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Autore: Owen    14/04/2013    2 recensioni
Per Edward è molto difficile separarsi da John, è il suo gemello, il suo migliore amico, il suo tutto. Ma qualcosa cambia quando un giorno di scuola i fratelli vegono separati...
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward , John, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina dopo Edward si svegliò con il profumo dei capelli di suo fratello che era abbracciato a lui nel letto, con la testa sul suo petto.

Rimase a fissare lo zigomo viola e i vari piccoli tagli che ricoprivano il viso di John, che dormiva ancora profondamente.

Si sentì in colpa per quello che era successo, era colpa sua se John era stato picchiato, era colpa sua se il gemello aveva pianto la sera prima ed era colpa sua se John lo avrebbe odiato.

Solo al pensiero di essere odiato dalla persona più importante della sua vita, gli venne un nodo alla gola e i suoi occhi divennero lucidi.

Era abbastanza presto, così decise di preparare la colazione per entrambi.

Cercò di alzarsi dal letto senza svegliare il gemello, spostò lentamente le gambe che erano intrecciate con quelle del fratello, sciolse l'abbraccio, mettendo un cuscino al suo posto.

Corse velocemente al piano di sotto e si diresse in cucina, dove trovò una tazza sporca nel lavandino, segno che la loro mamma era già uscita per andare al lavoro.

Prese due tazze e le riempì di cereali, aggiunse un pò di acqua e ritornò in camera.

John era seduto sul letto e si stava strofinando gli occhi, li aveva gonfi e aveva le guance rosse.

"Buongiorno." disse Edward, sorridendo al fratello.

"Ciao Ed." rispose l'altro con voce roca.

Si avvicinò e abbracciò il gemello.

"Come stai?" chiese il più piccolo.

"Meglio... Grazie per ieri..." rispose John.

Si sorrisero a vicenda e per la prima volta si sentirono in imbarazzo, solitamente era Edward che veniva consolato dal più grande e molto raramente succedeva il contrario.

Porse la tazza di cereali al fratello che incominciò a mangiare in silenzio, guardando fuori dalla finestra.

"Non voglio andare a scuola oggi." disse John, senza guardare in faccia il gemello che chiese:

"Per via di Robbie?"

L'altro non rispose, spostò lo sguardo sulle sue mani.

"John, non possiamo continuare a nasconderci. Loro ci stanno rovinando la vita ma non ne hanno il diritto, dobbiamo reagire, fare qualcosa perchè sono stufo di tutto questo!"sbottò Edward.

"Lo sò Ed'dard ma io ho... ho paura che ti facciano del male..." disse John, guardando negli occhi Edward che accennò un sorriso dovuto alla preoccupazione per lui da parte del gemello.

"Fin quando starò con te, sò di essere al sicuro." disse abbracciando forte il fratello.


Dopo una discussione Edward riuscì a convincere John, così si prepararono, indossarono gli stessi vestiti, si pettinarono i capelli allo stesso modo e uscirono, incamminandosi verso scuola mano nella mano.

"Sono arrivati i due fidanzatini!" urlò un ragazzo alle loro spalle, Robbie.

"John, non rispondere. Ci vogliono solo far arrabbiare." sussurrò Edward, incominciando a camminare più velocemente verso l'entrata della scuola.


La giornata passò lentamente: Robbie aveva strappato il disegno di Edward, ma rimasero calmi; durante l'intervallo avevano fatto lo sgambetto a John, ma erano rimasti calmi; durante la pausa pranzo rubarono i loro panini, ma rimasero calmi.

Solo quando al suono della campanella Robbie aveva spinto violentemente Edward contro la fila di armadietti al lato del corridoio facendolo gemere per il dolore, John perse la pazienza.

Si avventò su Robbie, lo spinse, facendolo cadere a terra e gli diede un pugno sul labbro, facendolo sanguinare.

Seguirono altri diversi colpi, fù la prima volta che Edward vide il fratello così aggressivo.

Di solito loro non erano le persone che risolvevano i problemi con le maniere forti e tanto meno che iniziavano risse.

Corse verso il gemello, urlando di smettere, ma ricevette solo una spinta che lo fece cadere all'indietro.

Un professore si mise tra i due, cercando di bloccare i ragazzi a terra, evidentemente qualcuno lo aveva avvisato.

"Grimes, in presidenza!" Urlò ai due gemelli, voltandosi e aiutando Robbie, ferito in volto e portandolo verso l'infermeria.

John rivolse immediatamente lo sguardo al gemello che però guardava per terra, incamminandosi verso la presidenza sotto lo sguardo stupito di alcuni ragazzi che si erano riuniti intorno.

Era arrabbiato con lui, lo aveva messo nei guai, senza aver fatto niente.

Edward si sentiva ferito, non perchè John lo aveva messo nei casini, quella spinta lo aveva ferito, ma non fisicamente, solo nel cuore.

La segretaria della scuola li fece attendere fuori dalla presidenza, dove rimasero fino all'arrivo dei loro genitori, che erano stati chiamati.

"Potete entrare." disse la ragazza.

I gemelli entrarono in silenzio, Edward con la testa bassa e prese posto su una delle quattro sedie vuote di fronte alla grande scrivania del preside, il signor Anderson.

Quest'ultimo entrò, seguito da Susannah e John, i genitori.

"Sedetevi pure." disse il signore, riferito ai due adulti.

I signori Grimes presero posto e guardarono i figli, nel loro sguardo si poteva chiaramente distinguere la delusione.

