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Autore: Alaire94    21/04/2013    2 recensioni
Avete mai pensato a una vita senza emozioni? A come sarebbe se il cuore non battesse più e non foste più di un involucro freddo e apatico? Lottereste per conservare quel piccolo frammento di umanità rimasto in voi o vi abbandonereste alla sorte?
Cercheranno di farti credere che la loro è una giusta causa, ti prometteranno ignobili punizioni, ma non sempre ciò che luccica è oro e non sempre nel buio c'è il male. Benvenuti a Edentia, nel paradiso che forse paradiso non è.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3

Bugie o verità?

 

Lo fissai per qualche secondo inespressiva quanto lui, mentre dentro di me si agitavano emozioni indescrivibili e impossibili da far convivere. Mi sentivo esplodere, chiedendomi se sarei riuscita a sopportare tutte quelle fesserie tutte in una volta.

«Tu... tu...». Lo puntai col dito indice, stringendo il pugno dell'altra mano. Volevo insultarlo, ma le mie corde vocali faticavano ad articolare qualche parola. «Tu sei un imbroglione, un bastardo! Non puoi dire queste cose pensando che ti creda!».

A quanto pareva la furia aveva sovrastato qualsiasi altra emozione e aveva preso possesso della mia voce, espellendo parole a caso.

Inspiegabilmente Harry non protestò, rimase impassibile, quasi mi volesse spingere a continuare. Non mi feci pregare.

«Mi avete rapita, portata qui facendomi credere di essere nell'aldilà, ma non mi convincerete a rimanere! Mai! Bugiardi, imbroglioni e rapitori di povere ragazze!».

Mi voltai e cominciai a camminare veloce nella direzione opposta. Solo in quel momento la situazione mi risultava chiara più che mai: dovevo solo trovare la fine di quel giardino e allontanarmi da quella strana setta che mi aveva rapita. Erano solo dei fanatici; non capivo come potessi aver pensato di crederci anche solo per qualche momento.

Sentii dei passi e qualcuno mi afferrò un braccio, costringendomi a fermarmi. «Puoi anche non credermi, Gioia, ma sei una Harveil. Niente potrà cambiare ciò e prima o poi sarai costretta ad accettarlo. Quando lo farai potrai trovarmi qui alla fontana», affermò Harry. Il suo tono era pacato, senza traccia di risentimento o qualsiasi altra emozione.

Mi lasciò andare, permettendomi di continuare a camminare lungo il vialetto.

Camminai senza sosta, sotto i raggi del sole, imboccando viali su viali; ero ostinata più che mai a raggiungere la fine del giardino dove, magari prendendo un autobus o un treno, avrei potuto ritornare a casa.

Proseguii per ore e ore, ma non giunsi mai alla fine. Cominciai seriamente a credere che quel posto continuasse all'infinito, con le sue aiuole e le fontane e il via vai di gente.

Quando mi fermai su una panchina, avevo camminato per talmente tanto tempo che ricordavo a malapena il motivo per cui avevo cominciato a farlo.

Mi pareva passata una vita dal mio incontro con Harry e forse era così - non avrei saputo dirlo con certezza -, eppure non era calato il sole nemmeno una volta e non avevo sentito né fame, né sete, né alcun segno di stanchezza.

Normalmente, camminando così a lungo con le scarpe col tacco, avrei cominciato a sentire dolore ai piedi e quel sole cocente mi avrebbe fatto sudare, ma non era accaduto nulla di tutto ciò. Avevo semplicemente camminato, senza provare fatica.

Era vero, percepivo i raggi del sole accarezzarmi la schiena e la testa, o la sensazione del terreno sotto le suole e avevo ancora i rimasugli del nervosismo, ma ogni bisogno era svanito.

Ciò non mi procurava alcun tipo di fastidio, pareva una cosa normale. Nel profondo, però, sapevo che non lo era affatto.

Seduta su quella panchina, a guardare l'acqua zampillare da un pesce scolpito nel marmo della fontana, si stava attuando una lotta dentro di me.

Harry non aveva detto la verità, niente poteva incrinare questa convinzione. Eppure c'era una voce che sussurrava, da un angolino remoto del mio cervello. Diceva che c'era qualcosa che non andava, che dava importanza a quei bisogni che non avevo più.

Per zittirla del tutto, ricominciai a camminare.

Il vestito celeste che avevo alla festa aveva cominciato a sporcarsi e, ormai rovinato, lo strappai sui lati per permettermi di procedere meglio.

Camminavo, cercando di ignorare i volti scultorei di coloro che incrociavo; erano inquietanti, ci vedevo disprezzo e un vago sospetto.

