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Autore: Keywords    16/04/2013    0 recensioni
Sheryl è una giovane vampira mezzosangue che, con altri vampiri nomadi, risiede in un'antica dimora fra i boschi di Cedar Falls, ben lontana dalla vita brulicante di città e dai terribili e nobili vampiri Purosangue.
Un giorno ad irrompere nella sua monotonia, arriva Jay, un giovane cacciatore che ha attraversato diverse dimensioni per trovare lei, la chiave, l'unica che potrebbe salvare il mondo da una terribile sorte. Sherrie cambierà radicalmente vita, addestrandosi per essere pronta ad affrontare il suo destino, accompagnata dal suo più fidato amico nonché licantropo, Ector Douglas, disposto ad ogni cosa pur di proteggerla. Nel frattempo, strane uccisioni stanno tormentando la città di Seattle, pronti a far vacillare l'equilibrio e la segretezza degli esseri sovrannaturali agli occhi degli umani.
La caccia all'assassino è aperta, e forse, Sherrie, non sarà l'unica a nascondere un terribile segreto. E il countdown per la fine di ogni cosa, sarà solo l'inizio...
Genere: Fantasy, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 3 La Rivelazione

 

I successivi giorni trascorsero lenti senza la costante presenza di Ector al quale ero abituata da anni ormai.

Mi buttai a capofitto nella lettura e nello studio con Ethan, ma non servì a molto. Non appena la mia mente tornava libera, i pensieri si focalizzavano su quell'assurda lite avvenuta giorni prima.

Ector non rispondeva alle mie chiamate, ignorava le mie e–mail.

Lui era sparito. E le mie notti erano tormentate da incubi al quale non riuscivo a dare un volto e un nome.

Inoltre andare a Preston mi era stato proibito. Ero tenuta sott'occhio da tutti.

Snervante...

Ector nemmeno quel giorno si era fatto vivo. Quella crepa provocata dalla forza sovrumana di Richard sembrava viva, sembrava uno squarcio, pulsava. Con le dita ne seguii il contorno nero con tratti irregolari fin dove era possibile. Le crepe salivano, intrecciandosi fino al soffitto.

Tornai a letto, pronta ancora una volta a fare i conti con i miei sogni.

 

Passo dopo passo scendevo verso una scalinata rocciosa, non conoscevo la mia destinazione, ma qualcosa mi diceva che dovevo continuare, che dovevo andare a fondo.

Delle fiaccole appese al muro illuminavano il sotterraneo proiettando al mio fianco sagome nere: la mia ombra. Il gelo mi penetrava nelle ossa.

Le fiaccole si spensero. Era buio, ma continuai ad avanzare.

Con la mano tastai la parete in roccia , era umida e viscida. Ero decisa e coraggiosa, non era da me. Scesi gli scalini freddi a piedi nudi rischiando più volte di scivolare.

Un bagliore forte e luminoso, lontano da me, catturò la mia attenzione. Forse avevo trovato l’uscita di quel posto.

Corsi verso la luce. L’umidità sembrava imprigionarmi, rendendo i miei movimenti più goffi. A metà strada dalla luce, un ringhio cupo mi fece sobbalzare costringendomi a guardare dietro le mie spalle.

Sbattei con forza contro qualcuno, alzai il mio viso per capire chi fosse: lo sguardo di Ector era impenetrabile. E le fiamme... le fiamme lo stavano divorando.

 

Riaprii gli occhi sudata, il respiro era irregolare, il cuore mi scoppiava. Un altro incubo non aveva dato pace alla mia notte. L’ennesima.

Fuori pioveva, le gocce picchiettavano sul vetro della mia finestra provocando un rumore leggero, sordo. Ero esausta. La testa mi rimbombava.

Mi misi seduta sul letto passandomi una mano fra i capelli.

«Ector…?» pronunciai a mezza voce, guardando la mia stanza illuminata solo dai raggi della luna, una luce bluastra e fievole che penetrava all’interno.

Lui non c’era.

