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Autore: Unsub    20/04/2013    3 recensioni
Qualcuno è un amico, qualcuno è un nemico, qualcuno è qui per aiutare, qualcuno è qui per fare del male. Decisioni difficile da prendere, fiducia mal riposta o meno, niente è quello che sembra e tutti hanno un secondo fine. Le regole a volte vanno infrante, ma cosa succede quando non conosci le regole del gioco?
La mia prima fanfiction, riveduta e corretta. Della storia originale rimane la trama e qualche spezzone, per il resto sono stati introdotti nuovi capitoli e le situazioni sono state approfondite. Ormai non mi soddisfaceva più come era all'inizio e ho deciso di riscriverla. Ringrazio Ronnie89 che mi fa da beta: sei sempre una grande! Enjoy!
Genere: Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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capitolo 6

Novembre 2007 – Accademia F.B.I., Quantico, Virginia

 
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse e non fosse costretta ad uscire dal suo nascondiglio. Sapeva che fuori da lì l’aspettava la realtà che non voleva affrontare in quel momento di pura gioia: la Strauss e il suo piano; quello che le era successo; i suoi colleghi e la decisione di tradirli o meno. Rimise il biglietto nella busta e lo sistemò nella tasca posteriore dei jeans, nell’attesa di tornare nel suo appartamento e trovare un posto sicuro dove nascondere quell’unica prova che Gideon non l’aveva abbandonata e dimenticata.

Già mentre apriva la porta dei bagni, sentì il buonumore abbandonarla. In fin dei conti non ci voleva molto a scriverle un biglietto e inviarle dei fiori. Jason era un profiler e la conosceva abbastanza da sapere quali erano i tasti giusti per convincerla a proteggere la squadra a discapito di sé stessa. Si incamminò lungo il corridoio intero, sperando che la giornata scorresse via senza ulteriori scossoni e che le fosse lasciato il tempo di riflettere su tutta quella storia.

Le sue speranze erano destinate ad essere disattese: la caposezione era ferma vicino alla sua scrivania e la stava aspettando con uno sguardo contrariato che era tutto un programma. Si limitò a fermarsi a pochi passi da lei e guardarla indifferente; avrebbe lasciato a lei la prima mossa e poi avrebbe agito di conseguenza.

-        Agente Collins, vorrei sapere a che punto si trova con il lavoro che le avevo affidato. – esordì Erin guardandola dritta negli occhi – Il procuratore distrettuale è ansioso di sapere le sue opinioni in merito a quelle testimonianze.

Sarah si concesse un sorrisino sarcastico: sapevano entrambe che l’incarico che le aveva affidato quella vecchia arpia non riguardava quei fascicoli. Tornò seria e la superò prendendo dei fogli dalla stampante.

-        Ho finito di riguardare i file video e sto trascrivendo le mie conclusioni. – sistemò i fogli in gruppi fermandoli con delle attaché, per poi dividerli e inserirle in varie cartelline – Mi mancano ancora la metà delle trascrizioni, ma penso di riuscire a finire per stasera… domani al massimo.

-        Per il momento, prenda i file già pronti e li porti nel mio ufficio. – la donna più anziana si voltò incamminandosi – Li riguarderemo insieme prima di inviarli in procura.

-        Come desidera, caposezione. – le rispose Collins senza guardarla.

Ricontrollò il materiale, prendendosela con molta calma sotto lo sguardo di Morgan che controllava ogni suo più piccolo movimento. Aveva intenzione di non affrettarsi, che la vecchia strega cuocesse nel suo brodo: non aveva intenzione di scattare ogni volta che Erin schioccava le dita.

-        Ti conviene sbrigarti. – l’ammonì Derek – La caposezione Strauss non è un tipo molto paziente e, fidati, non vuoi irritarla più dello stretto necessario.

-        E perché mai non dovrei irritarla? – chiese Sarah distrattamente, senza guardarlo.

-        Può renderti la vita abbastanza difficile. – Morgan tornò a fissare il monitor – Ti vorrei ricordare, inoltre, che può decidere di spostare il personale come meglio crede. Ma questo sono sicuro che già lo sai.

-        Aggiungerei che lo fa senza curarsi di cosa pensa l’agente interessato o il suo diretto superiore. – convenne lei – Tra le altre cose, sembra che il nostro capo non sia molto contento per il modo in cui la Strauss mi ha assegnata alla vostra squadra.

