Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Padmini    20/04/2013    5 recensioni
Ciò che Sherlock ha portato nella mia vita è stato l'assurdo, l'abitudine a vivere fuori dagli schemi. Se prima, svegliandomi, sapevo esattamente cosa avrei fatto a qualsiasi ora del giorno, ora non posso più esserne così sicuro. Apro gli occhi e non mi chiedo cosa preparerò per pranzo o se litigherò con una cassa automatica del supermercato. Non posso essere sicuro di ciò che accadrà.
Sono certo dell'incertezza. Può sembrare un ossimoro, una contraddizione in termini, ma è così.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci al secondo capitolo. Ho apprezzato molto le vostre recensioni e spero che anche questo sia all'altezza delle vostre aspettative.

Buona lettura.

Mini

 

 

 

 

 

 

Ingresso

 

 

 

 

 

La signora Hudson mi sorrideva, al di là della porta, invitandomi con lo sguardo ad entrare. Era elegantissima e indossava un abito che la faceva assomigliare alla custode di un maniero. Reggeva un candelabro a tre braccia che illuminava buona parte della stanza. Fece due passi indietro, scostandosi dall'uscio per permettermi di passare.

Esitai. Il buio dietro di lei mi inquietava ma, dopo aver affrontato la foresta, decisi che non mi sarei potuto fermare proprio in quel momento. Tanto più che ormai avevo capito di trovarmi in un sogno. Cosa mi sarebbe potuto accadere? Entrai timidamente, quasi come mi trovassi in un tempio.

La seguii mentre mi faceva strada attraverso l'ingresso.

Era un ambiente ampio, dentro il quale l'eco dei nostri passi rimbombava, disperdendosi nella profondità del soffitto, di cui non riuscivo ad intuire la fine.

Mi attardai guardandomi attorno. Le pareti erano alte e spoglie, formate da ampie pietre squadrate, nere e lucide. Mi avvicinai per guardarle meglio e sfiorai il mio riflesso. Era ossidiana * Riluceva misteriosa sotto le mie dita. All'apparenza sembrava fredda come il ghiaccio, ma al tocco risultò calda, come la lava che l'aveva generata. Guardai con maggiore attenzione e scorsi un grande portone, verso il quale ci stavano dirigendo.

“Dove siamo, signora Hudson?” chiesi raggiungendola e camminando al suo fianco “Che posto è? Cos'è quel lago? E la foresta? Mi può spiegare?”

Lei mi guardò teneramente, come una mamma amorevole.

“Non lo so, John. Proprio non lo so”

La osservai a lungo, incredulo. Com'è possibile che non lo sappia? Sembra così assurdo!

La presi per un braccio e la costrinsi a fermarsi, per guardarmi negli occhi.

“Davvero non sa dove siamo? Mi dica la verità! Lei cosa ci fa qui? Fuori ho incontrato i due poliziotti di Scotland Yard … non riuscivano a passare, ma lei … lei è qui.

Lei mi sorrise più radiosamente, ma notai un velo di tristezza sui suoi occhi sempre così gentili.

“Tanti anni fa fui chiamata da questo luogo. Non so come ci giunsi né perché mi attirava tanto. Superai il lago e la foresta ed entrai qui. Il castello mi voleva ... voleva che restassi qui. Mi ritrovai una chiave in tasca. Fino a quel momento non c'era. Era comparsa all'improvviso. La usai per aprire il portone che hai appena attraversato ed entrai. Da allora veglio su queste stanze silenziose. Da quando sono qui, altre persone sono arrivate e sono andate oltre ma io …”

Si avvicinò lentamente al portone e sfiorò la toppa con dita tremanti.

“ … non sono mai riuscita ad andare oltre questa porta. Non posseggo la chiave. Il mio posto è qui”

Annuì sempre sorridendo, come per convincere sé stessa di quello che stava dicendo, poi tornò sui suoi passi. La luce del candelabro si affievoliva man mano che lei si allontanava e presto rimasi nel buio e nel silenzio più assoluto. Mi volsi e vidi una strana luce irradiarsi dalla toppa. Sembrava invitarmi ad inserire la chiave … che non avevo.

Mi venne naturale infilare le mani in tasca e, sulla sinistra, vi trovai un oggetto che le mie dita identificarono come una chiave.

La estrassi e la osservai, sfruttando la luce fioca della porta. Non aveva nulla di speciale. Era una semplice chiave, ma senza esitare la infilai nella serratura e la feci girare.

Nello stesso istante in cui sentii il meccanismo scattare, il metallo si sbriciolò tra le mie dita. Diedi una piccola spinta alla porta e questa si aprì cigolando. Con passi svelti entrai e la porta si richiuse dietro di me con un colpo secco e sonoro, lasciandomi nuovamente nell'oscurità.

