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Autore: ValeryJackson    19/04/2013    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Credo che questa sia una festa indimenticabile.
È un evento che odora di intimo come una festa di paese, eppure c’è tutta la città, qui, intorno a me.
C’è tutta New York. Tutta New York più mezza umanità qui, a riversarsi per le strade di Manhattan.
Non so come spiegarlo. È grandioso. È come se la concretezza e la frenesia della città che non dorme mai imponesse per tutto l’anno serietà e responsabilità. È come se l’ironia e la voglia di vivere, la voglia di giocare, di prendersi in giro, di tornare bambini, gli abitanti di New York la mettessero da parte, per tirarla fuori tutta insieme questa sera.
Sono intrappolata in un turbinio di gente che non fa altro che ridere e scherzare. Vecchi, bambini. Adulti, ragazzi. Tutti quanti danno vita al fiume umano della parata di Halloween, mischiando stravaganza e arte, esibizioni e maschere, assurdità e gioco. C'è davvero di tutto.
È una festa che sa di liberazione.
Sento qualcuno fischiare, e la gente esulta.
Stanno arrivando i carri.
Mi alzo in punta di piedi, per scorgere sopra la testa del “pelatone” davanti a me il primo. Purtroppo, lui ha la mia stessa idea, e in meno di cinque secondi l’unica cosa che riesco a vedere e la sua testa calva che copre tutta la mia visuale.
Sbuffo. Così non ce la farò mai, a fare le foto.
Devo andare più avanti.
Mi guardo intorno. Ho lasciato Mary poco più di quindici minuti fa, proprio per farmi più avanti in mezzo a quella massa informe di gente. Poco fa riuscivo ancora a vederla. Ora è solo un ricordo lontano. Ma, per fortuna, avevamo già previsto questo inconveniente. Ci siamo già date appuntamento vicino a un bar spopolato che abbiamo visto prima. Spero solo di riuscire ad arrivarci, dopo.
Piego leggermente le ginocchia e mi faccio avanti, sbarrandomi la strada a gomitate, la fotocamera stretta in petto.
Finalmente, dopo diverse sbracciate e molte gomitate allo stomaco, riesco a venire avanti. E quello che vedo mi lascia senza fiato.
Davanti a me, alto più di quattro metri, un carro enorme sfila maestoso davanti ai presenti. A dominare la scena, ci pensa un castello, giallo e rosso, con finestre rotte e gargoyles a forma di teschio. Intorno a lui, a “rallegrare” la scena, alcuni ballerini vestiti da mostri ballano a ritmo di una musica house, mentre delle luci psichedeliche brillano tutt’intorno.
Sono estasiata, e, sorridente, scatto una foto. Poi due. Credo proprio che alla fine di questa serata il mio rullino fumerà. Se i carri sono tutti così…
Eccone un altro.
Stavolta, però, raffigura un drago, che si muove meccanicamente sputando aliti di fumo bianco dalla bocca. Mi ricorda molto quei draghetti che ogni tanto si vedono a Chinatown. Solo che questo è molto più grande.
E poi un altro. E un altro e un altro.
La mia macchinetta non fa che scattare.
Zucche, fantasmi, Frankenstein. Ce né persino uno di Snoopy. Però è vestito da teschio.
E poi, eccolo. Non per qualcosa, ma forse il più bello.
Il carro della nostra scuola.
Carico la macchinetta, pronta a fare foto.
È molto semplice, a dir la verità. Ci sono tutti i ragazzi della squadra di football, con vestiti da zombie, che lanciano caramelle ai bambini, mentre le cheerleader, sfoggiando i loro abiti rossi tutti stracciati e un trucco che farebbe invidia anche al morto più decrepito, ballano sulle note di “Thriller” di Michael Jackson.
Sorrido. Originale. Il preside si è proprio dato da fare. E anche il club audio/video, considerando la notevole quantità di luci che sfrecciano del cielo blu di New York.
Inizio a scattare foto, cogliendo al volo ogni acrobazia delle cheerleader e ogni azione che possa far sembrare gentili quelle scimmie che sono con loro. Per quanto Mark James possa sembrare gentile.
Mi nota, e da di gomito al compagno che ha accanto, indicandomi con un cenno. Gli dice qualcosa, poi ridono insieme.
