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Autore: Ivan_    19/04/2013    1 recensioni
Mi fa abbastanza senso ammettere che sia la storia di un vampiro perchè mi sembra di venir etichettato assieme a tutte le ragazzine che venerano quella specie di Swarovski tagliato male..
In realtà io cerco di raggiungere il mio ideale di Nosferatu, quello tormentato, cinico e spietato.
Ci provo, a voi il giudizio, potete essere cattivi
"una volta io e te eravamo amici. [...] ora non ho più nessuna fiducia in te, sappilo."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Devo dare ancora spiegazioni prima che leggiate questo capitolo, magari più avanti ne rivedrò l'ordine, ma per ora è poco chiaro il filo cronologico anche per me.
Isabelle è un demone della vendetta dai capelli mori che si presenterà nella vita di Kade per sfizio.
Comparirà senza uno scopo per poi trovarlo nel tormentare lui e la sua famiglia, dando problemi soprattutto a lui in quanto naturalmente gli ricorderà Arianne -sua seconda moglie-.
Stan invece è Stanley Stevenson, ragazzino umano di diciassette anni che ha raccolto dalla strada in quanto padrone di un sangue piuttosto raro e prelibato, essendo Kade il Master della città ha deciso bene di accaparrarsi questo dolcetto. Stan è perdutamente innamorato di Kade e continua ad esserlo nonostante questi lo tratti male e a volte lo ferisca anche fisicamente in maniera molto pesante, sempre a causa delle sue “crisi”.
Questo capitolo è collegato allo scorso 'Sweet Demon', si scoprirà il ruolo di Savastian, che tra l'altro non so se spiegare dopo la storia o scrivere un capitolo vero e proprio, magari un parere potrebbe essere d'aiutino TAT So che scrivo in modo contorto, questo perchè lui è contorto. Fatemi sapere se è davvero incomprensibile allora cercherò di migliorare. ò_ò

 



Tormento, Breathe the Distruction.

 

Carponi sul pavimento, gli occhi spalancati e il sangue che dalla bocca e dal naso gocciola sul pavimento ad alimentare la pozza che ho tossito poco fa.

La guardo, mi ci vedo riflesso e sogghigno.

Tendo una mano e con l'indice tocco la mia guancia riflessa, dapprima in una carezza lenta, poi con un ringhio distorco l'immagine con l'intera mano, la stessa che subito dopo mi stringo al petto, sporcandomi i vestiti.

Respiro a fatica, in rantoli lenti, come la bestia ferita che sono.

Ferita sia nell'animo che nel corpo, martoriato e tremante.

Ora che faccio mente locale in un folle attimo, mentre rivolgo lo sguardo fuori dai vetri opachi della finestra per adulare la luna -bella e sempre spiatata- , mi rendo conto che poco fa stavo scappando.

Ah, già, scappavo e come una ragazzina da film horror sono inciampato nelle scale, proprio all'ultimo gradino, finendo a terra lungo il corridoio.

Se io sono qui fermo a pensare.. dov'è la cosa che mi ha messo tanta ansia da permettermi di sentire ancora il tonfo accelerato e pieno di terrore del mio cuore?

Mi volto di scatto e punto lo sguardo quasi offuscato in fondo alla scalinata: eccola là.

Mi fissa, ghignando, con la fila di denti aguzzi ben in vista. La conosco, sì, l'ho già vista da qualche parte.

Assomiglia a quella donna demone che mi ha creato tanti problemi, Isabelle, eppure nei miei occhi la sua immagine si sovrappone a quella di Arianne, quell'Arianne del mio sogno che mi odiava con gli occhi neri e liquidi.

Sento nell'aria un gemito di paura, flebile, che sfuma quasi subito e mi rendo conto solo in un secondo momento che era la mia voce. Tento di alzarmi e in una scena pietosa scivolo con la mano sul sangue, perfetto.

Rido sommessamente, poi gradualmente alzo il tono finché la mia risata malsana spezza il parziale silenzio, prima rotto solo dal mio respiro affannato.

La cosa senza smettere di sfoggiare quel sorriso agghiacciante mi raggiunge, mi tira verso di sé per una caviglia, io cedo, continuando a ridere, tra la disperazione e l'orgoglio che mi impedisce di scappare vigliaccamente.

Mi giro sulla schiena e prendendo una manciata di coraggio -tentando quindi di ignorare il groppo alla gola che mi spinge a piangere- la fisso negli occhi.

Quei pozzi d'ebano per i quali sento salire lungo la schiena un brivido quasi doloroso, vorrei distogliere lo sguardo e gridare con quanto fiato ho.

