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Autore: Kisuke94    21/04/2013    1 recensioni
Ecco a voi un'altra storia originale, scritta dal sottoscritto. Alcuni argomenti trattati in essa sono un pochetto maturi, ma non mancheranno le risate, tranquilli. La storia vuole essere più reale possibile, nonostante sia fantasy, come, per esempio, in location, dialoghi e personaggi. Ora vi chiederete qual'è l'elemento fantasy, leggete e scopritelo ;)
Cosa succederebbe se a quattro ragazzi come tanti venissero dati dei poteri "Apocalittici"? Leggete e vedrete ;)
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole era prossimo a sorgere nonostante le dense nuvole tenevano l’intero Giappone in una morsa di oscurità e follia. I ragazzi, che nell’auto continuavano ad allontanarsi dalla zona dello scontro, erano spaventati ed estremamente stanchi, spaesati e con il costante timore che i guai non li avrebbero lasciati facilmente. Aaron, continuando a scalare le marce e sorpassando le auto che iniziavano a infittire la rete di strade, trovò il coraggio di spezzare il silenzio che era calato sin da quando lasciarono l’ospedale.

-In fin dei conti ce la siamo cavata con qualche graffietto e contusione! Eheh!-

Disse, cercando quella vena ironica che non gli si addiceva proprio. Si voltò verso Shin, che aveva un braccio poggiato sull’addome e l’altro penzoloni che non riusciva a muovere; il sangue che colorava sul viso così come sul resto del corpo, un liscissimo e viscido violaceo tingeva qua e là gli zigomi e il petto, visibile dagli strappi lasciati sulla maglietta dallo scontro. Capito ormai che quelle parole non erano di conforto per Shin, puntò Oliver con la coda dell’occhio. Dormiva, non sembrava aver riportato ferite gravi, solo un’evidente contusione al livello del collo. Si rassicurò vedendolo dormire e senza troppi “danni”.

-Pensa a guidare… finirai per ammazzarci tu al posto loro!- brontolò Shin, mantenendosi all’appiglio sopra la portiera; cercando si sistemarsi meglio.

–Piuttosto. Mi spieghi come hai fatto a fermare il ragazzino?- domandò, poi, stringendo gli occhi in una ricerca minuziosa della verità nelle parole e nel volto di Aaron.

-Parli di Oliver? Bhè.. è semplicemente svenuto! Tutto qui- rispose lui.

-Tutto qui? Mi prendi per il culo per caso?-

Controbatté  Shin, irritato. Non sapeva cosa fosse successo, ma di certo non si sarebbe bevuto una balla simile, sempre che di balla si trattasse. Il punto fu che la voce di Aaron non disse nulla, fredda e inespressiva. Non vi era un modo per capire se quanto aveva affermato corrispondesse a verità o menzogna; almeno Shin non lo conosceva, solitamente si fidava dei suoi istinti, ma in questo caso non gli avevan suggerito nulla. Domandò poi come sapesse il suo nome, ma a domanda non ottenne risposta, e la cosa lo aveva irritato ancor di più.

-Dove dobbiamo andare piuttosto?-

Chiese amichevolmente Aaron per cambiare discorso; il volto sfacciatamente sorridente avvalorò la tesi di Shin secondo cui Aaron lo stesse ingannando per qualche ragione; ignota. Senza arrendersi sulla questione precedente, Shin pensò bene di focalizzarsi prima sulla "fuga". Fece un cenno con la mano verso l'uscita che di lì a poco si sarebbe intravista.

-Prendi quella... andremo a casa mia!-

Fece con tono poco gentile, quasi che l'idea non andasse giù nemmeno a lui. Aaron scalò le marce e prese l'uscita, ignaro del perché Shin aveva cambiato tono parlando di casa sua. Shin stava fissando le luci della città che piano si spegnevano al loro passaggio; un piccolo focus degli occhi e rivide il suo volto nel finestrino, appannato, dell’auto. Respirava contro il vetro, offuscando la sua immagine e cercando di allontanare i pensieri che erano sopraggiunti fissandosi. Un volto segnato dallo scontro, era il suo, mai tanto provato. Soprattutto l’animo del giovane mostrava i segni della più amara sconfitta...

