Anime & Manga > Inazuma Eleven
Ricorda la storia  |      
Autore: Bloody Alice    19/04/2013    3 recensioni
[Marco/Gianluca] [storia a quattro mani scritta da Alicchan e Miam]
***
Da: Marco Maseratti
Re: ~
Gentilmente, ti volteresti, Gianlu ~?
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gianluca Zanardi, Marco Maseratti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: missing sunset.
Genere: angst, fluff.
Avvertimenti: OOC.
Rating: verde.

Pairing: shonen-ai. Marco Maseratti/Gianluca Zanardi.
Note: sinceramente? Non ne ho idea. Sono troppo triste all'idea che non potrò leggere Il Castello errante di Howl per dire qualcosa di sensato, e Miam si è presa un'insolazione, quindi fatevi due conti (?).
Peace and Love.




 

 



 
missing sunset.

 
« Guarda Gianlu, tra un po’ si immerge! » esclamò entusiasta il ragazzino dai capelli rossi, indicando il sole all’orizzonte.
Il moro accanto a lui lo osservò « Cosa? » domandò perplesso.
Marco sorrise « Il sole! Non sembra anche a te, Gianlu? Non sembra che si immerga nel mare quando tramonta? » disse, avvicinandosi di più all’amico e facendosi improvvisamente serio « Gianluca … » mormorò, prendendolo per mano.
« Sì? » fece l’altro, mettendosi a fissare l’acqua cristallina del canale che passava sotto quel ponte.
« Noi due … » sussurrò il rosso « … noi due resteremo insieme per sempre. »
Le loro dita si intrecciarono. Gianluca arrossì « Mh. Sì. » rispose piano e si mise a fissare l’orizzonte.
Strinse più forte la mano di Marco. In fondo, il rosso aveva ragione: sembrava davvero che il sole si stesse immergendo nel mare.
 
