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Autore: venerdi 17    20/04/2013    3 recensioni
Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il capitolo che state per leggere è un pov di Russel. È una specie di EXTRA che non aggiunge nulla alla storia. Mi ero promessa che avrei scritto esclusivamente dal punto di vista di Reb. Però, oggi, ascoltando Close To Me dei The Cure, mi sono improvvisamente calata nei pensieri di Russel non riuscendo a fermarli. Così ho cominciato a scriverli e questo è quello che ne è venuto fuori.
Si riallaccia al precedente in cui Reb inizia a raccontare a Russel di suo padre.
 
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CAP. 37 - CLOSE TO ME
 
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RUSSEL
 
Mentre lei mi parla di suo padre, mi sento sprofondare sempre di più nel letto, appesantito e spinto dal dolore che trapela dalle sue parole, dalle frasi appena sussurrate, cariche di malinconia, rabbia, rassegnazione.
Assaporo l’amarezza di un’infanzia che ha abbandonato la speranza di ritrovare la serenità e la spensieratezza troppo presto. Mi parla di sogni agitati nel letto della sua cameretta, della luce sempre accesa sopra al comodino, della porta che voleva rimanesse sempre aperta perché aveva paura di rimanere sola o di non essere udita se si svegliava all’improvviso per colpa di un incubo, dell’attaccamento morboso per sua madre perché unica fonte concreta di affetto e sostentamento, del perché non riesce ad addormentarsi se non beve un bicchiere di latte caldo prima di coricarsi.
Provo a immaginarla da bambina e vedo una cosetta molto più piccola di come è oggi, che sotto i riccioli e le codine alte sulla testa cerca di nasconde il dolore per non far soffrire ancora di più sua madre, che aspetta il padre facendo la brava, mangiando tutto quello che ha nel piatto, facendo i compiti e mai nessuna bizza, perché l’ultima cosa che le ha detto lui è che non doveva far arrabbiare la mamma.
Finché ha saputo la verità, e allora ha smesso di aspettarlo, ma non di fare la brava bambina perché non voleva essere di peso per sua madre, e per non dover raccontare tutto quanto a chi le chiedeva perché non aveva un padre, ha cominciato a inventare storie. Forse anche perché sentirsi dire la verità a voce alta l’avrebbe costretta ad ammettere con se stessa che suo padre l’aveva abbandonata definitivamente di sua spontanea volontà.
Ho il fiato sempre più corto e mentre la stringo per farle capire che sono qui e darle conforto, mi parla dell’adolescenza che ha risvegliato timori che sembravano sepolti sotto gli spessi strati delle attenzioni familiari. Attenzioni che per anni hanno dissimulato l’assenza di un ingranaggio importante, fondamentale, senza il quale, a un certo punto, è stato inevitabile non riuscire più a far funzionare il meccanismo che ha cominciato a stridere, straziato, e tristemente consapevole di essere guasto alla fine si è fermato completamente. Tutto quanto in lei si è risvegliato di botto. Il dolore era solo assopito, pronto a balzar fuori quando ormai sembrava sconfitto.
Vorrei farle mille domande, chiederle soprattutto perché suo padre si è suicidato, ma da come ha liquidato il discorso, accennando brevemente alla depressione di cui soffriva già da prima che lei nascesse, lascio perdere. Forse, un giorno, se vorrà, sarà lei a parlarmene, quando si sentirà pronta lo farà senza che debba farle nessuna domanda, come è successo oggi.
Una volta mi ha detto che sono come un balsamo per le sue ferite, e pur non capendo appieno le sue parole, in fondo sapevo solo che suo padre era morto e pensavo che si riferisse a quello, ricordo di essermi sentito davvero molto importante per lei, sfido qualunque uomo a non sentirsi un supereroe sentendo la donna che ama che gli confessa una cosa simile, ma ora mi si sta aprendo un quadro ancora più agghiacciante di quello che credevo, e sto comprendendo che per quanto io possa amarla, niente e nessuno potrà mai colmare il vuoto che ha avuto anni per farsi largo in lei e attecchire come erba infestante che cresce in un terreno fertilizzato dai timori e dai dubbi, soffocando tutto quello che c’è di buono intorno.   
