Nothing is harder than to wake up all alone.
I
breathe you in again.
Rigirò
il liquido scuro con il
cucchiaino, nella speranza che lo zucchero che ormai si era depositato
sul
fondo si sciogliesse rapidamente. Era tesa, dopo tutto quel tempo
passato da
sola senza più riflettere su nulla si era concessa di
accettare l’invito per
quel caffè. L’appuntamento era alle nove ma
l’orologio rosso appeso alla parete
di quel tipico locale anni sessanta costruito all’interno di
una grande
roulotte con il pavimento a scacchi bianchi e neri, segnava le otto e
venti.
Sospirò, portandosi una mano alla fronte e
sorseggiò il secondo caffè di quella
mattina. Il sole picchiava prepotentemente sui suoi capelli,
riscaldandole la
pelle e la spalla sinistra, illuminandole un tatuaggio unico. Si
sistemò alla meglio
i capelli, non voleva che lui lo vedesse e si mise in attesa.
Brian
comparve dalla porta
della roulotte alle nove in punto, i capelli scompigliati e gli occhi
accesi di
luce propria che venivano illuminati dal sorriso che increspava le sue
labbra
perfette. Mosse qualche passo all’interno del locale,
spostando lo sguardo in
cerca di lei. Quando la adocchiò le andò
incontro, sedendosi proprio di fronte
ad essa. La canotta scura gli fasciava i fianchi morbidi e faceva
spuntare una
piccola voglia che aveva appena accennata sull’incavo destro
del collo. Era
sempre rimasta la stessa, solo che era più alta e i suoi
occhi lasciavano
trapelare cose di cui lui non era ancora a conoscenza.
«Quanti caffè hai bevuto in mia assenza?»
le chiese, appena notò le
tazzine vuote e le bustine di zucchero strappate. Effie alzò
gli occhi grigi su
di lui, mordendosi il labbro inferiore.
«Due qui e uno a casa» incrociò le
braccia al petto, mentre Brian faceva
segno alla cameriera di andare da loro. La ragazza che era dietro al
bancone li
raggiunse, prendendo le ordinazioni. Un cappuccino per Brian e
l’ennesimo caffè
per Effie.
«Non ti fa bene prendere tutti questi
caffè» esordì ad un tratto lui,
mentre guardava la piazza fuori da finestrino.
«Non sono affari che ti riguardano» chiuse gli
occhi e addentò il
croissant che aveva preso appena era entrata li dentro.
«Come siamo acide» e sorrise, facendole inarcare un
sopracciglio.
«Io non sono acida» disse, mentre si spostava
leggermente per permettere
alla cameriera di appoggiare sul tavolino i loro ordinativi.
Brian prese la tazza e bevve un lungo sorso di cappuccino, guardando di
sottecchi la giovane ragazza che aveva davanti. In tutti gli anni che
la
conosceva non era mai riuscito a capirla appieno: quegli occhi
sprizzavano
euforia e gioia da ogni lato ma allo stesso tempo nascondevano qualcosa
e poi
non capiva perché non volesse fargli vedere quel dannato
tatuaggio.
«Hai più saputo nulla?» le
domandò ad un tratto, facendo tintinnare la
tazza a contatto col piattino di ceramica.
«Chiameranno, ne sono sicura» annuì a se
stessa.
«Ne sono sicuro… oh, scusa» Effie
concentrò il suo sguardo sul movimento
fluido del braccio del ragazzo che estrasse velocemente il cellulare
dalla
tasca dei jeans malandati. I tatuaggi si susseguivano sul suo braccio
in un
intreccio di colori e ricordi, che solo lui poteva conoscere realmente.
«Pronto?» guardò fuori socchiudendo gli
occhi, cercando di scorgere
qualcosa «No Johnny, scusa. Non ti vedo proprio» il
ragazzo dall’altra
parte del telefono disse qualcosa per il quale Brian
strabuzzò la propria
espressione «Non esiste, dato che sei qui dietro
l’angolo mi porti le cose qua,
grazie!» e sorridendo lo salutò, chiudendo la
chiamata.
«Chi era?» chiese Effie, curiosa, mentre appoggiava
la tazzina vuota sul
tavolo. Nel mentre che il ragazzo era al telefono si era messa a
disegnare
qualcosa sul tavolo con lo zucchero.
«Il mio bassista, passa qui adesso per portarmi dei
documenti»
«Capisco» Effie si alzò dallo sgabello,
afferrando la sua borsa etnica e
la macchina fotografica. Andò dietro a Brian e
appoggiò la testa sulla sua
spalla, mentre con la mano teneva l’obiettivo della
fotocamera voltato verso di
loro «Sorridi» disse, semplicemente.