-*ma che gli prende? Gli sembrano modi questi?! Se eravamo di disturbo, me lo faceva presente!!*-

Pensò Aaron scazzato. Fortuna che i pensieri, e il tono con cui si pensano nella propria mente, non sono ascoltati se non da chi li produce. La strada si fece più buia, le luci erano molto distanti tra loro e la nebbia di primo mattino rendeva il tragitto misterioso e triste. Fu un attimo e i pensieri di Aaron tornarono a poche ore prima, quando era rimasto solo a fronteggiare Oliver. I ricordi erano frammentati, e ciò avvalorò la sua tesi secondo cui non era solo in quel momento. Sentiva, durante lo scontro, come se la sua voce era sdoppiata, non riusciva a spiegarselo allora; non era un problema.. allora. Nonostante la forza e la velocità dei colpi di Oliver, era stato solo Aaron a colpire. Come aveva ben visto Walter, i colpi di Oliver, quell’energia che dalla schiena si alzava in cielo, non aveva colpito mai una volta Aaron, pronto com’era a scansarli tutti, con le mani egregiamente posate nelle tasche; sembrava ballasse tra quei raggi. Sapeva di essere superiore anche contro un ragazzo che stava dimostrando di avere poteri fuori dal comune, ma si chiedeva se dovesse stupirsi o meno di ciò, in fondo quella notte di persone fuori dal comune ne aveva incontrate molte.
Utilizzando in modo impeccabile quell’aura violacea, rarefatta, che lo avvolgeva, parò uno di quei mille raggi che vorticavano intorno a lui e lo costringevano a muoversi di continuo. Li fermò tutti nell’istante esatto in cui collise contro la gamba, rigidamente alzata per contrastare quell’energia. Era annoiato, vedeva Shin sanguinante esser colpito da Walter, e sapeva che non avrebbe resistito molto. Ma il suo attuale obbiettivo era Oliver, doveva trovare il modo di capire cosa era accaduto al ragazzo, e cosa si trovava di fronte a sé… Il ricordo si interruppe con Aaron e Oliver uno di fronte all’altro, gli occhi fissi nei loro sguardi; gli occhi di Oliver giallognoli, pulsavano senza sosta, sembrava volessero parlare.
In poche ore arrivarono fuori l’appartamento di Shin. Il ragazzo scese dall’auto premendo forte l’addome, ancora un poco addolorato. Aaron scese, ma rimase davanti alla portiera da cui si vedeva benissimo il volto di Oliver poggiato sul sedile posteriore. Fece cenno a Shin di accertarsi che la loro presenza fosse gradita o meno, ma il cenno fu inteso male dal ragazzo. Sprezzante si avvicinò al campanello. Non fece in tempo a premerlo che la porta si aprì e un volto nell’ombra gli si parò dinanzi.

-Shin’ichi!!!- gridò la voce femminile, che fece drizzare tutti i peli del ragazzo, compresi i capelli.

-Ti sembra ora di rientrare a casa? E poi dove sei stato? Hai fatto a botte?-

La sorella iniziò a fare mille domande, senza mai abbassare lo sguardo verso Shin che, umilmente, si sorbiva la ramanzina, con non poca fretta. Sapeva che il tempo era ciò che di più prezioso avevano, per questo posò la mano delicatamente alla bocca della sorella, facendo seguire al gesto un inchino sentito. Le labbra della sorella si fermarono di colpo, le dita strisciarono lungo la pelle rosea della ragazza, tingendole di rosso. Istintivo fu per la sorella pulirsi le labbra e costatare che l’olfatto non la tradisse; quello era sangue.