Mi presi fra le mani il viso cercando di placare quel senso di vuoto. Mi accorsi di indossare ancora i jeans ed il maglione, ma poco m’importava.

 

 

Il mattino seguente non tardò ad arrivare. Mi svegliai più stanca della notte trascorsa.

Una volta vestita mi trascinai fuori dalla stanza; avevo intenzione di raggiungere Preston ad ogni costo. Se Ector non voleva venire da me, sarei andata io da lui.

Una volta nel corridoio, non potetti fare a meno di udire la conversazione in casa fra Richard ed Ellionor.

«Ancora morti, morti e morti!» urlò rabbuiato Richard «Credi che mi faccia sentire bene tenerla rinchiusa qui?»

«Capisco che tu voglia tutelarla, sa così poco del nostro mondo»

«Non sa niente sarebbe un termine più appropriato... tu non capisci. Lei è la chiave...»

«No. È solo una ragazza, Richard», commentò Ellionor «È come tutte le adolescenti ha bisogno di divertirsi. Non potrai tenerla nascosta ancora per molto aspettando che qualcosa di spiacevole avvenga»

«No, lei non è una ragazza...»

«E allora che cosa sono?», uscii allo scoperto.

I loro sguardi si incrociarono, per poi voltarsi verso me come due luci che mi irradiavano al centro di un palco.

Ormai ero lì, non potevo scappare, dovevo affrontare la situazione.

Richard sollevò lo sguardo e rimase senza parole. La mascella contratta e le mani che stringevano la testiera del divano blu. Ellionor sospirò allontanandosi.

«Non ho alcuna intenzione di discuterne ancora», mormorò Richard affrettandosi ad uscire.

«Papà!», lo chiamai. Corsi verso la porta principale ma quando l'aprii la sua Land Rover stava già sfrecciando via nel viale.

«Dannazione!» Richiusi la porta con forza e mi allontanai afferrando la tracolla e indossando la giacca in pelle.

«Dove stai andando? Non puoi seguirlo», mi ricordò Ellionor.

«No. Infatti vado a Preston»

Ovviamente Ellionor mi accompagnò per paura che potessi cacciarmi nuovamente nei guai.

Insieme ci catapultammo a gran velocità fra i fiocchi di neve che sfioravano il nostro viso, immergendoci nella fitta foresta. La neve veniva catturata dai rami degli alberi che si intrecciavano fra loro. Nell’aria si udiva il dolce e rasserenante sgorgare d’acqua del fiume.

Dopo diverse centinaia di metri apparve la sfavillante dimora. Non entrammo, ci dirigemmo sul retro, proseguendo con l'ascensore che ci avrebbe condotto nel garage nel sottosuolo.

Io ed Ellionor per tutto il tempo non spiccicammo parola. Che cosa aveva in mente?

Gli sportelli dell'ascensore si aprirono silenziosamente. Di fronte a me, una distesa di diverse centinaia di metri quadri fu illuminata da neon con rilevatore di movimento.

I nostri passi rimbombavano sul lucido marmo nero. Le pareti bianche e spoglie invece, facevano sembrare il garage uno spazio infinito.

Al centro dell'enorme stanza, erano parcheggiate una Lamborghini grigia e un Audi R8 bianca perfettamente luccicanti.

«E queste da dove sbucano fuori?», domandai trattenendo un sorrisino.

«Una partitina a Poker, la scorsa notte...»

La scrutai. Sapevamo entrambe che stava mentendo. Magari aveva vinto un auto... ma due sembra essere esagerato. Di certo la seconda l'aveva tenuta come souvenir dopo aver dissanguato il reale proprietario o magari l'aveva rubata. O chissà... l'aveva ottenuta con delle aste per collezionisti. Che io sapessi, avevano un falsario che continuamente falsificava loro dei documenti.

Oltre alle auto sfavillanti, era presente un quadro sul quale erano appese diverse chiavi.

«Ho riscaldato il motore, adesso siamo pronte», mi sorrise come se tutto fosse normale. In effetti per lei lo era.

