Lo so
che era da tanto che non pubblicavo niente, ma essendo
gli ultimi capitoli avevo bisogno di pensare bene!! Scusatemi, spero di
farmi
perdonare con questo capitolo!! Buona lettura :D
CHAPTER 33
– RETURN
TO LIVE
Quando
atterrammo fui orgogliosa di
me stessa per essere riuscita a fare un viaggio in aereo da sola. Presi
in
fretta le valigie e mi incamminai verso l’uscita
dell’aeroporto. Mi bloccai
improvvisamente.
No,
oh no. Mi
ero scordata di chiedere il nome della via dove abitava Jared! Sono proprio una stupida, come ho fatto a
dimenticarmelo?.
Mandai un
messaggio a Shannon.
“Potresti dirmi l’indirizzo di Jay della sua casa a
New York?”
Andai fuori e
pensai di chiamare un
taxi, ma poi pensai che non aveva senso non conoscendo la via da
indicare
all’autista. Così mi sedetti su una panchina e
attesi; il mio cellulare vibrò
qualche minuto dopo e lo presi con foga, ansiosa. Sul display
però apparì una
schermata: “Batteria restante: 5%”, questo voleva
dire che avevo ancora pochi
minuti prima che si spegnesse. Maledizione, non avevo proprio notato
che fosse
scarico, ero troppo presa a pensare al viaggio che mi aspettava, avevo
deciso
tutto così in fretta…
Non mi persi
d’animo e inviai
velocemente un altro sms a Shannon. “E’ urgente!!
Ho il cellulare quasi
scarico”. Pochi secondi dopo, però, si spense
definitivamente. Emisi un
grugnito di rabbia seguito da un “Noooo!!”
disperato. E ora? Cosa avrei potuto
fare?! Non potevo comunicare con nessuno, avevo imparato solo qualche
parola
con il linguaggio dei segni, non potevo neanche chiamare qualcuno per
il mio
problema alle corde vocali o mandare un messaggio per contattare mia
sorella,
Shannon o i Milicevic in quanto il mio cellulare era fuori uso.
L’unica
speranza era ricaricare il cellulare, così optai per cercare
un hotel dove
passare anche la notte. Decisi di non prendere un taxi sia
perché avrei
impiegato troppo tempo a spiegare dove volevo andare sia
perché avrei dovuto
pagare, e non era il caso visto che non avevo portato molti soldi con
me. Verso
le due pranzai in un bar e poco dopo trovai un hotel non troppo
lussuoso e
prenotai una camera singola per la notte successiva. Quella sera fu una
sera
piuttosto triste, mi sentivo molto sola così iniziai a
scrivere qualcos’altro a
Jared su dei fogli come avevo fatto in aereo. Poi controllai i messaggi
sul
cellulare finalmente carico e vidi quello di risposta di Shannon. Mi
aveva
scritto l’indirizzo di casa di Jay e poi questo:
“Ho capito dove sei e sono
contento di quello che stai facendo. Vi meritate di non soffrire
più e stare
insieme come è giusto che sia. Lui ti ama davvero e credo
sia lo stesso anche
per te se sei partita per rivederlo. Vi auguro il meglio. Vi voglio
bene.”
Che dolce che
era Shan con noi, anche
io gli volevo molto bene.
Spensi la luce e
mi addormentai quasi
subito col sorriso sulle labbra, sperando che il giorno seguente avrei
rivisto
l’uomo che amavo.
Quel mattino mi
svegliai presto, mi
feci una doccia e, mentre mi asciugavo, notai il mio display del
cellulare che
si illuminava. Era di nuovo Shannon.
Annie,
rispondi appena hai finito di leggere il messaggio. Jay ha deciso
di partire per il tour stamattina, ho tentato di convincerlo a rimanere
e gli
ho pure detto che tu eri qui per lui ma non mi ha voluto credere,
pensando che
fosse una scusa. Ci ha chiamati stanotte e siamo partiti subito. Ora
siamo a
venti minuti dall’aeroporto di New York, spero che tu sia
sveglia e che faccia
in tempo a venire almeno a salutarci. Ci tenevo a dirtelo.
Shan ”
Mi
saltò il cuore in gola. Controllai
immediatamente l’orario: le 9:10. Secondo quanto mi aveva
detto Shannon la band
sarebbe arrivata all’aeroporto alle 9:30 circa, ce la potevo
fare. Mi vestii in
trenta secondi, presi le mia borsa al volo (la valigia la lasciai
perché decisi
che sarei ritornata dopo), chiusi la porta e corsi giù alla
reception, dissi ad
una signorina vestita elegante dietro ad un bancone che sarei uscita
solo per
qualche ora e uscii fuori. Cercai di chiamare un taxi con un cenno
della mano
ma nessuno di essi sembrava vedermi, così fui costretta a
gettarmi in mezzo
alla strada quando ne passò uno, agitai le braccia e il
taxista suonò più volte
il clacson prima di doversi fermare per non investirmi. Salii
rapidissima,
tirai fuori dalla borsa il biglietto aereo che avevo usato il giorno
prima e
gli indicai la parola “airport”; lui
capì e ripartì veloce. Durante il tragitto
scrissi gli ultimi messaggi a Jared su dei fogli che avevo in borsa e
dove
tenevo tutti gli altri che avevo fatto. Meno
male che ho fatto in tempo a prenderli…
Purtroppo non
riuscii a spiegare
all’uomo che avevo parecchia fretta e così dovetti
attendere pazientemente
(sebbene il mio livello di pazienza fosse molto limitato in quella
situazione)
che l’autista si facesse strada tra le numerose macchine che
sfrecciavano per
le vie trafficate della città americana. I minuti passavano,
i semafori rossi
aumentavano e così anche la mia paura di arrivare troppo
tardi.