-        Ti piacciono gli eufemismi, vero? – scherzò Derek.

-        Di solito sono molto più diretta, ma non vorrei sembrare sgarbata. – rispose con un’alzata di spalle.

L’uomo si alzò in piedi, fece il giro e si appoggiò con le anche alla scrivania della sua collega, chinandosi verso di lei con fare cospiratorio.

-        Fammi sentire quanto puoi essere sgarbata. – la sfidò.

-        Da piccola avevo un gatto e mio padre decise di farlo castrare quando aveva già un paio di anni. – raccontò la ragazza all’orecchio di Morgan – Ricordo che per tutta la settimana successiva era irritato e si nascondeva di continuo, soffiando a chiunque osasse avvicinarsi. Beh, Hotch in questo momento mi ricorda il mio gatto appena castrato.

Derek buttò indietro la testa scoppiando a ridere, mentre Prentiss e Reid li guardavano interdetti non avendo sentito l’ultima parte della conversazione. Sarah, che non aveva perso il suo sguardo serio e apatico neanche per un momento, si sistemò fra le braccia i fascicoli che aveva finito di sistemare e si apprestò a recarsi dalla caposezione. Appena sulla soglia del corridoio interno si voltò a guardare Morgan e gli sorrise con aria complice.

-        Ricorda che mi sono anche trattenuta. – gli confidò con un sogghigno – Mi vengono analogie anche meno carine, relativamente a questa situazione.

L’uomo scosse la testa e le sorrise mentre tornava alla propria postazione.

 

Hotch era in piedi con le mani dietro la schiena e guardava dalla vetrata che dava sull’openspace. Osservò con molto interesse la scena fra la Strauss e Collins, prima, e quella molto meno seria fra la ragazza e Morgan. Rossi, alle sue spalle, era seduto con un piede sul ginocchio e beveva il suo caffè; era andato nell’ufficio di Aaron circa mezz’ora prima, ma Hotch non aveva proferito parola, limitandosi a controllare ogni minimo movimento del resto della squadra.

David meditò che non serviva essere un profiler con la sua esperienza per capire il nervosismo del capo della squadra. Tutti si erano resi conto che c’era qualcosa di strano nel trasferimento di Collins: il fatto che fosse stato così repentino e senza nessun preavviso; il dossier della ragazza sembrava essersi volatilizzato nel nulla; la ragazza aveva un atteggiamento schivo nei confronti di tutti. Era logico arrivare alla conclusione che la ragazza avesse un incarico da svolgere per il caposezione e, visto che la Strauss non sopportava Aaron per un motivo che quest’ultimo si rifiutava di rivelare, era probabile che dovesse spiare la squadra per conto di Erin. Il vecchio profiler lasciò che la mente vagasse libera, nell’attesa che il suo amico si decidesse a rivelargli perché gli aveva chiesto di recarsi nel suo ufficio.

I suoi pensieri si soffermarono su un vecchio ricordo ma che il tempo non aveva alterato. Il viso sorridente di Mary Elisabeth: donna bella ed intelligente, con uno spiccato senso dell’umorismo e con uno sguardo colmo di serenità. Una persona difficile da dimenticare e che poteva cambiare la vita di un uomo che avesse avuto la fortuna di incrociarne la strada. Si voltò a guardare fuori dalla finestra e pensò a Sarah.

La ragazza era molto bella, ma le somiglianze con sua madre si fermavano ai lineamenti del viso. Il colore dei capelli e degli occhi era diverso, come diverso appariva il loro carattere. Mary era una donna allegra ed aperta, sua figlia era taciturna e con un velo di tristezza negli occhi che non l’abbandonava mai. Si chiese come fosse stata quella strana ragazza prima che l’incidente di otto anni prima spazzasse via la sua famiglia. Un'altra domanda continuava a tormentarlo: perché non gli aveva detto che anche Richard era morto in quell’incidente? Cosa sapeva esattamente la ragazza della vita dei suoi genitori prima della sua nascita?

-        Cosa sai di Collins? – la voce di Hotch lo riportò alla realtà.

Si schiarì la voce e guardò il contenuto del suo bicchiere, come se quel liquido scuro contenesse le risposte a tutte le domande.