Mi avvicinai, e fissai l'Audi che sembrava essere nuova di zecca: su di essa, non erano presenti bruciature, era ancora impeccabile. «Ma come hai fatto?», domandai.

«Ti ha mai detto nessuno che fai troppe domande?» Ellionor aprì lo sportello del veicolo e si mise al posto di guida stringendo il volante fra le mani e dando gas facendo ringhiare la piccola: era come una gattina che attendeva di essere coccolata.

Salii a bordo un po' titubante ma eccitata allo stesso tempo.

Uscimmo dal garage con uno stridio di ruote assordante.

L'auto iniziò a prendere velocità, nonostante la ghiaia. L'auto era confortevole e silenziosa malgrado stessimo saltellando a contatto con il sentiero dissestato.

«Quasi non rimpiango la Mercedes», borbottò Ellionor.

Dopo interminabili minuti fummo fuori dalla foresta e ci ritrovammo su una strada principale. Una vera strada.

Rimasi incredula, finalmente eravamo fuori da quel mondo verde. Perfino l’aria sembrava diversa. Abbassai il finestrino e mi beai di quel vento lasciando che mi cullasse i capelli.

Osservai ogni persona, chi usciva di casa, chi entrava, bambini che giocavano.

«A che pensi?», chiese.

Sospirai. Dovevo realmente dirgli che cosa mi passava per la testa? «Vorrei tanto poter frequentare una scuola pubblica...», risposi e subito dopo mi morsi la lingua per averlo fatto.

Svoltammo a destra. Il cartello segnalava Preston.

Girai la testa verso il finestrino guardando la strada. Ci allontanavamo sempre più della foresta. I tergicristalli iniziarono a muoversi; i fiocchi ora lasciavano spazio a gocce di pioggia.

La strada continuava dritta, e ai suoi lati la boscaglia si propagava per chissà quanti ettari. Poi, percorremmo diverse curve, e svoltammo nuovamente verso il bosco alla nostra destra percorrendolo per diversi minuti. Dopo finalmente, apparve la casa della famiglia Douglas.

Scrutai Ellionor, per un lungo istante la guardò, fin quando non si accorse che la osservavo. Riportò gli occhi al di là del muro di alberi c’era una casa in legno, le sue finestre erano piccole e i bordi tinti di nero. Era casa di Ector.

«Lascia perdere quello che ho detto prima, okay?», dissi e smontai dall'auto.

Superato l'atrio in legno iniziai a bussare energicamente alla porta principale.

«Ector! Sono io... apri per favore?» quasi urlavo. «Ector!» bussai con più prepotenza, ripensando a quello che era successo, ricordai a me stessa che era un tipo difficile e molto permaloso.

Sentii qualcuno avvicinarsi.

La porta si aprì dopo alcuni minuti.

«Vieni via con me…» mi bloccai restando a bocca aperta.

«Che ci fai qui?», sulla soglia apparve un uomo di circa quarant'anni, con larghe spalle, capelli neri ondulati corti e scompigliati. Aveva barba sparsa su entrambe le guance chiare. I suoi occhi erano simili a quelli Ector, ma non era lui per quanto padre figlio si assomigliassero in modo molto impressionante.

William Douglas aveva messo al mondo la sua copia: Ector. Ma erano due caratteri differenti.

Indugiai con lo sguardo sulla sua camicia a quadri rossi, e un po' meno sulla canottiera sporca che portava al di sotto. In una mano, Will reggeva saldamente una lattina di birra.

Sembrò impacciato, non era preparato al mio arrivo e ancor di più a quella di una vampira alle mie spalle. Anche lui era un licantropo, e prima di Bryan – il nuovo capobranco attuale – c'era stato lui al comando dieci anni prima. Ma aveva iniziato a perdere le staffe da quando sua moglie Karen, un umana, lo aveva lasciato andandosene via di casa, portando con sé soltanto Emily, sorella di Ector. Da allora lui si era lasciato andare, dandosi spesso all'alcol. Da ciò che sapevo, suo figlio stava cercando di riprendersi il ruolo di Alpha nel branco, poiché i Douglas erano stati da sempre al comando.

