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Autore: suxsaku    10/11/2007    2 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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cap 16

 

Finalmente mi sono decisa a scrivere usando la punteggiatura corretta, quella usata nei libri. Ma è probabile che mi scappi lo stesso qualche errore, perché è un lavoro pizzosissimo. Adesso sistemerò anche i capitoli precedenti. Che noia...

Ah, mi sono accorta solo ora che ci sono stati dei problemi con l’indirizzo e-mail che ho dato qui, per cui se qualcuno mi ha inviato dei messaggi sappiate che non vi ho risposto perché non mi venivano segnalati i nuovi messaggi, non per stronzaggine.  Sono la solita stordita, scusate. Adesso ho un nuovo indirizzo, quindi se qualcuno vuole contattarmi può farlo tranquillamente, risponderò con piacere. ^^

Sempre che ci sia ancora qualcuno che legga questa storia. ¬_¬

A chi vuole sapere di più su Wantz ( e la povera Jillian passa sempre in secondo piano, me misera che l’ho resa così piatta e poco attraente)… Papam! Che questo capitolo sia precursore di grandi rivelazioni?

Ah, sono completamente pazza. X°D

 

 

 

Capitolo 16: Scocciature

 

 

Seduto a un tavolo, nella fievole e ombreggiata luce dell'alba, un uomo brizzolato esaminava alcune cartine, linee imprecise che gli davano solo un'idea vaga di dove si trovasse. Alzò la penna, la intinse nell'inchiostro e scrisse alcune note ai lati della pergamena; erano indicazioni su cosa migliorare o modificare, destinate a chi si occupava di fare i sopralluoghi necessari alla stesura delle mappe. Sapeva che nessuno di loro aveva le competenze di un cartografo, ma era necessario fare il possibile per ottenere delle cartine che fossero precise e che si soffermassero anche sui particolari minori, per quanto possibile. Scosse la testa e sospirò, chiedendosi se dovesse scegliere qualcun'altro per quel compito. Anche volendo, però, erano a corto di personale.

Un'ombra gli scivolò accanto, fermandosi alle sue spalle.

<< Ianuam aperire >>, disse.

<< Ianuam operire >>, rispose l'uomo, continuando a scrivere.

Il nuovo arrivato, un ragazzotto che spiccava nella penombra grazie alla sua chioma rossa, si tolse il mantello, lo gettò sullo schienale di una sedia e si sedette di fronte al brizzolato. Rimase in silenzio a guardarlo intento nel suo lavoro, desideroso di un po' di pace in quel momento di bufera. Era il suo modo per calmarsi, stare a guardare, senza pensare a nulla, soprattutto a ciò che lo turbava. Il suo più anziano compagno, invece, cercava di scacciare la pressione e le preoccupazioni scrivendo e perdendosi in mezzo alle carte. Diede uno sguardo veloce e distratto alla baita di legno che fungeva provvisoriamente da luogo di ritrovo, desiderando puerilmente, per un attimo, qualcosa di meno anonimo e freddo, più caldo e accogliente, o almeno meno deprimente.

<< Ci sono novità? >>, chiese finalmente, tornando a guardarlo.

L'uomo bagnò il pennino nell'inchiostro. << Nessuna, di nessun genere, da nessun fronte. >>

Si lasciò cadere pesantemente contro lo schienale, indeciso se gioire dell'assenza di cattive notizie o preoccuparsi del fatto che non c'era stato alcuno sviluppo. Sentì il mantello scivolare per terra, ma non si chinò a raccoglierlo.

<< Sono... >> Si interruppe. L'uomo alzò lo sguardo dalla pergamena per la prima volta, fissandolo con un lieve apprensione. << Stanco >>, terminò, con sollievo del compagno. << Ultimamente c'è troppo da fare, e cominciano anche a succedere delle disgrazie... Ci servono davvero dei rinforzi. >>

<< Non le chiamerei disgrazie. Una disgrazia ha in sé qualcosa di inevitabile, imprevedibile e inaspettato. Invece noi sapevamo a cosa saremmo andati incontro, ne conosciamo i rischi e le conseguenze; e se abbiamo deciso di proseguire nonostante i pericoli, è perché siamo disposti a sacrificarci. Così come lo era Aglovale. >>

