell’arte, tal
Elisa Dritti. Erano entrambi
visibilmente scossi e con qualche ferita. Ci hanno raccontato che il
furgone su
cui viaggiavano era stato rubato. Così abbiamo chiesto loro
cos’era successo
esattamente e ci hanno detto che questa mattina presto erano
sull’autostrada
per andare a Milano perché stavano trasportando l’Autoritratto che deve andare in mostra al
museo di Scienza e
Tecnologia “Leonardo da Vinci” e hanno visto un
uomo fermo in mezzo alla
strada. Il signor Ben-David, che guidava, si è fermato ed
è sceso avvicinandosi
all’uomo per sapere se aveva bisogno di aiuto, in quel
momento un altro gli ha
dato una botta in testa con una mazza, stordendolo. Hanno preso la
storica e
hanno stordito pure lei, poi li hanno caricato sul furgone, per poi
scaricarli
in una strada secondaria. I due, che indossavano dei passamontagna, se
ne sono
andati via con il furgone e ovviamente con il disegno. Dobbiamo
assolutamente
fare luce su questa faccenda- continuò, sul punto di
strapparsi i capelli-
perché quel disegno vale milioni di euro, se non di
più. I due viaggiavano
insieme perché è prassi che uno storico
dell’arte accompagni le opere che
vengono trasportate. Sul camion inoltre, era installato un dispositivo
GPS, che
è stato disattivato dai ladri. Non possono essere stati
loro, perché in primo
luogo non hanno idea di cosa sia un dispositivo GPS, e, in secondo
luogo, il
camionista che li ha trovato passando di lì conferma la loro
versione, e
l’ospedale in cui sono andati ha constatato la ferita
lacero-contusa sulla
nuca, provocata da un corpo contundente, un sasso o una mazza da
baseball,
forse. A meno che non sia un complice e il resto tutta una messinscena
per
depistare le indagini, il signor Ben-David e la Dritti non
c’entrano. Dovresti
andare a sentirli tu, magari a te dicono cose che non hanno rivelato a
noi.-
disse Ronco, riprendendo finalmente fiato.
-E
perché mai dovrebbero raccontarmi qualcosa di
più? Non sono mica una civile,
io! Sono della polizia esattamente come voi!- chiese
Giulia piuttosto irritata.
-Beh noi siamo
in divisa, mentre tu no. Magari metti meno soggezione…- .
Giulia evitò di rispondere
malamente al povero San Crispino, che in fondo era un matas,
un poveraccio, come lo avrebbe definito sua nonna, in
dialetto, e si avviò verso la sala interrogatori. Lì stavano seduti
i due a braccia conserte.
Giulia entrò e si presentò:-Salve, io sono il
commissario Giulia Ferrando.- Entrambi
la guardarono spaesati, salutandola con un fil di voce. Giulia
continuò:- Mi
piacerebbe ascoltare la vostra versione dei fatti. Ve la sentite di
raccontarmela?-
La storica dell’arte annuì e le
raccontò esattamente quello che il poliziotto
le aveva detto. -Sicuri? Non è successo
nient’altro?- chiese Giulia, delusa.
-No,
aspetti!- disse il camionista -Quando mi hanno chiuso nel bagagliaio
del
furgone, hanno iniziato a parlare. Uno di loro ha chiesto
all’altro dove
dovevano portare il disegno, e quello gli ha risposto che andavano a
una certa
Daronelo House. Poi hanno continuato piano: “Mio Dio,
può fruttare un mare di
soldi se lo vende alla gente giusta”. “Ma va, quel
balengo se lo vuol tenere
per se”. “Ma è scemo?!? Conosco chi lo
pagherebbe, anche bene se verifica che è
autentico. Ma capace che gli rifila una copia e l’altro ci fa
secchi a tutti e
tre”. “Già. Una volta l’hanno
fregato vendendogli un armoire nuovo di fabbrica
dicendo che era del ‘700”. “Miseria
ladra”. Ecco, ora le ho detto proprio
tutto. Non so nient’altro-. Giulia lo rilasciò
sapendone esattamente come prima
e poi convocò gli altri poliziotti per iniziare le indagini.
Comunicò loro la
nuova scoperta, anche se nessuno ne sapeva il significato.
Il
furto era un bel problema, perché il museo
di Scienze e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di
Milano non sarebbe andato in
mostra, e la regione era parsimoniosa in fatto di fondi culturali;
l’assicurazione avrebbe dovuto sborsare una cifra
astronomica, quanto il valore
del disegno; ma soprattutto sarebbe andato perso un capolavoro
artistico
inestimabile.
-Questa
“Daronelo House” deve essere un codice o qualcosa
così. Ma il disegno potrebbe
già essere chissà dove. Secondo la mia modesta
opinione bisognerebbe
interrogare i direttori dei musei- disse il questore, il che
significava “Muovete le chiappe
e chiamate quelli là!”. Era un mago nel fare la
parte del finto modesto, povera
vittima della cattiveria dei suoi subalterni, ed era per questo che
Giulia lo
avrebbe volentieri defenestrato quando faceva così.
Ovviamente né il direttore
della Biblioteca Reale, né il direttore del Leonardo da
Vinci, che si era
precipitato lì appena saputo ciò che era
successo, sapevano qualcosa.
-Ecco,
lo sapevo che non ci cavavamo un ragno dal buco!- disse Giulia, che se
c’era da
criticare il questore era sempre pronta - dobbiamo fare la rivoluzione
perché
non le sopporto più le sue idee cretine! Era logico che non
sapevano!!!-.