Ellionor mi raggiunse stringendo le braccia al petto.

«Ellionor» Will accennò un saluto con la testa.

«Will» Ellionor sorrise di rimando.

William aggrottò le sopracciglia. «Sono anni che non ci vediamo… Ellionor» disse.

«Scusa, non avverto il passare del tempo», commentò sarcasticamente seria.

Liberò la porta principale dalle sue larghe spalle. «Brant, prepara il caffè. Abbiamo ospiti.»

Come sempre casa di Ector era calda, rustica e piccola...

Mi sembrava così buffo che dei licantropi abitassero in un posto così stretto. Svoltai nella sua stanza mentre gli altri erano impegnati in conversazione. Era perfettamente in ordine, cosa strana da uno disordinato come lui. Tuttavia... lui non c’era. Anche il suo odore, era ormai debole, intento ad esaurirsi.

Lasciai la camera e raggiunsi Ellionor nella piccola cucina. Qui era presente un ragazzo, molto più piccolo di me. Era Brant, il fratello minore di Ector. Era alto e snello, con capelli marroni che gli accarezzavano il collo e fronte. I suoi occhi erano più scuri, quasi di un verde petrolio. Lo avevo visto soltanto un paio di volte, stava cercando di entrare nel branco e per fare questo doveva lottare per far si che potesse farne parte.

«Ciao», disse mostrandomi un timido sorriso impacciato.

«Ciao Brant», mormorai.

«Mi dispiace non avere del sangue fresco, in frigorifero» commentò secco Will, rivolgendosi più a Ellionor che a me.

«Non dispiacerti, rimedierò più tardi», lasciò intendere sorridendo con le labbra ricoperte da del rossetto scuro, ma senza mostrare i canini.

Will scosse la testa, quasi disgustato. «E così volete Ector? Non so dove sia. È stato impegnato con il branco, non dorme qui da giorni.»

«Non è mai stato via per così tanto tempo senza neppure avvisare» disse Brant versando in alcune tazze di porcellana bianche del caffè.

«Non è affar mio», rispose Will.

«Niente caffè. Grazie Brant», smise di respirare.

La conversazione fu rapida e fredda.

«Dove posso trovare Ector?» domandai dopo un po'.

«Non ne ho idea. È da giorni che non sue notizie. Potrebbe essere da Bryan», rispose.

«È stato un piacere, Will», disse Ellionor di punto in bianco.

«Come sempre, Ellionor», sorrise con fare beffardo e alzò la tazza fumante di caffè portandosela alle labbra.

Brant ci accompagnò alla porta.

«Brant, tu sai dove si è cacciato tuo fratello?» gli domandai in disparte.

«Dio... no, e vorrei tanto saperlo anch'io!»

 

 

Sbattei le palpebre più volte sotto la pioggia. Conoscevo casa di Bryan solo di sfuggita. Era una semplice casa in legno con tetto spiovente ricoperto di foglie secche che si erano ammassate lì con l'arrivo dell'inverno.

Avanzai incerta. Ellionor era rimasta in macchina.

«Sheryl!»

Mi voltai e sorrisi, era Seth. Indossava solo dei jeans strappati e degli stivali neri, era a petto nudo nonostante fossimo sotto zero come gradi. I suoi capelli castani un po' lunghi e scompigliati da chissà quale corsa. Della barba corta e fine gli accarezzava guance e mento, i suoi occhi nocciola da lupo erano i più caldi e solari che avessi mai visto.

«Ciao Seth! Sto cercando Ector»

Chinò la testa su di un lato, un gesto poco umano. «Lo stiamo cercando anche noi, a dire il vero» il suo entusiasmo si affievolì poco a poco. Mi guardava da lupo.

«C’è qualcosa di strano nelle vicinanze, non vorremmo si fosse messo nei guai» continuò.

