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Autore: Martolinsss    15/04/2013    22 recensioni
"Con una mano asciugò lo specchio appannato e quando vide la sua immagine riflessa si fece perfino un sorriso. Appena lavato e così di buon umore gli riusciva difficile pensare a che cosa l’avesse spinto la sera prima ad ubriacarsi e a perdere la testa in quel modo, ma in fondo ogni volta era la stessa storia: al mattino si sentiva il padrone del mondo, ma bastava mettere piede fuori dall’albergo per capire che il mondo non era lo specchio del bagno e che lui, del mondo, non avrebbe mai potuto esserne il padrone, al massimo soltanto un prigioniero."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry uscì dalla doccia e tese la mano per afferrare uno dei tanti asciugamani bianchi e impilati con cura sul mobiletto di fronte al lavandino. Gli piaceva farsi la doccia in albergo, perché trovava un ordine e una calma che a casa sua non c’erano quasi mai. L’acqua bollente aveva sciacquato via tutti i fiumi di alcool della sera prima e lui si sentiva pronto ad affrontare un nuovo giorno, un nuovo concerto. Si avvolse nell’accappatoio e iniziò ad asciugarsi. Con una mano asciugò lo specchio appannato e quando vide la sua immagine riflessa si fece perfino un sorriso. Appena lavato e così di buon umore gli riusciva difficile pensare a che cosa l’avesse spinto la sera prima ad ubriacarsi e a perdere la testa in quel modo, ma in fondo ogni volta era la stessa storia: al mattino si sentiva il padrone del mondo, ma bastava mettere piede fuori dall’albergo per capire che il mondo non era lo specchio del bagno e che lui, del mondo, non avrebbe mai potuto esserne il padrone, al massimo soltanto un prigioniero. Sapeva che era solo un’illusione, ma c’era ancora tempo prima di dover uscire e non voleva iniziare già a sentirsi in gabbia di nuovo.

Tutta l’euforia però svanì quando uscì dal bagno e si trovò di fronte alla schiena di Louis. Si fermò di scatto, deglutì cercando di non far rumore e strinse più forte intorno alla vita la cintura dell’accappatoio. Louis non si voltò ed Harry continuò a fissare il retro della sua maglietta bianca, il tessuto teso sopra i muscoli delle sue spalle, come se anche la stoffa si fosse accorta della tensione nella stanza e, non potendo reggere oltre, cercasse di esplodere e strapparsi sopra la pelle di Louis, perché quel silenzio no, non poteva più continuare. Harry fece un passo verso di lui e sentì per un attimo le pareti della stanza girare e il pavimento vacillare sotto i suoi piedi. Ma la sbronza non c’entrava, stava invece attraversando un abisso che ormai da qualche giorno si era creato tra lui e il suo ragazzo e non si era mai sentito più spaventato di così. Aveva paura di Louis. Non delle sue urla, o dei suoi insulti, no, a quelli ci era abituato e in ogni modo erano qualcosa che era capace di sopportare. Aveva invece paura di sedersi di fronte a lui, di guardarlo negli occhi e dover affrontare la realtà dei fatti. “Non posso più continuare così, mi dispiace” già sentiva risuonare nella sua mente, come una premonizione, un’orribile profezia a cui aveva sempre saputo di essere destinato. Sollevò la mano e, per nulla sorpreso di vedere che tremava, la appoggiò sulla spalla di Louis. Non ci fu la minima reazione, soltanto tessuto, bianco, e freddo, come la neve.
Harry davvero temette il peggio. Sentì le ginocchia vacillare e chiuse gli occhi per non vedere, sperando che fosse solo uno strano scherzo della sua mente, un tentativo del suo corpo per convincerlo a bere di meno la prossima volta. Ma sottrarsi alla realtà fu ancora peggio, perché appena chiuse gli occhi lo assalirono mille ricordi di quando le cose non erano così, di quando a lui e Louis bastava essere nella stessa stanza per sentire un brivido lungo la spina dorsale, come una scarica elettrica, come due calamite. Si ricordò di come la pelle di Louis reagiva al contatto con la sua, di come tutto ciò che doveva fare era annusarla, sfiorarla con il suo alito per provocargli i brividi. Come avevano fatto a ridursi così? Dopo quella che gli parve un’eternità, Louis si voltò. Per un attimo Harry si illuse che fosse tutto okay, che era solo una sua stupida paranoia. Non c’erano ombre violacee sotto i suoi occhi o segni evidenti di una notte passata in bianco. Ma poi si ricordò che il ragazzo davanti a lui era il miglior attore che avesse mai conosciuto e che, in fondo, era lui il primo a sapere quanta verità si può nascondere dentro di sé senza che nessuno fuori ne abbia il minimo sospetto.