-Naoko… ti prego devi aiutare un mio amico, sta male e penso abbia la febbre alta. Per favore pensa prima a lui, poi m’imporrai tutte le punizioni che vorrai!-

Disse con un’umiltà che avrebbe fatto storcere il naso a tutti quelli che lo conoscevano come l’egocentrico che era. Agitando il capo chino, puntò, con l’unico arto che aveva a disposizione, la macchina, e fece drizzare la schiena ad Aaron, un po’ stupito della situazione.

-Cosa hai detto?- domandò ancora incredula, trasformando il volto stesso in una domanda. Shin alzò lo sguardo, comprendendo lo stupore della sorella. Stupendosi, poi, per la risposta della stessa.

-E perché hai esitato a dirmelo?! Tu! Portami il ragazzo veloce, non stare lì imbambolato!-

Disse con tono imperativo ad Aaron, che strinse gli occhi un po’ irritato dalla prepotenza della sua voce. Il ragazzo mise da parte il suo ego e passò alla priorità. Aprì la portiera ed estrasse Oliver, ancora privo di sensi, ma vivo. Arrivato alla soglia della porta, saliti i tre gradini che portavano a questa, Aaron non fece a meno di lanciare un’occhiata di sfida grave alla sorella di Shin, la quale rispose con un’espressione di sufficienza e disappunto.

-Dove lo metto?- domandò il ragazzo, senza riferirsi a nessuno in particolare.

-Che dici lo mettiamo per terra?!- fece Naoko.

–Mi sembra logico che devi poggiarlo su quel divanetto laggiù, penso sia abbastanza comodo-

Aggiunse poi, indicando un divano a due posti abbastanza grande da consentire ad un corpo steso di entrarci tutto. La ragazza si avvicinò per fare una prima veloce diagnosi. Studiava ancora, ma era prossima a laurearsi in medicina a pieni voti. Sapeva il fatto suo, e Shin non si fidava altri che di lei.

-Shin prendi il medikit dal bagno! Tu aiutami a levargli questo camice- disse ad Aaron, sempre più irritato dai modi bruschi della ragazza. Aveva molte domande da porre a entrambi ma preferì ignorarle per il momento.

-Mi chiamo Aaron, se non ti ‘spiace!-

Aggiunse in modo particolarmente sprezzante il ragazzo, stringendo gli occhi mentre fissava Naoko. Fortunatamente arrivò Shin a distrarre gli animi. Poggiò di fianco alla sorella tutto ciò che aveva trovato che potesse servirle, poi fece cenno ad Aaron di lasciarla sola e di andare in cucina.

-Senti io non la digerisco, ti ho aiutato a portarlo qui ma me ne andrò appena il sole sarà alto, siamo intesi?-

Dettò Aaron puntando l’indice a pochi centimetri dal volto di Shin. Il ragazzo in fondo conosceva la sorella e capì bene come si sentisse Aaron. Non rispose, ma fece intendere che il problema non fosse il suo. Andarono in cucina e si fecero un the caldo per riprendersi. Shin si era cambiato, ora indossava un jeans scuro e una maglietta rossa attillata. Più volte mentre beveva, Aaron si bloccava nel fissare un punto del tavolo, forse a pensare a quanto era successo, o, più semplicemente, a ciò che sarebbe successo di lì a poco. Sapeva che una volta svegliatosi il ragazzo, avrebbe creato non poche seccature… a lui.
Quando fu solo in cucina, dopo che Shin era stato richiamato dalla sorella per ottenere supporto nelle fasciature, Aaron uscì sul balcone. Uno strettissimo corridoio, con delle piante molto curate appese alla ringhiera e una gabbietta con uccellino a pochi centimetri dalla sua testa. Alzò lo sguardo, vide il cielo tinto di colori rosei e, dove il blu era ancora ben visibile, riuscì a intravedere le costellazioni. La nuvola, che prima li sovrastava, era passata lasciando spazio al sole mattutino. Sembrava che nulla fosse accaduto la notte prima, ma Aaron sapeva bene la verità.
Chiuse gli occhi, un venticello fresco e umido gli colpì il volto e il cinguettio dell’uccellino lo trasportò indietro negli anni. Si trovò d’un tratto su una collinetta verdeggiante, un cielo arancio e un sole all’orizzonte caldo e rosso. Il vento, caldo anch’esso, spostava le punte del prato della collinetta, che dava su un fiume. Era un ricordo, lo sapeva, ma il vento stranamente gli spostava i capelli, come se fosse fisicamente in quel posto. Con una mano li riportò dietro l’orecchio destro e fu allora che li vide. Due bambini, fratello e sorella, entrambi biondi e sereni. La bimba giocava con un aquilone, inseguendo degli uccellini blu che roteavano attorno al grande rombo giallo, mentre il ragazzo, con le gambe inarcate, sedeva sulla discesa della collinetta, sorridendo al tramonto e alla sorella.. una smorfia, più che un sorriso. In quel momento, in quel gesto, vi era più falsità che affetto, cercava di non darlo a vedere ma la tristezza riempiva il suo cuore, vedendo il volto della sorella e il tramonto.