«Seth! Seth!» qualcuno all’interno lo reclamava.

«Oh. Scusami, devo andare»; mi rivolse un sorriso.

«Ho bisogno di parlargli» supplicai.

Ci guardammo per un lungo tempo, senza che nessuno dei due distogliesse lo sguardo.

«Glielo dirò» promise.

«Seth» Lilian, sua sorella maggiore ci raggiunse. La sua carnagione tendente all'avorio metteva in risalto i suoi capelli di un marrone–rossiccio ed i suoi occhi gialli.

«Devo andare» mi rispose Seth. Lo scrutai ed andai oltre Lilian oltrepassando la soglia della porta per fermare Seth.

«Ector non è qui, sei sorda?» rispose aspra fronteggiandomi.

«Raffredda i bollenti spiriti, micetta»

In quel momento avrei tanto voluto che si facesse da parte, o avrebbe rischiato di tornarsene dentro con l'osso del collo spezzato. Lei era gelosa di me e di Ector. Perché fra me e lui si era creato lo stesso legame mistico che legava profondamente il lupo Alpha alla sua Lupa. Il Breathless.

Ma io non ero un licantropo, ero un vampiro. E a Lilian questo non andava giù. Avrebbe tanto desiderato di poter essere al mio posto, sia per una questione di potere che per vendetta nei miei confronti.

La guardai torva. Dopo mi voltai – non curante – e tornai nell'abitacolo.

Ci inabissammo nella fitta foresta dove i rami dei giganteschi alberi si insinuavano fra loro intrecciandosi, proiettando ombre sul terreno. Eravamo al crepuscolo.

Poco più tardi facemmo ritorno alla dimora. Il cielo era ormai ridotto ad una macchia scura.

L'odore della felce, della terra e dei pini tornò inebriante.

Una volta spento il motore dell'auto, il silenzio piombò più denso che mai. Il viale, solitamente sgombro, era movimentato.

I fanali dell'auto illuminavano i volti cerei di tre uomini.

«Non sapevo che avremmo avuto degli ospiti», mormorai fissando i loro occhi magnetici.

«Nemmeno io», sussurrò Ellionor e smontammo dall'auto. «Raggiungila, me ne occupo io», mi disse.

Gretchen era appoggiata ad un muretto braccia intrecciate, indossava un abito lungo nero che le lasciava scoperta una coscia, ma sembrava non curarsene. Scrutava quei tre uomini con i suoi grandi occhi verdi. Percepivo la sua tensione.

Un guizzo di luce balenò nei suoi occhi quando ci notò.

«Era ora!», disse pigramente. «Dove vi eravate cacciate?»

«Storia lunga», mormorai «Ma che sta succedendo qui?»

«Non ne ho la più pallida idea, altrimenti credi che sarebbero rimasti qui ad aspettare?», sospirò «Sono qui per Richard. Sono dei walk–in*»

«Walk–in?», domandai.

«Sono chiamati walk–in coloro che viaggiano attraverso i portali», spiegò.

«Credevo che solo la città dell'Ade avesse portali»

Gretchen mi guardò «No. Siamo collegati a una rete infinita di portali che ci collegano a mondi diversi e anche paralleli al nostro»

Il cuore mi salì in gola «E che cosa vogliono questi walk–in da Richard?»

La bionda fece spallucce «Non ne ho idea»

«Ma lui dov'è adesso?»

«È solo fuori città per qualche giorno», il suo sguardo calcolatore era ancora puntato su quei tre.

«Vancouver?», chiesi fissandoli anch'io.

«No. E non ha voluto dirmi dove. Si è giustificato con un “tornerò presto”»

«Come al suo solito», mormorammo all'unisono.

«Posso chiederti una cosa?» Gretchen si limitò ad un cenno con la testa «Che cosa sta succedendo a Cedar Falls? Perché se uno psicopatico si aggira nei miei boschi credo proprio che mi riguardi. Ector è sparito da giorni, nessuno sa dove sia finito, ed io inizio a seriamente a preoccuparmi» Mi strinsi nella giacca, a differenza della vampira al mio fianco. La temperatura nel bosco era calata di colpo.