-        Ero qui quando ti ha elencato il suo curriculum. – rimase sul vago, incerto su cosa rivelare e cosa no – Vedrai che una volta che gli incartamenti salteranno fuori sarà tutto molto più chiaro.

-        Tu sai molto di più di quello che Collins ci ha detto l’altro giorno. – Aaron si girò a guardarlo in modo torvo – Ho sentito quello che hai detto al resto della squadra sul “peso del suo mondo”.

-        Hotch, so che sembra che io ti stia nascondendo chissà quali informazioni, ma non è così. – Rossi sospirò e ricambiò lo sguardo del collega – Di lei, professionalmente parlando, non so molto più di voi. Posso solo aggiungere che conoscevo sua madre molto tempo fa, ma non l’ho più vista da prima che Collins nascesse.

-        Quindi non ne sai molto più di me. – si arrese il caposquadra, andando a sedersi dietro la sua scrivania – Posso solo aggiungere che, quando lei studiava in accademia, Gideon ha rischiato il suo posto e la sua reputazione per quella ragazza.

-        Cosa intendi dire? – David si sporse in avanti, accigliandosi.

-        Solo pettegolezzi, voci a cui io non credo. Conosco troppo bene Gideon per dare retta alle chiacchiere di qualche cadetto geloso del successo di una collega. – aprì uno dei fascicoli che JJ gli aveva portato quella mattina – Nessuno dei piani altri prese provvedimenti, ma la reputazione è tutto nel nostro ambiente e credo che Gideon avrebbe dovuto mantenere maggior distacco. A riprova che erano solo voci, da quello che ho saputo in seguito, il loro rapporto era molto simile a quello che poi ha instaurato con Reid.

-        Maestro e allievo. I cadetti dovrebbero studiare di più e spettegolare di meno. – chiuse il discorso Rossi – Mi hai chiamato per questo?

-        No. – gli allungò un dossier, con aria preoccupata – JJ me lo ha dato questa mattina e volevo anche una tua opinione in merito.

-        Si torna al lavoro. – ironizzò David prendendo il fascicolo.

 

La segretaria della Strauss alzò la testa, avvertendo una presenza davanti alla sua scrivania. Due occhi verdi, freddi ed inespressivi, la fissavano intensamente, tanto che la donna abbassò lo sguardo a disagio.

-        La caposezione mi ha convocata. – la voce era calda e profonda, ma le parole erano state dette con un tono neutro – Sono l’agente Sarah Collins.

-        Certo agente Collins. – la ricordava bene, quella era la terza volta che la vedeva nell’ufficio del suo capo e tutte le volte si sentiva infastidita sotto quello sguardo vuoto e apatico – Passi pure, la caposezione la sta aspettando.

La ragazza mora la superò senza rivolgerle un saluto, come se quella donna non esistesse per lei, come se facesse parte del mobilio. La segretaria meditò che Collins e Strauss dovevano andare molto d’accordo: entrambe erano altezzose e piene di sé.

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, Sarah si avvicinò con passo sicuro alla scrivania di Erin che la guardava sorridendo. Si fermò quando le gambe toccarono il bordo del tavolo e lasciò andare i fascicoli, che aveva tenuto in mano fino a quel momento, come se fossero topi morti.

-        Non ti salti più in mente di venire di là a cercarmi. – il suo sguardo si era fatto di fuoco e si chinò con fare minaccioso verso la Strauss – Vuoi mandare tutto all’aria?

-        Non ti permettere mai più di parlarmi così. – Erin fece uno sforzo su sé stessa per non alzare la voce – Qui comando io. Forse anche tu, come l’agente Hotchner, tendi a dimenticarlo.

-        Non l’ho dimenticato, ma è anche vero che tu vuoi dei risultati. Li pretendi. – fece una smorfia con le labbra come se stesse ringhiando – Se vedono che io vengo nel tuo ufficio, non ti salta in mente che potrebbero insospettirsi ancora di più?

-        Hanno dei sospetti? – la donna più grande sembrò allarmarsi – Ero convinta di aver recitato bene e…

-        Recitato bene? Hai fatto sparire il mio fascicolo, non hai avvertito nessuno del mio trasferimento, ti permetti di affidarmi degli incarichi scavalcando il mio diretto superiore. Non mi sembra che tu stia recitando così bene. – si mise a sedere, continuando a guardarla in malo modo – Ti spiego io cosa avresti dovuto fare. Quando ti ho detto che accettavo il trasferimento, avresti dovuto paventare la possibilità dell’inserimento di un altro agente. Quando sono arrivata, avresti dovuto fornire a Garcia il mio dossier cartaceo, magari edulcorandolo dove necessario. Avresti dovuto proporre quest’incarico all’agente Hotchner, sostenendo che poteva essere un buon banco di prova per le mie capacità. Ecco cosa dovevi fare per recitare bene.