Il ragazzo fu attraversato da un fremito al sentir pronunciare il nome del fratello. << Lo so >>, assicurò. << Quello che voglio dire, è che, così come stanno ora le cose, non abbiamo la benché minima possibilità di fare alcunché. Abbiamo bisogno di validi elementi, qualcuno che... >>

<< Non tirarmi fuori storie del tipo "quanto sono inutile ed incapace". Non sono disposto ad ascoltare di nuovo nulla del genere >>, lo interruppe. << Mi è bastato ciò che mi hai detto dopo la morte di Aglovale. >>

Nonostante tutto, si lasciò sfuggire un risolino amaro e isterico. << Non cercare di alleviare la cosa. Sappiamo perfettamente che non è morto. >>

<< Non possiamo esserne certi >> obbiettò.

<< Non negare l'evidenza, Lucan! >>, urlò, scattando verso di lui. << Lo hai visto anche tu, no? Era uno delle Triade! Sai meglio di me che quelli non uccidono. Non si fanno chiamare Triade della Dannazione per vanità! >>

L'uomo non rispose, limitandosi a fissare mestamente il giovane che cercava di riprendere il controllo. Aspettò con pazienza tutto il tempo necessario, finche non si fu calmato. Ora vedeva che era in attesa di una sua reazione. Abbassò lo sguardo sulla cartina. Lasciò cadere una goccia nera su una montagna che in realtà non doveva essere lì; fissò l'inchiostro allargarsi sino ad inghiottire l'indesiderato monte e tracciò due linee a triangolo nel punto ove essa doveva trovarsi realmente.

<< Abbiamo già discusso di questo ieri, Agravaine, e non ne parlerò più fino a quando non sarai pronto ad affrontare l'argomento con lucidità. E non è una critica >> aggiunse, notando un gesto d'insofferenza del ragazzo. << Chiunque uscirebbe di senno, in una situazione analoga. >>

<< Ma noi no >>, disse con una punta di risentimento, ma anche con orgoglio. << Non possiamo permettercelo. >>

Lucan gli rivolse un sorriso triste. << Forse, quando sarai pronto, avremo anche qualche elemento in più per capire cos'è successo a tuo fratello. >>

Il ragazzo annuì. << Bisognerebbe trovare qualcuno che abbia esperienza... qualcuno che abbia visto casi simili. >> Da come lo disse, era ovvio che aveva un'idea ben precisa di chi avrebbe potuto aiutarli.

L'uomo non rispose, concentrandosi su una foresta che aveva scambiato il suo nome con quello di un lago.

<< Lo stanno cercando? >>, chiese Agravaine, con una nota implorante nella voce.

<< Sì >>, rispose, senza sollevare lo sguardo. << Come tutti gli altri che dobbiamo ancora contattare. Ma lo sia anche tu che, se non vuole farsi trovare, nessuno di noi riuscirà a scovarlo. >>

Agravaine annuì, sconsolato. << Pensi che ci sia qualche possibilità che... acconsenta a darci una mano? >>

Lucan sorrise. << Sono pronto a scommettere che è già all'opera, per i fatti suoi, in cerca di un modo per salvare questo mondo dallo scatafascio, o magari è già impegnato in qualche azione disperata, e, in ogni caso, sarà nei guai fino al collo. >>

Anche il ragazzo sorrise, ma si rabbuiò subito. << Comunque, non possiamo fare troppo affidamento su di lui. >>

<< Ovvio >>, disse l'uomo con l'aria di chi la sa lunga. << Proprio per questo, metà di noi è alla ricerca di altri che vogliano aiutarci. >>

<< E proprio per questo... >>, continuò l'altro, alzandosi e raccogliendo il mantello. << Noi altri siamo sommersi dal lavoro. >>

<< Vuoi forse reclamare? >>, chiese con fare minaccioso, ostentando finalmente un atteggiamento da capo come si addiceva al suo ruolo.

>, assicurò. << Pensavo solo che mi farebbe comodo avere un assistente. O forse è ora che mi scelga un discepolo da schiavizzare. >>

Lucan rise, riempiendo con la sua risata il vuoto lasciato dalla partenza immediata del ragazzo. Rimasto solo, riprese la correzione della mappa con egual pignola precisione, ma con minor attenzione, distratto da pensieri che aveva cercato invano di scacciare e che l'arrivo del ragazzo aveva inevitabilmente richiamato alla mente.