Arricciò le labbra in un sorriso lasciando intravedere i canini «Sta lontana dai guai, Sherrie» e si staccò dal muro – lasciandomi con mille domande per la testa – seguendo Ellionor e gli altri vampiri dentro casa.

Rivolsi lo sguardo al cielo. La luna era piena e illuminava l'intera radura.

Ector... dove sei finito?

Lasciar perdere? Neanche per sogno!

Mi lasciai andare in un sospiro e dopo entrai nella dimora.

«Non ci avete detto ancora perché siete qui», mormorò Gretchen «E che cosa volete da mio fratello Richard»

Ero l'ultima ad essere entrata. Di fronte avevo tre uomini davvero strani indossavano dei completi neri ed una camicia dello stesso colore. Il loro odore invece... era davvero insolito per me. Erano sicuramente di città, un misto di smog menta e sangue.

«Scusate l'intrusione... signorina?», parlò l'uomo dai lunghi capelli biondo cenere legati.

«Il mio nome non ha alcuna importanza per voi», Gretchen si voltò fissandoli con sufficienza.

Immaginai il vampiro biondo sorridere. «Immagino neanche il mio»

«Dacci un taglio, Garret» Osservai il terzo uomo. I suo capelli castano chiaro erano scompigliati e umidi di pioggia. Le sue spalle non erano ampie e muscolose come quelle di Garrett, ma in compenso era alto e atletico. Scorsi dietro al suo collo uno strano segno... sembrava un marchio. Uno strano pugnale...

Una strana aura di energia fluttuava attorno a quei tre.

L'uomo voltò la testa verso di me e mi accorsi che era davvero molto più giovane di quanto credessi. I suoi occhi erano davvero insoliti. Aveva un'iride di colore diverso. Eterocromia: un fenomeno che vedevo per la prima volta. L'occhio sinistro era di un caldo e luminoso color nocciola. Quello destro di un insolito blu notte mai visto prima. Una vistosa cicatrice solcava diagonalmente la sua fronte ricadendo lungo la guancia.

«Lo squarcio ultradimensionale è aperto», disse spazientito «Dov'è la chiave?» La chiave... ancora quel dannato termine che non riuscivo a decodificare. Avevo sentito mio padre ripeterlo più volte ma ancora non mi era stata data nessuna spiegazione al riguardo. Che chiave ero? Una di quella che apriva porte non di certo. C'era qualcosa sotto, ed era mio compito visto che c'ero dentro fino al collo. Indietreggiai e questo catturò l'attenzione di tutti. Perfetto... davvero perfetto.

«Chissà perché me la immaginavo più alta», commentò.

«Sherrie! Scappa! Scappa!», urlò Ellionor gettandosi con Gretchen all'attacco. Confusa e con i battiti del cuore a mille, mi catapultai fuori la dimora iniziando a correre senza sosta. Gli alberi mi sfrecciavano accanto nel buio pesto. Incespicavo sul terreno, i rami degli alberi mi intralciavano la strada, eppure non mi fermai nemmeno per un'istante quando i polmoni iniziarono a bruciarmi.

Chiusi gli occhi, cercando di resistere. Quando gli riaprì mi ritrovai al confine con la città. Gli umani, c'erano tanti umani che camminavano, troppi tanto da scatenare in me la sete. Tutto mi roteava attorno mandandomi in tilt. Le loro voci, tutto quel trambusto...

Una macchina inchiodò e sussultai ritraendomi.

«Levati dalla strada!» ululò il tizio alla guida. Gli rivolsi lo sguardo accucciandomi un po' in allerta. I canini erano ormai pronti ad affondare nella sua giugulare, soffiai come un gatto e il tizio inorridito smontò dall'auto lasciando la portiera aperta dandosi alla fuga.

«Signorina, si sente bene?», una donna mi sfiorò il braccio ed io mi ritrassi con occhi spalancati.

