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Autore: pdantzler    05/11/2007    9 recensioni
Harry capita per sbaglio in casa di Piton nell'estate del quinto anno, dopo la morte di Sirius. Costretti a una convivenza forzata, i due scopriranno molte cose l'uno dell'altro. Traduzione a opera di Starliam ed Allison91
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco un nuovo capitolo!
Divertitevi!
Starliam


Piton marciò in cima alla collina e rimase a fissare il suo nuovo pupillo, esprimendo una furia che non poteva essere descritta a parole. Harry si ritrasse, chiedendosi se doveva correre via. Era molto stanco, ma pensava che sarebbe comunque riuscito a seminare Piton se ci avesse provato con abbastanza forza. D’altra parte, Harry sotto il mantello indossava pantaloni lunghi e una maglietta larga; mentre Piton aveva la sua veste fluttuante.

Harry fece per voltarsi, e Piton urlò a gran voce: “Potter, se fai anche solo un passo indietro, ti trasformo in un albero e ti lasciò lì fino a che compi vent’anni!”

Harry si voltò verso di lui con riluttanza. Non credeva sul serio che Piton lo avrebbe lasciato lì per i successivi quattro anni; ma non aveva alcun dubbio sul fatto che il suo severo insegnante di Pozioni gli avrebbe lanciato una fattura. Se Piton intendesse trasformare Harry in un albero, o semplicemente intrappolarlo in un albero, il ragazzo non aveva voglia di scoprirlo.

“Che ore sono?” chiese Piton.
“Non lo so, signore”, scrollò le spalle Harry. “Non ho un orologio”.
“E non ti è venuto in mente di chiederne uno, adesso che stai seguendo una tabella?”
“No, ma lei non me l’ha dato,” protestò Harry.
“Pensavo che tu fossi abbastanza responsabile da riconoscere i tuoi bisogni senza che io sia costretto a occuparmi di ogni minima cosa. Vedo che stavo dolorosamente sbagliando”.

Harry incrociò le braccia e si chiese che cosa sarebbe successo se avesse afferrato la bacchetta di Piton e avesse trasformato lui in un albero.

“Prima che tu uscissi, ti avevo detto di rimanere sul sentiero grigio. Mi hai sentito?”
“Sì, ma sembrava che finisse davanti a quella cosa per far mangiare gli uccelli”, Harry indicò un punto col dito.

Piton quasi roteò gli occhi. “Se l’avessi oltrepassata, avresti visto che il sentiero forma una curva a gomito sulla sinistra, subito dopo la mangiatoia. Il sentiero grigio compie un giro di circa mezzo miglio intorno alla casa e ai giardini. Questo più scuro, invece, entra nei terreni dietro la casa. Riposta comunque all’abitazione, ma il giro che compie è lungo sedici miglia. Tu hai camminato per più di quattro miglia – non hai pensato che stavi camminando da molto tempo e che avresti già dovuto raggiungere la casa da un po’?”

Era così ingiusto; Harry avrebbe voluto gridare dalla frustrazione. Piton stava facendo giochini mentali con lui, di nuovo. Faceva in modo che Harry si trovasse sempre a sbagliare: Piton lo faceva apposta, per essere sicuro che Harry si sentisse a disagio, impacciato e infelice il più possibile, e Piton si godeva ogni secondo della sua miseria.

“C’è un altro sentiero più scuro che si diparte da questo, più avanti,” aggiunse Piton. “Se lo avessi preso, saresti finito a Malfoy Manor!”
Harry sbattè le palpebre. “Abita accanto a Malfoy Manor?” “Se per accanto tu intendi a 14 miglia di distanza, allora si, ci abito accanto”, sbottò Piton. “E la prossima volta che ti dico qualcosa sulla casa o sui confini, ascoltami! Sono le undici passate, e ti sei perso metà del tempo dedicato allo studio”. Piton ripose la tabella nella tasca della veste e mise via la bacchetta. Prese Harry per le spalle e se lo tirò vicino. “Stai fermo”.

Harry voleva arretrare; non gli piaceva quella vicinanza, ma la presa di Piton era implacabile. Entrambi si smaterializzarono con un crack.

A Harry non piaceva neanche questa sensazione: era peggiore che viaggiare via Passaporta, improvvisa e forte con una sensazione di essere strattonato che aveva fatto sobbalzare ogni muscolo del suo corpo. Piton lo lasciò andare non appena arrivarono, e Harry cadde all’indietro sul terreno soffice con un umph. Si guardò intorno; erano nel giardino principale, la casa era lontana solo qualche centinaio di piedi. Piton si chinò e tirò su Harry tenendolo per un braccio. Una volta assicuratosi che il ragazzo fosse saldo sui piedi, Piton lo afferrò per un orecchio e iniziò a trascinarlo verso l’abitazione.