Gianluca si girò nel letto per trovare una posizione al riparo dai raggi del sole che entravano nella stanza.
Credeva di aver chiuso le persiane la sera prima, ma evidentemente era ancora troppo addormentato per ricordare bene.
Affondò il viso nel cuscino, ma si accorse che così non riusciva a respirare bene, perciò si voltò nuovamente. In quel momento, sentì un peso improvviso all’altezza del bacino. 
Aprì lentamente gli occhi, si passò una mano sul viso e tentò di mettere a fuoco ciò che lo circondava.
Quando guardò davanti a sé, vide Marco, seduto a cavalcioni sopra di lui, le mani appoggiate al suo petto e un grande sorriso stampato in faccia. Gianluca arrossì di botto e scattò a sedere come una molla, facendo perdere l’equilibrio all’amico, che si mise a ridere.
« Buongiorno, Gianlu ~ » salutò. Il moro boccheggiò per alcuni istanti, ancora paonazzo, poi parlò « Che diavolo ci fai qui?! » sbottò e volse un’occhiata alla sveglia « Alle otto di mattina, tra l’altro! » si lamentò, tornando sdraiato nel letto, coprendo il viso con la coperta.
Marco rise ancora e si rimise a cavalcioni sopra di lui.
« I-Idiota spostati. » brontolò Zanardi, restando immobile.
Il rosso scosse la testa e scostò la coperta dal viso dell’amico « Gianlu, su, alzati, ho voglia di andare a fare un giro ~ »
« Alle otto di mattina devi fartelo il giro?! » fece il moro « È estate, cretino! Ci sono minimo trenta gradi e poi in estate io dormo fino alle undici e mezza minimo. Dovresti saperlo » borbottò, contrariato.
« Eddai Gianlu … » insisté l’altro « … solo per oggi. » mormorò.
Zanardi si rimise seduto « E che cos’ha di speciale questo giorno? » domandò, desideroso di tornare a letto il prima possibile.
Il sorriso di Marco parve svanire per qualche istante « Beh, ecco … » sussurrò avvicinandosi all’amico « voglio passare una giornata con te. » disse piano « Eddai, Gianlu ~! » esclamò, con voce quasi lamentosa, tornando a sorridere.
Il moro sbuffò, ma si alzò comunque dal letto e si diresse in bagno borbottando qualcosa sul fatto che sua madre avrebbe accolto in casa ad orari indecenti anche un serial killer –e Marco di fatto lo era: nel giro di poche settimane a causa sua si era dovuto svegliare alle nove almeno una ventina di volte.
Consapevole che le ore piccole e Maseratti prima o poi l’avrebbero ucciso, arrancò fino al pianerottolo di casa, dove l’amico lo stava aspettando, ansioso.
« Allora » iniziò Gianluca « dove vuoi andare? » chiese incrociando le braccia al petto.
« Non ho ancora fatto colazione » rispose « andiamo al caffè in piazza San Marco ~ » propose, gli prese la mano e lo trascinò fuori di casa, mettendosi a camminare velocemente tra le vie, quasi avesse paura di non avere abbastanza tempo per prendere un semplicissimo cappuccino.
Gianluca lo guardò stranito: sapeva che probabilmente l’amico gli stava nascondendo qualcosa e detestava non sapere di cosa si trattasse, detestava non avere nemmeno un indizio.
Dopo la colazione si infilarono in un calle stretto con case antiche e negozi di antiquariato che sfoggiavano grandi maschere veneziane in vetrina. Il sole creava sprazzi di luce calda in alcuni punti della via e i piccioni volavano da un tetto all’altro.
La loro giornata insieme la passarono così, girando senza meta un po’ per vie isolate e un po’ tra quelle immerse di turisti. C’era un rumore assurdo, da mal di testa, ma l’unica cosa che faceva venire l’emicrania a Gianluca era il silenzio forzato di Marco e il suo sorriso tirato. Perché era evidente che quello non era un sorriso sereno.
Il rosso era sempre stato un pessimo, davvero pessimo attore.
Alla fine si ritrovarono sul loro ponte, quello dove andavano anche da bambini, quando ormai erano le sette passate. Marco si mise a fissare così intensamente Gianluca che questi si voltò verso di lui, infastidito, arrossendo appena i loro occhi si incrociarono.
« Dovrei andare, sai? Mia mamma mi vuole a cena, questa sera, perché è appena tornato mio padre. » mormorò, quasi sentendosi in colpa.
Ma in colpa per cosa? Tanto Marco verrà a casa mia di nuovo, domani, alla stessa ora, e tenterà di nuovo di farmi vomitare il panettone dello scorso Natale sedendosi sopra di me.
L’altro lo guardò, con aria quasi nostalgica, poi lo prese per mano e sospirò « Mi mancherai ». Gianluca lo squadrò, attonito « Ma che stai dicendo, razza di stupido. Tanto domani ci rivediamo, no? Anzi, mi sento così magnanimo che ti farò un favore. Domani vengo io a casa tua, così non devi farti la strada. » sentenziò convinto.
Marco rise, poi fece un passo avanti, e lo baciò, con una certa intensità, appoggiando le mani sulle sue spalle e stringendolo a sé
« Sì, mi mancherai un sacco. Mi manchi già, a dire il vero. » continuò, quando si staccarono, poi corse via senza aggiungere altro.
E Gianluca rimase immobile sul ponte come un completo idiota. Non pensò troppo al gesto inaspettato di Marco, credendo bene che l’indomani, dopo una ventina di calli, sarebbe giunto davanti a casa di Marco e avrebbero parlato.
 