“Come, adesso non mi baci neanche più quando mi vedi?” gli chiese Louis, in un tono più curioso che offeso. Harry si chinò verso di lui e appoggiò brevemente le labbra sulle sue. Poi si rialzò e si mise alla disperata ricerca di qualcosa da guardare, di un oggetto da prendere, di modo che Louis non lo vedesse in viso.

“Dove sei stato ieri sera?” sussurrò dopo qualche istante. Ci siamo, Harry pensò, erano soltanto alla seconda frase e già la maschera di Louis stava cadendo. Un estraneo non avrebbe notato la benché minima differenza, ma lui sì. Il modo con cui giocava con il polsino della felpa, o come si toccava di tanto il tanto la fronte, strofinandosi poi piano la tempia sinistra. Gli rispose che era andato ad una festa e che quando era rientrato, lui stava già dormendo e non aveva voluto svegliarlo. Sapeva anche che stamattina al suo risveglio Louis non c’era perché era andato a correre nel parco vicino all’albergo, e a giudicare dal cappuccio inzuppato aveva dimenticato l’ombrello, o forse non lo aveva portato del tutto. Perché Louis era fatto così. Lui non aveva paura di vivere le sensazioni sulla sua pelle, di sentire l’acqua ghiacciata che gli inzuppava i vestiti. Non si tirava mai indietro, anche a rischio di scottarsi. Sono le tre del mattino ma Harry ha voglia di un cornetto? Louis si alza, si infila i pantaloni della tuta e esce a comprargliene uno, alla crema ovviamente. Se Harry voleva vederlo, anche se era il suo giorno libero e avrebbe dovuto stare con la sua famiglia, prendeva un aereo, o si faceva tre ore di pullman, per stargli vicino, anche solo per mezza giornata. Se Louis voleva stringere la mano a qualcuno o abbracciarlo in mezzo alla strada, lui lo faceva, senza troppi problemi. A meno che quel qualcuno non si chiamasse Harry e a meno che non ci fossero interessi per milioni di sterline in mezzo a loro, più pericolosi del grattacielo più alto o della voragine più profonda. In quel caso Louis aveva dovuto imparare a controllarsi, a reprimersi, a lasciarsi modellare come un vaso di argilla, ma la lava sotto la superficie è sempre bollente, sempre pronta a uscire fuori,ad assaporare per un attimo la libertà, prima di essere incanalata ancora e tornare a sbuffare sotto terra, attenta a non fare troppo rumore.