-Aaron, Aaron! Visto che carini? Girano attorno al mio aquilone- disse sorridente la piccola Yumi, sua sorella minore. Il ragazzo inclinò il volto sorridendo, rispondendo con un semplice cenno alla piccola, come aveva sempre fatto.

-Non ti piacciono?!- rispose un po’ imbronciata la piccola, ormai avvicinatasi al fratello. Si sedette vicino a lui incrociando le gambe.

-Ma cosa dici sciocchina!- fece lui, dando un colpetto con l’indice sulla sua fronte, alzandosi in piedi. –Sono carini e affettuosi come te, non trovi?- continuò inclinando il volto, facendo spostare tutti i capelli verso destra. La piccola annuì poi alzò la sua piccola mano al cielo indicando il tramonto, scandendo poi ogni singola parola.

-Perché quando veniamo qua, e c’è il tramonto, diventi triste e silenzioso?- allungando il suono dell’ultima parola, mentre il vento mosse i capelli di entrambi. Aaron (entrambi gli Aaron) spalancarono gli occhi per la domanda insolita, ma non attesero nel dar risposta. Entrambi la diedero, con la voce di Aaron che sovrapponeva quella del suo Io nel sogno.

-Perché venivamo sempre su questa collinetta… con mamma. Forse non lo ricordi bene perché eri piccola.- quella risposta fece brillare gli occhi della piccola Yumi. Amava quando sentiva storie che la riguardavano ma che lei non ricordava.

-Quando mamma rientrerà dal suo viaggio, ci torneremo.. vero fratellone?- domandò saltellante al fratello. Questi, voltandosi afferrandola per mano, le mentì ancora, promettendogli che sarebbero tornati lì tutti insieme per vedere ancora una volta il tramonto… insieme.

-Pensi che papà sia tornato?- chiese poi lei fissando il movimento alternato dei suoi piedi.

-È periodo natalizio Yumi, sai che papà fa gli straordinari. Il suo lavoro è molto faticoso, ma deve farlo, non può sottrarsi- rispose in un modo che abbracciava la freddezza del suo pensiero e il calore del suo amore per la sorella.