Il fiato soffice della ragazza si perse tra i suoi capelli e sul flash
della
macchina fotografica, lasciandolo immobile per qualche secondo. Si
girò verso
di lei, che era già in piedi ha controllare la fotografia.
«Questa è bella Haner, te la concedo»
gli fece un occhiolino «Offri tu,
vero?»
Non si salutarono, si sorrisero e basta, mentre lei usciva da quel
piccolo bar
e percorreva la piazza principale, diretta verso chissà
quale meta. La seguì
con lo sguardo, mentre scompariva dietro la fontana. In quello stesso
momento
Johnny entrò dentro al bar, lasciando i documenti sul tavolo
a Brian.
«Ehi» lo salutò, mentre appoggiava la
busta gialla davanti all’amico.
«Ciao Johnny» si riscosse l’altro
«Aspetta che pago, così possiamo
uscire da qui»
Effie
stava ripercorrendo la
strada principale che portava a casa sua quando si sentì
picchiettare sulla
spalla destra. Voltò lo sguardo in quella direzione, per
poter vedere chi le
stesse dando fastidio in quel momento.
Incontrò due penetranti occhi azzurri che la fissavano.
«Ciao, vicina di casa» la
salutò lui, sventolandole la mano davanti alla
faccia.
«Ciao» sbuffò lei, allungando il passo.
«Sei di poche parole anche oggi?» le
domandò James, guardandola di
sbieco.
«No, sono semplicemente vogliosa di tornare a casa e di non
parlare con
qualcuno che non aveva nessuna intenzione di conoscermi»
disse tutto
rapidamente, mentre svoltava nella via di casa sua «E
un’altra cosa, la
marmellata faceva schifo»
James sorrise, mostrando uno sguardo allegro e divertito «Sei
un vero e proprio
caratterino»
«Mai detto il contrario» estrasse dalla borsa le
chiavi di casa,
cercandole accuratamente all’interno della tracolla troppo
grande.
Il ragazzo alto stette in silenzio, concentrando lo sguardo sul prato
poco
curato della casa disabitata che aveva alla sua destra. Effie
salì i primi gradini
di casa, aprendo la porta.
«Beh, ci becchiamo in giro» disse, prima di
chiudere l’uscio.
Jimmy si voltò e si incamminò verso la spiaggia
«Si, ci becchiamo in giro»
Concentrò
tutta la sua
attenzione su ogni più piccolo particolare.
Il Macintosh portatile era la sua salvezza, aveva il programma che
più serviva
ad un fotografo professionista, Photoshop. Davanti ai suoi occhi la
foto di lei
e Brian stava subendo variazioni di colori e intensità.
Effie stava addirittura
pensando di farla in bianco e nero, ma gli occhi di lui alla fine
l’avevano
fatta demordere dall’intento. Era bella come immagine, erano
venuti entrambi
bene e, fortuna volle, che si notassero perfettamente tutte le
sfumature e le
più piccole cose, come ad esempio le lentiggini di lui e i
granuli dei disegni
di zucchero sul tavolo. Rimase a fissare la fotografia per qualche
minuto,
prima di decidersi a stamparla. Non appena cliccò con il
mouse il pulsante “stampa”
il cellulare che aveva sulla
scrivania accanto al pc si mise a vibrare insistentemente.
«Pronto?» non aveva
guardato chi fosse, teneva l’apparecchio tra la
spalla e l’orecchio mentre armeggiava con
l’immagine appena stampata e le
forbici.
«Effie, sono io»
la voce di
Brian irruppe nel cellulare, facendole tagliare male un angolo.
«Cazzo, mi hai fatto sbagliare» rispose scontrosa.
«Scusa» disse
lui,
ridacchiando appena «Piuttosto,
stasera
ti passo a prendere, ti porto in un posto carino insieme agli altri
ragazzi. E’
ora che tu ci conosca tutti»
Effie si portò una mano tra i capelli, riavviandoseli
appena, dopodichè allungò
le gambe appoggiando i piedi sul tavolo.
«Non lo so Haner»
«Eddai piccoletta, è
giunto il momento
che tu conosca altra gente» poteva immaginare Brian
all’altro capo
del telefono, appoggiato alla finestra di una qualsiasi stanza, mentre
guardava
fuori.
«E va bene, ma solo per questa volta»
acconsentì, più per togliersi il
problema, che altro.