C’erano tre cose che Gianluca Zanardi non si sarebbe mai aspettato da Marco Maseratti: che lo rimpiazzasse con un altro migliore amico da assillare, che imparasse a cucinare (Marco era davvero un pessimo cuoco) e che lo abbandonasse.
Avrebbe preferito vedere Marco imparare a cucinare un perfetto piatto di lasagne, piuttosto che dover correre a perdifiato per le calli sperando di raggiungere in tempo l’aeroporto. 
« Oggi la madre di Marco mi ha chiamato per chiedere se non andassi a salutarli. Sai, oggi partono, il padre di Marco ha trovato lavoro all’estero, in America. »
No, no che non lo sapeva. Non lo sapeva perché nessuno gli aveva detto nulla. Non lo sapeva perché quell’idiota di Marco non aveva avuto il fegato per dirglielo.
Dannato deficiente, ti giuro che se riesco ad arrivare in tempo, prima ti ammazzo e poi mi suicido.
Aveva corso così tanto solo durante gli allenamenti sfiancanti di Paolo. Arrivato all’aeroporto si fece largo tra la folla di gente che andava e veniva, ognuno seguiva una direzione diversa.
Cercò ovunque, forse per un tempo infinito, fino a che non scorse una testa rossa fin troppo famigliare tra le altre.
Si fermò pochi metri prima, teso come una corda di violino « Marco! » gridò, lo gridò così forte che forse l’aveva sentito mezzo aeroporto. Marco, di spalle, si fermò, ma al contrario di quello che aveva pensato Gianluca, non si voltò.
Non si mosse per qualche istante, e appena Zanardi iniziò a correre verso di lui, Marco scomparì oltre l’uscita che portava all’aereo.
Un’assistente di volo fermò Gianluca un metro prima « Tu ce l’hai il biglietto, ragazzino? » domandò.
Gianluca fissò l’uscita, frustrato « Non ha idea di quanto vorrei averne uno ».
La signorina guardò il moro confusa, mentre questi si allontanava a passo lento, verso l’uscita dell’aeroporto.
Gianluca era tornato verso casa con il passo estremamente lento. Aveva urtato circa la metà dei turisti per strada, troppo perso a osservare con aria persa ogni singola vetrina di ogni singolo negozio. Gli occhi gli pizzicavano da morire ma non credeva proprio che fosse l’allergia.
Appena richiuse la porta d’ingresso sua madre comparve dalla cucina « Salutato il tuo amico? » chiede, gentile.
Gianluca non rispose, mugugnò solo qualche insulto verso le assistenti di volo e si trascinò fino in camera. Si buttò con ben poca grazia sul letto, cercando di concentrarsi sull’insopportabile ticchettio della sveglia e non sulla rabbia che provava nei confronti di Marco in quel momento.
Passarono diverse ore, poi Gianluca diede uno sguardo all’orologio. Le sei e un quarto. Schizzò fuori dalla sua stanza quasi come se ne andasse della sua stessa vita, poi fuori di casa, dopo aver gridato a sua madre che lui quella sera non aveva fame.
Corse per le calli di Venezia a perdifiato –pensò che un’altra corsa del genere lo stesso giorno gli sarebbe costato un infarto- finendo più volte per perdersi, a causa della fretta.
 
Arrivò al loro ponte come quella mattina era arrivato in aeroporto.
In ritardo. Semplicemente in ritardo.
L'acqua mossa dal vento si infrangeva contro le sue scarpe. Non c'erano gondole in quel canale. Alzò gli occhi da terra e li puntò verso l'orizzonte. Sorrise, amareggiato.
Il sole non si vedeva più.
Si era perso il tramonto.
 