“Ow! Ma io pensavo che l’altro sentiero si fosse interrotto,” protestò Harry, affrettando il passo per evitare che Piton gli strappasse del tutto l’orecchio. “Sapevi esattamente cosa ho detto,” Piton continuava a camminare, la sua presa come una morsa intorno all’orecchio di Harry. “Ma tu pensavi di saperne di più, così hai deciso di scegliere la strada ignorando le mie direttive. Un comportamento tipicamente Potter: pensa di saperne più di chiunque altro. Pensavo avessimo già affrontato questo argomento, ma ovviamente il messaggio non è arrivato a destinazione”.

“No, no,” replicò Harry in fretta, il suo tono di voce perfettamente rispettoso. “Ero confuso, tutto qui – non pensavo che lei stesse sbagliando. Prometto che la prossima volta rimarrò sul sentiero grigio, anche se penso che non porti da nessuna parte”.

Raggiunsero la porta, e Piton gli lasciò l’orecchio. Harry ebbe appena il tempo di strofinarselo prima che Piton lo afferrasse per la spalla e lo spingesse in biblioteca.

“Non un’altra parola da parte tua, Potter”, ordinò il professore di Pozioni. “Siediti alla scrivania e inizia a scrivere quel compito. Sarà meglio che non senta neanche un pigolio fino all’ora di pranzo, o vedrai…”
Piton lo fissò minaccioso e uscì con passo altero, chiudendosi con forza la porta dietro di sé.

Harry si sedette tremando alla piccola scrivania, e prese la pergamena e una penna. C’era mancato poco, troppo poco. Doveva sopravvivere se voleva riportare indietro Sirius e Cedric, e irritare Piton non gli sarebbe servito. Fai quello che ti dice, pensò Harry mentre srotolava la pergamena e vi sistemava sopra a un’estremità la boccetta dell’inchiostro, per impedirle di arrotolarsi di nuovo. Fai quello che dice, e quando si sarà abituato a te, vattene da qui.

Come al solito quando si trovava a guardare un foglio di pergamena bianco, non riusciva a farsi venire in mente niente da scrivere. Lo infastidiva, a scuola, quando si preparavano a scrivere e Hermione iniziava a buttare giù quello che le veniva in mente con foga, come se potessero strapparle il foglio dalle dita. Iniziava a scrivere, e poteva ignorare chiunque nella stanza, mentre scriveva e scriveva; e tornava indietro a cambiare una parola e a riconsiderare la conclusione, tutto con una espressione intensa sul volto. Harry cercava di mantenere l’attenzione, mentre sedeva accanto a lei, ma veniva sempre distratto da Ron che giocherellava con i libri o da Dean Thomas che parlava dell’ultima partita di Quidditch. A quel punto Harry desiderava unirsi e chiedere del Cercatore di Corvonero o del Battitore di Tassorosso. E la cosa successiva di cui si rendeva conto, era che si era fatto troppo tardi e i prefetti mandavano tutti a dormire.

Ma qui era diverso. Nessuna distrazione nella libreria silenziosa, nessuno con cui parlare, niente che lo disturbava. E non aveva assolutamente niente da dire.

“Come mostrare il dovuto rispetto e obbedienza ai più grandi”. Almeno, pensava che fosse questo il compito. O almeno abbastanza simile, sperava. Rispetto, il dovuto rispetto. Come quella canzone babbana: R – E – S – P – E – C – T, just a little bit, just a little bit.

Canticchiò la canzone fra sé e sé mentre buttava giù qualche parola. E se avesse iniziato a cantarla davanti a Piton? Il professore avrebbe pensato che era impazzito. R – E – S – P – E –

No, concentrati! Non cantare, scrivi!

Harry guardò il foglio per vedere cosa aveva scritto. Il rispetto e l’obbedienza sono necessari se… Se cosa? Se vuoi essere miserabile ventiquattro ore al giorno? Se non vuoi divertirti ed essere annoiato fino ad impazzire? … Se si vuole diventare rispettosi della legge (sì, o Mangiamorte), dei rispettabili (o acidi) maghi o streghe (o odiati professori).

Ecco, una frase. Un’ intera frase che occupava una riga. Aveva ancora due piedi, undici pollici da fare. Cercò di pensare a tutte quelle ramanzine che la McGranitt gli aveva dato a proposito di seguire le regole e stare a posto. Ne aveva dimenticate una buona parte, più intento a fantasticare sull’imminente partita di Quidditch che a prestare attenzione ai suoi rimproveri. Forse qualcosa sull’ascoltare poteva starci, nel compito: qualcosa sul fatto di stare attenti quando gli adulti parlano?