Sospirai, chiedendomi quando tutto questo sarebbe finito, poi sentii dei rumori strani, farsi sempre più vicini. Cercai di aguzzare la vista, nonostante il buio e infine vidi una lucetta che saltellava nella mia direzione. Sbattei le palpebre, incredulo. Una luce che … saltellava? Quando si avvicinò lo vidi meglio.

Era un coniglietto. Un coniglietto bianco luminescente che mi veniva incontro. Lo riconobbi all'istante.

“Bluebell?” **

L'animale si fermò e annusò l'aria, facendo fremere i baffi candidi, come a volermi rispondere affermativamente. Mi chinai per prenderlo tra le braccia, ma saltellò via prima che potessi anche solo sfiorarlo.

La luce del suo manto mi fece strada lungo il corridoio, sul quale intravidi diverse porte chiuse.

C'erano delle targhe color bronzo attaccate al legno, ma con quella poca luce non riuscivo a leggere bene cosa ci fosse scritto. Cercai di avvicinarmi, incuriosito, ma il coniglietto continuò ad avanzare.

Mi sentii un po' come Alice che insegue il Bianconiglio e, in effetti, quello era un luogo di sogno, solo che non avevo idea di dove mi avrebbe condotto quello strano cammino.

Una voce dentro di me, quella che ogni tanto si fa strada nella mia coscienza quando io e Sherlock siamo in pericolo, mi diceva di tornare indietro, di sottrarmi a quell'avventura che potrebbe essermi fatale.

La ignorai, come sempre. Non mi tiravo indietro quando si trattava di un serial killer impazzito, perché avrei dovuto rinunciare a quello strano inseguimento? Inoltre ero in un sogno … cosa mi sarebbe potuto succedere di male?

Camminavo e camminavo, eppure sembrava che andassi sempre più piano rispetto al coniglietto. Inoltre sembrava che il corridoio si allungasse all'infinito, come se fosse teso da mani invisibili. Continuai a camminare, determinato a raggiungere la mia meta, quando finalmente vidi all'orizzonte una porta. Era più grande di tutte le altre, sembrava il portone d'ingresso di una chiesa o di un tempio antico. Cercai di avvicinarmi più che potei, ma in quel momento avvenne qualcosa che mi spaventò.

Sentii un lieve rumore sotto i miei piedi e percepii il vibrare del pavimento. Le piastrelle stavano tremando come se ci fosse stato un terremoto. Scostai il piede dalla piastrella sotto di me e questa si sbriciolò. Fu un istante. Anche tutte le altre e così pure i mattoni delle pareti, si dissolsero davanti ai miei occhi. Il corridoio stava svanendo, sgretolandosi velocemente, in un turbinio di ceramica, legno e mattoni, che diventarono un turbine di sabbia che mi oscura la vista. La luce di Bluebell invece di sparire in mezzo a quella tempesta si fece più intensa. Il vento fischiava nelle mie orecchie con un suono stranamente familiare. All'inizio pensavo che fosse il suono tipico del vento, poi capii che si trattava del trillo acuto e fastidioso della sveglia del mio cellulare.

“No! Non è possibile! Nooo!”

Se quello era un sogno e il suono che stavo sentendo era la sveglia, significava che il sogno si stava spezzando … ma non poteva finire così! Cercai invano di afferrare qualcosa di solido, ma era polvere che si disperdeva tra le mie dita, inoltre la luce del coniglietto si stava facendo sempre più intesa e preso dovetti chiudere gli occhi per non esserne accecato.

 

Mi svegliai.

Sherlock vegliava davanti a me con una tazza di tè in mano. Mi guardava stupito e in quel momento mi resi conto che stavo ancora agitando le braccia. Posai le mani sui braccioli della poltrona e mi schiarii la voce. Lui non mi chiese niente e io non parlai, ma era chiaro che era preoccupato.

Presi la tazza che mi offriva e sorseggiai lentamente. Nonostante stessi quasi per ustionarmi feci finta di nulla e gli sorrisi. Forse pensava che fosse qualche incubo sull'Afghanistan e decisi di non contraddirlo.

“Che programmi hai per oggi? Non penso ci sia bisogno di me in ambulatorio, perciò se hai qualche caso per il quale ti serve il mio aiuto ...”

Non feci in tempo a finire la frase che sentii il rumore della suoneria dei suoi messaggi. Probabilmente era Lestrade che aveva bisogno di lui. Il sorriso che si allargò sul suo viso mi fece capire che non avevo sbagliato.