-Allora lo aspetterò. Sì lo aspetterò per dargli tanti bacini!!-

Disse ancora la piccola, voltandosi sorridente verso il fratello. Aaron, che da lontano vedeva ancora la scena, non poté fare a meno di commuoversi, mostrando un lato di sé che sempre nascondeva. Tornò alla realtà, non senza rimpianti. Fece per rientrare quando la voce di Shin lo chiamò, lasciando comprendere dal tono che Oliver si era finalmente svegliato.
Insieme raggiunsero l’altra stanza, Oliver sorseggiava il the, ormai tiepido, con l’ausilio di Naoko. Il ragazzo era come rinato, le bende coprivano l’addome e parte del torace. In alcune parti quest’ultime si erano tinte di un rosso leggero, a testimoniare che qualche ferita anche il giovane l’aveva riportata. Fissava ancora stordito il liquido nella tazza. Il tremolio delle mani creava delle onde concentriche che distorcevano il riflesso del suo volto. Il fumo iniziava a dargli fastidio alla vista e, vedendo entrare anche l’altro ragazzo, alzò lo sguardo per ringraziarlo. Aaron seguiva Shin, era, infatti, mezzo coperto da quest’ultimo. Ma Oliver lo vide bene, lo riconobbe. Spalancò gli occhi e un’ombra calò sul suo viso subito dopo. I suoi occhi erano diventati molto bassi, indicavano  un tono di sfida.. o di odio. Shin se ne accorse e fece per porsi tra i due. Aaron poggiò una mano sulla sua spalla e scosse il capo, iniziando a parlare.
-Non c’è bisogno che tu ti ponga tra me e lui… forse conviene spiegare cos’è accaduto all’ospedale!- disse Aaron con voce molto tenue, dispiaciuto per la situazione incresciosa venutasi a creare. Shin, voltatosi leggermente, stava per chiedere spiegazioni quando la voce di Oliver, sottile ma alta, lo interruppe violentemente.

-È stato lui- iniziò, indicando il livido che aveva sul collo, ora liscio per via della crema applicatagli sopra da Naoko.

-..è stato lui a causarmi questa!-

Continuò con parole di fuoco il giovane, accendendo gli occhi di un giallo più vivido di prima, quando si trovava nel parcheggio dell’ospedale. Shin, che aveva fissato Oliver che lo aveva interrotto, si voltò di nuovo verso Aaron cercando, ancora una volta, di domandare, senza successo.

-Ha ragione! Sono stato io. Avevo pensato che, nonostante tutto, il suo corpo fosse ancora umano, e quindi avrebbe reagito di conseguenza…- rispose, dispiaciuto, Aaron, a una domanda che concretamente non gli fu posta. Spostò gli occhi verso la ferita, ricordando il colpo inferto al ragazzino.

-Grazie per le importati informazioni!-

Esclamò Aaron portatosi dietro ad Oliver, nonostante non fosse in sé in quel momento. E colpì con violenza sul collo del ragazzo, facendolo accasciare a terra, privo di sensi.
Aaron ritornò di nuovo in sé, sentendo la voce squillante della sorella di Shin che aveva preso da un po’ la parola.

-… cioè potevi ucciderlo!-

Fu l’unica frase che Aaron riuscì a comprendere. Vide che Shin lo fissava, e sentiva lo sguardo pesante di Oliver addosso. Stava accumulando stress, e doveva reagire. Non rispose, non fece alcun gesto, prese e andò verso la porta d’ingresso. Aprì e si trovò di fronte il tipo che era prima in macchina con Shin’ichi. Lo riconobbe nonostante la penombra, e lo fissò con sguardo sprezzante ma allo steso tempo dispiaciuto. Il maestro, che aveva sentito le urla di Naoko, lasciò uscire Aaron e poi entrò. Chiuse la porta e tranquillizzò gli animi. Aveva un tono e un fare molto familiare, conosceva bene i due ragazzi, entrambi suoi allievi, nonostante Naoko non frequentasse più. Aaron, sedutosi su di uno dei gradini subito fuori la casa di Shin, ripensò al suo passato, alla notte in cui la sorella venne a scoprire la dura verità.
 