Quando altre mani iniziarono a tastarmi, corsi via nella foresta a velocità sovrumana.

Di colpo fui afferrata da un braccio che mi fu ritorto dietro la schiena e il dolore mi costrinse a cadere in ginocchio sul fogliame.

«Lasciami andare!», mi dimenai.

«Mi basterebbe fare un po' più pressione per spezzartelo», disse. Era il ragazzo di prima, quello con il marchio e l'eterocromia.

«Chi diavolo sei! Che cosa volete da me!»

«Smettila di urlare! Attirerai della gente!», fece più pressione e dopo mi lasciò cadere per terra. Strinsi delle foglie nei pugni, avevo il sapore amaro della terra in bocca. La guancia premuta contro il suolo... «Io sono so che cosa significhi questa chiave per voi... io non so che cosa sono!»

«Non spetta e me dirti cosa o cosa non sei. Sei tu la figlia di Richard, non è vero?»

Annuii e mi rimisi in piedi levando via la polvere dai jeans. «Si, sono io»

«Almeno qualcosa la sai», mormorò roteò gli occhi.

«Che cosa avete fatto a Gretchen e ad Ellionor...»

«Assolutamente nulla. Le donne... continuano a balzarci addosso!», si scompigliò i capelli umidi di pioggia.

Non mi fidavo. Non mi fidavo per niente.

Tastai il terreno di aghi di pino e fogliame fino a quando non trovai un tronco appuntito e mi lanciai all'attacco contro quello sconosciuto pregando affinché centrassi a pieno il suo cuore.

Negli occhi di quel ragazzo, balenò qualcosa... fu divertimento, credo.

«Adesso ti riconosco, Hunter» intonò sarcastico quasi stesse assaporando il momento. Protese un braccio verso la mia direzione; in un primo momento pensai che mi stesse offrendo la sua mano, ma non fu così. Attese che la distanza fra noi si colmasse.

Strinsi con forza quel tronco quasi fosse un pugnale e fui pronta ad attaccarlo con forza. Fu allora che dalla sua mano una strana sfera di fiamme blu e rosse si materializzò colpendomi in pieno stomaco atterrandomi.

Caddi nuovamente e, dolorante, cercai di rimettermi in piedi. Dovevo scappare.

«Non ci provare», minacciò riducendo gli occhi a due fessure. «Stammi bene a sentire ora. Non abbiamo più tempo. Il mio portale si sta chiudendo. Il mondo presto subirà cambiamenti devastanti. L'umanità sta per entrare in una nuova era. Gli antichi lo avevano predetto... la fine è vicina e se c'è qualcuno in grado di impedire tutto questo sei tu. Le terre degli Inferi approderanno qui con l'allineamento dei pianeti, la battaglia epica più attesa di tutti i tempi avrà inizio e le conseguenze saranno di gran lunga maggiori a qualsiasi altra aspettativa... persino della peggiore»

«Ma cosa diavolo stai dicendo...», la mia voce fu solo un sussurro. «Non so nemmeno difendermi da un estraneo!»

Sorrise. «Non ci giurerei!»

Socchiusi gli occhi. «Chi diavolo sei.. che cosa diavolo siete!»

«Non ho tempo per le spiegazioni.», disse annoiato e mi inchiodò con i suoi diversi «È importante. Devi riferire a tuo padre che lo spazio ultradimensionale è stato forzato e che non reggerà ancora per molto così come ci eravamo aspettati», si voltò.

Accadde un qualcosa che non seppi spiegarmi. Fu come se una scossa colpisse il mio sistema nervoso. Nella mia mente si riversarono come in un fiume in piena immagini, profumi e suoni che non avevo mai visto e sentito prima come un turbine incessante. Un flash. I capelli castani del ragazzo che avevo di fronte erano mossi da una strana brezza. I ciuffi bagnati e ribelli erano appiccicati sulla sua fronte. Aveva il viso macchiato di sudore, sangue e terreno. Indossava una strana divisa scura e corazzata, un mantello li ricadeva lungo la schiena.