“Allora, cosa dice?”

“Dobbiamo andare in una scena del crimine, immediatamente!” rispose lui poggiando la sua tazza ancora piena sul tavolino e andando a vestirsi al volo.

Finii di bere il mio tè e lo seguii giù per le scale. Chiaramente aveva già chiamato un taxi e stava salendo quando lo raggiunsi.

“Sempre di poche parole, eh?” chiesi ridendo e sedendomi al suo fianco “Ti ricordo che mi sono appena svegliato”

Lui sorrise appena ma non mi rispose. La sua mente era ormai oltre me, oltre il presente. Mi chiesi quali pensieri lo animassero in quel momento. Mi aveva sempre detto che è sbagliato fare congetture prima di avere in mano dei dati perciò mi chiesi a cosa stesse pensando. Lo osservai con attenzione.

Non c'era più traccia dell'uomo stanco e annoiato di quegli ultimi giorni. In lui vidi il violinista della sera precedente. Tutto il suo corpo vibrava ed emanava energia. Era quasi stancante osservarlo. I muscoli del collo erano tesi, come quelli di un cane da caccia che ha fiutato la pista, mentre il viso risplendeva di luce propria. Non sapeva ancora a cosa sarebbe andato incontro, ma la sola idea dell'avventura lo riempiva di entusiasmo. Erano stati troppi i giorni in cui la sua mente straordinaria era stata messa a riposo. Meglio, quello che le persone normali chiamano riposo e per lui era una specie di tortura e che io condividevo mio malgrado.

Quando si trovava in un momento di stallo diventava intrattabile e io ne pagavo le conseguenze. Nei momenti di attività invece si trasformava e sembrava diventare addirittura un essere umano capace di provare sentimenti.

 

Quando infine giungemmo a destinazione un brivido di dubbio mi percorse la schiena. Se per caso Lestrade lo ha chiamato per un caso banale lui si arrabbierà molto e sarà peggio.

Scendemmo dal taxi che pagò con un gesto distratto e ci avviammo verso la scena del crimine. Con le sue gambe lunghe ci mise poco a superarmi, ma correndo riuscii ugualmente a raggiungerlo.

Lo vidi già battibeccare con Sally Donovan. Tipico.

Mi passai una mano sul viso per non dover vedere quella scena, ma fui costretto a fare da paciere. Non potevo tirarmi indietro, ma prima volevo sentire cosa dicessero. Mi avvicinai con le mani dietro la schiena come se mi facessi gli affari miei. Sherlock era davanti a lei, con le mani in tasca. Lei ridacchiò, probabilmente stava dicendo qualcosa di molto carino. Arrivai giusto in tempo per sentire l'ultima frase.

“ … non è detto che tu lo sia!”

Lei sorrise. Non è detto che tu sia … cosa? Mi avvicinai e cercai di inserirmi nella discussione. Con un tono ironico che sapevo solo Sherlock avrebbe capito, cercai di fingere di essere suo alleato.

“Salve Sally. Come al solito Sherlock ti infastidisce?”

Le feci l'occhiolino e lei si rilassò.

“Sì, Dottore” Esitò e guardò Sherlock senza sapere bene cosa dire “In realtà non ha detto nulla di male, viene qui con quel suo fare da sbruffone, come se fosse un nostro collega. Non fa parte di Scotland Yard ma si atteggia come se fosse un nostro superiore!”

Sherlock scosse la testa piano e le regalò un'occhiata carica di finta compassione.

“Io vi sono superiore, in molti sensi. Prima di tutto sono molto più intelligente di voi e inoltre, in veste di detective consulente posso considerarmi al pari dell'Ispettore Lestrade, quindi un vostro superiore”

Lo sguardo cambiò da compassionevole a trionfante, ma in quel momento arrivò Anderson.

“Superiore? Tu saresti un nostro superiore? Dovresti esserci grato solo perché ti permettiamo di sbirciare le scene del crimine e ti lasciamo esporre le tue stravaganti teorie in merito ...”

Fece roteare la mano in aria, in un gesto di sufficienza.

“Non nego che qualche volta risultino esatte, ma si tratta di fortuna. Pura fortuna. Noi lo facciamo per lavoro, tu sei solo un dilettante”

Rise malignamente, seguito a ruota da Sally, che ebbe almeno il buon gusto di coprirsi la bocca con la mano. Sherlock lo guardò apparentemente impassibile. Loro erano così impegnati a ridere che non si accorsero di un lieve movimento del suo viso. Osservandolo notai le sue narici vibrare. Fu solo per un istante perché subito dopo riacquistò il totale controllo di sé e li guardò freddamente.