Dopo aver proseguito per un tempo indeterminato, cominciai a sentire la frustrazione rodermi l'animo. Ormai era chiaro che non c'era una fine o, se c'era, era troppo lontana perché potessi raggiungerla in breve tempo.

Inoltre la camminata non era servita a placare quelle voci, anzi, erano divenute sempre più forti e chiare. Mi stavano trapanando il cervello e con più mi sforzavo ad ignorarle, con più prendevano forza.

Mi sedetti di nuovo, all'ombra di uno dei ciliegi che costeggiavano i viali. Arrotolai una ciocca di riccioli sul dito e, mentre la guardavo, il mio cuore fece un balzo. Erano bianchi.

Provai a spostarmi, in modo che il sole non li colpisse, ma non riuscii a cambiare la sostanza della cosa. Qualche ciocca, da nera com'era, era divenuta bianca come i capelli di tutti coloro che mi circondavano.

Sentii le voci dentro di me farsi ancora più insistenti: non vedi? Stai diventando come loro. Sarai un essere inespressivo e spento; è inevitabile.

Non era vero. Non poteva essere vero. Io ero umana, viva e vegeta e lo sarei sempre stata. Harry diceva solo delle fesserie. Solo delle fesserie.

Sentii qualcuno sospirare e voltai di scatto la testa, accorgendomi solo in quel momento che qualcuno si era seduto di fianco a me.

Era una ragazza; forse aveva più o meno la mia età. I capelli candidi erano lisci e lunghi fino a metà schiena, gli occhi grandi e di un azzurro intenso. Aveva un aspetto grazioso tutto sommato: con quel viso perfettamente ovale e una piccola fossetta sul mento.

«Cosa ci fai qui? Perché non sei dal tuo tutore?», mi domandò, penetrandomi con gli occhi. C'era un briciolo di rimprovero nella sua voce.

«Di che cosa stai parlando?».

Piegò la testa da un lato. «Sei una matricola, giusto? Tutte le matricole hanno un tutore».

Annuii, abbassando gli occhi sulla fine ghiaia sotto i piedi. Cominciai a giocarci col tacco, in imbarazzo. A quanto pareva Harry doveva essere il mio tutore. «Mi ha detto che sono morta, così sono scappata». Sollevai le sopracciglia. «Doveva essere pazzo. Magari potresti dirmi dove posso trovarne un altro che mi accompagni di nuovo a casa».

Alzai lo sguardo su di lei, sperando che stesse scuotendo la testa per la fesseria che mi aveva detto Harry. Non ne capivo il motivo, ma credevo che lei, in fondo, fosse come me. Invece la trovai a fissarmi con la testa ancora piegata da un lato. «Be', è la verità. Sei morta e anche io lo sono».

Sentii mille lame attraversarmi il corpo. Fu una tortura, quella frase lo era per le mie orecchie.

Cercai di trattenere le gambe, impedendomi di fuggire come avevo fatto con Harry. Queste parole mi provocavano l'irrefrenabile desiderio di andarmene il più lontano possibile da colui che le aveva pronunciate.

«So che all'inizio può risultare strano...», aggiunse vedendo che non pronunciavo una parola.

«Strano? E' assurdo!».

Annuì, mettendosi più comoda sulla panchina. «Non è così terribile. Comunque puoi verificarlo tu stessa: mettiti una mano al polso, sul petto o alla gola, dove normalmente sentiresti il battito del cuore».

Per quanto fosse assurdo, mi ritrovai a seguire le sue istruzioni. Appoggiai due dita sulla gola, aspettandomi di sentire il leggero pulsare del sangue nell'arteria, a conferma delle mie convinzioni. Aspettai un bel po', quasi tre minuti, ma non avvertii nulla. Feci la stessa cosa sul petto e sul polso.

Niente di niente.

«Vedi? Il tuo cuore non batte più», affermò.

Avrei voluto ribattere, argomentare, ma non avevo nulla da dire. Purtroppo aveva ragione: non c'era più alcuna prova a sostegno della mia tesi. I miei capelli stavano diventando bianchi, non avevo più alcun bisogno fisico e il cuore non batteva. Ero morta e presto sarei stata come tutti in quel posto.

Tale consapevolezza mi uccise un'altra volta. Niente più emozioni o sentimenti, niente più sorrisi da collezionare. Ero morta.

Le lacrime cominciarono a sgorgarmi dagli occhi, implacabili. I singhiozzi mi scossero la schiena e mi presi il viso fra le mani.