-        Non ti permetto di…

-        Non permetti, non permetti. – Sarah la guardò disgustata – Mi hai assegnato un incarico, dicendo che per te era importante, eppure stai facendo di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote.

-        Quel che è fatto è fatto. – la Strauss cercò di recuperare la situazione mostrando noncuranza – Piuttosto, mi dici a che punto siamo? Non sei venuta ancora a fare rapporto.

-        Non verrò a fare rapporto, MAI. – sorrise in modo arrogante – Se e quando ci sarà qualcosa da riferirti ti chiamerò sul telefono prepagato che ti ho consegnato quando sono venuta la prima volta.

-        Ti comporti come se fossimo due agenti della CIA e questo fosse un problema di sicurezza nazionale. – la prese in giro la donna, assumendo un atteggiamento superiore – Ti conviene ridimensionare le tue fantasie.

-        E a te conviene non prendere sotto gamba i tuoi avversari. Garcia è un’ottima hacker: se decidesse di mettersi di punta, scoprirebbe immediatamente se abbiamo parlato fuori dall’ufficio. Aaron Hotchner non è uno stupido: se vengo troppo spesso nel tuo ufficio, saprà che i suoi sospetti sono fondati e metterà tutta la squadra sul chi vive. – giocò con la ciocca rossa che pendeva al lato del viso – Chi è che deve ridimensionare le proprie fantasie? Non sei così intoccabile e potente come credi. I tuoi subalterni potrebbero farti le scarpe in un attimo se non prendi delle precauzioni elementari come i cellulari prepagati per parlare con me.

Erin si alzò in piedi e si diresse verso la finestra, dando le spalle alla sua interlocutrice. Non voleva darle la soddisfazione di vedere come le sue parole l’avessero turbata e tantomeno voleva affrontare lo sguardo freddo e distaccato di quella ragazzina che l’aveva umiliata sbattendole in faccia che il suo piano poteva essere scoperto.

-        Visto che ormai siamo qui, ti dispiace dirmi a che punto sei? – si voltò di nuovo verso Sarah, una volta recuperata la calma.

-        Per il momento ho delle informazioni che non posso comunicarti. – alzò la mano per troncare sul nascere la risposta di Erin – Non ho le prove di quello che so e tu mi hai detto che devono essere accuse che si possono dimostrare.

-        Come pensi di muoverti ora?

-        Per prima cosa, tira fuori il mio dossier e vediamo se ci sono cose che possono destare la loro curiosità. Oggi pomeriggio, con calma, lo porterai a Garcia, dicendole che finalmente sei riuscita a risolvere con l’ufficio del personale. – notò lo sguardo contrariato della donna e sorrise sarcastica – Forse è meglio che la convochi e le fai una lavata di testa perché hai dovuto perdere tempo a risolvere la situazione. E’ molto più nel tuo stile essere così arrogante.

-        Non osare!

Collins fece spallucce mentre un sorriso soddisfatto le si stampò sulle labbra alla vista di Erin che si sedeva mesta e tirava fuori il suo dossier. Finito di controllare il proprio curriculum, si alzò dalla sedia e portò due dita unite all’altezza della fronte, a mo’ di saluto.

-        Ci sentiamo. – disse voltandosi.

-        Aspetta! – Erin si inumidì le labbra – Voglio farti una domanda.

-        Quanto siamo curiose. – la prese in giro la ragazza più giovane, continuando a camminare verso l’uscita.

-        Mi hai chiesto di essere assegnata in via definitiva a Washington, se riuscirai a portare a termine l’incarico che ti ho affidato. – sospirò, mentre il suo sguardo si faceva più intenso – Pensavo che mi chiedessi qualcos’altro…

-        Non mi riguarda più. – fu la risposta laconica di Sarah.

-        Che vorresti dire? Come puoi parlare così? – la Strauss era scioccata.