“Sì, hai ragione Anderson, però non dimenticate che l'arca di Noè fu costruita da un dilettante e il Titanic da professionisti” ***

In quel momento vidi qualcosa di straordinario. Non sapevo se fossi ancora addormentato o se fu semplicemente la mia immaginazione a farmi brutti scherzi.

Anderson, sorpreso dall'uscita di Sherlock, inciampò e cadde a faccia in giù sull'asfalto bagnato. Cercò di rialzarsi ma la rabbia e l'imbarazzo lo fecero scivolare di nuovo un paio di volte. Niente di strano, direte voi. Il fatto è che, per un istante, mi sembrò che da Sherlock partisse un tentacolo, lo stesso che avevo visto emergere dal lago del sogno, che lo fece inciampare.

Mi sfregai gli occhi più volte, incredulo. D'accordo, mi ero appena svegliato dopo una notte non proprio ristoratrice, ma quell'allucinazione era troppo. Doveva per forza trattarsi di una mia fantasia, residuo di quel sogno, ma capii che potevo trarne qualche intuizione in più su Sherlock, sul suo modo di relazionarsi con gli altri.

Mentre Sally aiutava Anderson a rialzarsi notai un sorriso tirato nel viso del mio amico. Sembrava che lo stesse deridendo silenziosamente, in realtà capii che soffriva. Gli attacchi di quei due stupidi lo facevano mettere sulla difensiva e, invece di aprirsi, si chiudeva sempre più in sé stesso, ricorrendo a quelle battute e alle deduzioni non per attaccare ma per innalzare un muro tra sé e chi voleva ferirlo.

Lo raggiunsi mentre entrava nell'edificio dove era stato perpetrato il delitto. Lo presi per un braccio e gli sorrisi. Solitamente lo avrei rimproverato per il suo comportamento, ma stavolta non me la sentii. Lui ricambiò il sorriso con espressione incredula e stavo per parlare, quando arrivò Lestrade.

Ci salutò con la solita cordialità, ma l'espressione di Sherlock gli fece capire che non era il caso di dilungarsi in inutili saluti. In breve ci spiegò cosa era successo.

La vittima era una giovane prostituta, già conosciuta dalla polizia per i suoi trascorsi, barbaramente uccisa con l'ausilio di un coltello. I segni sul collo erano evidenti ma non aveva perso molto sangue, segno che era già morta quando le era stata tagliata la gola. Sul viso c'erano diversi ematomi, lasciti dalla mano che, premendo forte sulla sua bocca, le aveva tolto il respiro.

Ciò che mi agghiacciò di più fu il suo corpo. Se dal collo in su poteva sembrare abbastanza normale, la stessa cosa non si poteva dire del ventre.

L'assassino non solo l'aveva soffocata e per maggior sicurezza le aveva tagliato la gola, l'aveva sventrata. Non voglio dilungarmi a descrivere l'orrendo spettacolo di sangue che vidi in quel pavimento. Guardai Sherlock. Nel mio viso doveva essere chiaro lo sgomento, il disgusto e la pietà per quella donna, ma in lui non scorsi nessun mutamento. Era freddo e lontano come una statua di marmo.

“A quanto pare ti sei trovato di fronte un caso irrisolvibile” lo apostrofò Anderson entrando “Non serve che tu ci dica quello che già sappiamo. Lo stile e la scelta della vittima corrispondono perfettamente con il profilo di quel serial killer che tanti anni fa fu chiamato 'Jack lo Squartatore'. Nessuno è riuscito a scoprire l'identità di quell'uomo in passato e sono più che sicuro che nemmeno tu ci riuscirai”

L'uomo rise sguaiatamente. Guardai prima Sherlock, che rimase impassibile, poi Lestrade, che si massaggiava piano la fronte e scuoteva la testa, imbarazzato dal comportamento del suo dipendente.

Sherlock si strinse nelle spalle e, ottenuto un gesto d'assenso da parte dell'Ispettore, iniziò il suo giro di perlustrazione. Estrasse la sua immancabile lente a scorrimento e osservò minuziosamente ogni centimetro della stanza, soffermandosi specialmente attorno alla vittima.

“Immagino che tu abbia già fatto il tuo lavoro, inviando dei campioni sia al laboratorio di Scotland Yard che al Barts, vero Anderson?” gli domandò senza guardarlo, troppo impegnato ad osservare uno dei segni sul viso della donna

“Te l'ho detto che è il mio lavoro, Strambo. È ovvio che l'ho fatto”

“Ottimo. Visto che è il tuo lavoro, sarà doppiamente deplorevole se non riuscirete a trovare l'assassino. Per me non ci sarà nessun problema se non dovessi riuscirci … visto che sono solo un dilettante, no?”