Neppure lui voleva contare troppo sul suo aiuto, ma non poteva negare che era l'unico ad aver fatto determinate esperienze che lo avevano portato ad avere a che fare con cose che loro non potevano neppure immaginare, ed era uno dei pochi ad avere le capacità e i mezzi per cambiare le sorti dell'umanità. A ben pensarci, forse l'Alleanza sarebbe stata inutile. Forse i soli che potevano fare qualcosa erano persone come lui, mentre loro sarebbero rimasti ai margini della vicenda. Inoltre, difficilmente tipi come lui accettavano di operare in gruppo. Se necessario, si sarebbe ridotto ad offrirgli il suo aiuto come un novizio qualunque.

Si alzò e fece qualche passo per sgranchirsi le gambe, dopo una notte intera passata seduto immerso nei fogli. Si accostò alla finestra, guardando il sole nascente dare inizio ad una nuova giornata di terrore, felicità, dolore, gioia o semplice sopravvivenza, a seconda dei casi e della fortuna dei singoli.

Quello che Agravaine e parecchi altri non avevano capito, principalmente il fatto che non potevano saperlo, era che non era lui a dover aiutare loro, ma il contrario.

<< Dove sei? >>, domandò, ben sapendo di non poter ricevere risposta. << Dove sei, Wantz? E soprattutto, cosa stai facendo? >>

 

 

Fece uno sbadiglio gigantesco, tanto che Jillian temette che gli si staccasse la mascella e rotolasse a terra.

<< Dormito bene? >>, gli chiese, osservandolo alzarsi e piegare la coperta su cui aveva dormito.

Wantz storse la bocca. << Non fosse stato per le formiche... >>

Erano già le dieci di mattina; decisamente tardi, viste le loro abitudini, ma la ragazza aveva preferito non svegliarlo e aspettare che si destasse da solo per non rovinargli il sonno. Il mago non diede segno di fastidio (come del resto non mostrò apprezzamento) per quella premura. Riassettarono le loro cose e si prepararono ad un'altra giornata di marcia, lasciandosi alle spalle i resti del falò e di quell'ulteriore esperienza spiacevole. Usciti dalla foresta, seguirono l'ennesima strada sterrata, con l'unica compagnia del sole e della polvere. Wantz aveva tirato fuori da chissà dove delle mele, e Jillian si preparò a fare colazione.

<< Come ti senti oggi? >>, domandò, senza mostrare eccessivo interesse, intenta a strofinare una mela con un panno per pulirla.

<< Decisamente meglio >>, rispose. Sembrava di buon umore, o forse sarebbe meglio dire che sembrava meno arrabbiato col mondo del solito; cosa ancora più strana se si pensa che era appena uscito sconfitto da uno scontro che aveva sicuramente lenito il suo orgoglio. Jillian decise che avrebbe fatto di tutto per non innervosirlo, per quanto possibile. Ma già una domanda a lui sicuramente sgradita le martellava insistentemente in testa.

<< Giusto per sapere... >>, esordì, addentando il frutto. << Quanto dista il villaggio dove siamo diretti? >>

Il ragazzo le rispose con la bocca piena di mollica di pane. << Se nessuno prova ad uccidermi, e se nessuno mi incastra in opere di carità... >>, deglutì, lanciandole un'occhiata allusiva cui lei rispose strizzandogli un occhio. << Arriveremo prima di sera. >>

Jillian aveva l'impressione che il mago non vedesse l'ora di arrivare a destinazione, ma forse era solo un'impressione, dovuta al presunto buonumore del ragazzo. Non si azzardava però a chiedere perché stavano andando in quel paese chiamato Past. Sulle prime aveva pensato che fosse una meta commerciale, ma se lo fosse stato lei l'avrebbe conosciuta, mentre invece non l'aveva mai sentito nominare. L'ipotesi più probabile era che lui avesse qualche faccenda da sbrigare; forse doveva incontrare qualcuno. Inutile negarlo, si stava rodendo dalla curiosità. Tuttavia, aveva deciso di rispettare gli spazi del compagno e di non seppellirlo di domande. Del resto, l'avrebbe scoperto arrivata a destinazione, quindi si rassegnò ad aspettare.