Se potessi strozzarlo, giuro, lo farei. Ma decido di non darci troppo peso. Non ne vale la pena, e poi qui c’è troppa gente. Potrebbero testimoniare. Cammino per un po’ accanto a loro, continuando a scattare foto, quando il mio sguardo va al di là del carro che sto fotografando.
E vedo John.
Appena i miei occhi incontrano i suoi, mi sorride. Deve avermi visto già da un po’.
Sorrido e lo saluto con la mano, poi mi ricordo che devo continuare a scattare delle foto. Indico la macchinetta, sperando che lui capisca che, nonostante vorrei tanto andare da lui, non posso proprio.
Lui sorride e annuisce.
Istintivamente, alzo la mano, facendo ruotare l’indice su se stesso, per chiedergli se dopo ci rincontriamo.
Lui annuisce, indicando con un cenno il posto in cui si trova. È lì che lo ritroverò, ne sono certa.
Sorrido e annuisco a mia volta.
Con un po’ di riluttanza, torno a seguire la parata, cercando di scorgere nel carro qualche particolare interessante degno di un giornale.
Mentre mi volto, con la coda dell’occhio scorgo John parlare con una persona. Che sia quello il padre? Purtroppo è coperto da alcuni camionisti, ragion per cui non riesco a guardarlo bene.
Ma deve essere un uomo molto simpatico, almeno se si considera il figlio.
Dovrei presentarli a Mary…
Qualcuno mi spintona, interrompendo i miei pensieri. La parata sta continuando, e davanti a me sta già sfilando il carro successivo.
Mi alzo in punta di piedi, sperando di scorgere di nuovo quello della mia scuola, ma, purtroppo, è troppo lontano.
Sospiro. Dovrò farmi bastare le foto che già ho.
Mi volto verso il nuovo carro e metto a fuoco l’immagine attraverso l’obbiettivo.
Sarà una lunga giornata…
 
Io e Mary ci facciamo largo fra la gente.
L’ho raggiunta solo dieci minuti fa, quando finalmente ero soddisfatta del mio servizio e sono riuscita a tornare indietro in mezzo a tutta quella folla.
È difficile muoversi, con tutte queste persone, nonostante molte di loro se ne stiano andando, dato che la parata è finita.
Devo raggiungere John il prima possibile.
Mi ha detto che mi avrebbe aspettato lì, ma è passato un sacco di tempo, e, onestamente, non ho idea di quanto una persona possa aspettare.
Mary si porta al mio fianco, ansimante. << Mi ripeti ancora una volta dove stiamo andando?>> chiede.
Sospiro, spostando lo sguardo rapidamente da destra a sinistra, nel tentativo di vederlo. << A salutare un amico.>>
Facciamo un altro paio di metri, prima che lei metta a fuoco la situazione e capisca tutto. << E con questo amico intendi, John, vero?>>
Annuisco. << Si.>>
Mary annuisce al mio fianco, o almeno, tenta di annuire mentre cerca di tenere il passo. << Sai >> comincia. << Non conosco molto questo John, dato che me lo hai presentato solo una volta e ho fatto appena in tempo a chiedergli il nome, ma mi sembra un tipo apposto.>>
Sorrido. << Si, lo è.>>
<< Cosa credi che dovrei chiedergli prima? Se ha precedenti penali o se gli piacciono le torte?>>
Aggrotto la fronte, irrigidendomi. << Come?>>
Lei annuisce in segno d’assenso. << Si, hai ragione, forse sono più importanti le torte…>>
<< Woh, woh… frena!>> dico, parandomi davanti a lei e alzando una mano per farla fermare. << Tu non farai nessuna domanda, chiaro?>>
Lei aggrotta la fronte, non capendo. << E perché?>>
<< Perché è imbarazzante!>> sbraito. Poi, rendendomi conto che molti si sono voltati a guardarci, decido di abbassare il tono di voce, usandone uno un po’ più gentile. << Senti, non dico che tu non debba chiedergli nulla, per carità. Hai tutto il diritto di fargli domande. Solo… cerca di essere meno… invadente.>>
Ora Mary sembra scioccata. << Come?! Io invadente?>> dice, indignata. << Ptf… ptf… io non sono affatto invadente.>>
Annuisco con veemenza. << Oh, si che lo sei. Vedi è che a volte… te ne esci con delle cose che non stanno né in cielo né in terra… e questo è imbarazzante.>>
Lei inarca un sopracciglio, quasi incredula. << Fammi capire. Ti vergogni di me?>>
<< No! Non è che mi vergogno di te, è solo che a volte… >> Come posso dirglielo senza offenderla? << … a volte mi metti a disagio, ecco.>>
Mary mi punta un dito contro, aprendo la bocca per ribattere, ma poi si ferma. Pensa un attimo a ciò che le ho appena detto, e, lentamente, toglie il suo dito dalla mia faccia, aggrottando prima la fronte pensierosa, e poi abbassando lo sguardo imbarazzata.
