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Autore: Chamberlains    14/04/2013    2 recensioni
Sarò breve e brutale. Lei è una casinista in sovrappeso, mentre lui è uno stupido nerd abitudinario. Sono ironici, o almeno è così che mi piacerebbe farli sembrare, incongruenti fra loro, o così sembra.
Ci lavoro su da un po' e forse in realtà non sono un granché, ma provo lo stesso a farveli conoscere, nella loro perfetta imperfezione.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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HER
-          Agitata?
-          Sì, un po’.
Mi stringe il ginocchio con le dita, gli do un pugno sulla spalla. Sembra non essere cambiato nulla, come se invece del il primo giorno di università fosse il primo giorno di prima elementare.
-          Andrà tutto bene, tesoro.
-          Lo spero, è tutto così nuovo…
-          Ce l’ho fatta io in quest’università, a te non potrà andare peggio.
Strizza l’occhio, anche se i miei sono azzurri ed i suoi scuri abbiamo lo stesso sguardo, lo stesso modo di inarcare le sopracciglia, le stesse pieghe quando ridiamo.
Padre e figlia, cosa pretendete?
Insieme affrontiamo le piccole cause di ogni giorno: portiamo avanti le nostre idee, difendiamo la nostra identità a spada tratta, impediamo a chiunque di cambiarci o manovrarci.
Sembra il discorso di una schizzata megalomane, lo so. E’ solo per sottolineare quanto insieme siamo decisi e tenaci, cosa davvero ci unisce. Papà a casa è un po’ buffone come me, ma nessuno può prenderlo per fesso, non c’è nulla che gli sfugge, gli basta scrutarci un secondo per tenerci d’occhio in modo discreto. Qualche volta sono andata in tribunale per vederlo, quasi non lo riconoscevo, era così autorevole e serioso, pensai che non sarei mai diventata come lui, in grado di incantare un uditorio intero. E’ come se ogni volta che uscisse di casa indossasse l’abito da avvocato severo e pedante. Lo definisco una pietra cangiante, devo ancora finire di conoscerne tutte le sfumature.
Riesce a strapparmi un sorriso, il mio Papo. Accosta la macchina, gli bacio la guancia e scendo, mi urla dal finestrino se ho intenzione di tornare a casa con lui o no, rispondo che prenderò la metro.
-          In bocca al lupo!
Conclude alla fine, sono troppo lontana per vedere sei suoi occhi sono lucidi, se appena ripartirà scoppierà in lacrime dalla commozione, è il tipo che fa queste cose.
Lo guardo allontanarsi, la sua Mercedes diventa un puntino in mezzo al traffico di Milano ed io non ho più nessuno di familiare intorno a me. Non c’è papà, non c’è mamma, non c’è Vic, non c’è Van, non c’è Chiara. Mi sento nuda.
Per arrivare all’ingresso c’è una lunga scalinata, com’era a scuola, questo significa che avrò un’occasione in più per fare figure di merda: il mio sederone che rimbalza per i gradini.
Decidendo che non è ora di farmi conoscere subito, salgo gli scalini a testa bassa, guardando bene dove metto i piedi, cominciando a contarli: uno, due, tre, quattro…
Sono trentatré, trentatré scalini di pietra bianca che risplendono con la luce del sole di questa mattina, stranamente sovrano incontrastato del cielo, nessuna nuvola all’orizzonte.
Davanti a me c’è la porta d’ingresso, oltre i vetri si vede una folla di gente ed un tipo che parla al microfono, sarà il benvenuto alle matricole, la giornata è già iniziata ed io ovviamente sono in ritardo. Non mi resta che immischiarmi furtivamente tra la folla e fare finta di essere lì da un pezzo e di aver ascoltato tutto il discorso per filo e per segno.