<< Senti Wantz, mi stavo chiedendo... >>

Lui socchiuse gli occhi, sospettoso. << Sì? >>

<< L'attacco di due giorni fa, non è che... Forse... Erano lì per me? >> Va bene evitare le domande sul villaggio misterioso, ma nessuno le impediva di attingere alla riserva di quesiti insoluti accumulata in quelle due settimane, no?

<< Manie di protagonismo o coda di paglia? >>, sondò Wantz.

<< Una sensazione opprimente che mi stritola ogni volta che finisci maciullato >>, ribatté con forza, decisa a non essere, per una volta, la metà debole.

<< Mi sembrava di aver già chiarito che gli orchi ti seguivano solo per il frammento. E l'ibrido di Lindblum era lì perché ce l'aveva con me. >>

<< Perché avevi ucciso gli orchi, suoi sottoposti? >>, chiese. Non aveva mai avuto conferma diretta che era stato proprio lui ad occuparsene, anche se sembrava evidente. Infatti il ragazzo annuì.

<< Quindi, >>, riprese, << come puoi vedere non ci sono altri motivi per cui tu debba ritenerti una calamita per orchi, perché lo sei già per le seccature normali, e direi che basta e avanza. >>

Jillian rise, ammettendo che era proprio una procacciatrice di quelle che il ragazzo considerava scocciature. << Mi dispiace, cercherò di contenermi >>, promise.

<< Tuttavia... >>, riprese. << L'altro giorno... >> Esitò.

<< Sì? >>, lo incoraggiò.

<< Non lo dico per spaventarti, ovviamente, ma... Il tizio che era a capo degli orchi, e che mi ha massacrato di botte, mi ha fatto capire che ti conosce. >> La fissò negli occhi, alla ricerca di una paura che non trovò.

<< Chi era? >>

<< Uno dei generali dell'Oscuro. >> Una bugia a metà. O meglio, una spiegazione incompleta, visto che non le aveva detto che era uno della Triade. << Perciò mi stavo chiedendo... Hai fatto qualcosa che potesse innervosirli o attirare la loro attenzione, prima di incontrarmi? >>

Riflettè prima di rispondere. << Nulla, a parte andare in giro con un frammento della profezia nel decolté. >>

Non mentiva. Lo sentiva, non aveva bisogno di frugarle nella testa. Ormai l'interesse dell'Oscuro per lei era evidente. Quindi, qualsiasi cosa quel pazzo voleva da lei, lei non era consapevole di possederlo. Si perse in una marea di ipotesi, una più inverosimile dell'altra, passando per ricordi sopiti, maledizioni da spezzare con riti di sangue, cessioni di poteri magici e tante altre elaborate fantasie. E se invece avessero voluto lei in persona? Per cosa, poi? A parte torturarla, che sarebbe stata una gran soddisfazione per chiunque, ovvio. Ammettendo che ci fosse qualche traccia di magia in lei (cosa che neppure lui si sentiva di smentire), a che scopo cercarla con un'insistenza tale, mobilitando addirittura un membro della Triade, per quanto inetto questo fosse? Troppe domande, tante supposizioni e nessuna risposta. Un problema in più. In una parola, una scocciatura.

L'ennesima.

 

 

Seduto in uno dei tanti angoli bui del castello, umido e viscido come la stragrande maggioranza delle mura in pietra di quella mastodontica e diroccata costruzione, il cappuccio alzato a coprirgli il volto, fingeva di dormire. In realtà era impiegato nella rielaborazione degli ultimi eventi. Al suo fianco, rannicchiato come un cane, stava una figura apparentemente umana, in uno stato che oscillava tra il sonno e l'allucinazione.