<< Oh, Valeri, scusa. Hai ragione, forse a volte, ma solo a volte, sono un po’ invadente. Ma lo faccio per il tuo bene.>> Alza lo sguardo, puntando i suoi occhi dolci nei miei e accarezzandomi i capelli. << Io voglio solo il meglio per te, piccola mia.>>
Piccola. Quanto odio questo aggettivo. Non sono più una bambina, ormai. Ho quindici anni! Fra un anno potrò prendere la patente, potrò iniziare a fare le stesse cose che fanno i grandi. E sono ancora piccola? In un’altra circostanza avrei ribattuto per quest’aggettivo. Ma ora, qui, guardandola, non posso fare a meno di sorridere. << Lo so >> mormoro.
Mary annuisce. << Ti prometto che non dirò nulla che possa metterti a disagio. Sarò muta come un pesce.>>
Annuisco, soddisfatta. << Grazie.>>
Lei fa un cenno d’assenso, prima che riprendiamo a camminare. << E poi non capisco… Cosa dico, io, di tanto imbarazzante?>>
Storco il naso, cercando un modo gentile per dirle la verità. << Diciamo che… dialogare con le persone non è il tuo forte…>>
Mary si finge indignata. << Cosa?! Non è possibile! Io so dialogare benissimo con le persone. Devi sapere che quando andavo al liceo ero…>>
Poi non sento più niente. Né le sue parole, né tutto il resto. Solo il mio cuore, che ha iniziato a battere all’impazzata, rischiando quasi di scoppiarmi nel petto. Mi blocco, di colpo.
Mary mi guarda, perplessa, cercando qualcosa con lo sguardo fra la folla, gli occhi socchiusi.  << È qui?>>
Annuisco, mentre cerco di ricordare come si respira, ammirando i perfetti lineamenti di John, a pochi metri da me.
Dopo qualche secondo, mia madre finalmente riesce a vederlo, squadrandolo da capo a piedi. << Beh, non so se è o meno un bravo ragazzo… >> dice. << Ma perlomeno è carino.>>
Le do una botta sul braccio. << Mamma! Ma che dici?>>
Mi guarda, confusa. << Che c’è? Vorresti dirmi che non è così?>>
Apro la bocca per ribattere, ma non ne esce nessun suono. Insomma, come faccio a negare l’evidenza?
<< Evita solo di ripeterlo davanti a lui >> la ammonisco.
Si finge offesa. << Ehi, per chi mi hai preso?>> chiede, dandomi delle pacche sulla spalla. << Su, prima lo raggiungiamo, prima riusciamo a toglierci questo sassolino dalla scarpa >> afferma, avviandosi a passo deciso verso lui.
Rimango un attimo interdetta. Cos’era, una metafora? Che cos’ha intenzione di fare?
Non mi concedo il tempo per rispondermi, perché mia madre è a pochissimi metri da lui.
Faccio uno scatto e la raggiungo prima che lui ci veda.
<< Valeri!>> esclama, abbagliandomi con uno dei suoi soliti sorrisi.
Provo a sorridere anch’io, ma, non so perché, mi sento un’emerita idiota. E poi è difficile farlo mentre uno sciame di farfalle balla la conga nella tua pancia.
Abbasso lo sguardo, arrossendo. << Ciao. Scusa il ritardo. La parata è durata molto più del previsto.>>
Lui scrolla le spalle. << Non preoccuparti, non fa niente.>>
Sorrido e annuisco. Mi ricordo solo in questo momento di mia madre, che accanto a me aspetta di essere presentata. << John, conosci già mia madre >> dico, mettendole una mano dietro la schiena per portarla avanti. << Mamma… >>
Non riesco a terminare la frase, che i due già si stanno stringendo la mano.
<< È un piacere rivederti, John >> afferma mia madre, sorridente.