-        Sentimi bene. – le intimò Collins, con uno sguardo di fuoco – E’ tutta una farsa e l’ipocrisia con cui propinava tutte quelle sue storie sulla lealtà, sull’onesta, sul non ferire gli altri, mi fa venire il vomito. Ora è una cosa fra voi due, io me ne lavo le mani.

Aprì la porta e la richiuse sbattendola, lasciando Erin a bocca aperta che cercava di riprendersi da tutto l’odio e il rancore che la ragazza aveva sputato fuori prima di andarsene.

 

JJ era appena uscita dal suo ufficio e si voltò a guardarla mentre Sarah percorreva il corridoio interno con passo deciso e un’espressione truce sul viso. Aspettò pazientemente che la ragazza arrivasse alla sua altezza, sorridendole in modo cordiale.

-        Tutto bene? – le chiese Jennifer.

Sarah non si degnò neanche di risponderle, superandola come se non l’avesse vista. Era furiosa e in quel momento il suo cervello faceva avanti e indietro fra il presente e il passato. Flash di ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza si alternavano a ricordi più recenti e dolorosi. Oramai era conscia di essere solo una pedina che Jason ed Erin si stavano litigando per usarla per i loro scopi. Non era neanche una persona: era un’arma da puntare contro il nemico.

Beh, meditò superando le porte dell’openspace, presto quei due avrebbero avuto una sgradita sorpresa. D’ora in avanti avrebbe pensato solo al suo tornaconto personale, se fosse stato necessario fare il doppio gioco e fregare sia l’uno che l’altra, l’avrebbe fatto senza pensarci due volte. Nessuno si curava di lei, perché avrebbe dovuto preoccuparsi lei degli altri?

Mentre passava posò gli occhi su Morgan. Era il primo della lista delle persone che avrebbe dovuto fregare per portare a termine il suo piano: tanto peggio per lui. Provò a sedersi, ma qualcosa che aveva nella tasca davanti dei jeans le dava fastidio, così vi infilò la mano per sistemarla e potersi sedere. Sentì la consistenza del biglietto da visita che il suo nuovo collega le aveva dato quella mattina. Lui si era dimostrato pronto ad aiutarla senza pretendere nulla in cambio, aveva mostrato di preoccuparsi per lei. Sentì una fitta alla bocca dello stomaco: poteva sacrificare l’unica persona che le aveva mostrato un po’ di calore?

I suoi pensieri furono interrotti perché, con la coda dell’occhio, notò Rossi e Hotch che uscivano dall’ufficio di quest’ultimo. Il loro capo teneva un fascicolo in mano e guardò ognuno di loro, compresa JJ che era ferma vicino alla porta a vetri.

-        Vi voglio tutti in sala riunioni fra dieci minuti. – annunciò con piglio deciso e dirigendosi lui per primo verso la stanza alla fine del ballatoio – JJ, avverti Garcia.

-        Subito, Hotch. – rispose prontamente l’agente, ma prima di uscire lanciò uno sguardo a Collins che continuava ad ignorarla.

Dal canto suo Sarah aprì un cassetto e tirò fuori una cartella in pelle corredata di block notes e l’aprì per infilarci dentro tre penne e due matite; meditò un momento prima di aggiungere una gomma. Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Derek che scuoteva la testa con un sorriso ironico stampato sul volto.

-        Sei sicura che le penne basteranno? Vuoi aggiungere anche un paio di evidenziatori? – la prese in giro.

-        Preferisco essere preparata. – rispose in modo sgarbato e guardandolo con sufficienza – Prendo molto sul serio il mio lavoro.

Si alzò in piedi e si diresse verso le scale che portavano alla sala riunioni, non degnando di uno sguardo il resto della squadra. Continuava solo a pensare che doveva prendersi cura di sé stessa e per farlo avrebbe dovuto fare del male a quelle persone: era meglio non allacciare rapporti troppo stretti con loro. Avrebbe trovato il modo di raccogliere le prove senza farsi coinvolgere emotivamente.

Entrò nella stanza e si mise a sedere vicino a Hotch, proprio di fronte al posto occupato da Rossi. Collins si accomodò, incrociò le gambe e poggiò le braccia sui braccioli, poi chiuse gli occhi e aspettò che la riunione cominciasse. Non voleva vederli o interagire con loro. Stavano rendendo tutto dannatamente difficile e lei odiava le complicazioni.

 
 

Continua…

 

   
 
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