Gli regalò un falso sorriso e richiuse la lente tra le lunghe dita sottili.

“Lestrade, io qui ho finito. Se i campioni saranno già arrivati andrò subito ad analizzarli”

Greg annuì e con un gesto chiamò un paio di agenti, che si occuparono di trasportare il cadavere di quella povera infelice per l'autopsia.

Ebbi un'ultima visione del corpo, poi seguii velocemente Sherlock all'aria aperta. Avevo bisogno di ossigeno. L'atmosfera in quella stanza era soffocante. Camminammo l'uno affianco all'altro per un po', in silenzio. Mi domandai perché non chiamasse un taxi.

“Sherlock?” lo chiamai, preoccupato “Tutto bene?”

Lui annuì piano, poi alzò una mano e pochi istanti dopo un taxi accostò in fianco a noi. Lui salì a bordo e stavo per fare altrettanto, ma mi vidi chiudere la portiera davanti al naso. L'auto ripartì prima che potessi dire qualcosa, lasciandomi lì come un fesso.

Stavo per arrabbiarmi, poi capii. Voleva rimanere solo. Forse quella visione orrenda aveva colpito anche lui e voleva tenermelo nascosto?

Sospirai e mi avviai verso la fermata della metropolitana, che si trovava poco distante, per andare in ambulatorio e vedere se almeno Sarah avesse avuto bisogno d'aiuto.

 

Rientrai a Baker Street a sera fatta. Il lavoro era anche più del previsto e dovetti rimanere lì anche oltre il solito orario. Speravo che Sherlock fosse già tornato ma il nostro appartamento era vuoto e silenzioso. Mi preparai una cena veloce e mi feci una doccia ma quando entrai in salotto, comodamente vestito con il pigiama, capii che ero ancora solo. Mi sedetti nella mia poltrona e osservai quella di Sherlock. Adagiato sulla pelle nera c'era ancora il suo violino.

Il ricordo della musica meravigliosa che mi aveva guidato in quel sogno così strano si fece vivo nella mia mente e provai un'improvvisa e fortissima nostalgia per il mio coinquilino. Mi chiesi dove potesse essere, poi mi diedi subito dell'idiota. Chiaramente sarebbe stato al Barts, esaminando chissà quali campioni e aiutando Molly con l'autopsia della donna. Sospirai perché sapevo che non sarebbe rientrato prima del giorno dopo, ma avrei tanto voluto sentirlo suonare di nuovo.

Il sogno, la strana visione del tentacolo e poi quella sua fuga in taxi, il lasciarmi solo o meglio, il voler stare solo, mi avevano messo una strana sensazione addosso che non sapevo spiegarmi.

Senza sapere cosa stessi facendo presi il suo violino e lo posai tra le mie gambe poi, come lo avevo visto fare tante volte nei momenti di noia più nera, iniziai a pizzicare distrattamente le corde, producendo un suono basso e monotono.

La stanchezza accumulata durante il giorno e quel continuo rumore che io stesso stavo producendo mi accompagnarono nuovamente nel sonno e, prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai nuovamente nel corridoio del Mind Palace.

 

 

 

 

 

 

Note:

 

* Ossidiana - La pietra psichica
L'Ossidiana era lava di eruzione vulcanica. È una pietra che sta in relazione con la purificazione dell'ego, bruciandolo e lasciandolo in un mucchietto di ceneri.
Essa sa che l'ego è un ostacolo per la manifestazione dello spirito e per questo lo considera suo nemico. Nella sua azione è molto dura con esso, lo detesta e intraprende una guerra feroce contro l'ego. E' astuta quanto lui.
La sua tattica è quella di annullarlo facendolo apparire ai nostri occhi così com'è. E' una pietra di auto-conoscenza e le sue macchie bianche simboleggiano il "guardarci dentro" che ci aiuta a fare.
L'Ossidiana è collegata con il subconscio e il suo principale obiettivo è quello di portare alla nostra coscienza la realtà della nostra psiche e della nostra memoria. Le realtà dalle quali cerchiamo di fuggire, nascondendole nella profondità del subconscio, attraverso l'oblio.
Il colore nero è un colore sacro perché rappresenta il riposo eterno e l'anima pacificata.

 

** Devo dirlo? Blubell! Suvvia! Blubell! Il Mastino di Baskerville! (non 'dei Baskerville, mi raccomando)

 

*** Non ricordo dove lessi questa battuta o chi la pronunciò, ma mi sembrava carino inserirla.

   
 
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