<< Il piacere è tutto mio >> risponde John, sorridendo a sua volta. Poi, sembra essersi appena ricordato di una cosa. << Ah, Valeri, questo è mio padre, Harry. Papà, ti presento Valeri.>>
Posa una mano dietro la schiena di un uomo, invitandolo a farsi avanti. Ora capisco chi era la persona con cui John parlava durante la parata. E ora capisco anche che tipo è il padre di John.
È un uomo alto, sulla quarantina, abbastanza muscoloso. Non tanto in realtà, ma, non so perché, mi da l’impressione di poter stendere un’intera squadra di football con un colpo solo. Ha i capelli scuri, un po’ mossi, con un piccolo accenno di ciuffi bianchi, e, a differenza del figlio, ha gli occhi neri, penetranti, gentili ma allo stesso tempo capaci di metterti in soggezione . È molto abbronzato, con un’espressione scaltra e gentile allo stesso tempo e un leggero accenni di barba. Indossa dei pantaloni cachi e una polo blu, sotto la quale si riesce a scorgere l’accenno di un tatuaggio sul collo.
Sorride, tendendomi la mano. << Sono felice di conoscerti, Valeri.>>
Glie la stringo. << Piacere mio, signor Smith >>. Guardo mia madre. << Lei è…>>
<< Mary!>> conclude lei, stringendogli con forza la mano. << Piacere di conoscerla.>>
<< Il piacere è tutto mio. Sono Harry.>>
<< Si, lo avevo capito >> risponde Mary, fredda. Poi un sorriso si dipinge sul suo volto. << Sa, non vedevo l’ora di incontrarla, signor Smith. Mia figlia parla così tanto di suo figlio, che ormai è come averlo in casa.>>
Harry ride. << Beh, credo di poter dire la stessa cosa!>>
Io e John arrossiamo, abbassando lo sguardo.
Mary sorride, compiaciuta. << Fantastico! Sa, credo che se non stiamo attenti, prima e poi ci rincontreremo davanti un altare, a fare da testimoni…>>
No, non posso crederci. Non può averlo detto.
Il signor Smith sta ridendo.
<< Visto, Valeri. Ci so fare con la gente. E tu che credevi che ti avrei messo in imbarazzo…>>
No, questo è troppo! Voglio morire…
Il signor Smith sorride, guardando mia madre. << Sa, lei mi è simpatica, signorina Hart…>>
Mia madre sventola una mano in aria. << Oh, ti prego, chiamami Mary. Ormai siamo parenti. E grazie tante per il ‘signorina’.>>
Lui ride. << Bene, Mary. Chiamami pure Harry.>>
Mia madre sorride. << Ok.>>
<< Allora?>> domanda il signor Smith. << Vi è piaciuta la parata?>>
Mary storce il naso. << Si… carina. Non molto in realtà. Non dico che non fosse spettacolare, ma, sai, non sono un’amante delle feste… >>
<< Beh, s’è per questo, neanche io… >>
Mary sorride, sarcastica. << Non devi dirlo solo per compiacermi.>>
<< Non sto mentendo… >>
Mary sospira. << Il fatto è che qui c’è troppa gente. Non sai mai chi puoi ritrovarti davanti. Sono belle ma sono… >>
<< … Poco sicure >> concludono, insieme. Si guardano e si scambiano un sorriso.
Fantastico! Ora abbiamo due maniaci della sicurezza.
Mia madre abbassa lo sguardo, imbarazzata, passandosi le dita fra i capelli e poi spostandosene una ciocca dietro l’orecchio.
Aggrotto la fronte. Ho già visto questo atteggiamento. Ma dove?
Poi, una lampadina si accende nella mia mente. Ci sono! È la stessa cosa che faceva Mia mentre… Flirtava con Matt?!
Possibile?! Mia madre sta…
Sposto rapidamente lo sguardo da lei a Harry, che continua a sorridere, e capisco subito cosa fare.
<< Beh, io e John andiamo a farci un giro!>> esclamo, cogliendo la palla al balzo. Mi avvicino a John e lo afferro per un braccio. << Voi continuate pure a parlare, se vi va.>>
Inizio a spintonare John, costringendolo a camminare. << Già, sono d’accordo >> esclama lui, che, stranamente, sembra aver capito la situazione. << Ci vediamo dopo!>> dice, avanzando a passo svelto.
<< Ciao!>> saluto, raggiungendolo.
Mi volto a guardare.
Stranamente, non ci stanno seguendo. Anzi! Sembra che non si siano neanche voltati a guardarci.