Giulio Ronco San Crispino iniziò a sghignazzare emettendo
dei grugniti porcini
e lei lo fulminò con un occhiataccia.
-E dai Giulia- disse il tenente Alessandra
Gerani, che tendeva a difendere il questore e per questo si mormorava
di una relazione segreta tra i due, nonostante al suo confronto, il
questore sembrava Chobin. -Non era mica…-
La
sua arringa difensiva fu interrotta dall’arrivo di
un’erinni sui cinquanta a
passo di carica, che esclamò: - Dov’è
il responsabile delle indagini sulla
scomparsa dell’Autoritratto?!-
-Sono
io- disse Giulia.
-Ah,
bene. Sono la sovrintendente dei Beni Artistici e Storici. Con un bel
po’ di
ritardo, di questo sono molto, molto arrabbiata ma non importa ora, mi
hanno
informata del furto del capolavoro di Leonardo Da Vinci e voglio che
tutti voi
vi mobilitiate a cercarlo! Conoscete il suo valore?!? E’
inestimabile! Voglio
sapere tutto ciò che vi hanno detto i testimoni!-. Sembrava
una di quelle
leonesse dei documentari che vengono disturbate da altri animali e
hanno i
cuccioli. Stessa frenesia. Giulia raccontò degli
interrogatori, senza
tralasciare nulla. -Quindi l’indizio chiave dovrebbe essere
questa Daronelo
House, ma cosa significa?- concluse. Si aspettava chissà
quale reazione
spropositata da parte della sovrintendente, ma quella iniziò
a pensare. E poi
sfoderò un largo sorriso da pescecane e disse ad alta voce:
-Ora come ora
potrete pensare che io sia pazza, ma credo di avere la soluzione del
caso!-.
Tutto il commissariato si girò verso lei con la bocca
aperta, attendendo il suo
responso.
-Vedete, quando ero all’università, avevo un
compagno in classe di nome Andrea Bianchi, anonimo come il suo cognome
all’apparenza, ma un volpone in realtà. Questo
ragazzo idolatrava letteralmente
Leonardo Da Vinci: sapeva tutto della sua vita, conosceva tutte le sue
opere e
non si perdeva una mostra o rassegna stampa su di lui. Certe volte
saltava
diverse lezioni pur di non perdersele e ci fece persino la tesi. Ora,
lui era
anche un genio nel risolvere problemi di logica o enigmi, nulla gli
sfuggiva,
per questo dico che era furbo come una volpe, e perciò aveva
creato un club,
che peraltro non ebbe lunga vita a causa del suo trasporto se si
trattava del
Da Vinci, e indovinate come lo aveva chiamato!-.
-Daronelo?-
sussurrò Giulia con gli occhi sbarrati. -
Bingo!- esclamò l’altra -Daronelo è
l’anagramma di Leonardo! Un nome perfetto
per un Davinciano fervente che ama gli enigmi. Lui mi diede la prima
idea di
come le cose siano diverse da come appaiono-.
Nel commissariato regnava un
silenzio di tomba. La sovrintendente continuò: -Ora fa
l’antiquario, e io so
dove ha il negozio, avanti, andiamo!-. Si comportava come se fosse
stata il
capo, ma Giulia e gli altri poliziotti le andarono subito dietro.
Giulia fece
accomodare la donna nella sua auto, che partì alla testa del
gruppo, seguita
dalle volanti dei poliziotti. La donna li portò un
po’ fuori città, fino al
negozio di questo antiquario. La polizia entrò, con la
sovrintendente a capo e
trovò il signor Bianchi che stava controllando un trumeau
del ‘700, infilando
la testa nei cassetti. All’apparenza era veramente scialbo e
anonimo, un
piccoletto pelato con l’espressione ansiosa e attenta di chi
è sempre stato un
osservatore della realtà che lo circonda. Di certo non si
poteva pensare subito
a lui se veniva rubato un capolavoro dell’arte. Giulia diede
qualche parola di
spiegazione, mentre gli altri setacciarono il retrobottega. Poi uno di
loro
quasi si spaccò la testa inciampando su una protuberanza nel
parquet nascosta
da un tappetino a righe e finendo contro una sedia. Era un anello
inchiodato al
pavimento e un’osservazione più attenta
rivelò l’apertura di una botola. La
aprirono e scesero la scaletta che conduceva in un segreto
seminterrato. Quello
che videro li stupì: era pieno di libri, depliant di mostre
e copie di
capolavori di Leonardo Da Vinci. E in mezzo a tutto ciò, in
una teca di vetro,
c’era l’Autoritratto.
Il signor
Bianchi, terrorizzato, cercò di scappare fuori, nella
strada, ma la
sovrintendente gli si parò davanti, con tutto il peso della
sua autorità in
quell’ambito, e lo squadrò dall’alto
della sua persona. L’antiquario venne
ammanettato e fu arrestato. Confessò di averlo fatto
perché stravedeva per quel
capolavoro e confessò anche i nomi dei due complici, persone
che gli erano
state suggerite da amici che avevano loschi affari e rinomate per la
loro
discrezione, falsa, dato che avevano rivelato l’indizio
fondamentale. -Maniaco- disse Giulia con aria di sufficienza.
Il
questore si congratulò con la sovrintendente per
l’aiuto fornito, facendole
anche il baciamano mentre Giulia fingeva di vomitare. Non
sprecò invece una
sola parola per Giulia e i suoi colleghi, ma, in compenso, le fece
avere una
settimana di meritato riposo, durante la quale, per fortuna, nessun
maniaco
volle rubare qualche opera d’arte.