"Allora, vi abbiamo chiamati perchè oggi John ed Edward hanno picchiato Robert, un loro compagno di classe." disse prendendo una pausa.

"Con questo, visto che un professore li ha colti sul fatto, non posso fare altro che sospenderli per una settimana." finì, guardando i due ragazzi.

"E' strano, Edward e John non hanno mai usato le mani per risolvere i problemi con le altre persone, quindi oggi, oltre ad essere molto sorpresa per questa, sono anche molto delusa. Ovviamente saranno messi in punizione." disse la madre.

"Ragazzi, perchè avete picchiato Robert?" chiese il padre, curioso del silenzio dei suoi figli.

John guardò Edward, aveva bisogno del suo sguardo per renderlo sicuro, ma quest'ultimo aveva ancora la testa china a guardare il pavimento.

"Robbie aveva spinto Edward contro gli armadietti..." disse con voce bassa.

"Era la prima volta che succedeva?" domandò il preside, intromettendosi nella conversazione tra padre e figlio.

Il più grande guardò il gemello con la coda dell'occhio, si stava mordendo il labbro inferiore.

"No..." rispose, scuotendo leggermente la testa.

"Per quale motivo?" chiese nuovamente il signor Anderson.

"Non ha un motivo." disse subito John, facendo una risata nervosa alla fine della frase.

"Ci tormenta, è il suo hobby..." continuò, portando lo sguardo sulle sue mani, che teneva sulle ginocchia.

"In che senso vi tormenta?" domandò il preside, ormai curioso della faccenda.

"E' da anni che ci infastidisce, ci ruba il pranzo, ci prende in giro e..." il ragazzo si bloccò, aveva un nodo alla gola, non voleva mostrarsi debole di fronte ai genitori.

Il preside notò che era in difficoltà, così chiese:

"E' stato Robert a procurarti quel livido?" indicò lo zigomo.

John si limitò ad annuire, rimanendo in silenzio.

"Da quanto và avanti questa storia?" domandò il padre.

"Da anni." rispose sempre il più grande.

"E' vero Edward?" chiese la madre, notando che il ragazzo non aveva detto una parola da quando era entrato.

Non alzò lo sguardo ma annuì lentamente.

John notò una lacrima cadere sul tappeto.

Mise una mano sul ginocchio del gemello che in risposta lo spostò immediatamente, lasciando il gemello sorpreso da quella reazione.

"Noi abbiamo solo reagito, non è colpa di Edward, sono stato io a picchiare Robert, lui voleva solo fermarmi..." disse John, guardando il gemello.

Il preside sospirò.

"In questo caso sospenderemo Robert per gli atti di bullismo, John dovrà rimanere a scuola nel pomeriggio per punizione mentre per Edward non c'è nessun problema." disse alzandosi.

I genitori strinsero la mano al preside, salutarono i figli e se ne andarono.


I gemelli non si parlarono per tutta la giornata, stavano vicini ma ogni volta che John iniziava un discorso, Edward non rispondeva oppure metteva le cuffie per non sentirlo.

Edward rimase con John anche durante il pomeriggio, quando furono costretti a rimanere in classe per punizione.

"Edward, sei arrabbiato con me vero?" chiese John, guardando il gemello, preoccupato della risposta.

Silenzio.

"Ed, ti prego..." implorò il più grande.

"Sono solo stanco..." sussurrò il più piccolo.

"Non sei solo stanco, sei anche arr..." non finì la frase perchè il fratello lo interruppe.

"Sono solo stanco! Stanco di farmi prendere in giro ogni giorno, stanco di farmi chiamare 'malato' senza mai poter reagire, stanco di farmi picchiare, stanco di fare la parte del debole e stanco di tutto questo." disse, aveva le lacrime agli occhi, le guance rosse e la voce rotta.

Non riuscì più a trattenersi, scoppiò in lacrime, incominciando a singhiozzare.

John lo strinse forte tra le sue braccia, lo avvolse cercando di fargli sentire il calore e tutto il bene che gli voleva, gli sussurrò parole dolci cercando in tutti i modi di calmarlo.

La classe dove si trovavano era vuota, stavano aspettando l'insegnante che, quando arrivò, rimase all'entrata della stanza, cercando di non far rumore e si fermò per qualche minuto a guardare la scena:  i due gemelli si tenevano stretti, John accarezzava la guancia di Edward che aveva la testa adagiata sul petto del fratello, il suo corpo era scosso da singhiozzi mentre i suoi occhi erano rossi e gonfi.

John lo guardava con comprensione, non distoglieva lo sguardo da lui nemmeno per un secondo.

La professoressa decise di annullare la punizione e mandò a casa i due ragazzi, andando contro le regole del preside.


Ebbero una settimana molto tranquilla, Robbie era stato sospeso ma i suoi amici erano troppo codardi e stupidi per infastidire i gemelli.

Quando quel giorno arrivarono a scuola, erano molto nervosi.

La sospensione del bullo era finita ed erano preoccupati per la sua reazione.

Eccolo, in fondo al corridoio, con la schiena contro un armadietto, solo.

Quando vide i fratello, Robbie prese velocemente la sua borsa e se ne andò.

John sorrise ad Edward che ricambiò, entusiasta.

D'ora in poi non dovranno più preoccuparsi di essere attaccati o picchiati, erano al sicuro, si erano fatti valere e ora tutti li rispettavano.

Da quel giorno potevano camminare nei corridoi a testa alta.

Potevano essere loro stessi.



   
 
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