Harry aveva appena scritto mezzo piede di pergamena quando sentì un piccolo crack, e un’ elfa domestica si materializzò davanti alla scrivania.
“Sì?” chiese Harry. Era ormai preso dalla scrittura, e non gli piaceva essere interrotto.
“Padron Piton chiede che il signor Potter venga a pranzo”, squittì l’elfa domestica.
“Come? Non può essere già l’ora”, obiettò Harry. “Ho appena iniziato”.
“Padron Piton chiede anche che il signor Potter porti con sé il suo compito”, continuò l’elfa come se non avesse sentito Harry.
“Ma non ho ancora finito. Ho avuto appena un’ora. Devo fare ancora due piedi e mezzo”.
L’elfa sembrò nervosa e incerta. Finalmente, gli disse: “Il signor Potter dirà questo a Padron Piton a pranzo, e Padron Piton se la vedrà con lui”.
“Grande”, Harry ripose la penna nella boccetta dell’inchiostro e seguì l’elfa domestica nella sala da pranzo.

Piton era già seduto a tavola, che leggeva accuratamente alcune lettere. Alzò lo sguardo mentre Harry si avvicinava al tavolo. “Dov’è il tuo tema?”
“Non l’ho finito. Non mi ha dato abbastanza tempo. Non scrivo molto in fretta”.
“Tu non fai diverse cose molto in fretta, signor Potter”, commentò asciutto Piton. “Perché dovrei essere sorpreso che scrivere sia una di queste? Smettila di tenere il broncio, e siediti.

Un orologio d’oro era accanto al piatto di Harry. Piton annuì indicandolo. “Forse quello ti aiuterà a tenere conto del tempo, Potter, anche se ne dubito. Cerca di non perderlo o di non romperlo durante la prima ora, ci riesci?”

Il pranzo era buono, e Harry prestò una speciale attenzione alle maniere. Tovagliolo in grembo, postura diritta, nessuna sciatteria che Piton potesse criticare. Il bicchiere di fronte a lui conteneva un liquido rosso scuro, che Harry pensò potesse essere vino o succo di mirtillo. Lo assaggiò, sicuro che Piton non gli avrebbe mai dato del vino. Era simile al mirtillo, ma sembrava più lampone mischiato con mela e un altro sapore che Harry non riconosceva. Qualcosa di aspro, eppure dolce; con un retrogusto di mora, forse?

Harry alzò la testa di scatto. “Ha messo una pozione qua dentro?” chiese.
Era un comportamento in perfetto stile Piton, dare pozioni alle persone quando meno se lo aspettavano. Specialmente dopo quella conversazione al quarto anno, quando Piton aveva promesso che avrebbe messo il Veritaserum nel succo di zucca di Harry.
“Per favore, Potter”, sospirò Piton. “Se avessi voluto che tu prendessi una pozione, te l’avrei data in una fiala e mi sarei divertito a vederti inghiottirla. Molte pozioni perdono l’efficacia, se mescolate con altre bevande. La miscela di frutti che ti stai godendo renderebbe inutile la più semplice pozione”.

Harry scosse piano il bicchiere, guardando il succo che colpiva l’orlo. “Perché non può aggiungere un po’ di sapore alle pozioni? Perché devono essere così cattive?”

Piton sospirò, mentre appoggiava il suo bicchiere.

“So che probabilmente ce lo ha detto centinaia di volte in classe” - aggiunse Harry, immaginando correttamente i pensieri di Piton - “ma lo chiedo di nuovo”.
“Come ho cercato di dirvi il primo giorno di lezione” - Piton assunse l’espressione da predica che aveva di solito quando insegnava lezione a un branco di idioti - “le pozioni sono sostanze delicate, instabili. Non è come preparare dei biscotti, dove anche se si aggiunge un po’ troppo burro o non abbastanza farina, il risultato è buono comunque. Non puoi iniziare a mischiare gli ingredienti e sperare che facciano l’effetto che dovrebbero. Se aggiungi un ventesimo di un cucchiaino di troppo, l’intera pozione può essere rovinata”.

Harry aprì la bocca per obiettare, per insistere che le pozioni non possono essere così particolari, ma Piton scosse la testa.

“D’accordo, Potter, fai finta che stai volando dritto verso il Boccino. Un po’ più veloce, e lo prenderai nei prossimi venti piedi. Improvvisamente, il Boccino vira due pollici a destra. Se non cambi direzione verso la piccola canaglia, la perderai nei prossimi venti piedi. Le pozioni sono la stessa cosa. Capito?”