Il mio piano viene mandato a puttane da questa stramaledetta porta che fa un cigolio tremendo non appena la spingo, il rumore rimbomba in tutta la sala. Il tizio col microfono smette per un secondo di parlare, trecento occhi puntati su di me, centocinquanta teste che si girano tutte nello stesso momento, manco fosse una coreografia. Mi aggrego all’uditorio con finta nonchalance, come se fosse normale arrivare in netto ritardo il primo giorno di università.
 Scopro che il tizio che parla è il rettore, il capo dei capi, ho zittito il rettore, ho interrotto il capo dei capi. Mi sento una povera rincoglionita in mezzo a tutta questa gente, sono matricole eppure hanno l’aria di sapere il fatto loro, aspettano questo momento da anni, lo sognano ogni notte, per me invece è tutto così nuovo, così estraneo… Provo una sensazione di disagio, di inadeguatezza, sono un pesce fuor d’acqua in mezzo a tutte queste facce di bronzo.
Se penso che il mio Papo ha studiato qui mi vengono i brividi, lui che è così solare, come può aver sopportato quest’ambiente così austero, pronto a rimproverarti ogni debolezza. Però è anche vero che quando mio padre fa l’avvocato anche lui ha un’aria severa, il suo comportamento combacia perfettamente con l’aria che tira in questo posto.
Quindi, forse se papà è riuscito a cambiare, anche io potrò diventare una donna in carriera? Metterò tailleur a tutte le ore? Giacche e gonne, gonne a tubino. Tacco alto. Dovrò perdere ancora peso nell’arco di questi quattro anni ed imparare a camminare sui tacchi dodici.
Il rettore parla parla parla e ancora parla, dietro di lui vengono proiettate delle frasi filosofiche tipo: “Nessun luogo è lontano” oppure “Le avversità possono essere formidabili occasioni”, manco fossimo dei depressi ad un corso di autostima. Ma per favore!
Poi arriva la parte interessante, quella in cui cominciano a farci vedere delle aule in cui seguiremo le lezioni, oggi si comincia con degli accenni di Diritto Costituzionale, siamo all’incirca in trenta, il professore parla velocemente mostrandoci delle slide. Prendo un po’ di appunti velocemente, scarabocchio degli schemi sul quaderno ad anelli, sta per venirmi un crampo alla mano.
Devo chiedere a Babbo Natale se può farmi diventare ambidestra.
Mentre rimetto tutto in ordine, una voce maschile a destra sembra rivolgersi a me, ha un viso allegro, capelli ed occhi castano chiaro. Non lo conosco.
-          Grazie per la penna e per il foglio, ho dimenticato totalmente di portarmi qualcosa per scrivere. Penso di essere stato l’unico qui.
Ma sì! Gli ho passato un foglio e una penna circa due ore fa! Avevo così tanta fretta da non essermi nemmeno soffermata a guardarlo.
-          Beh, non so se eri presente alla mia entrata in scena!
Ride ma non sembra prendermi in giro, mi unisco alla sua risata.
-          Qui sembrano tutti così seri, è strano per me.
-          Noi al liceo eravamo una classe di matti, qui invece è tutto così austero…
-          Mi sento perfettamente fuori luogo e tu?
Ok, non sono l’unica inadeguata della situazione, questo tizio mi ha salvato la giornata.
-          Sì anche io.  Comunque io sono Francesca, ma ti prego chiamami Fran.
Ci stringiamo la mano.
-          Alberto, chiamami come vuoi.
Alberto, Albi, Albertino, Tino, Albe. Ho già trovato cinque soprannomi adatti, faremo squadra in mezzo a queste facce serie.
 