D'improvviso rividi tutto; la pioggia che picchiettava sui finestrini, il ritmo del tergicristalli, il cono di luce dei fanali sulla strada bagnata.

«Tranquilla, Deb. Presto saremo a casa».

Il viso sconvolto dalla sbronza di Debora, la sua risata mentre mi saltava addosso. Poi l'albero che si avvicinava e la violenza dell'impatto.

Piansi ancora più forte, ogni lacrima che ancora riuscivo a piangere. Era stata una cosa così stupida; uno scherzo. E aveva rovinato tutto.

Sentii una mano appoggiarsi sulla mia schiena scossa dai singhiozzi. «Non è colpa tua, sai? L'Oracolo ha deciso il tuo destino. Devi sentirti fortunata ad essere morta così giovane: rimarrai sempre così, non ti vedrai mai vecchia».

Avrei voluto urlarle in faccia che non capiva nulla, che non m'importava di essere vecchia o giovane. Io volevo solo vivere ancora, insieme a Lorenzo, mio papà e ai miei amici. Potevo fare ancora molto per loro.

Alzai leggermente la testa. Il dolore mi stava divorando dentro, ma ne ero orgogliosa: era meglio quello che essere vuoti come questa tizia che mi stava a fianco.

«Forse è meglio che ritorni dal tuo tutore, non credi? Sta a lui spiegarti tutto», suggerì, alzandosi in piedi dopo essersi lisciata la gonna di un vestito a fiori.

Sebbene mi sentissi d'improvviso senza forze, mi asciugai le lacrime e mi alzai dalla panchina.

Mi porse la mano. «Mi chiamo Erika».

La afferrai, un po' contrariata. «Gioia».

«Hai già usato il teletrasporto?», mi domandò.

Scossi la testa, ormai neanche troppo meravigliata. Ero morta; non poteva esserci niente di più assurdo.

«E' facile: basta che pensi intensamente a dove vuoi andare».

Cercai di sorridere. «Grazie, Erika».

Sollevò le spalle, noncurante. «Di niente. Ci vediamo», concluse, per poi chiudere gli occhi e sparire nel nulla.

Abbassai le palpebre e mi figurai nella mente la fontana dove avevo incontrato Harry, con quella donna nuda scolpita che faceva fuoriuscire l'acqua da un secchio che teneva in mano.

Un formicolio cominciò ad attraversarmi il corpo, ma non persi di vista l'immagine. Appena cessò, una vento forte parve spazzarmi via, finché anche questo smise di soffiare e al suo posto udii il vociare della gente, lo zampillare di una fontana.

Riaprii gli occhi, ritrovandomi proprio nel posto a cui avevo pensato.

Harry era seduto sulla panchina, intento a leggere da un grosso libro aperto sulle ginocchia. Ne rimasi alquanto affascinata: era rilegato in pelle marrone, le pagine avevano gli angoli ingialliti e le parole erano evidentemente state scritte a mano con un fine pennello.

Il giovane alzò la testa soltanto dopo qualche secondo. «Cominciavo quasi a dubitare che saresti tornata».

Sollevai le spalle, piuttosto contrariata. «A quanto pare sono stata costretta a farlo».

Fece un leggero segno di assenso col capo e mi invitò a seguirlo lungo un vialetto sulla destra dopo aver lasciato il libro sulla panchina.

Per qualche tempo procedemmo in silenzio. Lui con lo sguardo rivolto a terra e le mani infilate nelle maniche della tunica, io guardandomi attorno e cercando un lato positivo in tutta quella faccenda. Inutile dire che non l'avevo ancora trovato.

Alla fine Harry si decise a parlare, spezzando il religioso silenzio e mettendo fine ai miei pensieri del tutto pessimistici. «Dunque... innanzitutto è meglio che ti spieghi che cos'è un'Harveil», esordì, alzando di scatto la testa.

«Cerchi, per favore, di usare un linguaggio semplice e chiaro. Per me sarà già abbastanza difficile impegnarmi a credere a quello che dirà», precisai, espellendo amarezza da tutti i pori.

Lui annuì. «Non dubito che sia difficile, per tutti lo è stato, ma anche tu riuscirai ad accettarlo».

«Allora, mi dice che cosa sono diventata?».

Sfilò le mani dalle maniche e le portò dietro la schiena, assumendo una camminata alquanto altezzosa. «Un'Harveil è un protettore. Il tuo compito sarà quello di proteggere qualcuno in pericolo, al fine di mantenere l'equilibrio. E' proprio questo il motivo per cui esiste Edentia: l'equilibrio». Si prese una pausa, probabilmente nel tentativo di rendere il suo discorso il più chiaro possibile. «L'equilibrio fra bene e male. Edentia fa sì che la Terra non venga distrutta dai suoi stessi abitanti».