Come richiestogli, stava portando a termine l'atto di avvertimento contro quella ridicola combriccola di maghi. Finito quell'incarico si sarebbe dedicato ad altro. Intanto però si chiedeva il perché di quell'intimidazione. Quest'Alleanza, o come si chiamava, era davvero una presa in giro: totalmente disorganizzata e, oltretutto, senza grandi elementi di rilievo. Lo stesso Lucas, il mago dalle comuni, ma in questo contesto ridicole, capacità che si era preso la briga di formare un movimento di rivolta, era conscio di non potere nulla contro il loro esercito. E ancora meno poteva fare per le alte schiere. E il fatto che fossero alla disperata ricerca di qualche altro aspirante suicida disposto ad aiutarli non cambiava le cose. Pochi erano coloro che avrebbero potuto fare qualcosa. E pochissimi costituivano una vera minaccia per l'Oscuro. E di questo numero già esiguo, un numero ancora più insignificante avrebbero accettato di rischiare la pelle in una partita persa in partenza, in cui i ruoli principali erano già stati tutti assegnati. Infine, colui che tra questi pochi era davvero in grado di intralciare i loro piani, l'unico che impensieriva non solo lui e gli altri membri della triade ma anche il loro signore, il solo che avrebbe avuto la forza di cambiare un destino che non può essere salvato, non ne avrebbe avuto la minima voglia. Era pronto a scommetterci. Lavoro di squadra, azioni congiunte, obbligo di conversazione e civile convivenza, forse addirittura dover prendere ordini da altri... No, non avrebbe mai ceduto la sua libertà per un prezzo così infimo. Soprattutto ora che era già stata intaccata da una presenza per lui scomoda quanto indesiderata.

Appurato che l'Alleanza era trascurabile come sembrava, ne conseguiva che le domande impellenti a cui trovare risposta restavano due. Perché si ostinava a non voler uccidere il mago? E perché sembrava così interessato alla ragazza?

I suoi pensieri furono interrotti dalla comparsa fumosa di un'altro uomo incappucciato.

<< Ah, Lot. Come mai qui? >>, domandò cordiale, scoprendosi il volto e sistemandosi gli spettinati capelli biondi.

Lot accennò con il capo al fagotto addormentato al suo fianco. << Devo aspettare che il processo termini. >>

<< Capisco, è la tua ultima creazione >>, annuì Caradoc. << Immagino volessi un luogo tranquillo dove riflettere. Perdonami se ti ho disturbato. >>

<< Fa niente. Mi stavo perdendo in lande proibite >>, spiegò, criptico.

Caradoc evitò di indagare; con ogni probabilità sapeva già perfettamente su cosa si stesse lambiccando l'uomo. Lot si voltò verso la creatura rannicchiata al suo fianco.

<< Chissà che non venga fuori qualcosa di utile >>, disse Caradoc. << I rari incroci fatti usando dei maghi hanno dato sempre risultati ottimi quanto a forza e poteri magici. >>

<< E' tanto che non se ne faceva uno >>, ricordò l'altro all'improvviso.

Caradoc sorrise. << Bè, devi ammettere che, dopo l'ultimo, un po' è passata la voglia di provarci ancora. >>

<< Un'altra delle cose che non capisco. >>

<< L'errore è stato di lasciarlo dotato di volontà. >>

<< Errore, dici? Peccato che chi di dovere avesse ricevuto istruzioni precise nelle quali si chiedeva esplicitamente di farne un ibrido di primo livello. >>

Il biondo scosse il capo: ora ne aveva avuto conferma. Il suo inafferrabile compagno stava cedendo al bisogno di sapere. E ciò non poteva che portagli guai; troppo facile sconfinare in campi che erano loro interdetti, troppo impellente la necessità di capire. Obbedire senza fiducia, ma non obbedire senza capire.

<< Non sono questioni che ci riguardano. >>, fece notare. << Di quel caso se ne è occupato l'Oscuro in persona e il capo del settore di ricerca e sviluppo... >>

Lot si lasciò andare ad una roca e liberatoria risata crudele. << Ah, non voglio sapere nulla di ciò che fa quel pazzo e dei suoi esperimenti. Ha già avuto modo di giocare con tutti noi. Noi abbiamo già dato >>, sussurrò lanciando un'occhiata carica di significati a Caradoc da sotto il mantello e terminando sommessamente la sua risata. Chinò il capo, un ghigno carico di risentimento sul volto. << Vorrei sentire il tuo parere su tutta questa follia, ma sei troppo prudente per lasciarti andare a confidenze compromettenti. >>