“Beh, se le pozioni sono così difficili da fare bene, perché si arrabbia quando in classe sbagliamo? “ chiese Harry, un po’ bruscamente. “Incolpa noi perché non riusciamo a farle, e ha appena detto che è quasi impossibile non sbagliarle”.

Piton appoggiò la forchetta con un sonoro “clinck”. “Potter, quanti anni hai?”
Harry arrossì. Non voleva fare questi giochini. “Lo sa quanti anni…”
“Rispondi alla domanda”.
“Va bene, compirò sedici anni fra tre settimane”.
“E” – continuò Piton senza alcuna espressione – “da quanti anni stai frequentando Hogwarts?”
“Da cinque, ma non capisco…”
“E in questi cinque anni, per quanti di essi hai frequentato Pozioni?”
“Per tutti e cinque, ma…”
“Quindi hai partecipato a circa trecento lezioni di Pozioni? Più o meno?”

Erano davvero così tante? Harry si fece rapidamente la somma a mente. Almeno due volte a settimana, per nove mesi all’anno, per cinque anni.
“Penso sia giusto”, ammise.
“E in queste lezioni, quante volte ti sei presentato in classe dopo aver letto ciò che vi era stato assegnato?”

Harry poteva sentire le guance farsi più rosse. “Uh…” “Ogni lezione?” Piton gli gettò uno sguardo indagatore che fece agitare Harry sulla sedia. “Una volta a settimana?” Harry distolse lo sguardo, contorcendosi sulla sedia. “Una volta al mese? Una volta ogni due mesi? Oh, aventi, Potter, menti se devi! Ti sei mai preparato per le mie lezioni?”
“Sì, sono certo di aver studiato almeno quattro diverse volte”, insistette Harry.

Il silenzio di Piton risuonò minaccioso nella sala da pranzo, e gli organi interni di Harry continuavano a contorcersi nervosamente. Harry evitò di incontrare lo sguardo penetrante di Piton continuando a fissare il tavolo, mentre il silenzio si prolungava.

“Ero impegnato”. Harry finalmente ruppe il silenzio. “Ho le altre lezioni e…”
“E il Quidditch, e l’andare in giro con gli amici a fare sciocchezze, e i vagabondaggi notturni”, si accigliò l’insegnante. “So che la signorina Granger partecipa a ogni lezione preparata, eppure riesce a assistere alle partite di Quidditch e a passare il tempo con gli amici. Tu passi nove mesi dell’anno dove? Al parco di divertimenti di Hogwarts? All'asilo infantile di Hogwarts? No alla scuola di Hogwarts”.

Harry si imbronciò e spinse via il piatto quasi vuoto.

“E per quanto riguarda fare bene le pozioni, pensi davvero di poter saltellare in un laboratorio e iniziare a buttare ingredienti insieme e fare qualcosa di buono, senza pratica, senza conoscenza della materia? E’ un miracolo che voi ragazzi non abbiate fatto saltare in aria la mia classe. Se potessi fare a modo mio, nessuno sotto i quindici anni dovrebbe essere ammesso in un laboratorio di Pozioni. Finchè non capite quanto possono essere pericolose certe sostanze, non dovreste commetterci sciocchezze”.

“Mi spiace di averlo chiesto”, ribattè Harry. “La prossima volta che ho una domanda, cercherò direttamente la risposta senza ascoltare una predica di dieci minuti”.
“Sei impossibile”, Piton scosse la testa, tornando al suo pranzo. “Io offro un po’ di critica costruttiva…”
“Costruttiva?” Harry quasi urlò. “Non c’è niente di costruttivo in questo. Lei fa la lista di tutto quello che sbaglio, sapendo che non posso fare niente perché sono nella sua casa con le sue regole”.
“Cosa credi che voglia da te il prossimo anno? Hmm, Potter?” “Che studi di più e che la smetta di fare sciocchezze”, mormorò Harry.
“E se lo farai, potrò pensare che hai modificato il tuo biasimevole comportamento grazie alla mia predica. Quindi, qualcosa di buono ne sarà venuto”.

Harry si appoggiò alla sedia, sconfitto. Quell’uomo aveva una maledetta risposta per tutto. D’altra parte, non voleva che Piton avesse ragione. Gli piaceva quando diventava offensivo solo per essere odioso. Era più facile disprezzarlo.