 
Gianluca si era svegliato quella mattina solo quando, appena giratosi, il sole gli aveva illuminato il viso.
Aveva aperto gli occhi, svogliato, e lanciato uno sguardo verso la sveglia. Le dieci passate e la sveglia non era suonata. Si era messo a sedere sul letto e osservando l’oggetto rotondo e giallo acceso sul comodino in legno. Decisamente doveva cambiare le batterie.
Dopo essersi cambiato, si era trascinato di malavoglia in cucina per fare colazione, poi era uscito per una passeggiata.
Erano passati circa tre anni dall’ultima volta in cui aveva visto Marco. Da quel giorno, la rabbia per l’abbandono e il senso di colpa per non aver capito dall’inizio il comportamento del suo migliore amico lo avevano assillato ogni giorno.
E poi c’era il bacio. Ah, quello se lo sognava ogni notte e si sentiva un completo idiota ogni volta che sua sorella minore lo svegliava dicendo « Continuavi a dire “Marco, Marco” nel sonno. Sei proprio cotto, perché non vai in America anche tu e mi lasci la tua stanza? ».
 
Erano le cinque passate e stava ancora girando a vuoto. Attraversò alcune calli per poi sbucare in un piccolo campo e da lì prese una via a caso; più che fare una passeggiata aveva voglia di perdersi, in verità.
Perdersi e chissà, magari non tornare più. I tre anni passati senza Marco e il suo sorriso sembravano incolore, vuoti.
Persino il cielo sembrava di un azzurro più slavato del solito, ed era così da moltissimo, ormai. Finì in una calle deserta e puntò verso un ponte che, a quanto ricordava, doveva portare ad una via diretta alla Piazza. Era a metà ponte, quando il cellulare gli suonò. Lo prese e sul display comparve un messaggio.

Da: Marco Maseratti
Re: ~
Gentilmente, ti volteresti, Gianlu ~?

 
Rimase senza fiato qualche istante, poi obbedì all’sms. Sgranò gli occhi e per poco il cellulare non gli cadde di mano quando vide Marco, in piedi davanti a lui. Era così vicino che se avesse allungato un braccio forse sarebbe riuscito a sfiorargli la guancia. E gliela sfiorò. Gli tirò uno schiaffo così forte che il rumore dell’impatto risuonò per il canale.
Marco scoppiò in una risata, appoggiando la mano sulla guancia rossa.

Gianluca lo guardò, sconvolto e arrabbiato più che mai « Stronzo! » gridò « Te ne vai senza nemmeno avvisarvi prima, poi non ti volti nemmeno quando vengo a salutarti …! » Marco fece un passo in avanti, e Gianluca chiuse gli occhi, con la mano ancora sospesa in aria, pronto a tirargli un altro schiaffo « Maledizione, Marco, vai al diavolo …! »
« Scusa. » disse il rosso, avvicinandosi ancora.
Zanardi lo guardò « Non ti fai sentire per tutto questo tempo e ora pretendi che ti perdoni? Ma figurati! Gira i tacchi e ritornatene da dove sei venuto. » sbottò. Marco rise ancora, poi gli prese la sua mano, e appoggiò quella ancora libera alla guancia del moro. Si mise sulle punte, facendo una piccola smorfia insoddisfatta –Marco era cresciuto ancora, in quegli anni- e fece sfiorare le sue labbra con quello di Gianluca.
Era un contatto molto più intenso di quello dell’ultima volta. Quando Marco si staccò, ricominciò a ridere.
« Che hai da ridere adesso, si può sapere? » borbottò, infastidito. L’altro gli allacciò le braccia intorno al collo e lo baciò di nuovo, a stampo. « Mi sei mancato, mi sei mancato da morire Gianlu ~ » sussurrò, e il moro si ritrovò ad arrossire senza un motivo preciso.
 
Il sole si abbassò oltre l’orizzonte.
Fu questione di pochi attimi, poi colò a picco nell’oceano.
Gianluca strinse Marco a sé e affondò il viso nell’incavo del suo collo. Borbottò ancora qualche insulto contro di lui, poi qualcos’altro.
Qualcos’altro che Marco non capì, e gli chiese di ripeterglielo, ma il moro scosse la testa in imbarazzo e lo baciò di nuovo.




 







Noticina: la sorella di Gianluca nella storia è frutto di un momento di pazzia di Alicchan (?), perciò non serve farsi domande al riguardo (?)
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Bloody Alice