<< Sei tu che sbagli a porti domande a cui non puoi darti risposta. >>

<< Sta' tranquillo >>, riprese, il sorriso un po' folle incrollabile sul volto. << Non ho intenzione di crearti guai. C'è già il cane rabbioso, per quelli. Non rovinerò questa ignobile normalità che tanto aneli a mantenere. >>

Caradoc si irrigidì, spiazzato nel sentir pronunciata una verità che sino ad allora aveva celato nell'intimo. << E' tutto ciò che ho >>, disse in un soffio, senza la sua abituale espressione distaccata e serafica, che aveva ostinatamente mantenuto anche durante quel tesissimo dialogo; la sua voce flebile non era una giustificazione, non un tentativo di suscitar pietà, né una confessione di debolezza, ma la sentenza di una realtà impossibile da modificare. << Ognuno di noi ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non... "perdersi", diciamo così. Tu stai trasformando l'appiglio che dovrebbe tenerti ancorato a ciò che sei in un modo per uscire dalla tua condizione immutabile. Il tuo vizio di porti domande ti sta logorando perché ora non ti accontenti più, non ti limiti ad esse. Ora vuoi le risposte ad anni di taciti quesiti. >>

<< Ad anni di bugie, Caradoc. >>, corresse con astio.

<< Ad anni di cose non dette, Lot. >>, ribadì. Nel suo tono c'erano una profonda partecipazione e comprensione per quella sofferenza; la stessa che, sebbene derivata da cause differenti, opprimeva ugualmente tutti coloro che erano stati condannati a prender parte quella drammatica recita, nemici e alleati, da una parte e dall'altra, bianchi e neri, pedine e fanti...

<< Mi denuncerai? >>, chiese, dopo un lungo silenzio, con aria di sfida.

<< No. >>

<< Forse tu non lo farai, ma qualcun'altro, prima o poi, se ne accorgerà. E lì dipenderà tutto dalla fortuna. >>

<< Non ci pensare, e goditi questo esemplare di secondo livello >>, consigliò, lanciando uno sguardo alla creatura immobile. Sotto il cappuccio del compagno, intravide un sorriso stirato, a labbra strette.

<< Quest'ennesima anima perduta, semmai. >>

 

 

"Molti fili, dunque, andavano intrecciandosi a formare una rete, un intrico di esistenze legate dal dolore. Tutto quell'affanno, però, era vano. Il disegno che regolava quei destini era già stato tracciato, e andava via via formandosi spontaneamente: chi non apparteneva a quelle linee essenziali che lo componevano, non sarebbe in alcun modo entrato a far parte del disegno. Eppure... per quanto assurdo fosse... Chi ne faceva parte voleva uscirne a tutti i costi, e chi ne era escluso desiderava ardentemente entrarvi."

 

 

<< E’ proprio necessario? >>

<< Come tutti gli anni, in questo periodo. >>

<< Ma che uffa! >>, si lamentò il fanciullo dai capelli rossi, grattandosi il naso tempestato di efelidi. << Allora non c’è altra soluzione. >>

<< Di che parli? >>, chiese l’altro, un ragazzone alto, ma di corporatura non molto robusta, che sfoggiava un taglio di capelli insolito: la frangia era stata trasformata in un fitto ciuffo che nascondeva completamente l’occhio sinistro.

<< Ma è ovvio: parlo della mia celebre “danza propiziatoria per la raccolta delle patate”! >>

<< E’ la prima volta che sento una simile assurdità >>, contestò, posando a terra le casse di legno e la vanga biforcuta che teneva in equilibrio sulla spalla.

<< Bene, allora rimedio subito. >> Cominciò a saltellare in maniera scoordinata, emettendo versi in una lingua inventata sul momento e roteando il braccio destro, l’unico che possedeva.

<< Affascinante >>, ammise il ragazzo dalle gambe lunghe. << Questo non ti esonera però dal dare il tuo contributo. >>

Il giovinetto si fermò di botto e fece una smorfia. << Tu e le tue dannate patate, Marhalt! >>

<< Sbaglio, Iwen >>, disse quello, sollevando la zappa, << o adori mangiarle? >>

<< Non ricominciamo con la solita tiritera “chi non lavora non mangia”, “il cibo crescerà anche sulle piante, ma non è bene aspettare che si sfracelli al suolo” o “le patate non saltano fuori di loro iniziativa” >>, sbuffò, raccogliendo i tuberi che l’opera di vangatura di Marhalt riportava alla luce.