Di quanto dolore è impregnato il suo cuore? Ora che so la verità, questi ultimi mesi, il suo comportamento, le fughe, le bugie, la mia testardaggine per averla che si scontrava costantemente con la dura scorza con cui aveva circondato il suo cuore, hanno finalmente un nome: abbandono. Ma non è l’abbandono di un padre che un giorno fa le valigie e sparisce. Quello che mi sta raccontando è l’abbandono di un padre che non le ha lasciato alcuna possibilità di vomitargli addosso la rabbia e il rancore, nemmeno il minuscolo barlume di speranza che un giorno potrà rivederlo e farsi ascoltare da lui. Non potrà mai farsi conoscere o provare a farsi di nuovo amare da lui.
Mi porta l’esempio di quei figli che da adulti cercano i genitori biologici con ostinazione perché vogliono provare a capirli, toccarli, avere la conferma che esistono davvero e sapere cosa si prova a guardarli negli occhi e, soffocando i singhiozzi per impedirsi di cedere e terminare la frase, dice ciò che già immaginavo, e cioè che lei non potrà mai avere questa opportunità perché se suo padre ha fatto quel che ha fatto è proprio perché non riusciva più a specchiarsi nei suoi occhi e in quelli di sua madre e sua sorella cercando in loro la forza per andare avanti e che probabilmente i sensi di colpa hanno fatto tutto il resto.
La premo sul mio petto mentre le sue parole si mescolano alle lacrime che non riesce più a trattenere. Si vergogna, lo capisco da come sfugge al mio sguardo, da come cerca di sdrammatizzare curvando le labbra per abbozzare un sorriso. Ma le sue mani sono chiuse a pugno, la voce le vibra, e in questo momento sento che non è qui con me. È immersa in un passato impossibile da gestire per una bambina, che le ha impedito di fidarsi e lasciarsi andare quando è diventata adulta. 
E la sua paura ora è anche la mia. Sarò capace? Posso davvero arginare i suoi timori? Darle tutto l’amore che merita senza risparmiarmi e tenere però sempre a mente che un mio errore, seppur insignificante, potrebbe allontanarla da me con una velocità disarmante e inarrestabile? Stare con lei è l’unica cosa che desidero, ma non pensavo che mi sarei dovuto addentrare in un terreno tanto scivoloso.
Sono frasi fatte, lo so, ma vorrei davvero potermi far carico del suo dolore, farle scordare tutto quanto e fare di lei la donna più felice al mondo.
Le bacio una tempia, le accarezzo i capelli, so quanto questi piccoli gesti la calmino, non voglio che smetta di raccontare, anche se ogni frase è un cazzotto nello stomaco, un ferro rovente che mi trapassa il petto, un baratro che si apre sempre di più sotto i miei piedi.
Man mano che prosegue mi sento sempre più inadeguato, e mi assale la paura che il mio amore potrebbe non bastare, anche se però so che potrebbe aiutarla a comprendere che non tutti gli uomini sono come suo padre, che non tutti sono incapaci di rispettare gli impegni, le promesse, le persone che amano, e comunque so che aiuterebbe me a sentirmi utile per lei.
Vorrei dirle che io lo farò, che voglio farlo, che non sarò mai né un passo avanti né uno indietro rispetto a lei, che in qualsiasi momento si volterà, mi troverà al suo fianco, perfettamente allineato alla sua esile figura, che le terrò la mano, le accarezzerò la testa ogni volta che si sentirà persa, sola, triste, incompresa, che le cullerò il cuore per farlo battere ancora.