Forse finalmente hanno capito che volevamo restare un po’ soli.
O forse erano proprio loro, a voler restare soli.
 
Io e John rallentiamo la corsa, quando ci rendiamo conto di essere abbastanza lontani.
Ci guardiamo e, senza un motivo specifico, iniziamo a ridere.
<< Certo che sono proprio strani >> commenta lui, fra una risata e l’altra.
Annuisco. << Già… >> Poi sorrido. << Non avevo mai visto mia madre sorridere così.>>
John sospira. << Neanche mio padre.>>
Lo guardo, e non riesco a fermare la domanda. << Credi che starebbero bene, insieme?>>
John tossisce, nervoso. << Cosa?!>> chiede, sorpreso. Poi, notando che non sto scherzando, si fa serio e scrolla le spalle. << Non lo so… Perché dovrebbero?>>
Sospiro. << Beh, mia madre è single. Tuo padre anche. Si stavano sorridendo come due adolescenti… >> mi fermo, per dargli il tempo di catalogare le informazioni.
Lui aggrotta la fronte, poi si rilassa e abbozza un sorriso. << Sai, credo sia un po’ più complicato del previsto.>>
Stavolta sono io ad aggrottare la fronte. << Perché?>> chiedo, smettendo di camminare.
Lui indugia un po’, cercando la risposta giusta da dare. Abbassa lo sguardo e, notando qualcosa, sorride. << Com’è andato il servizio?>> domanda.
Abbasso lo sguardo anch'io e mi accorgo solo ora di avere ancora la mia fotocamera appesa al collo. Sorrido. << Bene, grazie. Sono riuscita a fare degli scatti pazzeschi.>>
<< Non ne dubito.>> Fa una breve pausa, poi mi guarda. << Come fai?>> chiede, alludendo alla fotocamera.
La prendo fra le mani e la alzo. << Beh, è facile. Guarda. Basta inquadrare un soggetto, aspettare che si metta a fuoco, poi schiacciare questo pulsante e… >>
<< No, no >> mi interrompe lui, sventolando le mani e ridendo. << Non… non intendevo quello. Volevo dire, come fai a fare delle foto così belle.>>
<< Ah >> riesco a dire, mentre l’imbarazzo mi fa avvampare. Che stupida. << Non capisco… >>
<< Beh, insomma, come… come fai a decidere quando è il momento giusto per scattare un foto? Come fai a scegliere i soggetti?>>
Sorrido. << Beh, non è difficile. Basta osservare.>> Noto la sua espressione, e capisco di dovermi esporre meglio.
Inizio a guardarmi intorno, alla ricerca di qualcosa da fotografare. Ad un tratto vedo una bambina, sulle spalle del padre, che, stanca ha la testa poggiata su quella del genitore. È rilassata, e non si sforza. Non ha paura di stare così in alto. Sa che può stare tranquilla, perché c’è il papà che la protegge.
Li indico con un cenno a John. << Guardali. Non sono bellissimi?>> Li metto a fuoco attraverso l’obbiettivo e scatto. Poi guardo John, e sorrido. << Visto? È questo che intendevo. Basta osservare. Se per un momento… provi a non pensare a niente. Stacchi il cervello e ti concedi il lusso di guardarti intorno… ti accorgerai che sono proprio le piccole cose ad essere le più belle. Ad essere speciali.>>
Gli porgo la macchinetta. << Prova tu.>>
Lui inarca un sopracciglio. << Io?>>
Annuisco, decisa. << Si, tu. Guardati intorno e cerca qualcosa di bello. Qualcosa che per te sia bello. Prendi la macchinetta e scatta. Non è difficile.>>
John mi guarda, titubante, poi afferra la macchinetta e fa due passi avanti, cominciando a guardarsi intorno.
Lo osservo, smarrito, mentre sposta rapidamente i suoi occhi blu da una cosa all’altra, senza la più pallida idea di cosa fare.
Sono così assorta dal guardarlo, che non mi rendo neanche conto del flash che mi esplode in faccia.
<< Ma che fai?>> chiedo, capendo solo ora che mi ha appena scattato una foto.
Lui fa spallucce. << Mi hai detto di fotografare qualcosa che ritenessi bello. Qualcosa di speciale.>>
Sorrido, abbassando lo sguardo, imbarazzata. << Non era questo che intendevo.>>
Lui viene verso di me, fermandosi a pochi centimetri dal mio corpo. << Perché ce l’hai tanto con l’obbiettivo?>> chiede.