Invece la indico mentre la mia risata scema in un sibilo isterico

'povera illusa.. io sono il Master di Londra.'

i suoi occhi mi dicono che non le importa, lo so da me, è stata una cosa stupida da dire tra tutte quelle che potevo scegliere.

Ho quasi fame, così debole e circondato dal sangue. Se mi vedessi dall'esterno sarebbe esilarante, ma che dico?, lo è anche così.

Sto steso a terra impiastricciato di sangue rappreso dalla testa ai piedi, con un'espressione chiaramente terrorizzata che pretende di essere spavalda, aggrappato al pavimento con le unghie -ehi, non ci avevo fatto caso- il demone che sfila dalla cintura dei pugnali con la lama d'argento.

So che sembrerà assurdo, ma quello funziona e fa maleUn dolore immane quando me li pianta nelle spalle e io grido, se fossi la causa, l'artefice di questo magnifico verso ne sarei compiaciuto.

Bruciano, la carne frigge e fuma, quasi come se mi trovassi sotto i cinquanta gradi di un sole mediterraneo.

Mi sfugge un altro lamento quando la creatura infierisce girando un paio di volte entrambe le armi, scavando l'osso che sento sbriciolarsi sotto la forza impietosa.

È allora che si inginocchia accanto a me, senza paura che io reagisca, visto che non riesco più a muovere nemmeno un dito e mi sfiora la mascella con l'indice, in una dolce carezza prima di afferrarla con forza per chinarsi a mordermi la guancia.

Avverto i denti affondare fino a scontrarsi coi miei ed è allora che si risolleva con un sonoro rumore di strappo e sento colare il liquido viscoso fino al mio orecchio, urlo di nuovo, la mia carne nella sua bocca che in poche distratte masticate finisce nel suo stomaco.

Non mi ucciderà subito, si godrà il mio dolore soffocato bevendolo come un liquore pregiato. D'altro canto sto diventando il suo pasto.

Mi osserva minuziosamente come si guarderebbe una tavola imbandita e solo allora mi sfila i jeans ridotti a brandelli. Non guardo, per questo sento distintamente le sue dita affusolate infilarsi con prepotenza nella carne e strapparne una manciata dalla coscia, sento le sue unghie raspare contro l'osso nel tentativo di far presa su quel fascio di muscoli e sangue. Mi gira la testa, faccio fatica a tenere le palpebre aperte, tanto vale abbandonarsi al proprio destino.

Ingerita quella parte di me si diletta nel prenderne una porzione del fianco, solo dopo aver frugato appassionatamente tra i miei organi, che di tanto in tanto ha assaggiato, evitanto il cuore s'intende.

Ho sputato nuovamente sangue quando mi ha morso un polmone, mi chiedo che razza di sapore debba avere, mi rispondo sicuramente disgustoso.

Banchetta stando attenta a lasciarmi in vita, tuttavia abbondantemente, il dolore è talmente insostenibile che ho smesso di sentirlo qualche ora fa, quando ha pensato di cominciare e rosicchiare il midollo della mia spina dorsale, scegliendo le vertebre con cura.

Non avrei mai immaginato di essere così lento da mangiare.

Volto gli occhi pieni di lacrime verso di lei, in quel momento mi accorgo che non è la mora, bensì proprio Arianne.

Rido sommessamente, per quanto risulti un suono vuoto.

Ironia della sorte, a volte tira davvero dei brutti scherzi. Me lo sono meritato.

'vedo che non sei cambiato Llewellyn, sei sempre patetico. Vai in crisi con niente. Ci sono vampiri che hanno resistito molto più a lungo di te. E tu invece già piangi. O è perchè sono io? Ma ti amo ancora.'

la nota allegra nella sua voce è quella che mi ferisce di più.

Allora sono i demoni a decimare noi immortali. Si nascondono fin quando gli va poi ci divorano. Ad averlo saputo non avrei attentato alla sua vita, forse mi avrebbe concesso come pasto a qualcun altro.

Le sue dita morbide si chiudono attorno al mio cuore come io abbasso le palpebre prendendo un faticoso respiro

'è stato bello passare con te gli ultimi duecento anni'

un allarmato punto di domanda mi fulmina la mente.

'non mi sarei divertita tanto se non fosse stato per...'

 

 

Trasalisco. Sono nel mio letto, seduto, affannato col cuore che martella nelle tempie. Mi vuole un attimo per capire che sono vivo, intero e accanto a me un respiro pesante da sonno mi segnala la presenza di Stan. Piego le ginocchia, mi chino in avanti e vi appoggio la fronte. Stringo gli occhi esasperato emettendo un debole lamento. Mi sfugge la solita singola lacrima, prima delle altre mille che verso in silenzio, nella solitudine del corridoio.

  
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