Sulle sue labbra era disegnato un sorriso di sfida mentre nel cielo infuocato si muovevano strani esseri che non seppi distinguere. In quel ricordo sentivo i miei respiri affannati, mentre con gli occhi arrossati dal fuoco e dalla cenere cercavo qualcuno... qualcosa... un oggetto che non riuscii a distinguere. Cadendo in ginocchio ansimante, ritornai alla realtà.

«Jay», la voce mi uscì di fuori di colpo. Quel nome non aveva alcun senso, nessun collegamento...

«È bello rivederti» Il ragazzo con il marchio voltò il viso verso di me. E, sarei pronta a giurare, lo vidi sorridere prima che svanisse nel nulla lasciandomi sola nella radura.

 

 

«Sheryl! Dimmi che stai bene!» Ashlee mi strinse. Successivamente mi scrutò. Avevo gli abiti sporchi di terra ed erba, il viso graffiato...

«Sto bene», le dissi. Mi sfiorò i graffi e vidi le sue pupille dilatarsi; la scacciai via. «Sto bene, davvero è solo un graffio», mi allontanai per non metterla in difficoltà con la sua sete di sangue.

«Richard, non risponde al telefono» mormorò Gretchen.

«Lasciagli un messaggio, lo sentirà appena ne avrà modo» disse Ellionor.

Ethan irruppe in casa con passo pesante guardandosi attorno inferocito. La lunga giacca nera si muoveva ad ogni singolo passo.

«Sono già andati via Ethan», entrò anche un giovane vampiro dagli occhi turchesi, era Adam. Il manipolatore. «Non avverto altra energia, a parte le nostra»

Ethan mi strinse le braccia «Che cosa ti hanno fatto?» I suoi occhi castani traboccavano di preoccupazione.

«Nulla!», riferì.

Ethan mi lasciò bruscamente. «Adam! Controllala. Hanno soggiogato la sua mente», Ethan si allontanò.

«No, sto davvero bene» fermai Adam prima che mi inghiottisse con i suoi occhi turchesi. «Non sono soggetta a nessun tipo di... non so incantesimo? Che cosa folle! Sto bene. Punto. Volevamo semplicemente parlare con Richard, non mi hanno fatto niente» a parte spaventarmi a morte.

«Sanno che cos'è», farfugliò Gretchen. Ethan sollevò lo sguardo e sospirò rumorosamente.

«Oh, certo! A quanto pare lo sanno tutti tranne me!» commentai sarcastica.

«Non va affatto bene», rispose Ethan. «Invocherò una barriera per proteggere la zona in attesa del ritorno di Richard. Non invitate nessun altro ad entrare in casa o la barriera perderà forza. Se dovete nutrirvi, fatelo quanto prima» si dileguò al piano di sopra rapidamente, sicuramente per cercare qualcosa nella biblioteca.

«Ashlee», chiamai.

«Si?», la vampira si fece avanti.

Sospirai e mi massaggiai le tempie ripensando a quanto era successo. Chi erano quei tre uomini, che cosa volevano da me? Chi era Jay e per quale motivo la mia mente mi aveva trasmesso un ricordo di lui? E se mi avesse soggiogato con quei suoi strani poteri? Ero la chiave. La chiave si, ma di cosa? Di certo non una che apre porte. Iniziavo a non capirci più niente.

«Ho bisogno di... nutrirmi», deglutii. Riaprì gli occhi e guardai la mia immagine riflessa allo specchio a muro dell'elegante salone. Chi diavolo sei? Già, chi diavolo ero io. Perché tutti quanti mi stavano cercando?

Nel frattempo Ashlee aveva scoperto il suo collo. La sua giugulare pulsava sotto quel soffice strato di pelle chiara. Gliela accarezzai con il pollice. Successivamente l'unico suono che si udii in tutta la dimora, fu quello dei miei canini affondare nelle sue carni.

   
 
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