Faccio una smorfia. << Beh, ecco… non mi piace… essere fotografata >> balbetto. << Diciamo che preferisco scattarle, le fotografie.>>
Lui sorride porgendomi la macchina fotografica. << Sai, a volte farsi delle fotografie è molto più divertente di quel che sembra.>>
Prendo la macchina fotografica e la metto in borsa, pensando alle sue parole. Alzo lo sguardo, e solo ora mi accorgo dell’espressione furba sul suo volto.
<< Vieni con me >> dice, afferrandomi per mano. Uno strano calore mi invade, mentre lui mi trascina in mezzo alla gente e poi per strada.
Camminiamo per un po’, quando finalmente arriviamo in un posto dove c’è meno gente.
<< Dove mi stai portando?>> chiedo, guardandomi intorno.
<< Ti fidi di me?>> chiede lui, a sua volta.
Annuisco, anche se lui non può vedermi. Certo che mi fido di lui. Che domande!
Ci fermiamo di botto, e lui sorride.
Guardo davanti a me, nel tentativo di capire dove siamo. Ma tutto ciò che vedo è uno di quei camerini per farsi delle fototessere.
Aggrotto la fronte, ma non faccio in tempo a fare domande che John mi ci ha già trascinato dentro.
<< Che vuoi fare?>> chiedo.
Lui sorride, infilando un gettone e poi sedendosi sull’unico sgabello disponibile. << Vedrai, sarà divertente >> dice, avvolgendomi i fianchi e costringendomi a sedermi sulle sue ginocchia. << Dì cheese >>
Sorrido. << Tu sei tutto matto >> affermo, prima che inizi il conto alla rovescia. Guardo l’obbiettivo e mi sforzo di sorridere. Quello scatta e un forte flash mia abbaglia gli occhi.
Abbasso lo sguardo. << Tutto questo è ridicolo >> mormoro.
John mi guarda. << Prova a essere più naturale. Prova a non pensare al fatto che qualcuno ti stia guardando. Pensa solo che… che questa è una scena che vuoi ti rimanga impressa nella memoria.>>
Lo guardo e sorrido. Non ci avevo mai pensato. Così è più facile farsi delle foto. C’è meno imbarazzo.
Lui mi avvolge il collo con un braccio. Io poso le mani sul suo avambraccio e, stavolta, non faccio fatica a sorridere.
Il conto alla rovescia parte e la macchina scatta.
Lui mi sorride. << Visto? Non è difficile.>>
Annuisco. Pensavo peggio, sinceramente.
John si ricompone sullo sgabello. << Bene. Abbiamo a disposizione altri tre scatti. Che facciamo?>>
Faccio spallucce. << Non lo so. Che vorresti fare?>>
Lui fa finta di pensarci. << Facciamo delle facce buffe >> afferma, convinto.
Io rido. << Ok.>>
Il conto alla rovescia parte, e io mi sporgo in avanti, verso l’obbiettivo. Gonfio le guance e metto la bocca a mo’ di bacio, facendo l’occhiolino.
Non so cosa stia facendo John dietro di me, ma la foto scatta.
Ci guardiamo e iniziamo a ridere.
<< E ora?>> chiedo.
<< E ora… >> John mi guarda con un’espressione maliziosa. Mi poggia le mani sui fianchi e inizia a farmi il solletico.
Non posso evitarlo. Inizio a ridere come una matta e, prima che me ne renda conto, un’altra foto scatta.
John, però, non smette di solleticarmi, ed io non smetto di ridere. Ridiamo entrambi.
Mi alzo, nel tentativo di scappare, andando dietro lo sgabello. Anche John si alza e mi raggiunge, afferrandomi di nuovo per i fianchi e costringendomi a girarmi.
Senza che me ne accorga, mi ritrovo a pochi centimetri dalla sua faccia. Ma che dico centimetri! Siamo così vicini che i nostri nasi si sfiorano, ed io riesco a sentire il suo respiro caldo sulla pelle.
Abbiamo entrambi il fiatone, ed entrambi sorridiamo.
Ci metto poco a perdermi in quei pozzi blu che sono i suoi occhi, e che mi fanno tremare le gambe.
John mi stringe ancora i fianchi, ed io non ho alcuna intenzione di divincolarmi.