Un rumore di chiavi attirò l’attenzione del ragazzo, seduto sulla poltrona che si trovava alla destra della porta, dietro un muretto divisore. Era tardi, molto tardi, nonostante non avesse visto l’orario, ne era certo. Accese il lume di fianco a sé e attese che il padre varcasse l’uscio. Si strofinò gli occhi e salutò il genitore con una smorfia. Sembrava lo stesse rimproverando, ma neanche lui sapeva per cosa. Molti erano i pensieri che in quel momento vagavano per la sua testa, ma sapeva che troppe parole non avrebbero concluso nulla, e che litigare non sarebbe stato utile a nessuno. Lo accompagnò in cucina facendo attenzione a non svegliare la sorella che angelicamente dormiva nella sua stanzetta, poco distante dalla cucina stessa. Il padre, uomo alto e curato, tanto nell’aspetto quanto nel vestiario, posò lo sguardo verso la porta semi-chiusa della camera della piccola, sospirò e chiuse per pochi attimi gli occhi; poi proseguì. La cucina era in ordine, nulla lasciato fuori posto, neanche un piatto da pulire, una piastrella sporca o altro. La pulizia con cui era tenuto quel locale era maniacale. Ma proprio quella pulizia demoralizzava quel genitore affranto dal lavoro, dalla situazione che si trovavano, tutti e tre, a vivere da ormai sette mesi. Non fece a meno di versare una lacrima al pensiero dei tempi andati. Da genitore comprendeva il carico che verteva ormai sulle spalle del figlio, ma non sapeva come fare. In Giappone non c’è mai stata l’idea di “orario di lavoro”, lì si lavora fin quando il proprio datore vuole, e gli orari non sempre sono a favore dell’impiegato. Essere solo a mantenere i due figli era molto difficile, soprattutto con la crisi che c’era. Aaron riscaldò un piatto prima cucinato, mise su una vettovaglia e apparecchiò per una sola persona. Il padre, vedendolo ‘sì preso, lo aiutò cercando di sorridergli e tirar su il morale del giovane, senza successo. Quando entrambi si sedettero, Aaron ruppe il silenzio, in modo amaro e sprezzante.

-Ancora che ti ritiri a quest’ora?- iniziò a dire, spostando, per il nervoso, il bicchiere che aveva dinanzi.

Yumi ti ha aspettato fino alle undici… povera non ha retto più ed è crollata. Pensi mai di dover fare il padre qualche volta? Di dover esserci per i tuoi figli?-

Accusò, in lacrime, il ragazzo. Cercava di essere duro ma con scarso successo. Si sentiva solo. In cuor suo conosceva il perché dell’assenza del padre, ma non voleva giustificarla. Avrebbe accettato di vivere come un pezzente pur di avere.. riavere.. l’amore che ormai da tempo è venuto meno nella sua vita. Il padre, silenzioso, assorbiva le lamentele del figlio, lamentele che di solito sono di una moglie stanza e afflitta, ma che ora, dette da lui, sembravano ancora più taglienti e dolorose. Cercò di trovare le parole giuste ma senza successo, apriva e chiudeva la bocca senza però emetter fiato. Poi Aaron riprese.

-Da quando mamma è morta… ho perso entrambi i miei genitori, e sono rimasto con una sorella che mi ama, ma cui sono costretto a mentire… come pensi che mi senta!-

Disse queste parole, con voce alta e lacrime a fiumi, bloccandosi nell’istante in cui vide poggiata vicino alla porta, con la testolina stanca e affaticata, la sorella Yumi, con gli occhi densi di lacrime che faticavano a scendere, un nodo in gola che quasi la soffocava. Era sopraggiunta per salutare il padre, avendolo sentito rientrare anche lei, ma alle parole del fratello era come morta dentro, senza speranza di salvezza.
 

Ripercorrendo quel ricordo, Aaron sentì di nuovo quel nodo in gola. Quando si sentiva in colpa, quel ricordo riemergeva prepotente nella sua mente. Il suo animo si stava a poco a poco sgretolando, e le sue forze parevano lasciarlo. In quell’istante Shin uscì dalla porta, per consolare quel compagno che in poche ore stava conoscendo, e del quale voleva capire di più. Ma proprio uscendo, alzando lo sguardo dopo aver visto Aaron seduto, una figura poggiata a gambe incrociate sull’auto attirò la sua attenzione. Dondolando come solo i pazzi fanno, Juro era giunto dai ragazzi per catturarli insieme, quando ancora erano indeboliti dagli ultimi accadimenti.
 