“Se finisco il mio compito questo pomeriggio, posso girare un po’ per la casa più tardi, durante il tempo libero?” chiese Harry, dopo qualche minuto di silenzio.
“Vuoi iniziare a esplorare?” Piton alzò un sopracciglio, facendo capire che pensava a un’altra parola.
“No, non voglio curiosare”, insistette Harry. “Solo guardare un po’ in giro. Di solito lo faccio ad Hogwarts, per vedere i quadri e le diverse stanze. Non sono mai stato in un’altra casa di maghi, a parte quella degli Weasley, oh, e la casa di Sirius”. Un’ombra passò sul volto di Harry, e Piton rispose in fretta: “Va bene, puoi guardarti intorno; ma ho due regole. Primo, rimani fra il primo e il secondo piano. Non curiosare nei sotterranei e o nelle torri. Due, se una porta è chiusa significa che non ci devi entrare. Capito?”

Harry voleva protestare. Aveva in mente di perlustrare ogni angolo dell’abitazione fino a che non avesse trovato la sua bacchetta e il suo mantello, ma non era il caso di dirlo a Piton. Il professore lo avrebbe probabilmente rinchiuso nella sua stanza, se avesse avuto il sospetto di ciò che il suo giovane pupillo aveva in mente.

“Sì, signore”, annuì Harry.

“Adesso che abbiamo finito di discutere su pozioni e esplorazioni, forse ti piacerebbe riaffrontare l’argomento della tua tabella. Immagino che non ci saranno più sfuriate da parte tua, a meno che tu non voglia familiarizzare ancora di più con l’angolo?”
“No”, Harry guardò male il professore, ma non disse altro. “Bravo ragazzo. Ho guardato la tabella un’ultima volta, e sono giunto alla conclusione che non c’è niente da cambiare. Spero che tu abbia raggiunto la stessa conclusione. Se non è così, posso sempre aggiungere più studio e mettere più presto l’ora di andare a letto”. “Va bene così com’è”, lo rassicurò Harry. Avrebbe voluto che semplicemente, l’insegnante gli consegnasse la tabella dicendogli: “Ecco, questa è la scheda. Arrangiati, Potter”. Tutto questo discuterne infastidiva Harry più della tabella stessa.
Le discussioni sulle cose rendevano Piton più umano, e Harry preferiva che rimanesse il cattivo, malvagio pipistrello che era sempre stato.

“Ho pensato alle conseguenze della disobbedienza”, continuò Piton, ignaro dei pensieri di Harry. “Adesso, idealmente, mi piacerebbe pensare che non ci sia bisogno di punizioni perché non disobbedirai mai; ma entrambi sappiamo che è un pensiero sciocco”.

Era così difficile non mettere il broncio. Harry poteva sentire il suo labbro inferiore che desiderava sporgersi in un rabbioso, muto broncio; ma strinse forte le labbra per resistere alla tentazione. Non avrebbe dato quella soddisfazione a Piton.

“Ora, che tu ci creda o no”, Piton prese un sorso di thè, “io penso che ci siano diversi gradi di disobbedienza. Per primo, c’è l’ignoranza: il semplice fatto di non conoscere una regola. Per quello l’unica conseguenza sarà il fatto che ti metterò al corrente della regola in questione, sperando che tu la segua in futuro. Il secondo è composto dagli errori di tutti i giorni: piccole cose che potrebbero diventare problemi se non corrette subito. Per quelle non ci sarà altro che una predica. Poi, vengono gli atteggiamenti e le parolacce. Sono incluse le imprecazioni, atteggiamenti ribelli, e il tuo passatempo preferito: tenere il broncio. In base al grado del tuo cattivo comportamento, potrò darti un po’ di tempo da passare nell’angolo o mandarti in camera tua. Imprecare, comunque, ti farà avere la bocca lavata col sapone. Quarto, c’è la vera e propria disobbedienza. Ti viene detto di non fare una cosa, e tu fai l’opposto, sapendo perfettamente che stai disobbedendo. Per questo otterrai la punizione peggiore. Hai qualche domanda?”

Sì, avrebbe voluto gridare Harry, qual è la punizione peggiore? Ma aveva come la sensazione di sapere esattamente quale sarebbe stata. Scosse la testa, dicendo: “No, signore; ma se ne avessi, posso chiederle più tardi?”

“Molto bene”, acconsentì Piton, “ma le regole si applicano da questo momento in poi. Se ti pesco di nuovo a disobbedirmi o a ignorare le mie parole…”

Se Harry fosse riuscito nel suo intento, Piton non lo avrebbe pescato mai più a far niente. Alla prima occasione che avrebbe avuto, Harry sarebbe stato fuori di lì.