Si asciuga gli occhi, continuando a evitare i miei, poi sospira, e la sua ultima frase é come un colpo che mi fa cadere in ginocchio ansimante «Sono complicata, Russel, e se tutto quello che ti ho detto per te è troppo, se sei spaventato, ti chiedo solo una cosa: cerca di non metterci molto a capire se vuoi davvero stare con me» poi si zittisce, e la sua pausa mi sta uccidendo. Possibile che ancora non abbia capito?
Cerco il suo sguardo, ora lo pretendo, perché se devo convincerla che non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro posso farlo solo se mi osserva. Ma prima che possa aprire bocca, assumendo un’espressione grave mi posa una mano sulle labbra, e malgrado i suoi occhi arrossati e stanchi, intravedo in loro la scintilla della sfida che tanto mi piace.
La piccola battagliera che è in lei non trova pace, non vuole proprio arrendersi. Dovrò armarmi fino ai denti per tenerle testa e ottenere la sua completa resa.
Intreccio una mano alla sua e aspetto paziente che ricominci a parlare, resistendo non so come alla tentazione di spronarla. Devo imparare a rispettare i suoi tempi, a incoraggiarla senza però obbligarla, a insegnarle che non serve rimuginarci troppo, che le parole non fanno male quando nascono dal cuore.
Prende tempo, sospirando e cercando un incastro ancora più saldo con la mia mano. Le mie gambe attorno a lei sentono la rigidità del suo corpo, e mi sento perso, la sento così lontana in questo momento. Cazzo, non ora, non mollare. Non chiuderti di nuovo, credici almeno un decimo di quanto ci credo io. Possiamo essere felici, io, tu, possiamo provarci, dobbiamo assolutamente provarci. Però cazzo aiutami. Torna qui con me, vorrei che tu stessi qui vicino a me per sempre. Se ti lasci raggiungere e afferrare ti prometto che non ti lascerò andare via mai più.
«Ehi» dico sollevandole il mento. Non devo forzarla, okay, lo so, ma non la lascerò andare senza averle provate tutte «Ti stai allontanando. Invece vorrei che rimanessi vicino a me, stai qui con me. Non sei obbligata a dirmi niente, lo sai, ma non tagliarmi fuori, non sbattermi la porta in faccia perché temi che io non sarò all’altezza di affrontare il tuo dolore. Partiamo svantaggiati, d’accordo, ma possiamo sostenerci a vicenda. Però tu devi almeno darmi la possibilità di provarci»
Chiude gli occhi, ha le labbra serrate e sembra respirare a fatica, cerco di trattenere la sua mano che scivola fuori dalla mia, ma poi cedo e la libero. La stringo più forte con le gambe avvicinandola a me, finché ricordo quanto sia piccola e fragile, così prima di farle del male mi obbligo a diminuire la forza. Pensando anche che non è intrappolando il suo corpo contro il mio che riuscirò ad averla.
Chiudo gli occhi anch’io, anche se vorrei prenderle le spalle e scuoterla.
Dio, non sono mai stato così paziente in tutta la mia vita come con lei in questi pochi mesi. L’ho sentita scivolare fuori dalle mie mani così tante volte, riuscendo per fortuna a riafferrarla sempre un attimo prima che se ne andasse del tutto, che non dovrei sentirmi così spaventato, dovrei essermi abituato ormai.
Non credo nel colpo di fulmine, e infatti, anche se mi ci è voluto poco tempo, non mi sono innamorato subito di lei, almeno credo, ma fin dalla prima volta che l’ho vista, mentre era immersa in chissà quale pensiero davanti all’ascensore dello showroom, quella curiosità che mi aveva invaghito di lei vedendola in foto, non mi ha lasciato nessuna possibilità di sottrarmi, volevo conoscerla, parlarle, e ogni giorno, ora, attimo, che trascorrevamo insieme, mi incatenava sempre di più a lei. E finché non avrò la certezza che quelle dolci catene saranno abbastanza strette da non darle alcuna possibilità di fuggire, non mi risparmierò in alcun modo, la voglio solo per me, la voglio per sempre al mio fianco.