“Lo so che sei andato a una festa, un’altra. Lo so io, come lo sanno i ragazzi, il tizio fuori dall’ascensore, il portiere dell’albergo, il panettiere qui di fronte e più o meno tutti quelli che stamattina sono usciti di casa e hanno avuto la brutta idea di comprare il giornale e leggere la prima pagina.” Fu solo allora che Harry notò i fogli di carta umida appoggiati sul tavolino al qualche Louis era seduto. Non aveva bisogno di guardare quelle foto sgranate per capire che quello era lui. Il ghigno divertito sul volto, ma gli occhi vuoti, incapaci di localizzare perfino l’obiettivo della macchina fotografica del paparazzo di turno. Quelle non erano di certo le prime foto che lo ritraevano in quel modo che fossero mai state pubblicate su un quotidiano. Quante volte, anzi, ne avevano riso insieme, sfogliandone le pagine e leggendo i commenti più assurdi che i cronisti erano riusciti a mettere insieme. Si facevano beffa di quelle supposizioni, fieri del loro amore e della loro capacità di continuare a stare insieme, nonostante avessero tutti contro. A volte si erano fatti prendere anche un po’ la mano e si erano messi d’accordo per inscenare piccoli siparietti in pubblico. Occhiate un po’ più lunghe o fameliche del solito, una mano appoggiata sul braccio dell’altro un po’ troppo a lungo. Era diventato quasi divertente, pericoloso ma eccitante allo stesso tempo, capire fino a che punto potevano spingersi, quanto ancora la gente avrebbe potuto andare avanti a far fingere di non vedere, a chiudere gli occhi anche di fronte ad attenzioni e contatti così evidenti. Harry però poi aveva cominciato a non divertirsi più tanto, e non era sicuro che neanche Louis lo trovasse più di tanto divertente. Come quando sei al cinema e tutti ridono, ma tu la battuta non l’hai capita e quindi sprofondi un po’ di più nella poltrona, chiedendoti perché tu non ci sei arrivato. O come quando senti quelle risate nei film in bianco e nero, che fanno ridere tutta la famiglia riunita intorno alla tv, ma non te. Perché pensi che appartengono a persone che ora non sono più in vita. Magari quei due attori erano innamorati, magari quella mattina avevano litigato prima di andare sul set, ma loro dovevano ridere, perché quello era il copione e i tempi non potevano essere discussi. Un po’ come loro due, che però non dovevano far finta di amarsi, di provare passione e desiderio guardandosi negli occhi, ma anzi dovevano fingersi indifferenti, come due estranei.

Harry ricordava ancora la faccia di Louis la sera dopo la riunione coi managers. “Non potete stare insieme”, erano stati chiari. Se volevano che la band avesse un futuro doveva rimanere tutto nascosto. Già in quei primi mesi erano così innamorati l’uno dell’altro che se fosse stato per loro si sarebbero alzati, avrebbero detto “No, grazie” e sarebbero usciti da quella orribile sala, con la moquette verde scuro e le pareti color crema, lasciando quel contratto in bianco sulla scrivania di noce. Ma come avrebbero potuto fare questo a Niall, a Zayn e Liam? Sapevano che se avessero parlato con loro avrebbero capito e alla fine li avrebbero lasciati andare, ma come si fa a stabilire che il proprio sogno è il più importante e realizzarlo, sacrificando quello dei tuoi migliori amici? Così erano saliti su quelle montagne russe, allacciandosi la cintura di sicurezza, ma questo poco importava, sapevano che sarebbero andati a scontrarsi comunque. L’unica cosa che Harry aveva potuto fare per rendere quella situazione più leggera per Louis era prendersi tutte le colpe, accettare il ruolo del ragazzino immaturo, che ogni sera dopo un concerto si porta a letto una donna diversa. Louis non ne avrebbe avuto la forza, o forse sì, ma Harry voleva rendere le cose almeno un millesimo più facili, almeno per lui. Non è questo l’amore, dopotutto? Si era lasciato fotografare con tutte le ragazze che aveva potuto, aveva flirtato con loro nella maniera più esplicita possibile e funzionò meglio di quanto avesse sperato. Aveva iniziato a fingere così bene da aver ingannato tutti, la sua famiglia, i managers, le fan. E per ogni foto pubblicata si sentiva meglio, era come una piccola dimostrazione d’amore per Louis, un mattoncino in più sulla strada che lo portava al sicuro da ogni critica, da ogni scandalo. Harry era il più piccolo, ma era lui a prendersi cura di Louis. A parte quando aveva il raffreddore, quando aveva nostalgia di casa o quando alla tv trasmettevano un film decisamente troppo triste anche per lui. In questi casi Louis lo abbracciava forte, lo rassicurava fino a farlo sentire meglio, ma tutte le altre volte, quello forte era lui e allora niente era più importante: doveva proteggere Louis, non importava a quale prezzo. Harry rabbrividiva al pensiero di come la stampa avrebbe gestito la faccenda e soprattutto all’effetto che ciò avrebbero avuto su Louis, come quella volta in cui era stato attaccato perché non riceveva mai assoli e avevano scritto che lui era il comico della band, non il quinto cantante. Quella notte, mentre stringeva il corpo di Louis scosso dai singhiozzi in bagno, giurò a se stesso che non avrebbero mai detto la verità al mondo. Preferiva vivere una vita nell’ombra, piuttosto che guardare la persona che amava affrontare tutto quel dolore, quella vergogna per colpa sua. Ed è proprio questa la motivazione che utilizzò per difendersi dalle sue critiche anche quella mattina.