“Allora, se hai finito, perché non vai nella tua stanza a lavorare al tuo tema?” Piton indicò con la testa la porta.

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Fra finire il compito, leggere un po’ di un vecchio libro di Storia della Magia, e la cena, Harry non ebbe affatto tempo di esplorare l’abitazione. Era sul suo letto a sistemare il tocco finale al suo tema, quando Piton entrò nella sua stanza.

“E’ un quarto alle dieci, Potter”, annunciò il professore. “Di certo, avrai finito il compito, adesso”. Harry gli tese il foglio senza una parola. Sperò che Piton lo avrebbe preso per leggerlo più tardi, ma ovviamente, l’insegnante preferiva leggerlo mentre stava in piedi al centro della stanza.
Harry si agitò, sentendosi in imbarazzo. Poteva andarsene, o doveva rimanere attento mentre Piton leggeva? Era davvero ingiusto: probabilmente, nessuno in tutto il mondo doveva scrivere dei tempi come punizione durante l’estate. Brutto, sporco…

“Signor Potter?” il tono di Piton era severo.
“Sì, signore?” Harry scattò in piedi.
“Credevo di aver anche chiesto una lista di punizioni appropriate, nell’argomento del compito”.
Harry era pronto. “Sì, signore; ma ne abbiamo discusso a pranzo, quindi ho pensato che avessimo già affrontato quell’argomento. Comunque” – si affrettò prima che Piton potesse mostrarsi in disaccordo – “sarei felice di ripetere le sue esatte parole per dimostrare che a pranzo stavo ascoltando, che è appunto uno dei temi affrontati nel compito”.

“Per quanto mi piacerebbe che ti trasformassi in pappagallo”, lo scimmiottò Piton, “non sarà necessario. Domani ti interrogherò a voce. Spero che se ti faccio tenere a mente le conseguenze delle tue azioni, ti farà da deterrente dal commetterle. Preparati per andare a letto”. “Ma non sono stanco,” si lamentò Harry, saltando a sedere sul letto, “Non vado mai a dormire alle dieci”. Si aspettava che Piton gli ricordasse che appena ventiquattro ore prima aveva preso fuoco e che probabilmente aveva bisogno di riposo, ma Piton si limitò a sbottare: “Potter, a letto! Adesso!”

Era strano trascinarsi verso il bagno per prepararsi, tornare indietro e infilarsi nel letto con Piton che stava in piedi a guardare come una statua di pietra. Era la quarta notte che Harry trascorreva a Snapdragon Manor, ma le altre notti era stato distratto dalle proprie emozioni o dalla temperatura che continuava a salire. Adesso, Harry non si sentiva angosciato né malato, ma piccolo e infantile, come un bambino che sta per essere coperto per la notte. Era disturbante stare sdraiato sui cuscini e tirarsi su le coperte mentre Piton faceva un incantesimo ai suoi vestiti sporchi mandandoli in una cesta lì vicino. A questo punto, Harry pensava che avrebbe dovuto abbracciare un orsacchiotto e succhiarsi il pollice, aspettando una ninna nanna che lo avrebbe accompagnato nel sonno. Dubitava che Piton lo avrebbe accontentato.

“Bene”, Piton incrociò le braccia. “Mentre discutevamo i termini della tua custodia, il Preside mi ha fatto promettere di parlare con te dei tuoi… dei tuoi sentimenti”. La parola sembrò bloccarsi nella gola di Piton per un istante, come se l’insegnante non ne gradisse il gusto. “Anche se penso di aver visto abbastanza delle tue emozioni per almeno tre vite, porterò a termine la mia promessa. Come ti senti stasera?”

Il tono era così duro che Harry sbattè le palpebre per un attimo prima di rispondere, “Oh, sto bene, immagino”. “Ti senti triste, infelice, arrabbiato, o alterato in qualunque altro modo?” sbottò Piton, trattenendosi appena dall’alzare gli occhi al cielo.
“Eh… non veramente”, Harry non era sicuro se avrebbe dovuto guardare l’uomo o qualcos’altro. Non era abituato a rispondere a questo tipo di domande, né Piton sembrava abituato a porle.
“Allora, ne posso dedurre che per adesso sei calmo e dovresti addormentarti senza problemi?” continuò Piton, le braccia ancora incrociate.
“Certo”, azzardò Harry. Non sarebbe andato in esplorazione stanotte. Avrebbe dovuto aspettare fino al mattino. “Allora buonanotte, Potter. Se ti becco fuori dal letto, pagherai sia per aver ignorato le regole, che per aver mentito”. Con queste confortanti parole, Piton uscì in fretta dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé.