Nel frattempo, passate ormai due ore dall’incidente, l’uomo incappucciato, che prima aveva salvato Aaron, arrivò all’ospedale in macerie. L’incendio delle ore precedenti era stato domato e la polizia scientifica aveva già fatto i suoi accertamenti. L’uomo si avvicinò all’edificio senza difficoltà, nonostante la presenza di due pattuglie a sorvegliare l’area; gli agenti morti nelle loro auto. Il suo riflesso era visibile dalle pozzanghere ancora presenti dei precedenti soccorsi. Non tolse il cappuccio, le prime luci del mattino continuavano ad illuminare solo una piccola parte del suo viso, solo quella cicatrice che era presente sulle labbra. Raggiunse il centro del parcheggio e ripercorse gli avvenimenti, come se fosse stato presente durante questi. Immaginò come Aaron avesse battuto senza troppe difficoltà sia Serena sia Oliver; di come Uriel avesse steso Walter in modo violento, e di come quest’ultimo fosse passato inosservato alle forze dell’ordine sopraggiunte in zona. Occultamento pensò subito, e non sbagliava. Individuò la posizione di Walter, provato e privo di sensi, poggiato vicino a un cumulo di macerie, sporche del suo sangue. Con la coda dell’occhio vide avvicinarsi qualcuno, qualcuno di familiare. Era Rioga, al quale era stato ordinato di catturare Oliver, ma che era rimasto per tutto il tempo nel boschetto che circonda il parcheggio. Zoppicava ancora, e si avvicinava a passo lento verso il suo superiore; arrivò al suo fianco e fece per giustificarsi, ma l’uomo lo zittì prima ancora che cominciasse, alzando la mano destra coperta da un guanto di pelle nera.

-So tutto, non c’è bisogno che spieghi. La prossima volta, però, vedi di non utilizzare così impropriamente la trasmigrazione dell’anima- disse l’uomo senza troppi giri di parole. Poi spostò lo sguardo verso le macerie dov’era poggiato Walter e continuò.

-Recuperalo e andiamo. Non c’è tempo da perdere, i ragazzini diventeranno più forti e consapevoli ogni ora che passa. Dobbiamo richiamare gli altri!- ordinò, sicuro e fermo come pochi. Rispondendo poi alla domanda che Rioga non fece, ma pensò solamente.

-È voluto andare ad affrontare i ragazzini- furono le sue parole mentre, cauto, si dirigeva al suo elicottero, con Rioga che prendeva in braccio il corpo del compagno; scusandosi con quest’ultimo nonostante non potesse sentirlo.

-Non sarà stato imprudente?- domandò poi Rioga, una volta poggiato il corpo sul retro dell’elicottero, salendo anch’egli.

-Non importa. Ha deciso di morire. Ed io non ho mai sopportato le teste calde.-

Rispose impassibile e freddo mentre l’elicottero salì di quota. Un ultimo sguardo all’edificio e poi via, verso la base. Dall’altro lato del paese, Juro non riuscì a proferir parola, scese a stento dall’auto che Shin’ichi lo colpì in pieno volto con un calcio rotante. L’uomo percorse a gran velocità tutto il viale, finendo a ridosso di tre bidoni per la raccolta rifiuti. Non percepì nemmeno il movimento di Shin, e questo lo spaventò per un secondo, prima che si rimettesse in piedi sghignazzando; trovava piacere nel percepire quei sentimenti umani che durante l'allenamento aveva isolato. Shin, poggiando prima un piede poi l'altro sull'asfalto, si girò verso Aaron alla ricerca di attenzione.. non corrisposta. Unì allora i pugni schioccando le ossa della mano destra prima, e della sinistra poi; piegò il volto ed esclamò a voce bassa, quasi in un sussurro: “Adesso è il turno mio”. Curvò il labbro superiore e si lanciò all'azione. In quell'istante il maestro uscì dalla porta d'ingresso, seguito nell'ombra da Naoko, ed entrambi videro Shin, con pugno teso, andare verso il suo avversario, carico di rabbia e di riscatto.

   
 
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