Lavorarono di buona lena per un po’; quando finirono il primo solco e passarono al secondo, Iwen diede chiari segni di impazienza.

<< Si può sapere che c’è? >>, gli chiese Marhalt, affondando l’attrezzo nel terreno e ritraendolo subito dopo; movimenti sempre uguali, ripetitivi, ormai abituali.

Il ragazzino esitò a rispondere. Lasciò cadere nella cassa l’ennesima patata e si chinò per raccoglierne un'altra. << Non arriva >>, disse infine. Lo spilungone non rispose, preferendo concentrarsi su quelle operazioni che ormai sarebbe stato in grado di compiere ad occhi chiusi. << Le altre volte a quest’ora era già arrivato. Perché non si muove? >>

Scese il silenzio. Il bambino si interrogava con ansia e irritazione crescente. Marhalt sapeva che non c’era ragione di impensierirsi, ma capiva che Iwen non aveva la capacità di fredda analisi tipica dell’esperienza, perché troppo piccolo. Giusto per sicurezza, decise di fare un controllo. Prese fiato e si concentrò, senza smettere di menar fendenti alla terra.

“Ehi” immaginò nella sua mente con una intonazione scherzosa, quando ebbe trovato la linea di pensiero del destinatario del suo messaggio. “Il piccolo, qui, si sta scaldando. Dove sei, prescelto?”

“Come osi venire a fare sarcasmo nella mia testa? Vattene!” gli arrivò in risposta in un tono rauco e infastidito.

“E’ tutto a posto? Di solito sei puntuale, per questo si è agitato” formulò, questa volta seriamente.

“In effetti non posso dire che tutto vada per il meglio. Ad ogni modo, sto arrivando.”

Marhalt si domandò cosa lo avesse trattenuto, ma l’altro gli aveva chiuso le vie di comunicazione e non poteva chiederglielo; era prevedibile, visto che aborriva usare la bilocazione psichica, specialmente per essere preso in giro, come Marhalt aveva appena fatto. Poco importava. Stava tornando.

<< Non è da lui mancare agli impegni >>, ripeté Iwen, irritato che l’amico l’avesse ignorato.

<< E non lo farà neppure questa volta >>, assicurò, tentando di estrarre dalla terra un tubero particolarmente tenace.

<< Ma è strano che non sia già qui! >>, insistette Iwen.

< >, sbuffò, piegandosi e afferrando la patata con la mano libera, nell’ennesimo tentativo di tirarla fuori.

<< Non dire “ricorrenza”: mi da l’impressione di qualcosa di obbligatorio, una cosa imposta, tipo quelle formalità che lui odia tanto. >>

<< Va bene >>, acconsentì Marhalt, strattonando invano quell’agglomerato giallognolo di ostinatezza che si fingeva innocente patata. << In qualsiasi modo tu la voglia chiamare, vedrai che verrà. E’ stato lui stesso a imporsi questo impegno, e sai quanto sa essere perseverante nei suoi propositi. Non vi rinuncerebbe per nulla al mondo >>, terminò, sospendendo la lotta per riprendere fiato.

<< Ben detto, vecchia talpa! >>, esclamò il rosso, sferrando un poderoso calcio alla sventurata patata, che schizzò fuori dalla terreno e ruzzolò a cinque metri di distanza.

<< Ehi >>, disse, andando a recuperarla. << C’è solo una persona che può chiamarmi così. E non sei tu. >>

<< No: è lui! >>, urlò Iwen, indicando al compagno due figure umane e una equina, ancora lontane e sfocate ma visibili, che percorrevano la strada e si stavano chiaramente dirigendo verso di loro. << Vieni, Marhalt! >>

Il giovane lo raggiunse e depose il tubero ribelle nella cassa, insieme alle sue più docili compagne.