Le distanze tra noi si accorciano, diventando quasi millimetri.
Stiamo per baciarci, quando… un’altra foto scatta.
La luce del flash mi abbaglia, riportandomi, anzi, riportandoci alla realtà.
Imbarazzati, ci allontaniamo, mormorando delle stupide scuse incomprensibili.
John si gratta la nuca. << Beh, vediamo un po’ come sono uscite >> dice, sorridendo.
Sorrido anch’io. << Si, vediamo un po’… >>
Usciamo dal camerino e aspettiamo che questo ci dia le nostre foto.
Dopo pochi secondi, una striscia lunga una ventina di centimetri contenente cinque piccole foto poste orizzontalmente esce fuori.
La prendo e le osservo. Non posso fare a meno di sorridere, quando vedo la foto in cui io e John facciamo delle facce buffe, e di avvampare, quando vedo quella in cui stiamo per baciarci.
Anche lui sorride. << Puoi tenerla, se vuoi.>>
Lo guardo. << Non ti dispiace?>>
Lui scrolla le spalle. << Ovvio che no. In ricordo del tuo primo servizio fotografico.>> Mi fa l’occhiolino ed io rido.
<< Grazie >> mormoro, continuando a guardarle.
Il telefono nella mia tasca vibra, segno che è arrivato un messaggio. Lo prendo e noto che di Mia. Lo apro.
IO E MATT FACCIAMO LA FILA PER IL TUNNEL DEL TERRORE. CI RAGGIUNGETE?”
Guardo John. << Mia chiede se li raggiungiamo al Tunnel del Terrore.>>
Lui fa spallucce. << Perché no?>>
Annuisco e rispondo rapidamente a Mia. Poi, io e John ci dirigiamo verso questo famigerato Tunnel.
 
Arriviamo davanti ad uno strano tendone, posto nelle vicinanze del bosco. È qui che è stato montato il Tunnel del Terrore, ed è anche qui che si tiene l’estrazione della lotteria di stasera.
Cerco con lo sguardo Mia, ma è lei la prima a trovarmi, venendomi incontro.
<< Ciao!>> saluta, abbracciandomi.
<< Ciao >> saluto. Poi noto Matt alle sue spalle. << Ciao Matt.>> Lui risponde con un cenno. << Come va?>> chiedo, guardando Mia.
Lei sorride. << Alla grande.>> Poi sposta lo sguardo da John a Matt. << Ragazzi, perché non iniziate a fare la fila? Noi vi raggiungiamo.>>
I ragazzi annuiscono e si dirigono verso la lunga fila di persone, tutte ansiose di entrare.
<< In che consiste, esattamente?>> chiedo, alludendo all’attrazione.
Mia scrolla le spalle. << Niente di che. Fanno entrare a gruppi di tre o quattro a bordo di un carro, uno di quelli vecchi utilizzati dai contadini, che ti trasporta in mezzo ad un spaventosa parata allestita all’interno del bosco. I costumi sono buoni e il buio del bosco è inquietante. È divertente.>>
Annuisco. << E ci saranno dei tizi che dovrebbero metterci paura?>>
Lei sospira. << Credo che sia più spaventoso il fatto che quei tizi siano Mark e la sua banda.>>
Aggrotto la fronte. Fantastico! Così potranno vedermi mentre ho paura. Si divertiranno un mondo, spero.
Guardo Mia, cercando di capire se sia o no una buona idea, quando il mio sguardo si posa sul suo polso, o meglio, sul suo nuovo braccialetto.
Le afferro il polso. << E questo?>> chiedo.
Lei sorride. << Questo? Oh, niente, è solo un braccialetto che mia ha regalato Matt… >>
<< Te lo ha regalato…!>> urlo, sconvolta.
<< Shh!>> mi zittisce lei, prima che io finisca la frase.
Abbasso il tono di voce. << Te lo ha regalato Matt?>>
Mia annuisce, sorridente. << Già. L’ha visto e ha detto che mi stava benissimo, e che risaltava i miei occhi. Poi si è lasciato sfuggire il fatto che ho dei begli occhi. E a quel punto anch’io gli ho detto che ha dei begli occhi. Poi mi ha offerto un gelato. E poi siamo venuti qui.>>
Sorrido, senza parole. Poi, contenta, l’abbraccio, stringendola forte. << Oh, Mia, che bello! Sono così felice!>>
Lei ride. << Suvvia! Non è stato niente di che! Tu, piuttosto… >> dice, in modo malizioso. << Non è successo niente con John?>>
Avvampo, ripensando a quanto è successo nel camerino. << No… cosa doveva succedere?>> balbetto.