Quando ieri sera mi ha detto di aver guidato di nuovo per venire da me, se non mi fossi imposto di mantenere un atteggiamento dignitoso perché volevo farle pesare ancora un po’ di avermi lasciato su due piedi, probabilmente mi sarei messo a ballare in mezzo alla strada. Mi è mancata così tanto, ma non era imponendole la mia presenza che l’avrei riavuta. Ho resistito alla tentazione di cercarla, di andare a casa sua o di piombarle all’improvviso in ufficio solo perché sapevo che sarebbe tornata, ho capito che mi ama già da molto prima che lo ammettesse con se stessa. Aveva solo bisogno di tempo per accettarlo. Anche se a volte, no, spesso, mi assaliva la paura che la vita che faccio fosse per lei un ostacolo troppo insormontabile da valicare, allora in quei momenti le mandavo mille messaggi sul telefono, sia di giorno che di notte. Chissà se li ha letti. Forse no, altrimenti me l’avrebbe detto.
Rimango in silenzio, anche se vorrei chiederle come faccia a non rendersi conto di quanto in realtà lei sia forte, perché malgrado il dolore riesce ancora a sorridere, e soprattutto a far sorridere gli altri, è divertente la mia Sirenetta, e quando è di buon umore contagia tutti quelli che le stanno attorno, in quei momenti mi sento davvero molto fortunato di potermi beare della sua allegria. E se dipendesse solo da me vorrei vederla sempre con il sorriso sulle labbra.
Sfiorandole un orecchio con le labbra sussurro «Ti amo, Sirenetta» sperando che servirà a riportarla qui con me, e lei si muove sul mio petto alzando finalmente gli occhi.
«Anch’io» risponde «E anche se sono convinta che l’amore non può bastare, sono altrettanto sicura che solo tu hai le capacità per aiutarmi. E sì, anche io voglio darci una possibilità, in questo momento l’unica cosa che desidero è stare qui vicino a te»
Okay, posso ricominciare a respirare, non sono morto per colpa sua nemmeno questa volta. Anzi, non mi sono mai sentito così vivo come in questo momento. Posso finalmente rilassarmi un po’, manca solo un’ultima cosa per sentirmi totalmente soddisfatto: voglio vederla sorridere e godere per le mie attenzioni.
«Ti sfido» dico assottigliando gli occhi e pizzicandole il fianco nudo.
«Sentiamo» mi sprona accennando un sorriso strafottente. Ha già capito le mie intenzioni, forse anche perché l’ho già stesa sul letto e una mia mano è tra le sue gambe.  
«Scommetto che malgrado questa notte, riuscirò lo stesso a farti avere un altro orgasmo»
«No, aspetta, vuoi dire che per vincere non devo venire?» chiede sollevando la testa di scatto con espressione incredula.
«Esattamente» confermo mentre le allargo le gambe per far posto al mio viso.
«Ma che sfida è?» insiste sostenendosi sui gomiti.
«Beh, puoi sempre decidere che per una volta è meglio perdere» affermo accarezzandole le cosce e provocandole piccoli brividi che già preannunciano la mia vittoria.
«Non succederà mai» risponde per poi serrare le labbra stizzita «E comunque, se voglio posso essere molto silenziosa, e tu non saresti mai in grado di capire se sto venendo o no»
«Mi hai appena dato un’idea, cambio la sfida. Scommetto che non sei capace di venire senza farti uscire dalla bocca almeno un gridolino»
Sorride ruffiana infilando una mano tra i miei capelli, sta per fregarmi, lo sento.
«E se mentre vengo mi sfugge dalle labbra un ti amo? Perdo anche in quel caso? O ti amo è concesso in questa sfida?»
Lo sapevo, mi ha fregato, è furba la Sirenetta, o forse sono io che sono troppo prevedibile.
«Fanculo!» esclamo sollevandole i fianchi dal letto per avvicinarla alla mia bocca «Sfida annullata. Vieni e grida quanto ti pare»
 
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