“Lo sai che l’ho fatto per te. Più mi vedono uscire con ragazze diverse, più ti lasceranno in pace.” Ma Louis non voleva essere lasciato in pace, non voleva più stare zitto e fare finta di nulla. Si alzò e con una furia che non pensava nemmeno di avere, rovesciò il tavolino al quale era seduto. Il vaso di cristallo andò in mille pezzi, i quali si sparpagliarono sul pavimento blu scuro.  

“Piantala di dire che lo stai facendo per me, che mi stai solo proteggendo! La devi smettere!” urlò Louis, con tutto il fiato che aveva in gola. Era furioso, sì furioso era la parola giusta. Lui non aveva bisogno di essere protetto, perché Harry non capiva? Non gli serviva qualcuno che gli facesse da scudo, lo sapeva benissimo di quanto il mondo poteva essere cattivo con lui. Aveva vissuto diciannove anni senza di Harry, in quel mondo, era stato graffiato, deriso, fatto a pezzi, ma ogni volta era riuscito a cavarselo da solo, senza nemmeno un padre. Louis non aveva mai avuto bisogno di un padre e tantomeno lo voleva ora che era adulto. E sapeva che Harry lo capiva. Quante volte erano stati svegli fino all’alba a parlarne, tirando fuori ricordi e rabbia repressa che Louis non ricordava neanche più di nascondere dentro di sé. No, Harry si stava comportando così, senza freni, senza controllo, perché si era stancato di lui, come tutti d’altronde avevano fatto nella sua vita. Era facile fare amicizia con un tipo come Louis: la battuta sempre pronta, un sorrisetto malizioso e lo sguardo furbo. Era l’amico perfetto per uscire il venerdì sera, per lasciare a casa le preoccupazioni e i compiti non fatti. Quando però arrivava il lunedì, e qualcuno ti veniva a chiedere quei compiti, ecco che Louis non era più tanto simpatico, ma anzi veniva visto per quello che era, un ragazzino che non voleva crescere e cercava di portare quanti più amici possibili con lui.
E alla fine anche Harry era arrivato a quella conclusione. Quando si erano incontrati e Louis aveva capito quanto la storia tra loro fosse seria aveva cercato di avvisarlo, dicendogli che non sarebbe durata, perché lui non era capace di mettere radici, di diventare a sua volta un padre. Ma Harry era così accecato dal suo amore per lui che non lo ascoltava, rideva delle sue paranoie e lo baciava una, due, cento volte fino a fargli dimenticare tutto e allora Louis aveva iniziato a non dire più niente, fidandosi e sperando che forse davvero quella volta si era sbagliato, che era amore e non c’era niente che potesse dire o fare per convincere Harry a difendersi e a lasciarlo andare.

Aveva dovuto guardare il suo ragazzo uscire con altre persone, andare a feste diverse dalle sue, così che non ci fosse il rischio di essere visti insieme. Si era fatto da parte mentre il ragazzo che amava veniva screditato ogni giorno per il numero di ragazzine che si portava a letto. Ne avevano riso, si erano sentiti complici. Louis era arrivato addirittura a pensare che la forza del loro rapporto stesse proprio nel segreto, nell’adrenalina dei baci dati di nascosto, dietro le quinte dei palazzetti e delle arene. Se fossero stati due ragazzi normali, liberi di amarsi alla luce del sole, Harry magari si sarebbe subito stancato di lui e le loro strade si sarebbero separate molto prima. Ma il momento era arrivato lo stesso, perché erano settimane che Harry non era più lo stesso. La notte rientrava sempre più tardi, non si stringeva più a lui, nel letto al buio, per vedere se Louis fosse ancora sveglio. Non cercava più la sua mano nell’ascensore che li portava via dalla loro camera. Nelle interviste non incrociava più il suo sguardo, e gli intervistatori avevano perfino smesso di fare domande su loro due, talmente evidente era diventato il loro distacco. Louis aveva sperato che fosse solo un periodo, che Harry stesse solo crescendo, perché d’altronde non era più il suo ragazzino che poteva gestire come voleva, ma stava diventando un uomo, bisognoso delle sue esperienze e dei suoi spazi. E Louis, glieli aveva lasciati quegli spazi, vedendo però allargarsi sempre di più la distanza tra di loro. Era come se camminassero ai lati opposti di un binario del treno. Ognuno lungo la sua rotaia. Per un po’ avevano proseguito insieme, ogni tanto addirittura uno dei due prendeva coraggio e attraversava di corsa il binario, per stringersi la mano, una carezza veloce, ma era un attimo, poi bisognava tornare ognuno al proprio posto e continuare la propria corsa. Poi però un treno aveva fischiato e loro erano in ritardo. Il ritmo allora cambiò, non proseguivano più alla stessa velocità. Era Louis che aveva rallentato, perché stanco? O era Harry che aveva accelerato, spaventato di non raggiungere in tempo il treno?
Nessuno dei due lo sapeva, sono cose che nessuno sa, succedono e non c’è nessuno in particolare da incolpare, per questo fa così male.