 
 
HIM
Primo giorno di università, la Bocconi è proprio come la immaginavo: professionale, moderna, aperta. Un sogno che si realizza dopo una vita di sacrifici, periodi bui e giorni felici. Finalmente oggi, dopo diciannove anni, otto mesi e venti giorni circa, ho la certezza di essere davvero tra i migliori, di aver superato le mie difficoltà. Quando avevo sei anni non avrei mai immaginato di poter arrivare fin qui, però man mano questa nebbia è diventata sempre più limpida e sono riuscito a vedere le montagne in lontananza e adesso avrò l’opportunità di scalarle, sono guarito.
Certo, adesso dovrò fare un po’ di alpinismo, che non è una passeggiata, però so di essere allenato, di essere allo stesso punto di partenza, se non più avanti, rispetto agli altri. Per me, una partenza alla pari non è una cosa da sottovalutare, visto che per tanto tempo sono stato svantaggiato.
Asilo ed elementari, le maestre mi davano per spacciato, difficilmente avrei recuperato, dicevano ai miei. Alle medie ero un tipo in gamba, in terza addirittura brillante. Superiori: elemento di spicco, furono proprio loro a consigliarmi la Bocconi, mi segnalarono l’orientamento di tre giorni.
Mentre io rimugino sulla mia vita, Giorgia dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Dice di avere diverse cose da dirmi. Si tratterà sicuramente dell’università, anche lei iniziava oggi, odontoiatria. L’attività è già avviata da suo padre, un giorno lui andrà in pensione e lei si sistemerà per il resto della vita. Come biasimarla? In pochi hanno la fortuna di avere una sorta di tradizione di famiglia, io ad esempio, con mio padre che lavora in America, ho sicuramente una strada più difficile da percorrere.
-          Federico?
Ero così intento a smanettare il mio I-phone che non l’ho sentita nemmeno arrivare.
-          Mmh?
-          Sono venuta qui perché devo parlarti di una cosa.
-          L’università? Com’è andata oggi?
Giocherello con un tovagliolo da bar.
-          Bene ma… non è di questo che ti volevo parlare.
-          Dimmi.
-          Io credo che sia ora di finirla qui, fra noi due, intendo.
La fisso, ha lo sguardo risoluto, è un discorso preparato da tempo. Non vedo nessun rimpianto nei suoi occhi, forse aspettava che mollassi la presa al posto suo e vedendo che non mi davo una mossa ha deciso di prendere posizione lei.
-          Io non sento più nulla per te e vedo che tu non sei tanto preso, qualcosa è cambiato fra di noi.
Adesso arriva il momento d’ira, lo prevedo dalla sua faccia, quello in cui mi rinfaccia tutto:
-          Tu sei cambiato. Non ti interessi a me, facciamo discorsi che potrebbero fare due conoscenti, ripeti sempre le stesse frasi per non dirmi come stanno le cose davvero. Quando usciamo per te è sempre una pena, non c’è una volta che intervieni in qualche discussione con le mie amiche, sembra di portare un cane a spasso. I tuoi amici mi odiano, lo sai e tu non fai nulla per difendermi. Sei noioso, è come stare con un’ameba, andare a letto con un’ameba. Per la disperazione potrei andarmene con un settantenne della casa di riposo! Dì qualcosa, cazzo! Non stare sempre lì impalato!
-          Cosa vuoi che ti dica? Hai ragione, il sesso con te è una merda, le tue amiche sono delle oche ed io non ho nulla da dirti perché so che mi criticheresti a morte qualsiasi cosa ti racconti!
Io ho parlato, lei ha parlato, non abbiamo più nulla da dirci. È stata una lotta muta durata più di sei mesi, facevamo a gara a chi esplodesse per primo. Ho vinto io, lei mi ha vomitato addosso la nostra vita insieme da nove mesi a questa parte. Io mi sono limitato ad esporre i punti fondamentali per cui sono d’accordo con lei con la chiusura della nostra storia.
 La sintesi è sempre stata il mio forte. Riesco a cogliere l’ironia anche quando si alza e comincia a camminare col suo fare incazzoso, ovvero tirandosi su con le punte dei piedi ad ogni passo. Va così veloce che l’impatto con l’aria le muove i capelli, quasi sbatte con la porta automatica mentre esce dal bar. L’incazzatura di Giorgia è sempre stata caricaturale, aveva ragione Stefano.
Io rimango qui, ad occupare un tavolo senza aver ordinato nulla e aver creato solo scompiglio, credo proprio che darò un’occhiata alla tavola calda.




Eccoci qui, dopo dieci giorni circa siamo giunti al caricamento del capitolo 4, ci avviciniamo finalmente al centro della storia. Se notate, infatti, ho deciso di utilizzare il presente per questo nuovo capitolo, mi piace usarlo perché da più immediatezza alla storia, come se fossimo davvero nelle loro menti. Non so se per voi è lo stesso, fatemi sapere, si tratta solo di una mia considerazione. 
Alla prossima,
Pao dei Chamberlain

 
  
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