Mia mi guarda, poco convinta. Sta per farmi qualche altra domanda, quando io scorgo mia madre, poco lontano.
Non sono mai stata più felice di vederla! Mi dileguo da Mia, che, annuendo, si dirige verso i ragazzi, per fare con loro la fila.
Io corro verso Mary.
<< Ehi!>> esclamo, per attirare la sua attenzione. Ho un po’ di fiatone.
<< Ciao >> mi saluta lei, aggrottando la fronte. << Che ci fai qui?>>
<< Io e gli altri stiamo facendo la fila per andare nel Tunnel del Terrore. Tu invece?>>
<< Ho accompagnato Harry a comprare dei biglietti della lotteria.>>
Sorrido. << Come sta andando?>>
Lei fa spallucce. << Bene. È molto simpatico, e ho scoperto che abbiamo molte cose in comune… >> Non finisce di parlare, che il suo sguardo si posa su qualcosa.
Mi volto, accorgendomi che la persona che Mary sta fissando è proprio Mark James. È insieme ai suoi compagni.
In tutto sono venticinque, e sono tutti vestiti da mummie, zombie e fantasmi. Una cheerleader, che prima stava truccando i volti dei bambini, ora sta truccando loro, per completare i loro travestimenti.
Osservo Mark. È travestito da zombi. Porta vestiti scuri fatti a brandelli; ha il viso truccato di nero e grigio e qualche chiazza di rosso distribuita a casaccio, per simulare le macchie di sangue.
Storco il naso.
<< È lui il famoso Mark James?>> chiede Mary, alle mie spalle.
Annuisco. << In persona.>>
Aspetta un po’, prima di rispondere. << Sembra un coglione.>>
Sorrido. << Lo è.>>
<< Pensi ancora che sia il caso di andare sul carro?>>
<< No, ma ci andrò lo stesso.>>
<< Lo immaginavo >> dice, rassegnata. << Sai, li ho visti, alla parata. E non mi è piaciuto per niente il modo in cui ti guardavano quei ragazzi.>>
<< Sono degli idioti. Lasciali perdere.>>
Mary mi guarda, seria. << Sta attenta, là fuori >> mi ammonisce.
<< Certo, non ti preoccupare. Non mi succederà niente.>>
<< Ne sono sicura, ma comunque ti aspetterò qui. Non si sa mai.>>
<< Va bene >>, concedo, con un sospiro.
Le stampo un bacio sulla guancia, mentre lei continua a scrutare quei ragazzi. << Lasciali stare >> le dico. << E torna a casa se vuoi.>>
Lei sospira. << Vedremo.>>
Sorrido e me ne vado, raggiungendo i miei amici.
Vedo uno dei carri partire, con sopra poche persone.
<< Siamo i prossimi >> annuncia Mia, sorridendo.
Sorrido anch’io.
E ora a noi due, Mark James.

Angolo Scrittrice
Ciaooo!!
Ed eccomi qui, con un capitolo bello che pronto tutto per voi!
Finalmente questa benedettisima festa! Che bello! Ora le cose iniziano a farsi interessanti... ;)
Piuttosto, che ve ne pare? Piaciuto il capitolo? Spero tanto di non avervi annoiato xDxD
Mi raccomando,
COMMENTATE! Belli o brutti che siano, i commenti sono sempre bene accetti ;D
Aggiorno solo dopo uno o due commenti ;)
Beh, non so cos'altro dire, sinceramente...
Ah, si!
Sono giorni che cerco il volto perfetto da dare a Matt e a Harry, ma fino ad ora non avevo ancora trovato qualcuno che rispecchiasse a pieno le mie idee. Fino ad ora. Credo proprio di averli trovati...
Per Matt avevo pensato a
Andrew Seeley, anche se non ne sono molto sicura, e per Harry, invece, a Timothy Olyphant, anche se sono poco sicura anche su questo...
Non so, fino ad ora sono quelli che mi convincono di più, ma si può sempre cambiare ;D
Che ne pensate, voi? Fatemi sapere...
Vabbè, ora posso andarmene... Non ho davvero nient'altro da dire :)

Un bacio ;*
La vostra ValeryJackson


  
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