Harry rimase a fissare il soffitto scuro. Stava diventando davvero strano, dover rimanere in quel posto. Piton che fingeva di interessarsi a cosa provava? Davvero un territorio mai battuto. Tutte queste regole, e le restrizioni, e le conseguenze… a questo punto avrebbe dovuto rispondere a un fischio, come quei bambini di sette anni nei film in cui tutti cantano periodicamente.

In parte desiderando che Piton non tornasse cattivo come prima, e in parte sperando che il professore di Pozioni saltasse in un lago e annegasse, Harry si stese più giù nel letto. Più tardi, credette di aver sentito la porta che si apriva, ed era sicuro di aver aperto gli occhi e aver visto Piton in piedi accanto al suo letto che gli sistemava le coperte sulle spalle; ma Harry era sicuro di aver sognato. Chiuse gli occhi nuovamente, sperando di scivolare nel sogno dell’altra sera, con James che gli parlava del volo.


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La mattina seguente, Harry rimase sul sentiero di ghiaia e scoprì che invece di una stancante scarpinata su e giù per le colline, quel sentiero attraversava dei bei giardini, con molti posti dove sedersi e godersi la vista. A differenza del sentiero scuro, quello di ghiaia sembrava incantato; Harry era certo che la casa fosse dietro di sé, ma quando si fermava davanti a un arco di pietra, la casa era davanti. Più in là, una cascata finiva in un laghetto, ed Harry si tese sull’acqua increspata per scorgere i pesci arancioni e argentati che nuotavano intorno alle aiuole dei gigli. In un angolo, un cespuglio di rose rosse si arrampicava su un alto muro, arrivando in alto, sempre più in alto verso il cielo azzurro.

Più avanti, la ghiaia del sentiero si trasformava in pietre rotonde. Quando Harry si fermò davanti alla prima pietra, piccoli schizzi d’acqua gli arrivarono addosso da un lato del sentiero. Si fermò fuori dalla loro traiettoria, solo per vedere altri schizzi venire verso di lui. A quanto sembrava, dovevi evitare di essere colpito dall’acqua scartando e schivando e abbassandosi bruscamente. Anche se Harry pensava che si trattasse di un gioco molto semplice, non potè impedirsi di giocare per qualche momento. L’acqua aera ingannevole, comunque, e Harry venne colpito in faccia più volte di quante fosse disposto ad ammetterne.

Cento piedi più avanti, Harry vide una piccola barca legata a una piattaforma. Il laghetto diventava un lago più grande, e Harry poteva vedere alcune anatre grigie che schiamazzavano sull’altra sponda. Forse Piton lo avrebbe lasciato andare fin là remando, e Harry avrebbe potuto dare da mangiare alla anatre. Per adesso, si divertì a lanciare dei sassi piatti sulla superficie dell’acqua mentre diverse tartarughe lo osservavano, per nulla impressionate.

Anche se Harry odiava ammetterlo, il sentiero di ghiaia era molto più divertente di quello scuro! Se volevi una scarpinata di tre ore, allora dovevi prendere quello scuro che attraversava i boschi. Ma se desideravi una passeggiata mattutina, per divertirsi all’aria aperta, allora dovevi rimanere su quello di ghiaia!


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Harry camminava in punta di piedi lungo i corridoi. Era durante il suo tempo libero nel pomeriggio, ma gli sembrava strano esplorare la casa senza Piton. I ritratti lo fissavano, silenziosi ma pieni di disappunto, e Harry era sicuro di averne sentito uno che diceva: “Che aspetto furtivo, quello!”

Molte delle porte al piano superiore erano aperte, e Harry sbirciò all’interno, ma non entrò nelle stanze. Piton non avrebbe lasciato in bella vista le cose che aveva nascosto al suo pupillo.
Harry aveva seguito i corridoi, e aveva visto le stanze da letto principali e il soggiorno. Due stanze di un’ala erano chiuse; ma immaginò che fosse la camera di Piton e il guardaroba. Anche se Piton avrebbe potuto nascondere il suo mantello e la sua bacchetta nella sua stanza, Harry sapeva che sarebbe sgattaiolato lì solo come ultima possibilità. In qualche modo, curiosare nella camera da letto di Piton sembrava peggio ancora che curiosare nel suo pensatoio.

Al piano inferiore era tutta un’altra cosa. La maggior parte delle porte erano chiuse, e Harry provò a girare la maniglia di tutte quante. Erano tutte chiuse a chiave: a quanto sembrava Piton non si fidava del fatto che avrebbe obbedito alle regole, il che non era un sospetto del tutto errato da parte sua, tutto considerato. L’ultima porta chiusa alla fine del corridoio si aprì, e Harry vi sbirciò dentro con impazienza.