«Ottimo» il
ragazzo sorrise «Dammi
l’indirizzo»
«Palm Avenue» soffiò fuori, chiudendo
gli occhi.
«Perfetto, ci vediamo più
tardi»
Si salutarono e ognuno di loro tornò alle proprie cose.
Effie si maledisse nel
momento stesso in cui chiuse la chiamata. Cosa diavolo stava facendo?
Si
guardò allo specchio, i
jeans corti mostravano le gambe magre e la caviglia solcata da una
grande
cicatrice causata da una situazioni particolarmente brutta vissuta da
piccola.
Brian non sapeva nulla. Nessuno aveva mai saputo nulla,
all’infuori di chi
aveva comprato il giornale la mattina successiva quel fatidico giorno.
Si mise
una canotta gialla e le scarpe da ginnastica, prese la borsa e dopo
essersi
riavviata i capelli uscì dalla porta principale, sedendosi
sui gradini in legno
chiaro. Il cielo era già scuro e le stelle facevano capolino
in ogni angolo
celeste. Stava per chiudere gli occhi per l’ennesima volta
quando la voce di
Brian la risvegliò dai suoi pensieri. Corse alla macchina e
salì, sedendosi
accanto a lui.
«Dove andiamo?» gli chiese
lei, curiosa.
«Al Johnny’s, vedrai ti
piacerà» inserì la freccia, per
svoltare nella
strada a destra.
«D’accordo, sono proprio curiosa»
sorrise, dandogli un leggero pugnetto
sul braccio.
Il
locale era un insieme di
alcol, fumo e droga. Non si capiva molto di quello che la gente diceva
perché il
volume della musica era talmente alto da coprire qualsiasi rumore.
Inutile dire
che li dentro vi si trovava qualsiasi tipo di persona:
dall’adolescente
arrapato al vecchio ubriacone, ma anche gente normale che amava e
apprezzava
quel luogo. Percorsero a spintoni la grande sala, dirigendosi verso dei
divanetti in pelle nera, dove quattro ragazzi se ne stavano a
chiacchierare
bevendo delle Guinness. Brian si avvicinò insieme a lei e la
presentò.
«Ragazzi, questa è Effie» e
si scostò, permettendo a tutti di vederla.
«Tu!» esclamarono insieme lei e un ragazzo
all’angolo del divano.
«Tu cosa ci fai qua?!» lo urlarono insieme, come
due perfetti idioti.
Sotto lo sguardo sbigottito degli altri che seguivano divertiti la
scena.
«Brian, questa qui è la mia acida vicina di
casa» James la indicò,
mentre spostava lo sguardo su Brian.
«Acida?» esclamò lei, spalancando gli
occhi «Sei te che non sai porti
alle persone!»
«Certo, come no»
«Sentite, facciamo così..» intervenne
Brian «Intanto sediamoci e
cominciamo a prendere da bere, ok?»
Annuì poco convinta, prendendo posto tra un ragazzo alto e
muscoloso e uno che
era più basso e leggermente in carne. Il primo di loro si
presentò come Matthew
Sanders, mentre l’altro come Zachary Baker. Accanto a James
si sedette Brian e
un altro di loro, con una cresta non troppo alta, si
presentò alla ragazza con
il nome di Johnny.
«Hai dei capelli fichissimi» disse ad un tratto
Zachary, toccandoli per
guardarne meglio il colore.
«Grazie» rispose semplicemente, imbarazzata.
Non era abituata a ricevere tutte quelle attenzioni.
La serata proseguì abbastanza bene, se non fosse stato per
il continuo scambio
di occhiate con James e di battute con Brian. Quest’ultimo le
era vicino,
sempre. Si parlavano e si escludevano dagli altri la maggior parte del
tempo,
come se non esistessero altre persone all’infuori di loro. Ma
magari questo era
solo una sua impressione. Avrebbe avuto modo di pensarci il mattino
seguente.
Sono in super ritardo, mea
culpa. Il lavoro mi
porta via un sacco di tempo ç__ç
Comunque vi ringrazio,
vi ringrazio davvero di cuore per il sostegno che mi
date, mi date sempre un sacco di soddisfazione, e per qualcuno che
scrive,
ricevere dei commenti così positivi può solo che
migliorare le giornate.
Ringrazio quella ragazza che mi ha scritto un bellissimo messaggio in
chat
privata su facebook, grazie di cuore. Ringrazio inoltre chi ha
recensito lo
scorso capitolo: AlisGee, Rachel_Ugo e 10winters.
Ringrazio
anche le sette
persone
che la seguono.
Grazie davvero,
un abbraccio.
Amelie.