Finalmente
intravidi in lontananza
l’aeroporto e una serie di dubbi mi invase la mente. Non
avevo considerato il
fatto che non sapessi dove fossero esattamente loro né se
fossero già
sull’aereo. E poi, ne avevano uno privato? Forse
sì.
Appena fui a
destinazione pagai
velocemente il taxista e corsi più veloce che potei
all’interno dell’edificio.
Vagai con lo sguardo alla ricerca della band o di qualche bodyguard, di
questi
ultimi ne vidi moltissimi ma erano solo agenti che si occupavano della
sicurezza all’interno dell’aeroporto. Della band
nessuna traccia. Stavo già
cominciando ad allarmarmi e a perdere tutte le speranze, quando vidi in
fondo
sulla mia sinistra un gruppo di ragazzi che svoltavano dietro ad un
angolo e
tenevano in mano macchine fotografiche, penne e fogli. Il mio primo
pensiero fu
che fossero fans perché non avevano nessuna valigia con loro
e quindi non
potevano essere passeggeri di qualche volo. Risolvetti di seguirli e,
quando
anche io svoltai l’angolo, mi trovai in un lungo corridoio e
potei constatare
che le mie ipotesi erano veritiere. Infatti un omone vestito in nero
stava
rassicurando il gruppetto di una ventina di persone: - Sì,
tranquilli, stanno
arrivando. Ricordate che potete stare con loro solo pochi minuti, un
autografo,
qualche foto e via. Chiaro? – Il suo tono era scocciato, come
se ripetesse
quella frase ogni volta, tuttavia nessuno lo stava ascoltando, erano
troppo
impegnati a guardare verso una porta a vetri dove altri due bodyguard
stavano
facendo il loro ingresso. Il quel preciso istante sperai con tutto il
cuore che
la band in questione fosse quella che mi interessava, anche
perché altrimenti
non avrei fatto in tempo a salutarli…o meglio, ad impedirli
di partire.
Subito il gruppo
di fans, o meglio di
Echelon, corse verso di loro, chiedendo un autografo o una foto, tutti
commossi
alla vista dei loro idoli, tre ragazzi che conoscevo bene. I miei occhi
invece
erano rapiti solo da lui.
Jared.
Superò
la porta a vetri dopo Shannon
e Tomo e sorrise ad ogni macchina fotografica che emetteva flash in
continuazione, però io sapevo che la sua bocca sorrideva ma
i suoi occhi,
quelli in cui ero ormai abituata a vedere l’infinito, erano
tristi, spenti.
Jared, Shannon e
Tomo avanzò piano
piano mentre i bodyguard iniziavano ad allontanare il gruppo di
giovani, che si
aggregarono di nuovo a me, incapace di muovere muscolo da quando li
avevo visti
arrivare. Confusa tra gli altri, mi vidi passare vicino la band,
allungai un
braccio e riuscii a toccare il cappotto di pelle di Jared ma lui non si
girò
nemmeno, troppo distratto dalla confusione che si era venuta a creare.
Non
potei urlare per farmi notare, così iniziai a sbracciarmi,
tuttavia neanche in
questo modo riuscii ad attirare la loro attenzione. Le mie speranze
iniziarono
a vacillare: il disordine era totale e i bodyguard ci tenevano a
distanza. Non
ce l’avrei fatta…Se non mi venne
d’istinto l’idea di piegarmi sulle ginocchia,
intrufolarmi in un piccolo spazio tra due uomini della sicurezza e
correre come
mai avevo fatto nella mia vita verso la rock band, che nel frattempo
stava
svoltando l’angolo che dava in un tunnel collegato
all’aereo.
Uno della
sicurezza mi braccò proprio
all’entrata del tunnel e mi tirò indietro, mentre
io cercavo di urlare che li
conoscevo e che dovevano lasciarmi passare. Sbattei i piedi per terra e
mi
dimenai come una pazza che stavano cercando di rinchiudere in un
manicomio…E
fortunatamente servì.
Continuavo a
urlare “Ti prego,
giratevi, sono qui, perché non vi accorgete di
me?” nonostante solo io potessi
sentirlo, quando all’improvviso Jared si voltò.
Forse fu un miracolo, forse udì
il bodyguard gridarmi di stare indietro o forse il battito dei miei
piedi per
terra, ma di fatto si voltò.
Mi
guardò intensamente negli occhi,
incredulo, e rimase immobile per qualche secondo, incapace di muoversi.
Poi,
con voce strozzata, si rivolse all’uomo che mi teneva per le
braccia: “Lasciala
andare, la conosciamo”. La guardia esitò.
“Ne è sicuro?”. Le seguenti parole di
Jared mi fecero saltare un battito del cuore. “Sì.
E’ la mia ragazza”.
Appena fui
lasciata andare presi a
correre verso Jay e lui fece lo stesso. Quando i nostri corpi poterono
toccarsi
di nuovo in un abbraccio intenso, sentii che avevo ritrovato la mia
metà, avevo
ricolmato quel vuoto che mi opprimeva da più di un mese,
avevo finalmente
ripreso a vivere.