<< Stai calmo. Magari ti stai sbagliando. >>

<< Impossibile: ha un cavallo. >>

<< Non credo che sia l’unico a possedere un cavallo in tutta la contea >>, obbiettò lo spilungone. << E poi… Sono due. Ti sei dimenticato di quanto il nostro amico sia misantropo? >>

<< Forse ha preso un prigioniero >>, ipotizzò Iwen.

<< Ma certo. Oppure è lui ad essere in ostaggio >>, rise, trovando la cosa ridicola.

Iwen strizzò gli occhi nel tentativo di vedere meglio. << Aspetta… E’ una donna >>, comunicò.

Marhalt alzò un sopracciglio. << Orpo. Che si sia fatto improvvisamente furbo? >>

Una mano sopra gli occhi, in atteggiamento da sentinella, Iwen continuò la cronaca.

<< Ha un mantello! Ha un mantello! >>, gioì.

<< Stesso discorso del cavallo >>, contestò distrattamente, immaginandosi che tipo di rapporto potesse avere la persona che aspettavano con una donna.

<< Lo senti questo, allora? >>, affermò con aria di sfida. << E’ un tintinnio. >>

<< Anche i collari dei cani tintinnano >>, rispose, continuando a lambiccarsi su quel quesito.

<< No, no no >>, negò il ragazzino, saltellando agitato. << Ascolta, ascolta questo tono di voce astioso. >>

<< Beh, suppongo che lui non sia l’unico antipatico su tutto il pianeta. >>

<< Contestazione fiacca! Quella camminata svogliata è propria di un solo essere umano. E lui! >>, esultò.

Marhalt conficcò la vanga nel terreno e vi si appoggiò, usandola come sostegno. Guardò Iwen correre verso i nuovi venuti e assalire il giovane dall’aria scocciata.

<< Sei in ritardo! >>, urlò il ragazzino.

Il tizio col mantello lasciò il cavallo al di là della recinzione ed entrò nell’orto, seguito a ruota dalla ragazza.

<< No, è che… Strada facendo mi è capitata una rogna >>, spiegò, raggiungendo il ragazzino dai capelli di fuoco.

<< Non ti starai mica riferendo a me, vero? >>, gli chiese la ragazza, fulminandolo con lo sguardo.

Il ragazzo sfoggiò un sorriso malevolo a trentadue denti. << Coda di paglia, eh? >>

“Ecco” pensò Marhalt, ponendo fine ai suoi dubbi. “E' così che si comporterebbe con il gentil sesso: esattamente come con tutti gli altri.”

Osservò i due fissarsi in cagnesco e notò che Iwen sembrava molto interessato alla ragazza. Possibile che invece fosse il bambino ad essere diventato furbo?

<< Senti… >>, esordì il rosso esitante, interrompendo la lite silenziosa dei due nuovi arrivati.

<< Sì? >>, chiese lei, spostando sul ragazzino la sua attenzione.

<< Ma tu… >>, guardò prima l’uno, poi l'altra, dubbioso. << …Sei sua schiava, vero? >>

La ragazza avvampò di rabbia, sotto lo sguardo goduto del suo compagno. << Per quale assurdo motivo dovrei esserlo? >>

<< Perché altrimenti non mi spiego come mai non ti abbia ancora uccisa >>, rispose con sincerità.

Fu così che la ragazza spostò le sue ire su Iwen, sommergendolo di educati, ma energici, improperi.

Il tizio col mantello, per nulla dispiaciuto di essere stato rimpiazzato e di aver ceduto il suo ruolo di litigante, lasciò che i due si scannassero e si avvicinò a Marhalt; questi sembrava decisamente contento e pago nell’osservare quella disputa verbale.

<< Mi dispiace >>, gli disse. << Temo di aver portato un nuovo confusionario. >>

<< Di’ la verità >>, rise Marhalt << Avevi nostalgia del baccano che solo Iwen riesce a fare? >>

<< Temo che questa sia pure peggio >>, sospirò affranto, cercando di ignorare la ragazza, che aveva sollevato per i piedi il gracile Iwen e lo stava facendo roteare a testa in giù.

Marhalt lo guardò negli occhi, riconoscendo nelle iridi verdi quella scintilla di perversa astuzia che conosceva bene.

<< Bentornato a casa, Wantz. >>

Il ragazzo col mantello sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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