Era buio, ma poteva distinguere degli scaffali allineati lungo le pareti. Harry aprì del tutto la porta per vedere meglio. Era un magazzino di pozioni: centinaia di bottiglie, di tutte le forme, grandezze e colori. Alcune avevano un’etichetta, altre no. Alcune assomigliavano alle spezie per cucinare, altre a cose che Harry non voleva guardare per una seconda volta. La stanza odorava di polvere, ma sembrava pulita e ben tenuta. Una mezza dozzina di calderoni puliti erano in fila su un tavolo di legno. Utensili per tagliare, sminuzzare e mescolare erano allineati sempre sullo stesso tavolo.

Era proprio così che doveva essere il magazzino privato di Piton, pulito e efficiente, pronto ad essere utilizzato correttamente. Harry pensò alle sue cose disordinate,di solito gettate lungo la stanza o ammucchiate in un baule aperto. Come la biblioteca, Piton amava l’ordine, per quanto riguardava le sue cose. Nessuna scelta a caso, nessuna incuria: tutto al posto giusto.

Harry stava per andarsene, quando notò una macchia di colore su un angolo dello scaffale più alto. A una più attenta ispezione, vide che era una specie di tessuto piegato. Colori luccicanti, angoli pendenti: era il suo Mantello dell’Invisibilità! Lo aveva trovato.
Fremendo per l’eccitazione, Harry si guardò intorno, alla ricerca di una scala. Lo scaffale in cima era almeno quattro piedi al di fuori della sua portata, e anche se Piton era più alto, Harry sapeva che neanche lui sarebbe arrivato allo scaffale senza aiuto. Ma non vedeva nessuna scala, neanche una di quelle piccole, con uno scalino o due. C’era un piccolo sgabello lì vicino, e Harry lo prese con rabbia.

Una volta in piedi sullo sgabello, si sporse per raggiungere lo scaffale più alto. I suoi polpastrelli non lo sfioravano neanche. Gettandosi un’occhiata dietro la spalla, Harry prese una veloce decisione. Aveva bisogno del mantello, ed era suo, e Piton probabilmente non si sarebbe neanche accorto che non c’era più.

Harry appoggiò il piedi sullo scaffale più alto dopo lo sgabello, e si tirò su. Con la mano destra, afferrò il mantello e lo tirò via dallo scaffale.

Un attimo dopo, realizzò con disappunto che il suo mantello non era il suo mantello. Era all’incirca della stessa taglia, ma i colori e la forma erano diversi. Lo rimise a posto in fretta e si sporse per scendere dallo scaffale. Avrebbe rimesso lo sgabello a posto e avrebbe richiuso la porta, e Piton non avrebbe mai saputo che era stato lì.

Qualcosa scricchiolò sonoramente. Harry guardò ansiosamente verso la porta. Non c’era nessuno. Lo scricchiolio risuonò di nuovo, e guardò gli scaffali. Proprio a livello dei suoi occhi, poteva vedere una vite che penetrava più in profondità nel legno. Strano.

Poi si accorse che lo scaffale si stava staccando dal muro, e le viti scricchiolavano mentre venivano tirate all’interno del legno. Una bottiglia con l’etichetta occhi di rospo scivolò dallo scaffale e cadde sul pavimento con un crash. Harry guardò giù, in tempo per vedere rotondi, viscidi occhi mischiati a pezzi di vetro che si sparpagliavano sul pavimento.

Poi si sentì cadere in avanti, mentre tutti gli scaffali e l’asse che li teneva al muro iniziarono a cadere. Harry saltò giù dallo scaffale, mancando lo sgabello di appena un pollice, e corse verso la porta come per salvarsi la vita. Fece appena in tempo, mentre gli scaffali e il loro contenuto precipitavano sul pavimento.
Harry si lanciò nel corridoio, al suono dei vetri infranti e dell’acqua che si rovesciava dai contenitori.
Poi sentì una forte esplosione che lacerava l’aria. La porta dietro di lui venne scardinata, e lui si coprì le orecchie. Per un istante, il silenzio rimase nell’aria, insieme al forte odore dello zolfo e della formaldeide. E poi Harry sentì gli altri scaffali che si staccavano dal muro. Il legno precipitava al suolo come centinaia di alberi durante una frana: il vetro continuava a rompersi, e Harry ne vedeva delle schegge spargersi sul pavimento del corridoio.

Poi tutto fu di nuovo tranquillo, ad eccezione del liquido che gocciolava dalle bottiglie infrante.

  
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