“Io voglio proteggerti, devo farlo.” Rispose Harry, raccogliendo un pezzo di cristallo dal pavimento. “Guardami.” gli disse ancora, e sfiorò la superficie appuntita della scheggia contro il suo polpastrello. Subito una goccia di sangue ne uscì fuori, rossa e pulsante di vita come gli occhi di Harry non erano più da tempo.

“Ma sei impazzito che diavolo fai?” urlò Louis, mentre il panico si impossessava di lui. Scattò in avanti, togliendo quel dannato pezzo di cristallo dalle mani di Harry e scaraventandolo in fondo alla stanza. Il ragazzo a quel punto sorrise e Louis lo avrebbe preso a pugni, perché c’era tutto tranne che da ridere.

“Vedi?” sussurrò Harry. “Tu sapevi benissimo che non mi sarei potuto fare seriamente male con questo pezzetto di cristallo, era così piccolo, eppure non hai potuto trattenerti dal correre qui e assicurarti che io fossi al sicuro. È quello che faccio io ogni giorno. Io lo so che tu sei forte, molto più di quanto tu stesso ti renda conto, eppure non posso fare a meno di pensare che se io non intervenissi, che se io non scagliassi lontano tutto quello che ti ferisce, tu ne potresti morire.” Louis si limitò a fissare Harry, incapace di parlare, mentre le sue parole affondavano nel suo cuore e facevano un altro nodo, il più stretto, all’ancora che Harry aveva portato nella sua vita. La sua ancora di salvezza, che lo aveva tenuto a galla quando la nave stava precipitando a picco, giù, nel mare.

“Vestiti, sbrigati, io vado a cercare una macchina!” disse all’improvviso Louis, ritrovando la forza di un tempo, e il coraggio che solo l’amore incondizionato di Harry gli sapevano dare.

“Ma come, oggi avevamo quell’incontro per discutere del prossimo..” protestò Harry, con gli occhi spalancati per la sorpresa, rendendo Louis ancora più pazzo di lui.

“Sbrigati ti ho detto!” gli disse, lanciandogli un paio di jeans e una maglietta pulita. Louis quasi barcollava, non si reggeva in piedi, talmente si sentiva leggero, ora che sapeva che Harry lo voleva ancora, talmente tanta era la gioia e il sollievo che sentiva dentro di sé.

“Fai presto perché oggi, almeno per oggi, ci siamo solo io e te.” e mai un’altra frase fra due persone suonò così viva, giusta e vera come quelle parole, in quella stanza, in quel preciso momento.

Ciao e benvenuti a tutti! Mi chiamo Marta e ho 19 anni! Questa è la prima storia in italiano che pubblico su questo sito e serviva un po' per farmi conoscere, e vedere se il mio modo di scrivere potesse essere apprezzato. Se siete arrivati a leggere fin qui e ancora non vi siete stancati grazie davvero di cuore, se poi aveste anche voglia di lasciarmi un piccolo commento mi rendereste la "scrittrice" più felice del mondo! Grazie ancora e spero alla prossima!
Marta.
   
 
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