Mi lanciò uno sguardo, probabilmente per verificare che avessi assorbito le sue parole.

Non avevo trovato tali concetti difficili in sé, bensì era la loro astrattezza che mi rendeva faticoso concepirli.

Nonostante ciò annuii leggermente con la testa: ero curiosa di trovare un senso a tutti quegli eventi inspiegabili.

«L'Oracolo sceglie continuamente sulla Terra persone idonee a diventare Harveil e siccome questo è un mondo ultraterreno, a cui non si può accedere se non con la morte, fa cessare la vita mortale di tali individui e ne fa cominciare una nuova: la vita dell'anima».

A queste ultime affermazioni mi ritrovai alquanto confusa. «Quindi l'Oracolo è Dio?».

Harry scosse la testa. «Lui non è Dio. Nessuno qui sa se esiste. Vedi...». Si prese un'altra pausa, mettendosi a osservare la fine ghiaia scorrere sotto le suole delle scarpe. «Ci sono cose che nemmeno noi possiamo sapere. Forse ti aspettavi con la morte di risolvere questo mistero, ma purtroppo non sei stata fortunata: l'Oracolo non ci permette né di sapere qual è la fine di coloro che non vengono scelti, né come faccia a procurare la morte. Noi siamo qui solo per svolgere il nostro lavoro».

Sospirai, frustrata più che mai: era il destino peggiore che potesse capitarmi. Non mi spettava nemmeno il privilegio di scoprire cosa aspetta la gente normale dopo la morte.

«Ma se sono morta come faccio ad avere ancora il mio corpo?», chiesi. Era un quesito che mi aleggiava nella mente da qualche minuto.

«Il tuo vero corpo è rimasto sulla Terra e probabilmente ora giace già in una bara...».

Trovai quell'immagine piuttosto raccapricciante e mi fece provare una sensazione sgradevole indefinibile. Mi disgustava alquanto pensare a me stessa in una bara.

«... Quello che vedi qui è una trasfigurazione corporea della tua anima. E' un corpo normale se non per il fatto che non ha bisogni fisici, che può scomparire nel nulla e altre capacità che ti spiegherò. L'Oracolo ce lo concede per svolgere al meglio il nostro lavoro».

Annuii, annodando una ciocca di capelli attorno al dito. Era tutto così strano, così astratto che avevo l'impressione di sognare. Quanto avrei voluto fosse davvero solo un sogno!

«L'Oracolo che forma ha? E' un uomo? L'avete mai visto?», domandai. Cominciava a incuriosirmi questa figura: era qualcuno che se ne stava al di sopra di tutti, come un comandante che muove i suoi soldati nel campo di battaglia, avvolto da reverenza e mistero.

«No, non si sa che forma abbia l'Oracolo. Egli si manifesta come una voce nella mente, per congratularsi o rimproverare».

Harry svoltò a sinistra e all'orizzonte cominciai a vedere qualcosa. Strinsi gli occhi, cercando di dare forma alle costruzioni che vedevo, ma erano ancora troppo lontane.

«Ti è tutto chiaro?», domandò Harry lanciandomi uno sguardo.

«Ora sì», risposi distrattamente, ancora attratta dalle figure all'orizzonte.

Si passò una mano fra i capelli e si schiarì la voce, tentando forse di attirare di nuovo la mia attenzione.

«Prima di arrivare alle abitazioni, vorrei spiegarti qualcosa sui doveri di un Harveil».

Voltai la testa verso di lui, piantando gli occhi sui suoi, spenti e senza luce. Così quelle sagome erano delle abitazioni?

Avrei voluto chiedere spiegazioni, ma Harry continuò. «Ci sono poche semplici regole da rispettare ... mi segui? E' di fondamentale importanza».

Annuii, cercando di assumere un'espressione più interessata, nonostante quei discorsi cominciassero a stufarmi; avevo talmente tanti pensieri nella testa che non avevo idea di come dominarli tutti.

«Regola numero uno», cominciò sollevando il pollice. «Non potrai mai più cercare di ritornare alla tua vecchia vita. Ogni legame verrà spezzato».

D'improvviso mi feci seriamente interessata. Mi parve di essere colpita al fianco con una forte ginocchiata.

Ogni legame verrà spezzato, ogni legame verrà spezzato, ogni legame verrà... quella frase cominciò a vorticare nella mia mente come una nenia ed ogni volta che si ripeteva mi sentivo sempre peggio.

«Regola numero due», continuò alzando anche l'indice.

C'era un numero due? Non era già abbastanza traumatica la regola numero uno?

«Non potrai più provare emozioni umane. Niente paura, felicità, rabbia... amore o desiderio. Dovrai essere al di sopra di ogni passione mortale».

Fu una mazzata nello stomaco, un colpo brutale che però presto si attenuò, segno che la mia natura di Harveil si stava già lentamente rivelando.

«Non sarà difficile, Gioia. La nostra stessa costituzione propende all'apatia», precisò, probabilmente notando il mio turbamento.

«Regola numero tre». Sollevò il medio. «La tua protetta dovrà essere la prima delle tue preoccupazioni. Regola numero quattro: dovrai rispettare il volere mio e dell'Oracolo. Ultima regola: i poteri di cui sei dotata si usano solo ed esclusivamente per lavoro, non per interesse personale».

Questi ultimi doveri non mi spaventarono più di tanto: non poteva esserci niente di peggio delle prime due.

Harry si fermò d'improvviso, posizionandosi di fronte a me e guardandomi dritta negli occhi: forse voleva assicurarsi che ciò che stava per dire mi entrasse bene in testa. «Quando infrangerai una regola apparirà un simbolo sul tuo braccio sinistro. Soltanto un'infrazione ti sarà perdonata, alla seconda sarai un'Hiscordia, un'anima senza dimora».

Non sapevo bene perché, ma quella rivelazione mi provocò una sensazione strana. Probabilmente se fossi stata ancora viva avrei percepito un brivido. «Che cosa vuol dire?».

«Sarai bandita da Edentia. La tua anima non avrà più un posto in cui stare».

Non ebbi tempo di commentare, ormai giunti alle costruzioni a cui mi aveva accennato.

Harry mi condusse di fronte a una delle abitazioni; erano case in miniatura, da un solo piano e non più grandi di una stanza. Avevano muri bianchi candidi, scuri marroni e fiori lilla pendevano dai davanzali. Circondati da alberi e da altre aiuole fiorite, avrebbero potuto confondersi con l'ambiente circostante.

Harry mi mise fra le mani una chiave e mi fece segno di aprire la porta. Io ubbidii, infilando la chiave nella serratura; si udì un leggero cigolio mentre entravo nella mia nuova casa.

Era arredata nel modo più semplice possibile: al centro vi era un divano di pelle marrone, mentre le pareti erano ricoperte da un'enorme libreria, salvo quella di fondo, in cui si alzava un armadio ad ante scorrevoli.

Soltanto dopo qualche secondo notai che nell'angolo in fondo a destra, vi era anche una specie di piccolo camerino: una cabina le cui pareti erano di leggera stoffa azzurra.

Rimasi alquanto meravigliata da quello che vidi: poteva sembrare un'abitazione come molte altre sulla Terra, ma a ben guardare non c'erano bagni, letti né una cucina, segno che dove mi trovavo bisogni come dormire e mangiare non esistevano più.

«Qui potrai leggere libri per incrementare la tua cultura e nell'armadio troverai qualche vestito pulito per cambiarti», spiegò Harry.

Annuii leggermente, già intenta ad accarezzare il dorso dei libri della libreria.

«Bene, ora ti lascio a familiarizzare con la tua nuova abitazione. Se hai bisogno di me, basta che penserai a me e io apparirò», disse.

Annuii ancora, gettandomi sul divano al centro della stanza. Era più comodo di quanto pensassi: ci si affondava, come avvolti in un abbraccio.

Salutai Harry, ringraziandolo per ciò che aveva fatto per me, per poi prendere uno dei libri della libreria e sedermi sul divano a sfogliarlo con curiosità.

Tutto mi sembrava ancora totalmente assurdo: ero morta, intrappolata per l'eternità in un mondo ultraterreno, destinata a non provare più alcuna emozione. Era assolutamente deprimente, tuttavia qualche lato positivo c'era: dei poteri magici e una stanza tutta per me, dove potevo stare in pace ad assaporare un minimo di normalità, visto che la vera normalità non l'avrei avuta indietro mai più.

***

 

Angolo autrice

scusate per il ritardo enorme e imperdonabile, ma ultimamente non ho proprio avuto tempo di dedicarmi a queste cose... purtroppo l'esame di maturità mi sta risucchiando le energie XD Ad ogni modo, colgo l'occasione per ringraziare tutti i lettori e coloro che saranno così gentili da lasciarmi una recensione

 

   
 
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